Nel gennaio 2021, il mondo sembrò respirare un po' più facilmente. Dopo quasi cinque anni di presidenza di Donald Trump, Joe Biden aveva preso il posto alla Casa Bianca, e con lui sembrava arrivato un periodo di normalizzazione, almeno per la politica americana. Per l'Australia, un paese tradizionalmente alleato degli Stati Uniti, le implicazioni di quel periodo di turbolenza americana erano profonde e durevoli, riflettendo un impatto che travalicava l'oceano. L'Australia, purtroppo, non era immune dagli strascichi della presidenza Trump, e l'effetto di questa ondata populista avrebbe avuto un risvolto duraturo anche sulle sue politiche interne ed estere.

Quando Trump salì al potere nel 2016, l'Australia, insieme a molti altri alleati, si trovò di fronte a un'amara sorpresa. La retorica di Trump, basata sullo slogan "America First", non solo minacciava gli equilibri tradizionali della politica internazionale, ma mette anche in discussione i legami secolari tra gli Stati Uniti e paesi come l'Australia. Le politiche isolazioniste di Trump, le guerre commerciali e la sua visione del mondo estremamente transazionale hanno spinto l'Australia a ripensare la propria strategia in termini di alleanze globali.

Una delle principali aree di impatto è stata la politica estera. Durante il suo mandato, Trump ha chiaramente messo in discussione la posizione tradizionale degli Stati Uniti come leader nel sistema internazionale. La sua retorica aggressiva nei confronti dei suoi alleati, combinata con il suo disinteresse per gli accordi multilaterali, ha posto l'Australia in una posizione delicata. Il trattato AUKUS, un'alleanza tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia, rappresenta una risposta diretta alla necessità di rafforzare i legami strategici nel Pacifico, ma anche un atto di necessità in un mondo dove l'affidabilità di Washington era messa in discussione.

A livello domestico, l'effetto Trump si è fatto sentire anche nella cultura politica australiana. La politica identitaria, le guerre culturali e le divisioni sociali che avevano attraversato gli Stati Uniti si sono riflessi in Australia, dove i politici locali si sono trovati a fare i conti con un elettorato sempre più polarizzato. L'influenza di Trump, e delle sue politiche populiste, ha creato un terreno fertile per movimenti di destra, che hanno cercato di emulare la sua capacità di parlare direttamente al cuore dei cittadini frustrati e disillusi.

Uno degli aspetti più significativi da considerare riguarda la democrazia. In Australia, l'influenza di Trump ha sollevato domande su come la democrazia può essere minata, non solo attraverso attacchi diretti alle istituzioni, ma anche per mezzo di un lungo processo di erosione delle norme politiche e civiche. Il fenomeno del populismo, alimentato dalle sue dichiarazioni incendiarie, ha sollevato interrogativi sul futuro della democrazia stessa, sia negli Stati Uniti che in Australia. La sua gestione della verità, la sua ostilità verso i media, e il suo rifiuto di riconoscere i risultati elettorali sono segnali di un pericolo che non può essere ignorato, specialmente in un contesto globale sempre più polarizzato.

Il ritorno di Trump nel 2024 pone una questione esistenziale per l'Australia. Se il "Trumpismo" dovesse prevalere ancora una volta, l'Australia dovrebbe essere pronta a fare i conti con un mondo sempre più incerto e frammentato. Le politiche estere e interne australiane potrebbero subire significativi cambiamenti, specialmente per quanto riguarda la cooperazione internazionale, la politica climatica e le relazioni commerciali. Le sfide per l'Australia saranno molteplici, e sarà essenziale che il paese continui a rafforzare le proprie difese democratiche, tutelando la propria sovranità e la propria indipendenza di pensiero.

Va inoltre compreso che le dinamiche globali influenzano non solo i governi ma anche le società. L'aumento delle divisioni interne, alimentato da figure come Trump, ha un effetto diretto sul tessuto sociale di ogni nazione. In Australia, dove i temi dell'immigrazione, della cultura e dei diritti civili sono sempre stati punti delicati, il "Trumpismo" ha avuto un impatto che va oltre la politica e che può trasformarsi in una minaccia per la coesione sociale. È fondamentale che il paese non solo risponda alle sfide immediate ma che costruisca una resilienza politica e sociale per le generazioni future.

