Il desiderio, prima di diventare inconscio, esiste già nel corpo del neonato, in una fase in cui la sessualità non è ancora sviluppata ma il piacere è già presente, cristallizzandosi attorno a zone specifiche del corpo. Questo avviene in un momento in cui l’identità dell’infante non è ancora formata, un tempo prelinguistico di fusione con il mondo, senza divisioni tra sé e l’esterno. In seguito, quando emergono nozioni di genere e identità, i bambini imparano a reprimere questi piaceri primitivi. Tale rinuncia avviene per ragioni morali, religiose o sociali, ma il desiderio non scompare: viene rimosso, e da questa rimozione nasce l’inconscio, luogo dove si accumulano energie e pulsioni non riconosciute, a volte distruttive.
Jacques Lacan si è concentrato sulla fase dello sviluppo in cui identità e genere assumono rilievo, sostenendo che è proprio in questo passaggio che l’inconscio viene formato attraverso il linguaggio. Uno dei contributi più influenti di Lacan alla psicoanalisi è la sua teoria dello stadio dello specchio. In questo momento, il bambino riconosce la propria immagine riflessa non come sé, ma come rappresentazione di sé. Questa frattura inaugura la formazione di una soggettività coerente e distinta, laddove prima vi era solo un’unità indifferenziata con il mondo.
La transizione dal mondo immaginario e prelinguistico al mondo simbolico del linguaggio, secondo Lacan, è il momento della perdita originaria. Questa perdita genera una forma di alienazione che diventa desiderio inconscio: il desiderio di tornare a quell’unione primaria, ora impossibile, con il mondo. Eppure, questo desiderio perduto non si estingue, ma viene continuamente rievocato e cercato in nuove forme. L’identità, quindi, non è mai un dato naturale, ma il risultato di un processo di separazione, mancanza e rappresentazione.
Il riconoscimento nello specchio non si limita all’oggetto fisico: il “riflesso” può manifestarsi anche attraverso gli altri, e in modo particolarmente potente, attraverso i personaggi del cinema. Lo schermo cinematografico diventa così uno specchio simbolico: al buio, immersi nella narrazione, il pubblico sperimenta un temporaneo oblio del proprio io e un ritorno al piacere infantile della fusione. La visione di un film eccezionale è spesso descritta come un’esperienza in cui si dimentica il luogo, il tempo, persino se stessi. Questa regressione momentanea permette il riemergere di desideri arcaici e fornisce un luogo sicuro per la loro espressione simbolica.
Nel contesto degli studi cinematografici, Lacan offre quindi uno strumento potente per comprendere come lo spettatore si relaziona con le immagini, come proietta su di esse il proprio desiderio, e come si riconosce – o si smarrisce – in ciò che guarda. La relazione tra visione, identità e desiderio diventa centrale non solo per la psicoanalisi, ma anche per la comprensione della cultura popolare contemporanea.
Benché inizialmente distante dalla geopolitica, l’opera di Lacan ha trovato un posto anche negli studi culturali e geografici. L’importanza che Lacan attribuisce all’identità, al linguaggio, e allo sguardo visivo, lo rende rilevante per quei campi in cui la soggettività e la rappresentazione sono centrali. In particolare, lo sguardo come categoria analitica si integra con il crescente interesse per la visualità nella geopolitica e con la centralità di genere e sessualità nei discorsi femministi su spazio, potere e rappresentazione.
In questo contesto, il concetto di identità non è mai un’essenza fissa, ma una costruzione fluida, continuamente negoziata tra immagini, linguaggi e desideri inconsci. La soggettivit
Come si studia la cultura popolare: siti e modalità della ricerca
La ricerca sulla cultura popolare può essere intesa come un processo iterativo che richiede continui riferimenti e modifiche nel progetto di ricerca. Un utile punto di partenza è la proposta di Gillian Rose (2016), che individua quattro siti principali in cui la cultura può essere studiata, accompagnati da tre modalità di analisi applicabili a ciascun sito. Sebbene Rose si concentri principalmente sulla cultura visiva, il suo schema è adattabile a una definizione più ampia di cultura popolare. Questo approccio si radica nel paradigma degli studi culturali, che vede il significato culturale come un processo in continua evoluzione, influenzato da molteplici fattori e interpretazioni.
