Una sera, mentre mi trovavo comodamente seduto sulla mia poltrona (ho notato che le poltrone sono ottime per stare seduti, vero? Ne tengo una mezza dozzina in giro per casa, ma solo per il gusto di farlo), mentre sorseggiavo una mistura di whisky e soda, la mia mente cominciò a fare conti con alcune delle domande irrisolvibili dei nostri tempi. Una di queste era: "Perché il libro The Man Who Folded Himself è stato scritto da David Gerrald e non da John Creasey?"
L'ispirazione mi venne in due fasi, proprio come Arthur Koestler avrebbe suggerito. L'approccio creativo, infatti, si basa sull'unione di due elementi mentali distinti, che, combinandosi, danno vita a qualcosa di completamente nuovo. In quel momento stavo guardando la televisione (la TV è davvero buona per guardare, non è vero? Ho provato a guardare anche i frigoriferi per un po', poi ho fatto delle esperimentazioni con i credenze, ma alla fine mi sono stabilito sulla TV), e proprio mentre ero assorto nella visione di un programma, un annuncio pubblicitario catturò la mia attenzione.
Il messaggio del commercial riguardava il risparmio energetico, spiegando, come sempre accade, che una grande percentuale di calore in una casa si perde attraverso le finestre. Quella informazione non era nuova per me, ma, sotto l'influenza del whisky, il mio cervello si trovava in uno stato particolarmente recettivo e quella frase sul comportamento del vetro delle finestre cominciò a risuonare nella mia mente, quasi come se fosse un'eco ghiacciata. Fu in quel momento che cominciai a riflettere sul fatto che in una casa il vetro delle finestre lascia uscire tutto il calore, ma in una serra, grazie al vetro speciale, il calore viene trattenuto. La combinazione di questi due elementi, apparentemente lontani, iniziò a formare un'idea chiara e brillante.
La seconda parte dell'ispirazione arrivò più tardi quella sera, quando i miei occhi caddero sulla parte interna della copertina posteriore della Radio Times. I lettori hanno notato che certe pubblicazioni sono associate a determinati tipi di pubblicità? Il Daily Telegraph è il quotidiano che offre annunci di lavoro, Penthouse pubblicizza biancheria intima francese, e Astounding aveva le pubblicità per le garze chirurgiche. All'epoca, la copertina posteriore della Radio Times era dedicata interamente agli annunci per garage e serre. Mi venne in mente la tanto discussa "effetto serra", fenomeno scientifico legato alla modifica delle lunghezze d'onda delle radiazioni, per cui il vetro della serra impedisce al calore di uscire, mantenendo l'ambiente caldo. Da qui, l'idea cominciò a prendere forma.
Improvvisamente, un pensiero brillante mi colpì: se una serra trattiene il calore grazie al vetro, perché non sostituire il normale vetro delle finestre di casa con quello delle serre? Non solo avremmo risolto tutti i problemi legati al riscaldamento domestico, ma avremmo anche risparmiato miliardi di sterline per le nazioni occidentali. Il concetto era così semplice che, inizialmente, pensai ci fosse un errore nella mia logica scientifica, ma non trovai alcun difetto. La verità era chiara: il vetro delle finestre lascia passare il calore, mentre quello delle serre lo trattiene.
Fu una scoperta così fulminante che mi immaginai già ricco e famoso, con il governo che mi avrebbe concesso un bel premio in denaro per la mia invenzione. Mi coricai quella sera eccitato, dimenticando il mio solito biscotto digestivo e la tazza di Slippery Elm Food.
Il mattino seguente, però, quando mi stavo preparando la mia consueta colazione di due aspirine appena scottate, il mio entusiasmo venne bruscamente smorzato. Avevo commesso un errore. Durante la scrittura dei miei racconti su "vetri lenti", avevo fatto ricerche approfondite sui vari tipi di vetro, e sapevo per certo che le fabbriche di vetro non producevano due tipi di vetro distinti per edifici e serre. La mia scoperta, che una volta mi era sembrata una brillante intuizione, si rivelò un'illusione. Il mio entusiasmo crollò come un castello di carte.
Tuttavia, non mi lasciai abbattere. Decisi di non arrendermi così facilmente. Se Einstein non si fosse arreso, perché avrei dovuto farlo io? La mia ricerca scientifica non era finita, e sapevo che dietro quella che sembrava una sconfitta, c'era una nuova verità da scoprire. Così, cominciai a consultare i miei libri di scienza, sempre alla ricerca di qualche indizio che potesse rivelare la verità nascosta dietro il mistero dell'effetto serra.
Questa esperienza mi ha insegnato qualcosa di importante: non è l'intelligenza che rende grandi gli scienziati, ma l'approccio semplice e genuino, l'umiltà di un pensiero che cerca sempre di andare oltre la superficie, senza mai smettere di esplorare.
È essenziale capire che la scienza non è una strada lineare, ma un percorso fatto di errori, intuizioni e correzioni. Le idee più geniali spesso emergono nei momenti più inaspettati, ma anche quelle che sembrano brillanti possono rivelarsi fallimenti. L'importante è non fermarsi mai, continuare a cercare, e mantenere sempre una mente aperta.