Inoltre, l'impatto delle politiche di Trump sul cambiamento climatico è stato notevole. Le sue posizioni negazioniste e il ritiro dall'Accordo di Parigi hanno spinto molte nazioni a rivedere le proprie politiche ambientali. L'Australia, che già affrontava sfide significative legate alla gestione delle risorse naturali e ai cambiamenti climatici, si è trovata a dover navigare in un mare tempestoso dove le alleanze globali erano più deboli e le pressioni interne più forti. Ora, con il ritorno delle politiche di Trump e l'incertezza riguardo alla sua possibile rielezione, l'Australia dovrà prendere decisioni cruciali sulla propria politica energetica e ambientale.

In sintesi, l'eredità di Donald Trump non si limita solo agli Stati Uniti. La sua influenza ha attraversato i confini, mettendo alla prova le strutture politiche, economiche e sociali di molti paesi, inclusa l'Australia. Gli sviluppi futuri dipenderanno dalla capacità dell'Australia di adattarsi a un mondo in cui il tradizionale ordine mondiale è messo in discussione e in cui la difesa della democrazia e dei diritti civili diventa una battaglia permanente.

La Politica di Trump e le Relazioni Internazionali: Un Approccio Imprevedibile e Transazionale

Donald Trump è un uomo che si distingue per la sua incredibile fiducia nelle proprie capacità, ma anche per una notevole incoerenza nelle sue decisioni. La sua politica estera, purtroppo, ha sempre risentito di questo mix di sicurezza personale e mancanza di una visione coerente e a lungo termine. Può, ad esempio, un giorno definire Putin un genio, e il giorno successivo elogiare l'eroismo dell’Ucraina. Trump non è solo estremamente sicuro di sé, ma anche profondamente imprevedibile, e questo può comportare gravi errori di calcolo, come nel caso della necessità per il generale Mark Milley, presidente del Joint Chiefs of Staff, di rassicurare il suo omologo cinese sulla non intenzione degli Stati Uniti di invadere la Cina, durante il passaggio di potere tra Trump e Biden.

Il comportamento di Trump è segnato da una personalità centrata esclusivamente su se stesso, incapace di entrare in sintonia con gli altri. Questo lo rende difficile da affrontare, perché si muove esclusivamente sulla base di ciò che vuole e non è disposto ad ascoltare le opinioni di chi lo circonda. L’impossibilità di Trump di seguire una strategia coerente si riflette anche nella sua politica nei confronti della Cina, così come nelle sue azioni nei confronti della pandemia di Covid e nelle sue politiche commerciali. Per lui, la vendetta si fonde spesso con la nozione di strategia, creando una confusione che non giova agli interessi a lungo termine degli Stati Uniti.

Trump non ha mai mostrato una vera comprensione della storia o degli interessi geostrategici in gioco. Non si preoccupa delle questioni democratiche o dei diritti umani, e non ritiene che gli Stati Uniti debbano difendere la democrazia e la libertà nel mondo. Questo approccio autocratico e basato sull'autorità personale mina la capacità di attrarre alleati e amici sulla scena internazionale. Quando Trump tornerà al potere, agirà esattamente come nella sua prima amministrazione, ma con una determinazione ancora maggiore, e senza alcun freno dalle forze interne o internazionali che potrebbero cercare di ostacolarlo.

Il caso delle relazioni con la Cina è emblematico del suo approccio imprevedibile. Sotto la presidenza di Malcolm Turnbull, la crescente preoccupazione per l’influenza della Cina nelle università e nel governo australiano ha spinto l'Australia a prendere misure contro la Huawei, una compagnia tecnologica cinese. Tuttavia, il governo Morrison ha inizialmente cercato di mantenere una relazione più distesa con la Cina, evitando che i legami diventassero eccessivamente complessi. Il sostegno degli Stati Uniti sotto la guida di Trump, che ha dichiarato che "l'America sta con l'Australia" contro le intimidazioni cinesi su questioni legate al Covid e al commercio, ha rafforzato questa relazione.

