Le violazioni delle leggi sulla finanza elettorale sono un tema centrale quando si tratta di proteggere l'integrità delle elezioni e prevenire l'influenza indebita sul processo democratico. Le azioni di Michael Cohen, ex avvocato di Donald Trump, sono un esempio lampante di come i pagamenti non dichiarati e le contribuzioni politiche possano distorcere l'equilibrio elettorale. In questo caso, i pagamenti a Stormy Daniels e Karen McDougal sono stati ritenuti illegali, non solo perché violavano il limite massimo delle contribuzioni, ma anche perché sono stati effettuati con l'intento esplicito di proteggere una campagna presidenziale.

La legge che regolamenta tali finanziamenti è il Titolo 52 del Codice degli Stati Uniti, che stabilisce i limiti e le normative sulle contribuzioni politiche. Quando una persona o una società effettua un pagamento con l'intento di influenzare un'elezione, quel pagamento deve essere considerato una contribuzione politica. Tuttavia, Cohen ha orchestrato pagamenti di denaro che sono stati progettati per evitare che storie compromettenti sui candidati venissero divulgate durante la campagna presidenziale del 2016. Questi pagamenti non erano privati, ma avevano un chiaro scopo politico: proteggere Donald Trump e la sua immagine pubblica.

L'influenza di Trump sui pagamenti è chiaramente dimostrata attraverso le testimonianze di Cohen e le registrazioni audio che lo vedono direttamente coinvolto nelle trattative per nascondere le informazioni. Nonostante Trump abbia cercato di sminuire le dichiarazioni di Cohen, le prove, tra cui i documenti finanziari e le testimonianze di altri testimoni, come David Pecker e Allen Weisselberg, confermano che le operazioni finanziarie erano coordinate con la campagna elettorale.

L'importanza di comprendere questi dettagli sta nel fatto che violazioni di questo tipo non sono solo questioni legali, ma minano la fiducia pubblica nel processo elettorale. L'azione illegale di Cohen nel favorire la campagna presidenziale, tramite pagamenti fuori dai limiti consentiti, danneggia il principio fondamentale della trasparenza nelle elezioni. La legge stabilisce limiti precisi per impedire che fondi privati, sia personali che aziendali, possano alterare il corso di un'elezione democratica.

Inoltre, un aspetto fondamentale che emerge da queste violazioni è che, nonostante i tentativi di difesa da parte di Trump e Cohen, le evidenze a sostegno delle accuse sono molteplici. La registrazione di una conversazione tra Cohen e Trump e la documentazione finanziaria rivelano l'entità dell'infrazione. Cohen, infatti, ha agito per conto di Trump, e questo rende evidente che la violazione delle leggi sulla finanza elettorale non fosse un'azione isolata, ma parte di una strategia coordinata per proteggere l'immagine del candidato.

Oltre agli aspetti legali, è importante considerare l'impatto che tali azioni hanno sul panorama politico e sulla democrazia stessa. I cittadini si aspettano che le campagne elettorali siano libere da influenze illecite e che tutti i candidati rispettino le stesse regole. Quando una campagna può far valere il proprio potere economico per silenziare testimoni e nascondere informazioni, la credibilità del processo elettorale viene seriamente compromessa.

Questi eventi ci insegnano che l'integrità delle elezioni dipende dalla sorveglianza e dal rispetto delle leggi sulla finanza elettorale. Per preservare la trasparenza e garantire che le elezioni siano veramente libere e giuste, è essenziale che tali violazioni vengano trattate con la massima serietà. La storia di Cohen, Trump e i loro collaboratori non è solo una lezione legale, ma anche un monito su quanto sia fondamentale mantenere il sistema politico e elettorale al di sopra di qualsiasi sospetto di corruzione o manipolazione.

Cosa ha motivato il Presidente Trump a intervenire sull'indagine russa?

La domanda centrale che si pone in questa analisi riguarda la motivazione che ha spinto il presidente Trump a cercare di interferire nell’indagine russa. Il suo comportamento, particolarmente in relazione al licenziamento di James Comey, alla pressione su Jeff Sessions e ad altri tentativi di influenzare l’indagine, solleva interrogativi su quanto fosse consapevole delle implicazioni legali e politiche delle sue azioni.

