Leggere è un atto d’intimità con il mondo. È un'immersione silenziosa nella lingua, nella memoria, nell'immaginazione. Ogni parola pronunciata, ogni verso sussurrato tra le labbra, ogni pausa tra le righe costruisce un ponte invisibile tra il lettore e qualcosa di più grande: la scoperta del sé e dell'altro. C’è una voce che si rafforza quando leggiamo, che non ha bisogno di sforzarsi per ricordare: emerge naturalmente, nitida e piena. È la voce della nostra interiorità in dialogo con la parola scritta.
I bisogni di un lettore non sono poi molti: un po’ di tempo da perdere, un libro da aprire, uno spazio dove camminare tra i pensieri. Ciò che si cerca nella lettura non è sempre una risposta, ma spesso una domanda migliore. Non si tratta di trovare un senso definito, ma di perdersi in dilemmi affascinanti, lasciando che la mente vaghi libera.
Eppure, non tutti condividono questo entusiasmo. Alcuni testi esprimono in modo ironico e tagliente l’avversione verso l’idea di dover fare i compiti. I compiti vengono odiati, rigettati, paragonati a esperienze estreme e sgradevoli. In quelle parole c’è una ribellione infantile che ha il sapore di libertà, ma anche la denuncia di un’imposizione che spegne la curiosità. La scuola che costringe invece di ispirare, che assegna invece di invitare, rischia di uccidere il desiderio di apprendere.
Il tempo, con il suo lento incedere, scandisce l’esperienza della lettura. Ogni rintocco è un invito alla contemplazione, un’occasione per osservare come le lancette si muovano avanti e indietro come i nostri pensieri. La lettura si radica nel tempo, lo trasforma, lo rende nostro. Ci insegna a misurarlo non in minuti, ma in pagine, in respiri, in sospensioni.
La natura, dal canto suo, conosce la sua matematica. L’anno si divide in stagioni, le trasformazioni sono calcoli silenziosi di luce, pioggia, germogli. La poesia che ne scaturisce è già scritta nei movimenti delle foglie, nei colori che mutano, nei papaveri che si moltiplicano sotto un cielo lavato dalla pioggia.
Essere bilingui è un privilegio che apre mondi. È la possibilità di ascoltare le storie della nonna in una lingua e imparare a scuola in un’altra. È vivere doppiamente, leggere libri e libros, cantare canciones e songs, giocare a juegos e games. È l’opportunità di raddoppiare la propria comprensione del mondo, di agire due volte meglio, di aiutare due volte di più. È un dono che si rivela, con semplicità, nella quotidianità.
Contare in una lingua diversa è come cambiare ritmo al pensiero. Ogni numero ha una sua melodia, un suo colore. Un semplice esercizio di conteggio può diventare una danza mentale che apre alla pluralità delle culture.
Anche la scrittura, nelle sue imperfezioni, racconta qualcosa. Lettere storte, anelli sbilenchi, sbavature d’inchiostro: illeggibili forse, ma sinceri. Sono tracce autentiche di chi prova a esprimersi. C'è poesia anche nel disordine di una mano incerta, nella grafia confusa che cerca la forma.
I buoni libri offrono buoni momenti. La narrativa e la poesia, i fatti e le invenzioni, tutto si mescola in una esperienza completa. I libri sono amici, inizi e fini, verità e finzione. Sono atti d’avventura, gesti d’amicizia, porte su altri mondi.
La biblioteca diventa così un luogo magico. È un varco che si apre verso stelle, draghi, felini e automobili. Dalle balene assassine ai gatti domestici, tutto coesiste negli scaffali. Qui si impara a cucinare e a scrivere poesie, a leggere e a sognare. Tutto è possibile, tutto è gratuito: basta avere la curiosità di varcare quella soglia.
Basta un libro, un angolo tranquillo, ed è subito lettura. Ogni pagina è un viaggio, ogni parola un compagno di strada. Basta dire "Leggi!" per iniziare. Lentamente prima, poi con crescente entusiasmo, si entra nel ritmo, si accelera, e si vola.