Tuttavia, nonostante il sostegno dichiarato, le politiche di Trump hanno finito per complicare la situazione. Con l’inizio della pandemia di Covid-19 e la crescente pressione sul governo cinese per chiarire le origini del virus, Trump ha spinto per una serie di sanzioni nei confronti della Cina, sollecitando compensazioni per i danni economici e politici causati dalla crisi sanitaria. Questo ha scatenato una guerra commerciale che ha coinvolto in modo diretto anche l’Australia. La Cina ha risposto con misure drastiche, come l’imposizione di tariffe sulle esportazioni di orzo australiano e altre ritorsioni commerciali, incluse le limitazioni sulle importazioni di vino, cotone e carbone. Le relazioni commerciali tra i due paesi sono diventate tesi, e la retorica anti-cinese si è intensificata, con dichiarazioni forti anche da parte dei leader australiani.

Il contrasto tra l’approccio inizialmente più diplomatica di Morrison e la severità della politica di Trump è stato evidente. Quando Trump ha fatto dichiarazioni in favore di una linea dura contro la Cina, Morrison si è allineato rapidamente, adottando un linguaggio sempre più aggressivo. Questo ha portato a un inasprimento delle relazioni tra Australia e Cina, con la Cina che ha risposto con azioni provocatorie, tra cui la pubblicazione di una lista di “gravi accuse” contro l'Australia.

Se Trump tornasse al potere nel 2025, continuerebbe a perseguire una politica commerciale aggressiva nei confronti della Cina, senza prendere in considerazione le implicazioni più ampie per le alleanze internazionali e per la stabilità regionale. La Cina, per quanto possa non aver inflitto danni significativi agli Stati Uniti, ha saputo infliggere dure perdite a uno degli alleati più stretti degli Stati Uniti: l’Australia. La politica di Trump, dunque, rischia di accentuare la polarizzazione internazionale e di minare le relazioni bilaterali con paesi strategici.

Nonostante il supporto che Trump ha ricevuto da alcune nazioni, la sua politica estera disorganizzata e basata sull’improvvisazione non favorisce un’efficace leadership globale. Le sue azioni tendono a essere reattive e prive di una strategia a lungo termine, il che rende gli Stati Uniti vulnerabili a malintesi e conflitti internazionali.

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Come il futuro di AUKUS sarà influenzato dalla presidenza di Trump

Il contesto geopolitico dell'Indo-Pacifico è in continua evoluzione, e uno degli accordi strategici più significativi in questa regione è l'alleanza AUKUS, un’intesa trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, progettata per contrastare le crescenti sfide poste dalla Cina. Questo accordo, annunciato il 15 settembre 2021, ha ricevuto l’approvazione dei leader coinvolti, con dichiarazioni forti sulla necessità di garantire la pace e la stabilità in una regione sempre più complessa. L’accordo si basa principalmente sullo sviluppo e la distribuzione di sottomarini nucleari a propulsione (non armati) in Australia, un passo che segna un aumento della presenza strategica degli Stati Uniti nell’area.

Tuttavia, l’equilibrio che AUKUS crea non è privo di tensioni, soprattutto riguardo alle implicazioni commerciali e diplomatiche. Il contratto per la fornitura di sottomarini all’Australia ha provocato un grave dissenso con la Francia, che si è vista estromessa dall’accordo in modo poco diplomatico. Il presidente francese Macron ha espresso apertamente il suo disappunto, definendo l’azione del governo australiano come un "colpo alle spalle". Nonostante le difficoltà iniziali, l’alleanza AUKUS ha continuato a evolversi, ed è probabile che questo patto rimanga intatto anche sotto una futura amministrazione Trump.

Trump, infatti, sembra determinato a mantenere AUKUS, ma con un approccio orientato più verso gli interessi commerciali piuttosto che le considerazioni strategiche. L'ex presidente americano è noto per la sua visione pragmatica e spesso mercantilista della politica estera. Se eletto di nuovo nel 2025, Trump tratterà AUKUS come una partnership strategica che però dovrà generare ritorni concreti per gli Stati Uniti, soprattutto attraverso contratti di difesa e produzione di sottomarini negli Stati Uniti. "AUKUS non è un assegno in bianco" è il parere comune tra gli esperti, sottolineando che Trump non esiterà a spingere per ottenere vantaggi economici in cambio del sostegno politico e militare.