Il caso di obstruzione alla giustizia legato al licenziamento di Comey si inserisce in un contesto in cui la presunta intenzione del presidente di ostacolare l'indagine non è facilmente provabile. Non avendo potuto interrogare Trump o sottoporlo a una deposizione, gli investigatori si sono trovati a dover fare affidamento su risposte scritte fornite dai suoi legali, che rendono difficile interpretare con certezza le sue intenzioni. In tale contesto, il Procuratore speciale Robert Mueller ha dovuto colmare le lacune nei fatti per determinare se il presidente agisse con intento corrotto.

Una delle questioni principali riguarda la reazione del presidente alla conferma pubblica dell’indagine dell’FBI. A partire dal 2017, quando l'indagine sulla Russia iniziò a prendere piede, il presidente dimostrò un crescente malcontento per ciò che percepiva come un ostacolo alla sua agenda. Non solo cercò di ottenere la recusal di Jeff Sessions dall'indagine, ma sollecitò ripetutamente che l'FBI dichiarasse pubblicamente che non era sotto indagine, pur non essendo un obiettivo diretto del procedimento.

La condotta del presidente nei confronti di Comey è particolarmente indicativa. Dopo il 20 marzo 2017, quando Comey confermò pubblicamente che l'FBI stava indagando sui legami tra la campagna di Trump e la Russia, il presidente avviò una serie di azioni per fermare quella che considerava una minaccia alla sua presidenza. La sua insistenza affinché l'FBI e altri leader dell'intelligence dichiarassero che non c'erano legami con la Russia si inserisce in un tentativo sistematico di limitare l'ulteriore diffusione di notizie che avrebbero potuto compromettere la sua immagine politica. Il presidente cercò in diverse occasioni di fermare l’indagine e di fare in modo che l'opinione pubblica fosse orientata a favore della sua posizione.

Allo stesso tempo, il licenziamento di Comey, avvenuto il 9 maggio 2017, segna un momento cruciale. Nonostante le dichiarazioni ufficiali che citano ragioni legate alla gestione dell’indagine russa, le circostanze suggeriscono un altro scenario: il licenziamento fu un atto di ritorsione verso un direttore dell'FBI che si rifiutò di annunciare pubblicamente che il presidente non era sotto indagine. La decisione di Trump di non permettere a Comey di dimettersi volontariamente, ma di licenziarlo, suggerisce che l'azione fosse mirata più a ridurre la pressione politica che a risolvere una questione di gestione dell'indagine.

Le azioni del presidente, come il continuo tentativo di influenzare le decisioni relative all’indagine, pongono la questione dell'intento corrotto in un'area grigia. Sebbene non ci siano prove dirette che l’intento fosse quello di ostacolare l'indagine, la sua costante preoccupazione riguardo le implicazioni politiche legate alla Russia suggerisce che il presidente avesse un forte interesse a limitare l’indagine e a mantenere un controllo totale sull'interpretazione pubblica degli eventi.

È evidente che il presidente Trump non considerasse l’indagine come un semplice processo legale, ma come una minaccia alla sua capacità di governare. La sua preoccupazione di come l'opinione pubblica avrebbe reagito alle rivelazioni sui legami con la Russia dimostra quanto fosse determinato a proteggere la sua posizione politica a ogni costo. La costante spinta per fermare l'inchiesta, il rifiuto di accettare la recusal di Sessions e il licenziamento di Comey non erano solo reazioni alle sfide legali, ma anche a una percepita minaccia alla sua leadership.

Alla luce di ciò, la comprensione del contesto in cui il presidente agì diventa cruciale. È fondamentale riconoscere che le sue azioni non sono semplicemente il risultato di una strategia politica, ma un riflesso della sua percezione del potere e della gestione delle informazioni. Il suo comportamento rivela una preoccupazione costante per il controllo narrativo, che si traduce in tentativi ripetuti di influenzare non solo l’indagine, ma anche la percezione pubblica del suo ruolo e delle sue azioni. Questo aspetto è fondamentale per comprendere le dinamiche di potere e di interazione tra il governo, l'opinione pubblica e le istituzioni legali.