Un Convention che non poteva essere annullata: Storie e Curiosità di un Evento Fantastico
Nonostante le critiche mosse dalla stampa e gli attriti con alcuni membri del Comitato Organizzativo, l’evento a Miami Beach dimostrò una cosa fondamentale: nessun comitato può rovinare un Worldcon, nemmeno quello di quest’anno. La presenza di duemila fan, scrittori, lettori, artisti, editori e altri professionisti del settore sotto lo stesso tetto per un weekend di chiacchiere e affari non può che essere sinonimo di divertimento. Si può scegliere un hotel mediocre, si possono fare errori di programmazione, ma ciò che conta davvero è la passione che porta tutti insieme, che nulla può distruggere.
L'evento non era iniziato nel migliore dei modi. Il volo per Miami Beach con Bob Silverberg, Marta Randall e Lizzy Lynn si era aperto con un film imbarazzante, "Smokey and the Bandit", ma, mentre Bob e io leggevamo libri di fantascienza, Marta e Lizzy si divertivano guardando il film. Durante il viaggio, Bob mi aveva parlato di "Retrograde Summer", un racconto che gli aveva fatto capire perché tutti parlavano di John Varley. L’ironia della situazione, infatti, era che io stesso stavo leggendo le riviste di fantascienza del 1977 per la ricerca del mio prossimo libro "Best SF #7". La conversazione continuava con risate e commenti su piccoli dettagli che solo gli appassionati di fantascienza potevano apprezzare.
All’arrivo, la nostra prima avventura fu legata a una macchina a noleggio difettosa, una Pinto della Hertz. La presenza di formiche nell’auto sembrò un segno, e dopo un viaggio sotto la pioggia torrentiale, scoprimmo che una gomma era completamente distrutta. In quel momento capimmo quanto fosse imbarazzante, ma allo stesso tempo divertente, trovarsi in una situazione che solo un vero fan di science fiction avrebbe potuto affrontare con serenità, cercando anche fossili lungo la strada mentre aspettavamo un’auto sostitutiva. Questa accoglienza surreale rappresentava, in qualche modo, la magia del mondo della fantascienza, dove anche i piccoli incidenti diventano parte del gioco.
Quando finalmente arrivammo all’hotel, ci trovammo di fronte a un elevatore che non andava dove doveva andare, come un esperimento kafkiano in cui ogni tentativo di raggiungere un piano sembrava destinato al fallimento. Eppure, nonostante la confusione e le difficoltà logistiche, l’energia dell’evento non diminuiva. In una festa "Meet the Authors", incontrai Lee Hoffman, che non vedevo da anni, e ci scambiammo risate e commenti su come il nostro percorso fosse cambiato nel corso del tempo. Mi raccontò che, pur essendo diventata una scrittrice di Western famosa, il denaro proveniente da quel genere era scarso, motivo per cui si era tuffata nella scrittura storica. Mi colpì, tuttavia, che ancora considerasse la sua passione per la fantascienza come qualcosa di “finto”, qualcosa che non si sarebbe mai completamente liberata.
Ted White, che ora lavorava come deejay radiofonico, mi raccontò un aneddoto esilarante riguardo un programma tributo ad Elvis Presley, in cui, dopo aver suonato alcuni dei suoi pezzi, annunciava con un sorriso: "E questo conclude il nostro tributo a Elvis Presley". La sua ironia nel rispondere a chi si aspettava una manifestazione di dolore era simbolo di quanto fosse diventato libero dalla rigidità delle aspettative altrui.
In una festa organizzata da Dave Hartwell, mi ritrovai a parlare con Larry Niven, il quale, nonostante il suo successo, era perseguitato dalla battuta di Jerry Pournelle riguardo al fatto che non avesse mai vinto il prestigioso premio John W. Campbell. Discutemmo scherzosamente su come avrebbe potuto, magari, usare uno pseudonimo per scrivere sotto un nuovo nome e vincere il premio in modo indiretto, ma, come sempre accade nelle conversazioni tra scrittori, l’idea finì nel nulla. Tuttavia, questo scambio di battute mi fece riflettere su quanto il mondo della fantascienza sia un posto in cui le discussioni e le idee più assurde possano essere scambiate con una naturalezza che, in altri contesti, potrebbe sembrare fuori luogo.
Tutto questo è ciò che rende un convention come il Worldcon unico. Le difficoltà logistiche, le tensioni tra i partecipanti, i disguidi e gli incidenti apparentemente banali sono solo il palcoscenico per l’intreccio di storie, risate e conoscenze che si creano in questi eventi. L’aspetto fondamentale da comprendere è che, per quanto un comitato possa sbagliare o per quanto un hotel possa essere discutibile, la vera essenza di queste convenzioni risiede nell’energia collettiva dei partecipanti. Quando ci si trova con una compagnia di appassionati che condividono lo stesso amore per la fantascienza, ogni inconveniente diventa solo un’altra parte di una grande avventura che, non importa quanto cerchino di ostacolarla, non potrà mai essere fermata.