L’alleanza AUKUS, pur rimanendo un pilastro della politica estera americana nella regione, potrebbe subire delle modifiche sotto la presidenza di Trump, che sarà meno interessato agli aspetti strategici e più attento ai benefici commerciali. In particolare, Trump si concentrerà sull'industria della difesa americana, cercando di garantire che le principali risorse, come i sottomarini nucleari, siano prodotte negli Stati Uniti. La conseguenza diretta di questo orientamento sarà un incremento delle vendite di armamenti e una presenza crescente delle forze statunitensi in Australia.

Tuttavia, la visione di Trump potrebbe non incontrare l'approvazione unanime dei suoi alleati. Sebbene l’Australia sia un partner fondamentale per gli Stati Uniti, il paese potrebbe essere costretto a rivedere le sue priorità se l’approccio di Trump dovesse risultare troppo unilaterale. Le pressioni per bilanciare le alleanze regionali, inclusi i legami con il Giappone e la Corea del Sud, potrebbero portare a un riesame delle priorità di AUKUS. Un’eventuale riduzione della presenza militare americana in queste nazioni potrebbe avere implicazioni significative sulla stabilità dell’intero Indo-Pacifico, soprattutto in un periodo di crescente rivalità con la Cina.

Inoltre, la questione della sovranità e dell'autonomia di ciascuna nazione sarà fondamentale. Australia, pur essendo un alleato fondamentale degli Stati Uniti, dovrà affrontare una crescente pressione interna riguardo al livello di dipendenza da Washington, in particolare riguardo alla presenza militare e agli impegni strategici assunti. La gestione di AUKUS sotto una presidenza Trump potrebbe dunque sollevare interrogativi critici sul futuro del ruolo dell'Australia nella regione, e sul modo in cui gli altri membri dell'alleanza percepiscono la leadership americana.

Infine, il trattamento di AUKUS come una "partnership commerciale" da parte di Trump non è privo di rischi. La Cina, certamente, vedrà con ostilità qualsiasi mossa che rafforzi ulteriormente il blocco anglosassone e i suoi legami militari nell'Indo-Pacifico. Le relazioni tra i tre alleati AUKUS, quindi, potrebbero essere messe sotto pressione, non solo dalle questioni politiche e militari, ma anche da quelle economiche. Se Trump dovesse ridurre gli impegni strategici e concentrarsi maggiormente sugli aspetti economici, le conseguenze per la coesione dell’alleanza potrebbero essere imprevedibili.

L'equilibrio tra la sicurezza regionale e gli interessi economici potrebbe rappresentare il nodo centrale per il futuro di AUKUS, in un contesto di crescente rivalità globale, dove la Cina continuerà a spingere per espandere la sua influenza, e le alleanze come AUKUS saranno cruciali per la gestione della stabilità nel Pacifico.

Come la politica americana ha influenzato la mia vita e la visione del mondo

Quando nel 2016 avevo predetto con certezza la vittoria di Hillary Clinton, non avrei mai immaginato che quattro anni dopo, alla vigilia delle elezioni del 2020, avrei dichiarato con una certa ironia che ogni giorno era per me come Yom Kippur, un giorno di espiazione, per quella previsione errata. La politica, la sua imprevedibilità, e l'impatto che essa ha sulle nostre vite personali e collettive, mi sono sempre state vicine, in un modo o nell'altro. Crescendo a Washington, DC, la capitale della nazione, il confine tra la politica e la vita quotidiana era sfumato, come una linea invisibile che tuttavia sentivamo con intensità.

Washington era una città molto diversa in quegli anni. La sua geografia sociale era ben definita: due città in una. Da un lato, una comunità nera, maggioritaria, con i suoi quartieri, le sue scuole e il suo crescente ceto medio; dall’altro, una città bianca, che ospitava il governo federale e le sue strutture. La segregazione razziale era palpabile, soprattutto nei luoghi di socializzazione e nelle scuole, dove la diversità era un concetto ancora distante.

