Il 6 gennaio 2021, la democrazia americana è stata messa a dura prova da un attacco violento contro il Campidoglio degli Stati Uniti, che ha visto migliaia di manifestanti pro-Trump tentare di rovesciare il risultato delle elezioni presidenziali. Nonostante la gravità di quanto accaduto, alcuni membri del Partito Repubblicano hanno continuato a minimizzare e giustificare questo atto di insurrezione, cercando di riscrivere la storia e proteggere coloro che hanno partecipato alla violenza. Un esempio eclatante di questo tentativo di "imbiancare" l'accaduto si è verificato durante la prima udienza della Commissione di Inchiesta sulla rivolta, il 27 luglio 2021.

Mentre i membri della commissione ascoltavano le testimonianze di quattro agenti di polizia che raccontavano in diretta le brutalità a cui erano stati sottoposti, almeno sei membri repubblicani della Camera dei Rappresentanti non erano presenti. Invece, questi politici avevano scelto di marciare davanti al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per protestare contro quello che definivano "prigionieri politici" legati al 6 gennaio, accompagnati da una figura travestita da Trump che portava il messaggio "TRUMP HA VINTO". Tra di loro, il rappresentante Paul Gosar dell'Arizona dichiarava in conferenza stampa che quei prigionieri non erano dei criminali violenti, ma persone perseguitate per motivi politici. Allo stesso modo, venivano distribuite lettere che accusavano falsamente il governo di non aver fornito prove che avrebbero potuto scagionare gli imputati e di averli sottoposti a punizioni crudeli e inusuali.

La difesa degli insurrezionisti non si limitava a pochi elementi radicali del Partito Repubblicano, ma includeva anche figure di spicco come Kevin McCarthy, leader della minoranza alla Camera, e Mitch McConnell, leader della minoranza al Senato. Dopo un'iniziale condanna nei confronti di Trump e degli insurrezionisti, questi leader hanno fatto un clamoroso dietrofront. McCarthy, che inizialmente si era detto disgustato dall'inazione di Trump durante l'assalto al Campidoglio, si è presto ravveduto, ammettendo che il Partito Repubblicano non avrebbe potuto crescere senza il supporto dell'ex presidente. McConnell, McCarthy e molti altri hanno così deciso di tornare sulle loro posizioni, scegliendo di schierarsi nuovamente con Trump, nonostante la gravità dell'attacco subito dalle istituzioni.

Questa manovra politica si estendeva anche a proteggere coloro che avevano cercato di manipolare la situazione per mantenere il potere. In una lettera del 31 agosto 2021, McCarthy minacciava le aziende di telecomunicazioni, dicendo che il Partito Repubblicano non avrebbe dimenticato se avessero collaborato con la commissione d'inchiesta del 6 gennaio. Ancora una volta, questi politici cercavano di proteggere Trump, dipingendo i suoi seguaci come vittime di un complotto orchestrato da forze politiche democratiche.

Parallelamente a queste difese politiche, alcuni membri del Partito Repubblicano, come Elise Stefanik, hanno cercato di addossare la responsabilità del 6 gennaio alla speaker della Camera, Nancy Pelosi. Secondo loro, sarebbe stata la Pelosi a causare la tragedia, in quanto responsabile della sicurezza del Campidoglio. Tuttavia, le indagini hanno rivelato che il motivo per cui la Guardia Nazionale non è intervenuta tempestivamente era legato alle priorità politiche dell'amministrazione Trump, che aveva deciso di proteggere i suoi sostenitori piuttosto che fermare l'assalto.

L'atteggiamento di questi politici suggerisce una continua volontà di coprire le azioni di Trump e dei suoi alleati, anche se a spese della verità. Ciò che emerge chiaramente è una visione distorta dei fatti, in cui la violenza viene giustificata e la responsabilità politica minimizzata. Le forze politiche che avevano sostenuto Trump sono ora impegnate in una campagna per impedire che la verità emerga, cercando di proteggere chi ha contribuito a instillare la paura, la divisione e l'odio nel cuore della democrazia americana.

È fondamentale che il popolo americano non si lasci ingannare da queste versioni distorte degli eventi. La revisione storica del 6 gennaio non riguarda solo il passato, ma ha implicazioni dirette sul futuro del paese e sul suo sistema democratico. Le azioni di quei politici che cercano di giustificare l'insurrezione non sono semplicemente un errore politico, ma un pericoloso tentativo di erodere la fiducia nelle istituzioni democratiche. Non bisogna dimenticare che ogni tentativo di normalizzare l'intolleranza e l'estremismo contribuisce a indebolire le fondamenta stesse su cui è stata costruita la società americana.

La Rivoluzione Imprenditoriale Distruttiva di Trump: Un Caso Estremo di Imprenditorialità Politica

Gli ufficiali repubblicani che attualmente orbitano attorno al Campidoglio e quelli che operano a livello statale e locale negli Stati Uniti sembrano essere sotto il controllo, se non sotto il completo scacco, dell'ex presidente Trump. Nel dicembre del 2021, Trump aveva già sostenuto 46 candidati nelle primarie repubblicane per il Senato, la Camera dei rappresentanti e le governatorie statali, oltre ad appoggiare candidati per incarichi amministrativi elettorali, con un focus particolare sulle posizioni che gestiscono il processo elettorale. Tuttavia, qualora Trump e i suoi repubblicani radicali non ottenessero buoni risultati nelle elezioni del 2022, la sua influenza politica potrebbe diminuire drasticamente, rimanendo solo con il suo fedele seguito, un culto della personalità che resiste a qualsiasi evidenza.