Che cosa accade quando la scienza incontra l'immaginazione? Il mistero dei Sarsons e dei Icekimoes
La storia che ci accingiamo a raccontare ha le sembianze di un incrocio tra l'ingegno umano e un’improbabile invenzione aliena, un incontro che si consuma nell’ambientazione del misterioso Triangolo di Bermondsey. Una storia che comincia con la scoperta di antichi messaggi in una bottiglia di ossigeno, segreti lasciati da menti che non appartengono alla nostra razza, ma che hanno lasciato tracce tangibili nel nostro mondo.
I protagonisti di questa vicenda sono gli Icekimoes, una razza di esseri intelligenti che operano su un principio estremamente ingegnoso. Lungi dall'essere una semplice fantasia, la loro invenzione era fondata su un dispositivo che usava il sale per far muovere slitte in un paesaggio ghiacciato. La polvere di sale veniva cosparsa sulla neve e, con il calore che essa produceva, il ghiaccio si scioglieva creando piccole colline, che le slitte scivolavano giù, in un ciclo che si ripeteva all'infinito. Naturalmente, qualcuno tra il pubblico potrebbe obiettare che una slitta alimentata dal sale non avrebbe mai potuto percorrere grandi distanze, ma gli Icekimoes avevano già previsto questa difficoltà. In ogni angolo del loro vasto territorio, situato vicino ai confini meridionali della calotta glaciale, avevano posto dei depositi di sale per rifornirsi.
Purtroppo, col passare dei millenni, i ghiacci si ritirarono, e con loro gli Icekimoes, che scomparvero senza lasciare tracce evidenti, se non per le colline di sale sparse qua e là. Ma la storia non finisce qui, poiché un secondo gruppo di invasori alieni giunse dalla direzione opposta. Si trattava dei Sarsons, esseri che utilizzavano una tecnologia ancora più stravagante. Essi viaggiavano su hovercraft alimentati dall’aceto, in grado di fluttuare grazie al gas di anidride carbonica prodotto dal contatto del loro carburante con il terreno calcareo.
Come gli Icekimoes, anche i Sarsons si trovarono in un ambiente ostile, ma furono in grado di usare il loro avanzato mezzo di trasporto per navigare in aree composte da calcare e gesso. Gli antichi geroglifici, scoperti nelle grotte vicino a Dover, ci mostrano queste creature mentre si spostano sulle loro strane imbarcazioni, fluttuando sopra il suolo grazie a un principio che, oggi, potrebbe sembrare anacronistico, ma che affascina per la sua originalità. Nonostante la loro straordinaria tecnologia, però, i Sarsons non rimasero a lungo in Gran Bretagna. Quando un nuovo periodo glaciale si abbatté sulla terra, la loro tecnologia, incapace di affrontare il freddo intenso, li costrinse a ritirarsi di nuovo verso sud.
La presenza di questi esseri si concluse con il ritorno di un altro attore: l’uomo. Homo sapiens, con la sua esistenza fragile e primitiva, avrebbe dovuto affrontare il duro compito della sopravvivenza, ma la sua fortuna si rivelò proprio nel Triangolo di Bermondsey. Qui, infatti, sopravviveva una risorsa fondamentale: una "piastra tettonica" di fish and chips, già salata e condita con aceto, che divenne il salvavita per le prime comunità umane. Nei periodi di difficoltà estrema, i discendenti di queste prime popolazioni umane si rifugiavano in quelle terre, ritrovando una forma di nutrimento che non solo era basilare, ma che nel tempo sarebbe divenuta oggetto di vere e proprie cerimonie rituali.
Il culto dei fish and chips, che affonda le radici in quei tempi remoti, ha sopravvissuto ai secoli, evolvendosi in tradizioni che ancora oggi si celebrano in piccoli locali notturni, in cui numerosi partecipanti si riversano per bere e festeggiare in un'eco che riecheggia i riti passati. Questi raduni sono simboli di una memoria razziale profonda, che non solo celebra la scomparsa degli Icekimoes o dei Sarsons, ma fa rivivere un legame ancestrale con un passato che non possiamo comprendere appieno.
Accanto a queste credenze e tradizioni, un’altra chiave di lettura è legata alla comprensione del rapporto tra uomo e risorse. Le civiltà aliene, sia quelle che usavano il sale che quelle che alimentavano i loro veicoli con aceto, avevano una conoscenza approfondita dell’ambiente in cui vivevano, e sfruttavano ogni elemento a loro disposizione per garantire la sopravvivenza della propria specie. Questa interazione con le risorse naturali è un aspetto che oggi dovremmo considerare più attentamente. In un mondo che sta affrontando gravi sfide ambientali, l'abilità di usare le risorse in modo sostenibile non è solo una questione di necessità, ma di adattamento e sopravvivenza. Le invenzioni degli Icekimoes e dei Sarsons non erano solo prodigi tecnologici, ma soluzioni a problemi reali che, sebbene lontani, ci riguardano da vicino.
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