Nel 1963, all’età di dodici anni, ascoltavo le notizie sulla marcia per i diritti civili a Washington e la storica dichiarazione di Martin Luther King, Jr. Il suo sogno, che vedeva un mondo senza discriminazione razziale, era un ideale che, per quanto evocativo, sembrava sempre troppo lontano dalla realtà quotidiana. Le strade di Washington erano segnate dalla divisione razziale, e le rivolte che segnarono la morte di King nel 1968, a pochi passi dalla Casa Bianca, ne furono una tragica conferma.

Negli anni successivi, ho avuto il privilegio di assistere a eventi politici che segnarono la storia degli Stati Uniti. Dai momenti di grande speranza, come l'elezione di Bill Clinton nel 1993, alle stagioni di conflitto e divisione politica, come la presidenza di Ronald Reagan, che portò a un radicale cambiamento nelle politiche sociali e difensive del paese. La lotta tra conservatorismo e liberalismo, tra valori tradizionali e le forze di modernizzazione, ha definito la narrativa politica americana, ma anche la mia comprensione del mondo.

Nel corso degli anni, l’interesse per la politica è cresciuto. Non si trattava solo di assistere agli eventi, ma di comprendere le forze che li muovevano. Leggere le colonne editoriali del New York Times e del Washington Post mi ha dato una visione critica degli eventi. In particolare, ho approfondito il caso Watergate, una storia di intrighi politici che minacciò di destabilizzare l’ordine costituzionale degli Stati Uniti. Le sue implicazioni per la democrazia, per il rispetto delle leggi e per il potere dei cittadini, rimangono rilevanti ancora oggi.

Il mio rapporto con la politica, quindi, non si è limitato solo all’osservazione. La sua influenza su di me è stata profonda, forgiando la mia comprensione del potere, della giustizia e dell’identità nazionale. La politica non è solo una questione di elezioni o di chi vince e chi perde; è una questione di valori, di come questi valori si riflettono nelle azioni quotidiane e nelle decisioni di tutti, da chi lavora in politica a chi osserva da lontano. Perché, in fondo, la politica non è altro che la manifestazione visibile di un continuo conflitto tra ideali e realtà.

Riflettere sul passato e osservare il presente, con la lente della storia e delle esperienze vissute, ci permette di avere una comprensione più profonda di cosa significa vivere in una democrazia. La politica è, quindi, molto più di un semplice sistema di governo: è il campo di battaglia dove le idee si confrontano, dove il destino di milioni di persone viene deciso.

La partecipazione attiva, il rispetto per i diritti inalienabili dell’individuo e la difesa dei valori fondamentali della libertà e dell’uguaglianza sono essenziali per mantenere viva la speranza di un futuro migliore. La politica non è mai una questione di passività; ogni cittadino ha una voce che, se usata con consapevolezza, può davvero fare la differenza.

Come Ron DeSantis ha utilizzato il potere dello Stato per le sue battaglie politiche

Una delle caratteristiche più straordinarie del governo di Ron DeSantis in Florida è l'uso spudorato e implacabile del potere statale per avanzare sia nella guerra culturale che nella guerra politica contro i suoi avversari. Un caso emblematico è rappresentato dalla disputa tra lo Stato della Florida e la Disney. La Disney, con i suoi parchi tematici e centri di intrattenimento, è una delle maggiori aziende operanti in Florida. È un rito di passaggio per milioni di genitori americani portare i propri figli a Disney World a Orlando. Tuttavia, l'azienda è stata messa sotto pressione dai suoi dipendenti per prendere una posizione forte contro il progetto di legge sui Diritti dei Genitori in Educazione, che limitava la discussione pubblica in aula su temi legati all'identità sessuale e che aveva un impatto negativo sulla comunità LGBTQ.

