La figura di Donald Trump, tanto controversa quanto centrale nella politica americana contemporanea, ha avuto un impatto profondo sul brand della presidenza degli Stati Uniti. La sua ascesa al potere è stata una conseguenza diretta del suo approccio non convenzionale alla politica, al marketing e alla comunicazione. Trump, infatti, ha saputo coniugare la sua esperienza di imprenditore e showman con le necessità di un sistema politico sempre più polarizzato e influenzato dai social media.

Nel periodo pre-elettorale del 2016, Trump si è distinto per la sua capacità di parlare direttamente alla base del suo elettorato, utilizzando i canali digitali e la televisione per esprimere un messaggio chiaro, aggressivo e, spesso, provocatorio. Questo approccio ha rivoluzionato il modo in cui i presidenti si sono presentati e hanno comunicato. Non solo la sua retorica, ma anche le sue azioni politiche hanno mirato a consolidare un’identità forte e immediatamente riconoscibile, trasformando ogni dichiarazione in un marchio, una sorta di "Trump brand" che ha coinvolto ogni aspetto della sua leadership.

Uno degli aspetti più rilevanti del suo approccio è stato il continuo gioco tra il personale e il politico, tra l'immagine costruita e l'azione politica. Le sue scelte, come quella di nominare ex-lobbisti in ruoli chiave del governo, sono state interpretate come un segno di continuità con le dinamiche di potere che aveva sempre criticato, ma allo stesso tempo, questi gesti hanno sottolineato l'elasticità con cui Trump ha gestito il suo "brand". La politica non era più solo un campo di battaglia ideologico, ma un'opportunità per re-brandizzare l'intero sistema politico, rappresentando se stesso come l'outsider che combatte contro il "deep state" e le istituzioni tradizionali.

Il "deep state" è stato uno dei concetti più ricorrenti nel suo discorso, diventando una narrazione centrale della sua presidenza. Trump ha dipinto una visione del mondo in cui le forze invisibili, sia interne che internazionali, manipolano il potere in modo da ostacolare i cambiamenti che lui cercava di introdurre. Questo ha portato a un ulteriore rafforzamento della sua immagine di leader controcorrente, capace di sfidare le norme e le aspettative tradizionali.

Un altro elemento cruciale nella sua strategia di branding è stato l'uso del conflitto. La comunicazione di Trump, infatti, non ha mai cercato di mediare o calmare gli animi, ma ha alimentato continuamente divisioni. Da un lato, ha attratto i suoi sostenitori presentando se stesso come il salvatore che si oppone alle élite politiche e mediatiche; dall'altro, ha polarizzato la società, rendendo più difficile un dialogo costruttivo tra le diverse fazioni politiche. La sua retorica violenta e spesso offensiva è stata intesa come parte integrante della sua strategia di marketing, poiché ogni dichiarazione provocatoria creava una reazione che lo manteneva sotto i riflettori.

Il legame tra Trump e i suoi sostenitori è stato anche un legame emotivo, alimentato dalla continua produzione di contenuti attraverso i suoi canali, in particolare Twitter. I suoi tweet, spesso in contrasto con la verità documentata, sono diventati un marchio di fabbrica della sua amministrazione. La "post-verità" è diventata una realtà quotidiana, dove il messaggio di Trump prevaleva sulla realtà dei fatti, creando una narrativa alternativa che ha messo alla prova i fondamenti stessi della politica tradizionale.

La campagna elettorale del 2020 ha poi visto una nuova evoluzione del suo brand. Non più solo un outsider contro l'establishment, ma anche un presidente che, nonostante i fallimenti e le contraddizioni, si è ripresentato come il garante della continuità, cercando di capitalizzare sulla paura della perdita di potere da parte della classe media bianca e dell'immigrazione. La sua battaglia contro i media è diventata uno dei pilastri della sua comunicazione, alimentando la sua immagine di vittima dei "fake news" e rafforzando l'idea che fosse l'unico in grado di rappresentare una vera opposizione al sistema.

In questo contesto, è importante comprendere come la politica americana si sia adattata a questi cambiamenti nel modo di fare comunicazione. La strategia di Trump non si è limitata a una mera conquista del potere, ma ha ridefinito il concetto di leadership politica in un'epoca in cui il confine tra realtà e percezione è sempre più sfumato. La politica oggi è un continuo lavoro di costruzione e distruzione dell'immagine, dove le emozioni e la retorica hanno spesso più peso delle politiche effettive.