Il primo sito è quello della produzione, ovvero il luogo e le pratiche che danno origine a un oggetto o testo culturale. Questo può essere uno studio cinematografico di Hollywood, una radio universitaria o anche la stanza di un blogger. Qui si cristallizza il lavoro del produttore che plasma l’oggetto di studio. Il secondo sito è rappresentato dall’immagine o dall’oggetto stesso, dove si genera il significato intrinseco. Il terzo sito è quello del pubblico, dove individui e consumatori interagiscono, interpretano ed esperiscono la cultura popolare, negoziando il significato finale. Il quarto sito riguarda la circolazione, che riflette la mobilità crescente degli artefatti culturali, amplificata dall’avvento dei social media, capaci di trasmettere contenuti istantaneamente su vaste distanze geografiche.
A ogni sito corrispondono tre modalità di analisi. La prima è la modalità tecnologica, che focalizza l’attenzione sui processi tecnici attraverso cui gli artefatti culturali sono prodotti, trasmessi e fruiti. È rilevante considerare il medium – se un testo è stampato, audiovisivo o sonoro – ma anche le specificità, come la differenza tra una canzone su vinile e la stessa in formato digitale. La seconda modalità è quella compositiva, che esamina le caratteristiche formali e materiali del prodotto culturale e le tecniche adottate. Un esempio significativo è il film Birdman (2014), che utilizza un’illusione di ripresa continua per creare un effetto di realismo e coinvolgimento diretto dello spettatore. La terza modalità è quella sociale, che considera il contesto storico e culturale in cui la cultura popolare è inserita, sottolineando come il significato cambi a seconda del tempo e dello spazio. La natura effimera della cultura popolare, spesso limitata a brevi cicli di vita, può comunque trasformarsi in fenomeno "retro", riacquistando valor
Come possiamo comprendere il significato geopolitico della cultura popolare?
L’analisi del discorso, soprattutto nella sua declinazione foucaultiana, ha trovato una collocazione privilegiata negli studi sulla geopolitica popolare. Essa consente di esaminare non solo i contenuti della cultura popolare, ma anche le modalità con cui questi vengono selezionati, modificati e veicolati da attori dotati di autorità simbolica, come editori e media mainstream. Il lavoro di Sharp, ad esempio, ha messo in luce come la riduzione e semplificazione dei contenuti per un pubblico medio-borghese non sia affatto neutra: si accompagna spesso alla promozione di discorsi anticomunisti e di un ethos “americano” fondato sull’azione individuale e sul successo personale. La scelta degli articoli da includere, così come il processo stesso di condensazione, riflette una precisa visione del mondo e un’intenzionalità politica.
Questa attenzione al luogo di produzione culturale è un’evoluzione fondamentale: non si guarda solo al prodotto finale, ma anche alle condizioni materiali e discorsive che lo rendono possibile. L’intertestualità, centrale nell’analisi del discorso, apre inoltre alla comprensione delle modalità con cui i testi popolari si connettono tra loro, rinforzando o decostruendo narrazioni dominanti. Non sorprende quindi che molti studi di geopolitica popolare ricorrano all’analisi del discorso come metodo privilegiato: l’interesse foucaultiano per il potere e l’autorità si sposa perfettamente con la volontà di comprendere la dimensione politica della cultura popolare.