Come il comportamento del Presidente Trump rifletteva tentativi di ostruzione della giustizia durante le indagini di Mueller

Il comportamento del Presidente Trump durante l’indagine del procuratore speciale Robert Mueller è stato caratterizzato da una serie di azioni che suscitano preoccupazioni in merito a possibili tentativi di ostruzione della giustizia. Le evidenze raccolte nel rapporto di Mueller mostrano come le ripetute azioni del Presidente, mirate a influenzare il corso dell’indagine, non solo sollevano interrogativi sulla sua condotta, ma suggeriscono anche un intento deliberato di fermare o deviare l'inchiesta.

Una delle figure centrali in queste azioni è stata quella del consigliere legale della Casa Bianca, Don McGahn. Secondo quanto riportato, Trump ha tentato ripetutamente di costringere McGahn a modificare la sua versione dei fatti, in particolare riguardo agli eventi che avevano riguardato l'ordine di licenziare il procuratore speciale Mueller. In una serie di incontri e telefonate, Trump ha cercato di convincere McGahn a negare le sue dichiarazioni riguardo alle pressioni esercitate per licenziare Mueller, in un chiaro tentativo di manipolare il racconto ufficiale e distogliere l'attenzione dalle sue azioni.

Il presidente ha anche provato ad esercitare una pressione diretta sui suoi collaboratori, spingendo McGahn a scrivere una lettera che negasse l’ordine di licenziare Mueller. Quando McGahn si è rifiutato, Trump ha minacciato di licenziarlo, ma McGahn ha mantenuto la sua posizione. Tuttavia, le ripetute richieste da parte del Presidente di modificare la versione degli eventi sollevano seri dubbi sulle intenzioni di Trump. La sua insistenza nel coprire determinati aspetti della sua condotta non sembra lasciare spazio a interpretazioni innocenti.

Un altro aspetto significativo delle azioni di Trump durante l'indagine è stato il trattamento riservato ai suoi ex collaboratori, come Paul Manafort, e la gestione delle sue dichiarazioni pubbliche e private. Sebbene Trump abbia pubblicamente elogiato Manafort, definendolo un “bravo uomo” nonostante le gravi accuse penali contro di lui, in privato ha criticato duramente il suo ex capo della campagna. La posizione ambigua assunta dal Presidente, che da un lato lodava Manafort per la sua “resistenza” e dall'altro lo derideva, solleva il sospetto che Trump stesse cercando di influenzare la sua cooperazione con l’indagine, offrendo anche la possibilità di una grazia presidenziale in futuro.

Inoltre, le sue ripetute dichiarazioni in merito alla possibilità di una grazia per Manafort e altre figure coinvolte nell’inchiesta, tra cui Michael Flynn, indicano un chiaro intento di influenzare la prosecuzione delle indagini. Queste azioni, purtroppo, non si sono limitate alla sfera privata, ma si sono estese pubblicamente, con Trump che ha utilizzato i social media per commentare i procedimenti legali dei suoi associati, minando ulteriormente l'integrità delle indagini in corso.

Il comportamento di Trump verso i suoi ex collaboratori, come McGahn e Manafort, non può essere interpretato come una mera reazione politica. Le prove raccolte suggeriscono un chiaro schema di interferenza mirato non solo a salvaguardare la propria posizione, ma anche a ostacolare il processo giudiziario in corso. Le sue azioni suggeriscono una consapevole volontà di interferire con un'indagine che stava mettendo in luce il suo ruolo e quello dei suoi associati nel contesto delle elezioni del 2016.

Oltre alla manipolazione dei testimoni e delle testimonianze, un altro elemento cruciale nelle azioni di Trump riguarda il suo costante tentativo di delegittimare l'indagine e i suoi partecipanti. Accusando ripetutamente Mueller di parzialità e cercando di incolpare il procuratore speciale per una presunta “caccia alle streghe”, Trump ha cercato di creare una narrativa alternativa che potesse distogliere l'attenzione dalle accuse reali.

Le evidenze raccolte nel rapporto di Mueller delineano un quadro in cui il Presidente, attraverso una serie di manovre politiche e legali, ha cercato di deviare e ostacolare un'indagine che avrebbe potuto rivelare dettagli compromettenti. La sua insistenza nel manipolare o ignorare la verità suggerisce un'inclinazione a proteggere sé stesso e i suoi associati da qualsiasi conseguenza legale, utilizzando il suo potere per influenzare il corso della giustizia.