Questa trasformazione ha avuto un impatto profondo sulla società americana, soprattutto in un periodo in cui la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici. In molti, infatti, hanno trovato nella retorica di Trump una risposta alle proprie frustrazioni, mentre altri hanno visto in lui una minaccia diretta ai valori democratici fondamentali. La sua capacità di navigare tra le diverse narrazioni e di manipolare i media per scopi politici ha ridefinito il gioco politico a livello mondiale, ponendo nuove sfide alla democrazia e alla comunicazione politica.

Come il Marchio di Trump Ha Trasformato la Politica Americana: Un'Analisi della Populismo e Nazionalismo

Donald Trump è stato, ed è tuttora, uno degli attori politici più controversi e influenti della politica americana contemporanea. Il suo marchio politico ha distrutto le convenzioni tradizionali della politica, minacciando di dislocare i guardiani storici del potere politico negli Stati Uniti. Trump ha costruito una marca politica che si è saldamente posizionata come una forza dirompente nel panorama politico, capace di attrarre segmenti di elettorato trascurati dalla politica tradizionale. Il suo successo non è stato frutto solo di una campagna elettorale, ma di un’accurata strategia di branding che ha saputo manipolare il contesto socio-politico dell'epoca.

Il marchio politico di Trump si è basato su una combinazione di populismo e nazionalismo. La sua proposta politica ha puntato a restaurare la grandezza perduta degli Stati Uniti, facendo appello a un elettorato che si sentiva emarginato e disilluso dalla politica tradizionale. Il messaggio di Trump, incarnato nel famoso slogan “Make America Great Again”, ha avuto un forte impatto sui ceti popolari, in particolare quelli bianchi e lavoratori, che vedevano il loro status sociale e la loro sicurezza economica minacciati da politiche globaliste e da un sistema politico che non sembrava dare loro risposte concrete. In questo contesto, Trump è riuscito a emergere come l’outsider per eccellenza, distaccandosi dal sistema politico di Washington, che molti elettori consideravano alienato e distante dalla realtà della vita quotidiana.

In modo simile ad altre figure politiche come Bernie Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez, Trump ha usato il branding per ampliare la gamma delle voci politiche che venivano ascoltate nella sfera pubblica. Mentre i progressisti si sono concentrati su un'ideologia che sfidava le disuguaglianze economiche, Trump ha puntato su una campagna che mescolava l'ansia culturale con il nazionalismo, facendo leva su tematiche come l'immigrazione, il patriottismo e la lotta contro le élite. La sua narrativa ha presentato Trump come un leader patriottico, un eroe che si erge contro l’establishment mondiale e le forze che minacciano l'identità nazionale degli Stati Uniti.

Tuttavia, il suo marchio ha avuto anche il suo rovescio della medaglia. La sua retorica, che spesso sfociava nell’estremismo, ha diviso ulteriormente l’opinione pubblica. Trump ha saputo cavalcare la crescente polarizzazione della politica americana, accentuando le differenze ideologiche e culturali. Sebbene abbia conquistato una vasta base elettorale, il suo stile di leadership e la sua incapacità di gestire alcune crisi, come la pandemia di COVID-19, hanno suscitato non poche critiche, contribuendo alla sua sconfitta alle elezioni del 2020.

Ciò che ha reso unica la sua campagna è stato anche l'uso strategico dei media. Come il famoso atleta Colin Kaepernick che ha collaborato con Nike per promuovere una causa sociale, Trump ha sfruttato le tecniche del marketing e della segmentazione del pubblico per costruire e mantenere il suo brand politico. La sua abilità nel comunicare attraverso i canali dei social media, in particolare Twitter, ha fatto di lui un leader che non solo parlava ai suoi sostenitori, ma li coinvolgeva direttamente in un dialogo costante. Questo approccio ha alimentato la creazione di una comunità politica coesa, pronta a rispondere rapidamente e con fervore alle sue dichiarazioni.

La politica di Trump, pur con tutte le sue contraddizioni, ha cambiato per sempre il modo in cui i leader politici si relazionano con il pubblico. La sua capacità di utilizzare il branding per creare una narrazione emotiva ha risuonato in un'epoca di sfiducia crescente nei confronti delle istituzioni. La politica americana non è più vista attraverso una lente monoculturale: l’ascesa di Trump ha spinto la politica statunitense verso una maggiore frammentazione ideologica e culturale. La politica, quindi, non è più solo un dibattito tra destra e sinistra, ma un confronto tra diverse identità e valori che definiscono la nazione.