Tuttavia, non tutti i prodotti culturali si prestano allo stesso modo all’analisi testuale. I videogiochi, ad esempio, introducono una complessità ulteriore: essi non si limitano ad essere letti o visti, ma vengono giocati, esperiti in prima persona. Sono multimodali: trasmettono significato attraverso immagini, suoni, narrazioni e, soprattutto, attraverso l’interazione ludica. Il ricercatore che si confronta con un videogioco diventa inevitabilmente parte del processo comunicativo: navigando i mondi virtuali, aderendo o resistendo alle regole del gioco, contribuisce attivamente alla costruzione di senso. In questo senso, l’analisi del discorso applicata ai videogiochi richiede una riflessività metodologica elevata e competenze specifiche.
Un altro sviluppo significativo nella geopolitica popolare è l’attenzione crescente verso i pubblici e le loro esperienze. Per molto tempo, la geopolitica ha ignorato le percezioni individuali, privilegiando analisi su scala macro e focalizzandosi sulle élite. Solo a partire dalla fine degli anni Novanta, grazie soprattutto al contributo delle geografe femministe, è emersa una critica radicale a questa impostazione: la geopolitica critica, pur decostruendo rappresentazioni, rischiava comunque di rimanere “senza corpi”, disincarnata. Le metodologie femministe hanno dunque aperto nuove strade: interviste, focus group, etnografie e questionari sono stati introdotti per colmare la distanza tra cultura e persone.
Nel caso dei questionari, si tratta di strumenti che permettono di raccogliere informazioni su come gli individui negoziano il significato geopolitico di prodotti culturali. Essi possono essere somministrati in modalità diverse — faccia a faccia, via telefono, online — e possono includere domande chiuse, utili per l’analisi statistica, oppure aperte, capaci di restituire le sfumature del pensiero individuale. Il vantaggio principale risiede nella rapidità e nella possibilità di raggiungere un ampio numero di persone, anche se esistono limiti significativi: la composizione del campione può essere distorta, alcune domande possono essere fraintese o ignorate, e l’interpretazione dei dati richiede sempre una certa cautela. Un esempio rilevante è l’indagine condotta da Necati Anaz sulla ricezione del film turco Valley of the Wolves: Palestine: attraverso un questionario online, è stato possibile raccogliere dati sul background sociopolitico degli spettatori e sulla loro percezione del ruolo geopolitico della Turchia.
Le interviste, rispetto ai questionari, offrono un livello di profondità maggiore. Consentono di esplorare le modalità con cui le persone interpretano la cultura popolare nella loro vita quotidiana. Non si tratta solo di porre domande, ma di costruire uno spazio relazionale in cui l’informatore possa articolare le proprie opinioni in modo personale, espandere o riformulare pensieri, pratiche e percezioni. L’intervista è un processo dialogico, in cui anche la presenza del ricercatore e la sua postura etica e metodologica influenzano profondamente la produzione di conoscenza. In questo contesto, la voce dei soggetti non è considerata come dato grezzo, ma come parte attiva della costruzione teorica.
È cruciale, quindi, considerare la cultura popolare non solo come un insieme di testi da decifrare, ma come un campo relazionale in cui si articolano poteri, affetti, desideri e rappresentazioni. La cultura non agisce sulle persone in maniera univoca o prevedibile: è invece il luogo in cui si negoziano identità, si costruiscono immaginari geopolitici, si affermano o si contestano narrazioni dominanti. Ignorare la complessità delle audience significa ridurre la cultura a un semplice veicolo di propaganda o a uno specchio della società, quando invece è essa stessa spazio di conflitto e produzione di senso.
In quest’ottica, è essenziale non solo analizzare i contenuti culturali, ma anche investigare le pratiche di fruizione, le emozioni evocate, le memorie attivate, i silenzi prodotti. Le metodologie qualitative, specie se ispirate alle geografie femministe, permettono di restituire alla geopolitica una dimensione incarnata, vissuta, quotidiana. Non si tratta di opporre persone a discorsi, ma di riconoscere che le persone sono già immerse nei discorsi, li abitano, li resistono, li trasformano.