Queste azioni non solo gettano ombre sulla legittimità dell'intero processo investigativo, ma pongono anche la domanda su quale sia il limite della protezione che un presidente può concedere a sé stesso in un sistema legale. Il comportamento di Trump durante le indagini di Mueller non rappresenta solo un tentativo di interferenza con la giustizia, ma un caso emblematico di abuso di potere e corruzione.

La condotta del presidente Trump: Ostacoli alla giustizia e la manipolazione delle indagini

Le azioni del presidente Trump nei confronti di Paul Manafort, Michael Flynn e Michael Cohen sollevano interrogativi fondamentali sull'intento del presidente e sulla sua possibile interferenza nelle indagini in corso. La manipolazione del processo giudiziario, sia in termini pubblici che privati, rispecchia un comportamento volto a influenzare le decisioni cruciali che coinvolgono i suoi collaboratori, in particolare riguardo alla cooperazione con le autorità e alla possibilità di evitare condanne gravi.

In particolare, l'atteggiamento del presidente nei confronti di Manafort ha suscitato preoccupazioni. Dopo che il suo rilascio su cauzione fu revocato nel giugno 2018, Trump definì la decisione come “molto ingiusta” e il suo trattamento come una “pena severa”. Le dichiarazioni pubbliche del presidente non si fermarono qui. Durante il processo di Manafort nell’agosto 2018, Trump proseguì con affermazioni che minavano l'integrità del procedimento legale, definendo il caso un "inganno" e persino etichettando Manafort come una "persona molto buona". Questo comportamento suggeriva chiaramente un tentativo di dissuadere Manafort dal collaborare con le indagini, cercando di proteggere il suo ex capo della campagna elettorale. Non solo, ma la menzione della possibilità di un perdono presidenziale contribuì a creare un ambiente in cui Manafort avrebbe potuto scegliere di non collaborare, sperando in una riduzione della pena.

Un altro esempio di interferenza si verificò con Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale. Il presidente, benché pubblicamente mostrasse simpatia per Flynn dopo che questi si dichiarò colpevole di reati legati al suo coinvolgimento nelle indagini, inviò messaggi che sembravano dissuadere il suo collaboratore dal cooperare pienamente con gli investigatori. Sebbene non fosse chiaro se Trump avesse cercato di impedire direttamente la collaborazione di Flynn, la descrizione delle sue azioni è rivelatrice: tentò di influenzare un testimone chiave, che sarebbe potuto essere determinante per l'esito dell'indagine.

Questa condotta del presidente ha mostrato una costante tendenza a manipolare o ostacolare le indagini, rafforzata dal comportamento nei confronti di Michael Cohen, ex avvocato personale. Quando la questione del pagamento a Stormy Daniels emerse, Cohen fu messo sotto pressione per mantenere una versione dei fatti che avrebbe potuto proteggere Trump dalle implicazioni legali. Successivamente, quando Cohen cooperò con le autorità, Trump lo definì un "topo" e ritrattò completamente il suo sostegno. Le azioni del presidente nei confronti di Cohen si allinearono con un modello di comportamento che cercava di allontanare i suoi collaboratori dalle indagini in corso, in modo da evitare che rivelassero informazioni compromettenti.

La relazione tra il presidente e i suoi collaboratori coinvolti nelle indagini si sviluppò lungo una linea sottile: sostegno pubblico e privato per dissuadere dalla cooperazione, con l’intenzione di impedire che venissero fuori dettagli compromettenti. L’interferenza nelle indagini non si limitò a tentativi di influenzare il comportamento di testimoni o imputati, ma si estese a manovre legali complesse, come la discussione sul possibile perdono presidenziale per i suoi alleati coinvolti. Questo creò un contesto in cui i testimoni avevano l'impressione che, nonostante le pressioni legali, la loro salvezza passasse attraverso la fedeltà al presidente.