Oltre al successo di Trump come leader populista, il suo marchio ha suscitato un'importante riflessione sulle dinamiche della politica americana e sul futuro della democrazia. La sua leadership ha aperto un dibattito cruciale sulla possibilità di una politica più inclusiva, ma anche più divisiva, dove ogni segmento di elettorato cerca di ottenere visibilità e rappresentanza. Le sfide che Trump ha posto alla politica tradizionale e le sue capacità di sfruttare il branding per scatenare passione e fedeltà sono indicatori che la politica del futuro sarà sempre più influenzata da questa capacità di "marchiare" il discorso pubblico.

La politica americana, come evidenziato dal caso di Trump, non è solo una questione di idee e politiche, ma una continua costruzione e de-costruzione di marchi, simboli e narrative. È fondamentale comprendere che la politica di branding ha un impatto profondo su come i cittadini percepiscono il loro ruolo nella società e il loro legame con le istituzioni. Questo fenomeno non è limitato agli Stati Uniti: in molte democrazie contemporanee, l’emergere di leader populisti che utilizzano il branding come strumento di potere sta trasformando il modo in cui la politica viene praticata e vissuta.

Come la Comunicazione Diretta di Trump ha Trasformato la Politica e l’Immagine Presidenziale

Donald Trump ha abbattuto molte convenzioni politiche durante il suo mandato, rivelandosi più un imprenditore mediatico che un presidente tradizionale. La sua maniera di comunicare, in particolare l'uso costante di Twitter, ha cambiato non solo la forma in cui si costruisce un'immagine pubblica, ma anche come si affrontano le sfide politiche. Non è più il presidente che si fa vedere al pubblico tramite dichiarazioni ufficiali, conferenze stampa o discorsi solenni. Trump ha portato la politica nel regno della comunicazione immediata e diretta, rendendo la Presidenza più simile a un prodotto da marketing che a un ruolo istituzionale venerato.

Trump ha utilizzato Twitter come una vera e propria piattaforma di distribuzione del suo brand, un canale diretto per connettersi non solo con i suoi sostenitori, ma anche con i media, sfruttando la loro attenzione per amplificare il suo messaggio. Contrariamente ai presidenti precedenti, che utilizzavano la Presidenza per costruire un’immagine di autorità e distacco, Trump ha abbattuto il velo di mistero che circondava l'ufficio, esponendo la politica in una maniera che pochi avevano osato fare prima. La sua presenza sui social media ha ridotto la sacralità del ruolo presidenziale e, anzi, ha trasformato la Presidenza in un palcoscenico per il suo personalissimo brand.

Quando Trump fu bannato da Twitter e Facebook, l’impatto non fu quello che ci si sarebbe aspettato da un leader mondiale. Nonostante i suoi tentativi di emulare il suo approccio mediatico tramite comunicati stampa e l’operatività di un proprio sito web, nulla poteva competere con l’immediatezza e la portata di Twitter. Questo episodio ha rivelato la sua comprensione profonda della necessità di una "omnipresenza" nel mondo dei social media, essenziale per costruire relazioni con il pubblico, anche se non era sempre il pubblico che condivideva i suoi stessi valori o ideali. In effetti, le cause che Trump sosteneva spesso non rispecchiavano quelle più popolari tra l’élite del paese o tra gli elettori che non appartenevano al suo bacino di consenso. Tuttavia, ciò che Trump riusciva a fare con straordinaria efficacia era rafforzare il legame con il suo elettorato attraverso una comunicazione continua e spesso provocatoria.

La strategia di Trump sui social media è stata costruita su una logica da marketing. Anche se Twitter non fosse la piattaforma ideale per il suo pubblico di riferimento, i suoi tweet generavano una quantità incredibile di copertura mediatica. Le dichiarazioni di Trump venivano spesso riportate dai media tradizionali, guadagnandogli un flusso costante di "impressioni di marca" senza costi aggiuntivi. Questo lo ha aiutato a mantenere una presenza mediatica costante, rendendo la sua figura ancora più visibile e ineludibile, nonostante le critiche e le polemiche.