Come l’immersione e l’affetto modellano l’esperienza nei videogiochi militari
L’immersione nei videogiochi, specialmente in quelli a tema militare, si configura come un’esperienza profondamente coinvolgente che richiama la sensazione fisica del trovarsi immersi nell’acqua, come descritto da Janet Murray. Questa immersione psicologica è un coinvolgimento totale, un abbandono alla realtà virtuale che circonda il giocatore, sottraendo la sua attenzione e percezione alla realtà esterna, sostituendola con suoni, immagini e prospettive di un altro mondo. Nei giochi militari, l’immersione è favorita da una combinazione di tecnologie visive tridimensionali e da una visualità che non è solo biologica, ma culturalmente mediata: il giocatore non osserva semplicemente un ambiente, ma si identifica con la prospettiva di un soldato in combattimento, intensificando il senso di “essere lì” e partecipare attivamente alla narrazione del gioco.
Questa esperienza visiva è solo una parte del complesso fenomeno immersivo, che si costruisce anche grazie alla multimodalità dell’interazione videoludica. Il suono, infatti, gioca un ruolo cruciale nel creare una relazione affettiva tra il giocatore e il mondo di gioco. I suoni diegetici, cioè quelli prodotti dalle azioni all’interno del gioco, come il rumore degli spari, si intrecciano con quelli non diegetici, come la musica di sottofondo, progettata per stimolare stati emotivi specifici e costruire tensione. La musica nei giochi come Call of Duty non si limita ad aumentare la suspense, ma amplifica il contesto geopolitico rappresentato, semplificando il conflitto in una dicotomia tra “noi”, le forze militari occidentali, e “loro”, i terroristi non occidentali. Questo uso strategico del suono rafforza l’esperienza incarnata di guerra virtuale, facendo emergere come la geopolitica si trasmetta attraverso l’assemblaggio di immagini, suoni, narrazione e gioco.
Gli effetti affettivi suscitati da questi elementi non sono semplicemente il risultato di rappresentazioni visive, ma si manifestano nel modo in cui il giocatore vive e sente il gioco. Le armi, simboli di potere statale e strumenti di esercizio militare, assumono un ruolo centrale nell’interazione del giocatore con l’ambiente di gioco. Questi oggetti non si percepiscono solo visivamente o nel loro funzionamento digitale, ma si incarnano nel corpo del giocatore attraverso tecnologie di feedback aptico, come i controller vibranti che riproducono la sensazione fisica del rinculo di un’arma da fuoco. Tale sensazione somatica produce un’estensione della realtà virtuale nel corpo, permettendo al giocatore di vivere un’esperienza corporea di guerra, pur priva di rischi reali e conseguenze politiche.
Questa esperienza affettiva di guerra virtuale è dunque complessa e stratificata. Essa si costruisce attraverso la combinazione di tecnologia, narrazione, visualità e suono, che insieme creano una simulazione intensa, capace di coinvolgere il giocatore in modo totalizzante. Tuttavia, questa immersione non è neutrale: le rappresentazioni veicolate e gli affetti suscitati possono contribuire a normalizzare certi stereotipi geopolitici e sociali, come la costruzione del nemico “altro” o la legittimazione implicita della violenza militare. L’esperienza di gioco diventa quindi anche un campo di produzione culturale e politica, dove si intrecciano emozioni, potere e ideologie.
Per comprendere appieno questa dinamica, è fondamentale riconoscere che l’affetto nei videogiochi non si limita a una mera risposta emotiva passiva, ma coinvolge la partecipazione attiva del giocatore come corpo e mente. L’esperienza corporea prodotta dalle tecnologie aptiche, la mediazione culturale della visualità, la manipolazione sonora e la costruzione narrativa collaborano per produrre un coinvolgimento che ha effetti reali sui modi di percepire e interpretare conflitti e identità geopolitiche. Quindi, al di là del semplice intrattenimento, i videogiochi militari rappresentano uno spazio significativo di produzione di senso e di affetti che influenzano la comprensione pubblica della guerra, della politica e dell’“altro”.

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