Quando un bambino sceglie un libro da solo, si apre una porta segreta. I contenuti emergono come fiume in piena: non solo informazioni, ma suoni, misteri, storie, saggezze lontane. Le pagine diventano terre da esplorare, il lettore un viaggiatore incantato.
Ogni libro è un mondo nascosto. Leggere è giocare tra passaggi segreti. Si scala montagne, si attraversano paludi, si torna indietro per ritrovare la strada. La poesia guida in questo percorso, con la sua metrica, le sue rime, la sua musica silenziosa.
Chi si tuffa in un libro scopre un universo sommerso. Le parole formano oceani in cui nuotare, complotti e avventure in cui perdersi. Leggere è diventare parte di un tutto, fondersi col racconto, farsi prendere dal ritmo delle frasi.
E poi c'è la sorpresa: trovarsi dentro un libro. Come se l’autore conoscesse il lettore da sempre. È un incontro tra chi ha scritto e chi legge, tra ciò che è stato pensato e ciò che viene scoperto.
Leggere un libro da soli, per la prima volta, è un rito di passaggio. È un'affermazione d’identità. Il bambino che legge da solo s
Come si scrive una poesia e perché dovremmo farlo?
Scrivere poesie è, prima di tutto, un atto di attenzione. Un poeta sceglie ogni parola con la massima cura, perché in poesia non c’è spazio per l’inutile. Le parole devono essere precise, essenziali, capaci di evocare immagini, suoni, emozioni. Per cominciare, è utile collezionare parole che sorprendono, che fanno riflettere, che fermano il pensiero per un attimo. La poesia nasce spesso da un’intuizione, da un momento che merita di essere fissato, e per farlo, il poeta si esercita a dire molto con pochissimo.
Leggere poesie è il primo passo. Leggerle tante volte, ad alta voce, per sentirne il ritmo, i suoni, la musicalità. Copiare una poesia amata serve a sentire come funziona dall’interno. Poi, provare a scrivere nello stesso stile: imitazione non è plagio, è apprendimento. Cambiare una sola parola di una poesia può aprire nuove possibilità, nuovi significati. È un modo per capire la propria voce poetica.
Scrivere è anche giocare. Si può iniziare con poesie brevi, di dieci versi o meno. Si può scrivere una poesia come regalo di compleanno, o una poesia su un colore, o una poesia dedicata a qualcuno che si ama. L’importante è non temere di essere semplici. Una poesia che parla di una giornata di pioggia, o di un’amicizia, può essere più potente di un’intera narrazione.
La poesia è anche condivisione. Parlare di una poesia con altri permette di vedere ciò che da soli non si vede. Qual è la parola più forte? Quale riga resta impressa? Cosa ci ricorda quel verso? Le poesie non si spiegano, si esplorano. Discuterle arricchisce l’esperienza e la comprensione.
Una volta che si inizia a scrivere, bisogna scrivere molto. Alcune poesie saranno buone, altre meno. Non tutte vanno conservate, ma tutte insegnano qualcosa. È utile sperimentare con forme diverse. Una poesia che rima, oppure una poesia che ripete una riga o una parola più volte, crea ritmo e forza. Altre volte, la libertà del verso libero permette di sviluppare una voce più autentica.
Usare figure retoriche rafforza il linguaggio poetico. Le similitudini (“come”, “simile a”) accostano idee inaspettate. L’allitterazione, la ripetizione dello stesso suono iniziale in parole vicine, dà musicalità e incanto. Anche la disposizione sulla pagina conta: come appare la poesia può influenzarne il significato. Le poesie possono prendere forma: diventare poesie visive, o “shape poems”, in cui le parole disegnano l’oggetto di cui parlano. Possono anche seguire strutture tradizionali come il haiku giapponese (5-7-5 sillabe) o il sijo coreano (tre righe di 14-16 sillabe ciascuna).