Non era solo la visibilità che Trump ricercava. Era l'abilità di indirizzare un messaggio chiaro, senza filtri, ai suoi sostenitori. Utilizzando Twitter, Trump ha sviluppato una narrazione di marca dove lui era l'eroe, impegnato a "rendere grande di nuovo l'America", mentre i "cattivi" – come la burocrazia, i tribunali federali, i media liberali e anche alcuni membri della sua stessa amministrazione – cercavano di ostacolarlo. In questo racconto, la politica non veniva trattata in termini di argomenti complessi o soluzioni politiche, ma come una serie di battaglie tra buoni e cattivi. L'effetto di questa narrazione è stato quello di creare una lealtà profonda tra i suoi sostenitori, alimentata dalla percezione che Trump fosse l'unico capace di sfidare l'establishment e restituire il potere al popolo.

Trump ha anche approfittato del fatto che i media tradizionali, in un’epoca di proliferazione di piattaforme digitali, non hanno più il controllo esclusivo sulla formazione dell'opinione pubblica. La sua strategia di comunicazione ha minato l'autorità che i giornalisti, i leader dei partiti politici e altri "gatekeeper" avevano mantenuto per decenni. La comunicazione diretta, abbattendo le barriere tra il leader politico e la gente, ha rappresentato una sfida al sistema mediatico tradizionale, dove pochi avevano il potere di determinare chi fosse qualificato a diventare presidente e cosa fosse politicamente corretto discutere.

L'ascesa di Trump ha messo in evidenza il modo in cui la tecnologia e i social media abbiano cambiato per sempre la politica, permettendo a personaggi come lui di bypassare le istituzioni tradizionali e di dominare il dibattito pubblico con una velocità senza precedenti. Le sue comunicazioni erano spesso impulsive e disorganizzate, ma questo stesso approccio ha permesso a Trump di risuonare con un vasto pubblico che sentiva di essere stato ignorato da anni dal sistema politico tradizionale.

Inoltre, è importante notare che la "strategia Trump" sui social media non era solo una questione di espressione diretta, ma anche di manipolazione dell'immagine. Utilizzando i media sociali come una sorta di megafono per la sua marca personale, Trump ha creato un'immagine di sé che si distingueva nettamente da quella di qualsiasi altro politico tradizionale. Mentre i suoi oppositori tendevano a mantenere una distanza professionale o a seguire rigide regole di comportamento, lui non ha mai avuto paura di abbattere le convenzioni, presentandosi come l'uomo del popolo, pronto a combattere contro i potenti. E, paradossalmente, proprio questa sua mancanza di conformità ha reso la sua figura ancora più potente agli occhi dei suoi sostenitori.

Come la narrazione del marchio di Trump ha plasmato la sua presidenza e la sua campagna

Nel corso delle elezioni del 2020, Donald Trump ha cercato di ripetere una narrazione che lo aveva reso vincente nel 2016, ma con difficoltà a causa della crisi sanitaria ed economica che il paese stava attraversando. Trump, pur essendo il presidente in carica, non riuscì ad adattare la sua storia e il suo messaggio alla nuova realtà, dominata dalla pandemia di COVID-19. Invece di adottare un tono più empatico e inclusivo, come suggerito da Brad Parscale, uno dei suoi principali consulenti, Trump ha continuato a sostenere una narrazione di divisione e di conflitto, ponendosi al centro di ogni battaglia. La sua promessa di risollevare l'economia, ridurre le tasse e le regolamentazioni, e restaurare un ordine che rispettasse la polizia e i valori conservatori trovava ancora spazio in alcune frange dell'elettorato, ma non era sufficiente per vincere.

L'approccio di Trump nel 2016 si era basato sulla contrapposizione con l'amministrazione Obama, rappresentando una visione di un'America nazionale, lavoratrice, tradizionalista, che si opponeva a un'America multiculturale e internazionalista, simbolo della presidenza di Barack Obama. La sua narrazione parlava di un paese perduto, che doveva essere restaurato attraverso il ritorno ai valori fondanti: il duro lavoro, il rispetto dell'autorità, il patriottismo e la fede religiosa. A questo contrasto tra un'America idealizzata e una visione di caos e disordine promossa dai democratici, Trump offriva una soluzione: restituire la forza al paese, dando il giusto valore agli "americani comuni" – quelli che lui riteneva rappresentare.

Tuttavia, questo racconto si rivelò problematico nel 2020, quando il contesto era radicalmente cambiato. Trump non fu capace di modificare il suo marchio per adattarsi a una realtà segnata dalla pandemia e dalla crescente richiesta di maggiore solidarietà sociale. Joe Biden, al contrario, fu in grado di posizionarsi come il candidato che avrebbe portato un cambiamento più pacifico e inclusivo, promettendo di ripristinare una normalità sanitaria ed economica che Trump non riuscì a offrire. La sua promessa di "rendere l'America di nuovo grande" risuonava meno convincente, visto che, per molti, la sua amministrazione aveva contribuito a esacerbare la crisi sanitaria ed economica.