Importante è anche capire come, attraverso questi comportamenti, il presidente cercò di proteggere se stesso e i suoi alleati da gravi conseguenze legali. Le sue azioni sollevano interrogativi sulla moralità delle sue scelte e sull’efficacia delle istituzioni legali nel contrastare l’abuso di potere. La possibilità di un perdono presidenziale fungeva da leva potente, ma non può essere ignorato il fatto che l'influenza esercitata sulle indagini e i testimoni è un aspetto critico che minaccia l'integrità del sistema giudiziario. La discussione su questi temi non riguarda solo l’interpretazione di un caso politico specifico, ma tocca questioni più ampie sul rispetto della legge e sull’equilibrio dei poteri in una democrazia.

Quali sono le implicazioni legali e politiche per un presidente sotto inchiesta?

Le numerose inchieste criminali riguardanti Donald J. Trump e le sue imprese non dovrebbero preoccupare la nazione tanto quanto il suo comportamento criminale durante la campagna elettorale e durante la sua permanenza alla Casa Bianca: violazioni delle leggi sul finanziamento delle campagne come candidato, seguite da atti sfacciati di ostruzione in un'inchiesta sull'interferenza nelle elezioni e sul suo stesso comportamento. Le accuse di violazioni delle leggi sul finanziamento delle campagne non sono inusuali. L'ex candidato democratico John Edwards fu accusato di frode sul finanziamento delle campagne per aver usato i contributi dei donatori per mantenere la sua amante, ma non fu trovato colpevole quando emerse che cercava di nascondere l'affaire alla moglie, non agli elettori. Anche la campagna presidenziale di Barack Obama del 2008 fu multata di 375.000 dollari per aver omesso le notifiche obbligatorie di 48 ore.

Tuttavia, ciò che è senza precedenti sono i tentativi sfacciati del presidente Trump di ostacolare un'inchiesta sul suo stesso comportamento riguardo al dossier russo, abusando frequentemente del suo potere in relazione agli ordini impartiti ai suoi subordinati. Il presidente deve rispondere delle sue azioni, indipendentemente dal foro e dal processo. Il codice penale federale non è l'unico arbitro della criminalità di un presidente. La Costituzione può e deve essere utilizzata per determinare se un presidente in carica sia idoneo a rimanere in carica. Nel caso di Trump, la responsabilità potrebbe prendere le seguenti forme:

  • Procedimenti di impeachment senza rimozione dall'incarico, o

  • Procedimenti di impeachment seguiti dalla rimozione dall'incarico, e

  • Indagine penale dopo la rimozione dall'incarico; o perlomeno,

  • Indagine penale al termine del suo mandato presidenziale.

L'impunità non è un'opzione. Il procuratore speciale ha deferito al Congresso l'iniziativa di avviare un'inchiesta di impeachment in risposta alla sua indagine durata ventidue mesi. Sebbene Mueller non abbia menzionato esplicitamente la parola impeachment nel suo rapporto, il concetto è stato chiaramente affrontato: "Il Congresso ha l'autorità di proibire un uso corrotto dell'autorità presidenziale al fine di proteggere l'integrità dell'amministrazione della giustizia." Tale autorità è stata istituita perché i padri fondatori della Costituzione avevano previsto preoccupazioni riguardo all'ufficio presidenziale. L'impeachment è il meccanismo costituzionale con cui il Congresso può ritenere un presidente responsabile se non esegue le leggi fedelmente o commette un abuso di potere.

L'evidenza schiacciante giustifica l'impeachment e la rimozione del presidente Trump. Ma la praticità di questa proposta dipende dalla politica e da un Congresso altamente diviso. Un ramo coequo del governo, il Congresso ha il dovere costituzionale di tutelare la legge e di condurre sorveglianza sull'esecutivo. Tuttavia, mentre le considerazioni politiche e la probabilità di rimozione non dovrebbero far parte della determinazione sull'impeachment di un presidente in carica, lo sono. L'articolo I, Sezione 2 della Costituzione conferisce alla Camera dei Rappresentanti il potere di impeachment, equivalente all'incriminazione formale e alle accuse portate da un procuratore. L'articolo I, Sezione 3 conferisce al Senato il potere esclusivo di giudicare gli impeachment, equivalente a un processo in un tribunale. L'articolo II, Sezione 4 afferma: "Il Presidente, il Vice Presidente e tutti gli ufficiali civili degli Stati Uniti devono essere rimossi dal loro incarico in caso di impeachment e condanna per tradimento, corruzione o altri crimini gravi e reati minori."