Nonostante Disney fosse una delle principali donatrici di fondi alla politica, in gran parte a favore dei Repubblicani, le critiche da parte dei gruppi politici LGBTQ non tardarono ad arrivare. L'azienda, solo dopo l'entrata in vigore della legge, decise di esprimere il suo dissenso, dichiarando che tale legge "non avrebbe mai dovuto essere approvata" e promettendo di sostenere il suo annullamento. La risposta di DeSantis fu ferma: accusò Disney di essere "woke" e di agire sotto le influenze di dirigenti californiani, non dei cittadini della Florida. In risposta, DeSantis propose e firmò una legge che consentiva allo Stato di prendere il controllo del distretto fiscale speciale che Disney aveva gestito per oltre cinquant'anni, riducendo considerevolmente i benefici fiscali ricevuti dall'azienda. Questo atto, secondo un legislativo democratico, rappresentava un tentativo di "prendere il controllo di un governo locale" per punire chi si opponeva alla sua agenda.

La strategia di DeSantis di utilizzare il potere statale per scoraggiare le aziende "woke" è stata seguita anche nella ridisegnazione dei distretti congressuali della Florida, un'altra manifestazione del suo deciso impegno politico. In seguito al censimento del 2020, la legislatura aveva proposto una mappa bipartisana che non avrebbe modificato il già favorevole status quo per i Repubblicani. Tuttavia, DeSantis rifiutò questa proposta e disegnò una sua mappa, costringendo la legislatura a adottarla. La nuova mappa ridisegnò il panorama politico della Florida, aumentò il numero di deputati Repubblicani e indebolì la rappresentanza dei Democratici, in particolare dei Democratici neri. Questo cambiamento, che eliminò una delle quattro posizioni congressuali occupate da rappresentanti neri, fu visto come un tentativo deliberato di diluire il potere politico e il voto nero.

Nonostante il suo approccio controverso e divisivo, DeSantis ha consolidato un forte supporto tra gli elettori Repubblicani della Florida, un segnale della sua crescente influenza. La sua capacità di raccogliere fondi per le campagne elettorali è notevole: per la sua rielezione come governatore, ha raccolto oltre 190 milioni di dollari, una somma superiore a quella che Donald Trump ha raccolto per la sua campagna presidenziale nel 2021-2022. Questo capitale politico è pronto a essere utilizzato in una futura corsa alla presidenza. Inoltre, DeSantis ha trasformato la Florida da uno Stato considerato "in bilico" a uno che si inclina decisamente verso i Repubblicani, con un margine di iscrizioni al partito Repubblicano che supera quello dei Democratici di oltre 175.000 voti.

DeSantis non si limita a perseguire la sua agenda in Florida; ha anche collaborato con altri governatori repubblicani per spingere politiche comuni a livello nazionale, su temi come l'aborto, i diritti LGBTQ e l'educazione. Questo movimento, che può essere descritto come una costruzione di una "nazione dentro una nazione", mira a influenzare l'orientamento politico del paese per i decenni a venire, con l'obiettivo di consolidare il potere politico dei Repubblicani a livello federale.

Ron DeSantis rappresenta una versione di "Trump senza Trump": un populista deciso, ma privo delle vulnerabilità legali e della personalità esuberante che contraddistinguono Donald Trump. Con il suo stile diretto e la sua incrollabile determinazione, DeSantis sta plasmando l'agenda politica della Florida e, potenzialmente, quella degli Stati Uniti per gli anni a venire.

Oltre ai temi trattati, è fondamentale per il lettore comprendere che l'uso aggressivo del potere statale da parte di DeSantis non si limita alle sue politiche interne, ma si inserisce in una più ampia strategia politica volta a rafforzare il controllo conservatore su tutte le sfere della vita pubblica, e a minare la possibilità di un’alternanza politica equilibrata. La crescente polarizzazione della politica in Florida e negli Stati Uniti è il frutto di un potere statale usato in modo sempre più spietato e manipolatorio per raggiungere obiettivi politici a lungo termine. È essenziale notare che, sebbene questa strategia possa portare a un consolidamento della base conservatrice, comporta anche il rischio di esacerbare le divisioni sociali e politiche, creando un clima di tensione che potrebbe rivelarsi difficile da gestire nel futuro.