Nel 2020, Trump ha tentato di rivendicare i suoi successi in carica, in particolare i risultati ottenuti in ambito economico prima che la pandemia devastasse il paese, e ha cercato di usare la distribuzione dei vaccini come un altro motivo per sostenere la sua candidatura. Ma il suo messaggio di una "America per gli americani comuni" sembrava sempre più una visione ristretta e alienante. La sua idea di "comune" era quella di una persona bianca, religiosa, eterosessuale, che viveva in un'area rurale o suburbana, e che respingeva l'inclusività delle minoranze, delle persone LGBTQ+ e dei diritti civili ottenuti dopo gli anni '60.

Nel corso della sua presidenza, Trump ha costruito la sua narrazione attorno alla figura di un outsider, di un "traditore di classe" che sfidava l'establishment e le élite per riportare la giustizia e il valore della classe operaia. Il suo approccio di marketing emotivo, però, non si limitava solo alla critica delle élite politiche e culturali. Il suo marchio si inseriva in una strategia più ampia, legata a un'idea di ordine e sicurezza che si rifletteva anche nelle sue politiche sulla legge e l'ordine. Le sue parole, e le sue promesse, sulla protezione della polizia e la lotta contro i crimini violenti, si inserivano in una tradizione conservatrice, ma risuonavano anche come una risposta alla crescente richiesta di responsabilità nei confronti delle forze di polizia, soprattutto in seguito agli episodi di violenza contro la comunità afroamericana.

Il rifiuto di adattarsi ai nuovi tempi – non solo nella sua gestione della pandemia, ma anche nella sua posizione sulle manifestazioni contro l'uso della violenza da parte della polizia – lo ha messo in contrasto con una parte importante dell'elettorato. Se da un lato c'erano molti che vedevano in Trump la risposta giusta all'ordine e alla sicurezza, dall'altro ci furono molte persone che, soprattutto dopo le uccisioni di afroamericani da parte della polizia, lo percepirono come una minaccia, incapace di ascoltare le richieste di cambiamento.

Trump, nel 2016, aveva colto il malessere di un paese che si sentiva abbandonato e trascurato dalle élite. La sua narrazione sul "drain the swamp" (svuotare la palude) e sulla lotta contro un sistema corrotto risuonava fortemente tra le persone deluse dalla politica tradizionale. Ma, nel 2020, questa stessa narrazione non fu più sufficientemente convincente. La sua presidenza si era trasformata in una continua sfida e frizione con i suoi avversari e anche con una parte significativa del suo stesso partito. Questo spirito di conflitto e di frattura non solo ha segnato la sua amministrazione, ma è diventato anche il marchio distintivo della sua figura politica, un marchio che, purtroppo, non è riuscito a vincere una seconda volta.

Come Donald Trump ha costruito il suo marchio: Nazionalismo, politica dell'immigrazione e la costruzione del muro

Il messaggio di Donald Trump riguardo al nazionalismo si articola principalmente attorno a concetti di confini, cultura, lingua e religione come pilastri di un'identità nazionale forte e coesa. Questo discorso si collega strettamente con quello di Michael Savage, che ha promosso, attraverso i suoi media, l'importanza di questi stessi concetti per la preservazione dell'integrità nazionale. Trump ha enfatizzato la necessità di un confine sicuro, con particolare attenzione al fenomeno del traffico di esseri umani e droga al confine meridionale degli Stati Uniti, affrontando la vulnerabilità nazionale come un rischio per la sicurezza interna. È stato spesso il timore che gruppi terroristici potessero sfruttare queste falle per infiltrarsi nel paese a spingere l'agenda politica di Trump. La sua proposta di costruire un muro ha così preso piede, non solo come misura di sicurezza, ma come potente simbolo visivo della sua politica di "America First".

Il muro rappresenta un'idea semplice e facilmente riconoscibile, che si inserisce perfettamente nella strategia di branding di Trump, con l'obiettivo di creare un'immagine chiara e memorabile nella mente degli americani. La sua potenza visiva ha contribuito a definire il paese e a segmentarlo in modo netto: dentro e fuori, noi contro di loro. Questo tipo di branding, che sfrutta l'iconografia visiva, è uno dei principi chiave per stabilire un marchio riconoscibile e "appiccicoso". In effetti, il muro ha avuto un impatto emotivo sia tra i sostenitori che tra i detrattori, ed è diventato il simbolo tangibile della politica di immigrazione di Trump. Ha contribuito a radicare l'idea che, attraverso misure drastiche, sarebbe stato possibile recuperare il controllo sugli Stati Uniti, limitando l'immigrazione irregolare e riducendo la presenza di bande criminali come MS-13.