Affinché il Congresso non avvii per errore procedimenti di impeachment semplicemente perché non concorda con le politiche di un presidente, l'impeachment è deliberatamente un processo politico arduo. L'impeachment di un presidente in carica richiede 218 voti alla Camera e 67 al Senato per rimuovere il presidente in carica, una maggioranza di due terzi. I procedimenti sono avviati dal Comitato Giudiziario della Camera e comportano indagini e udienze che potrebbero durare settimane o mesi. Quando la maggior parte degli americani discute dell'impeachment, presume che questo comporti automaticamente la rimozione. Non è così. Un'altra triste verità sull'impeachment: nessun presidente degli Stati Uniti è mai stato rimosso involontariamente dal suo incarico, e l'impeachment è stato preso in considerazione seriamente solo tre volte nella storia del paese. In due di questi casi, Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998–1999, la Camera dei Rappresentanti votò per avviare i procedimenti di impeachment, ma il Senato, dopo le udienze, non raggiunse i voti necessari per l'impeachment. Nell'altro caso, Richard Nixon si dimise nel 1974 prima che la Camera potesse votare.

Il punto centrale: sulla base del precedente, le probabilità di rimuovere un presidente in carica sono molto basse. Anche se Trump fosse indegno di ricoprire l'incarico, l'impeachment e la sua rimozione sarebbero una conseguenza necessaria ma improbabile del suo comportamento criminale. Ma il fatto che il presidente possa non essere rimosso dall'incarico non lo rende meno passibile di impeachment. E certamente non cambia il fatto che possa essere incriminato.

Il criterio legale per l'impeachment di un presidente in carica è "tradimento, corruzione o altri crimini gravi e reati minori". Ma cosa si intende per "crimini gravi e reati minori"? Il Congresso non ha mai approvato leggi che definiscano cosa costituisca un reato passibile di impeachment. In altre parole, non esiste un elenco specifico di "crimini gravi e reati minori", un termine che i padri fondatori della Costituzione usarono per descrivere una violazione della fiducia pubblica. Non è possibile per il Congresso immaginare e criminalizzare ogni possibile abuso di potere da parte di un presidente. Per questa ragione, l'impeachment non è riservato solo per le "offese contro gli Stati Uniti", linguaggio utilizzato nel potere di grazia, ma piuttosto per una classe più ampia di "crimini gravi e reati minori". Tra le offese che costituiscono "crimini gravi e reati minori" c'è l'abuso di autorità, che include l'ostruzione della giustizia. Molti degli atti di ostacolo compiuti dal presidente Trump stabiliscono un modello di abuso di potere sfacciato, tra cui:

  • Promettere indulti ai suoi collaboratori e consiglieri per il loro rifiuto di cooperare.

  • Dire a McGahn di far rimuovere il procuratore speciale a causa di presunti conflitti di interesse.

  • Reclutare Lewandowski per chiedere a Sessions di non recedere dal suo incarico e di concentrare l'attenzione sull'limitare l'ambito dell'inchiesta.

  • Cercare di far terminare l'inchiesta su Flynn da parte di Comey e la sua successiva licenziamento.

  • Chiedere indagini infondate sui suoi avversari.

In particolare, il potere del presidente di eseguire le leggi non gli conferisce un'autorità illimitata per fermare le indagini sul suo stesso comportamento. Deve agire nell'interesse pubblico, non nel proprio. Trump ha abusato del suo potere nel modo più scioccante possibile. Come avvocato difensore in crimini finanziari, rispetto la base su cui Mueller ha evitato di determinare la colpevolezza o l'incriminabilità del presidente. La guida dell'Ufficio consulente legale è una proibizione costituzionale ben consolidata, non un'opinione arbitraria. Ma dato che le leggi e i regolamenti devono evolversi per affrontare eventi e comportamenti senza precedenti, questo potrebbe essere un invito al Dipartimento di Giustizia a rivalutare e limitare l'applicazione del suo parere che stabilisce un divieto generale contro l'incriminazione di un presidente in carica, a prescindere dalle circostanze.