Ci sono stili da provare: la poesia elenco, che parte da una serie di elementi collegati da un filo invisibile e sorprende nel finale; la poesia domanda, dove ogni verso è un’interrogazione, e insieme costruiscono un viaggio. Anche una poesia scritta con la forma di un oggetto (un pallone, un albero) può diventare arte visiva.
La poesia è anche materia da trasformare. Può diventare una cartolina, un biglietto d’auguri, una scultura di carta sospesa a un mobile, un poster digitale, un quadro incorniciato. Può essere letta ad alta voce, inviata come messaggio, registrata e condivisa. Può vivere su un frigorifero, sotto forma di parole magnetiche, o su un marciapiede, scritta col gesso. Può persino diventare una canzone.
Rileggere ciò che si è scritto è fondamentale. A voce alta, meglio ancora. È così che si scoprono i punti deboli, i versi confusi, le parole inutili. Si decide cosa aggiungere, cosa togliere, cosa riscrivere. Si osserva l’inizio, si valuta il finale. Si riflette su come si presenta sulla pagina. Una poesia è un organismo vivo, che cresce con ogni lettura e riscrittura.
Infine, la poesia può accompagnare ogni momento della giornata. Al mattino, una poesia può aprire la mente. In viaggio, può diventare compagnia. Si può portare in tasca, nello zaino, sullo schermo del cellulare. Si può dedicare a chi si ama, imparare a memoria, usare per celebrare, ricordare, stupire. Una giornata piena di poesie è una giornata più attenta, più ricca, più vera.
Oltre a tutto questo, è fondamentale comprendere che la poesia non ha un’unica forma o scopo. Non serve essere “poeti” per scriverla. La poesia è uno strumento per osservare la realtà con occhi nuovi, per dare voce a ciò che è difficile dire in prosa, per restituire complessità all’esperienza umana. Scrivere poesie educa alla precisione, all’empatia, all’ascolto. In un’epoca di velocità e superficie, l’atto di scrivere (e leggere) poesia è un gesto di resistenza e profondità. La poesia non è solo arte: è modo di essere.
Come si costruisce l’amicizia e come si abitano le emozioni
Un saluto può sembrare un gesto semplice, ma contiene già l’essenza di ciò che ci unisce agli altri. "Ciao", "Aloha", "Salut", "Shalom" — ogni parola d’accoglienza è un ponte invisibile che collega mondi. Quando qualcuno ci risponde con un sorriso, con un cenno, con uno sguardo aperto, si attiva il riconoscimento reciproco. L’inizio dell’amicizia risiede proprio in questo scambio primario. Salutare è già un atto di rispetto, un primo passo verso la comprensione. Il gesto di chi riconosce l’altro come simile, anche quando proviene da un altrove lontano.
L’amico è il complice, il rifugio, colui che ascolta e condivide. È quello che offre tempo e attenzioni, che protegge con la parola, con il gesto, con la presenza. Nella poesia, l’amico è "trattatore di dolci", "difensore", "lodante". È colui che salva con un "cinque alto", che ridà vita con una sola parola di conforto. La lingua dell’amicizia è fatta di piccoli atti, apparentemente banali, ma che segnano profondamente la vita emotiva di chi li riceve. Un "bravo", detto al momento giusto, cambia la postura, ridà dignità. Le parole possono essere leggere, ma non sono mai vuote.
Nell’esperienza infantile e adolescenziale, l’amicizia si declina anche nella differenza. Annie sfreccia su una sedia a rotelle e sa vincere e lasciare vincere. Robert parla poco, ma disegna molto. Lucy comunica con le mani. Nessuno è uguale, ma tutti si incontrano nel gioco, nella lettura, nel piacere della condivisione. La diversità non è un ostacolo, è un’ulteriore possibilità. I veri amici si leggono oltre le apparenze. Si riconoscono nei gesti silenziosi, nei piccoli eroismi quotidiani. La differenza diventa
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