La proposta del muro ha avuto un enorme peso nella definizione della sua identità politica, allineandosi perfettamente con la sua narrazione economica. Un mercato del lavoro più ristretto avrebbe, secondo lui, portato a un aumento dei salari per la classe lavoratrice americana. Così facendo, la politica sull'immigrazione si intrecciava strettamente con la retorica di Trump sul ripristino della prosperità economica. La sua insistenza nel continuare a costruire il muro e la riassegnazione di fondi federali per realizzarlo sono esempi di come il branding richieda che le promesse vengano mantenute in modo visibile e tangibile.

Al contempo, Trump ha costruito un marchio che promuoveva la sicurezza e l'ordine sociale, un marchio che si rifletteva anche nel trattamento dell'immigrazione. Le sue politiche di asilo, che obbligavano le persone a rimanere in Messico mentre facevano domanda, sono un altro esempio di come la sua amministrazione abbia lavorato per concretizzare la sua promessa di mantenere il paese sicuro da minacce percepite, tra cui quelle provenienti da gruppi musulmani. L'idea di escludere i musulmani è stata proposta come misura per difendere la nazione dai terroristi, con Trump che ha fatto leva su un sentimento di paura verso l'islam radicale. L'uso di questa retorica ha avuto un forte impatto emotivo sulla base di sostenitori, ma allo stesso tempo ha suscitato forti critiche per il suo carattere discriminatorio.

Dal punto di vista della politica estera, Trump ha adottato un approccio aggressivo, cercando di allineare gli Stati Uniti con Israele e sfidando apertamente l'Iran. Il suo ritiro dall'accordo nucleare con l'Iran è stato uno dei suoi atti più emblematici, portando avanti l'idea di un'America che agiva in maniera autonoma, senza compromessi. La sua retorica sulla Siria, sull'attacco a Bengasi e sulle presunte reazioni dei musulmani agli attacchi dell'11 settembre 2001, ha alimentato ulteriormente una narrativa di difesa della sicurezza nazionale contro minacce esterne.

Tuttavia, questo approccio ha incontrato la resistenza degli ambienti più tradizionali di Washington, dove le élite politiche erano investite in politiche più consolidate e stabilite da anni. Trump ha sfidato queste istituzioni con il suo stile di governo che si distaccava nettamente dal passato, portando alla Casa Bianca figure che non facevano parte degli usuali network politici. L'amministrazione di Trump ha cercato di applicare principi di gestione snella, riducendo il numero di assunzioni e dando priorità alla lealtà personale rispetto alle connessioni politiche tradizionali. Questo ha portato a conflitti interni tra coloro che lo supportavano e coloro che ritenevano che la sua visione fosse un attacco agli interessi consolidati.

Infine, Trump ha mostrato come l'utilizzo dei social media e la costruzione di un marchio personale possano rafforzare la politica e la comunicazione politica. La sua frequentazione di Twitter ha messo in evidenza il contrasto tra l'establishment di Washington e una nuova forma di politica, meno formale, più diretta e più reattiva. Questi conflitti, tuttavia, non si sono limitati all'interno della sua amministrazione, ma si sono estesi anche ai media, dove analisti e ex membri del suo staff hanno cercato di costruire le loro carriere, sfruttando la visibilità ottenuta dai loro ruoli passati.

In questo contesto, è fondamentale comprendere che la forza di un marchio politico non dipende solo dalla chiarezza delle sue idee e dei suoi simboli, ma anche dalla capacità di creare una narrativa visibile, tangibile e coinvolgente. Trump ha dimostrato che un marchio politico, come quello di una grande azienda, ha bisogno di costanza, di visibilità e, soprattutto, di promesse mantenute. L'uso di simboli e narrazioni visive come il muro ha avuto il potere di incarnare e rappresentare un messaggio che ha risuonato profondamente con una parte significativa della popolazione americana, mentre ha suscitato dure opposizioni in altre. La costruzione del marchio Trump ha mostrato come la politica moderna possa essere manipolata in modo simile a un prodotto commerciale, dove ogni parola, ogni gesto e ogni decisione viene messa in scena per costruire una narrativa coerente e potente.