La saggezza convenzionale tende a vedere l’attività imprenditoriale—sia economica che politica—come forze in contrasto con le istituzioni, soprattutto quelle legali. Ma, come la storia ci insegna, non è mai così semplice. Le istituzioni, infatti, indirizzano il talento imprenditoriale verso usi produttivi, improduttivi e anche distruttivi. Due forme di "imprenditorialità" istituzionale ed estrema dovrebbero essere integrate nel discorso: la prima si riferisce agli "imprenditori istituzionali" che cambiano le regole del gioco, mentre la seconda riguarda gli "imprenditori estremi" che operano nell’ambito culturale e sociale, talvolta solo per mettere in evidenza le contraddizioni della società, senza proporre soluzioni costruttive, altre volte per minare e resistere alle stesse istituzioni.

In questo contesto, emerge la figura di Donald Trump, un imprenditore politico distruttivo, che ha fatto della creazione e distribuzione di "fatti alternativi" e dell’attacco frontale alla veridicità dei dati scientifici la sua missione. Come imprenditore estremista, Trump non ha mai esitato a sfidare e ignorare le leggi esistenti, pur utilizzando quelle stesse regole per difendersi quando necessario. La sua interazione con le leggi e le istituzioni, spesso in conflitto, è un aspetto fondamentale della sua carriera politica.

Il mondo dell’imprenditorialità economica e politica non è mai stato separato, come dimostra il caso di Trump e delle sue attività criminali a livello politico. Le sue azioni sono, infatti, soggette agli stessi principi giuridici e istituzionali di qualsiasi altra forma di imprenditorialità, ma Trump ha sempre operato ai margini di queste norme, cercando di manipolare la politica e la legge a proprio favore. Trump ha creato una vera e propria "rivoluzione anti-democratica", spesso sfruttando il suo potere politico per diffondere propaganda e distorcere la realtà, un atto che potrebbe avere conseguenze gravi per la stabilità democratica degli Stati Uniti.

Nel panorama economico, Trump è stato un imprenditore fallimentare. Nonostante la sua immagine di successo, le sue aziende hanno perso milioni di dollari per decenni, e la sua marca, sebbene forte durante la presidenza, ha visto un calo significativo dal 2017. Al contrario, come imprenditore politico, Trump ha ottenuto risultati straordinari, con la creazione di un movimento che ha trasformato il Partito Repubblicano, facendolo evolvere in una sorta di cult politico. Questo spiega come Trump, pur avendo avuto un impatto economico minimo, sia riuscito a ottenere un’influenza politica che ha avuto conseguenze ben più devastanti e di lunga durata.

Trump si è distinto anche per la sua capacità di sfruttare le dinamiche psicologiche e sociali per manipolare il suo seguito. Il suo approccio è stato sempre caratterizzato da una continua ricerca del potere a tutti i costi, alimentato dalla voglia di "vincere", di "battere" i suoi avversari, e dal disprezzo per ogni forma di critica o di sconfitta. Non è mai stato per lui una questione di denaro, quanto piuttosto di come usare il denaro, il potere e l’influenza per distruggere gli avversari e perpetuare la sua egemonia. La sua vera soddisfazione, infatti, risiede nel superare e umiliare i suoi oppositori, considerandoli "folli" o "idioti" mentre manipola le loro emozioni e le loro percezioni.

Questa ricerca di vendetta e la costante messa in scena della sua vittoria sono diventati la cifra distintiva della sua carriera politica. Anche la sconfitta nelle elezioni del 2020 non ha scalfito la sua convinzione di essere il "vincitore". Al contrario, ha provocato in lui una reazione maniacale di rigetto della realtà, con una spinta ad attaccare la democrazia, a minare la legittimità dei risultati e a sostenere teorie complottistiche, pur sapendo nel profondo che la sua sconfitta era inevitabile. Questo approccio lo ha portato a distorcere la realtà e a manipolare la sua base, alimentando la divisione politica e sociale.

Infine, se Trump può essere definito un "imprenditore" politico, lo si deve fare in senso negativo, come un esempio estremo di come l’imprenditorialità possa essere utilizzata per fini distruttivi. Il suo modello non è quello di un successo economico o di una crescita sostenibile, ma quello di una rivoluzione politica che sfida e distrugge le istituzioni democratiche per favorire l’accentramento del potere in mani autoritarie.

In questa riflessione sulla sua figura, è importante comprendere come Trump abbia saputo cogliere le debolezze istituzionali e culturali del suo tempo, capitalizzando su una base di supporto che non solo accetta la distorsione della verità, ma la celebra come una forma di resistenza contro un sistema percepito come corrotto. Questo è un fenomeno che va oltre il semplice caso individuale, rappresentando una sfida sistemica alla democrazia e all’ordine sociale.