La figura di Cicerone ha avuto una sorte particolare nella storia del pensiero politico. Sebbene per secoli la sua teoria politica sia stata messa in ombra, considerata per lo più banale e priva di originalità, negli ultimi anni ha assistito a una riscoperta che ne ha messo in evidenza la centralità nel dibattito politico contemporaneo. Un aspetto fondamentale di questa rinnovata attenzione è legato alla sua interpretazione sia da parte dei cosmopoliti, che dei repubblicani. Ma qual è la vera natura del pensiero politico di Cicerone? È possibile considerarlo un cosmopolita, un repubblicano, o, forse, qualcosa di più complesso?

Cicerone non è né semplicemente un cosmopolita, né un repubblicano. Sebbene egli condivida elementi di entrambi questi orientamenti, la sua riflessione politica non può essere ridotta a una singola etichetta. In effetti, il suo pensiero si configura come una sorta di "cosmopolitismo limitato", una visione che, pur riconoscendo l'uguaglianza fondamentale dell'umanità, non abbandona la centralità della polis e dei legami civici locali. La sua riflessione sulla solidarietà umana si articola, dunque, su un equilibrio delicato, dove la comunità globale non annulla l'importanza delle comunità politiche particolari.

Un esempio di come il pensiero di Cicerone si intrecci con la nozione di cosmopolitismo si trova nella sua concezione dell'umanità come essenzialmente uguale. Per Cicerone, la capacità di parlare e ragionare sono i fondamenti che legano gli esseri umani. La possibilità di comunicare, di stabilire legami attraverso la lingua e la ragione, è ciò che rende possibile la creazione della società. Tuttavia, Cicerone non concepisce una società primitiva che si sviluppa solo per superare le necessità fisiche individuali, ma piuttosto una comunità che nasce da un "spirito sociale", un desiderio di unione che è ancorato nella razionalità e nell'eloquenza. Questo concetto si ritrova in molti dei suoi scritti, in particolare nelle opere "De inventione" e "De oratore", dove sostiene che l'eloquenza, unita alla ragione, costituisce la base per il fondamento di comunità politiche. È attraverso l'abilità di un "primo oratore", che grazie alla sua arte può unire gli individui sparsi e dare loro una nuova vita sociale, che nasce la civiltà.

Questa visione ciceroniana di una comunità fondata sulla ragione e sulla parola si estende anche al suo pensiero più generale sulla natura della società e della politica. In "De officiis", per esempio, Cicerone osserva che la natura stessa, attraverso il potere della ragione, lega gli uomini gli uni agli altri in un vincolo comune. Non si tratta di una mera necessità fisica, ma di un desiderio umano di cooperazione, che trova la sua espressione nel linguaggio e nell'azione civica.

Cicerone, tuttavia, non è solo un precursore del cosmopolitismo. La sua visione della politica è anche profondamente radicata nella tradizione repubblicana. La centralità della res publica, l'importanza della legge e dell'ordine civico, sono altrettanti temi fondamentali del suo pensiero. Sebbene non respinga l'idea di una solidarietà universale tra gli esseri umani, egli rimane sempre consapevole dell'importanza dei legami particolari che legano un cittadino alla sua comunità. Questo lo rende più complesso di un semplice cosmopolita o repubblicano, poiché riesce a integrare questi elementi in un unico sistema teorico.

L'approccio di Cicerone ai temi della politica e della comunità è stato ripreso e reinterpretato da autori come Immanuel Kant, che ha visto nel pensiero ciceroniano una base per il suo cosmopolitismo. Kant, in particolare, ha apprezzato l'idea ciceroniana di un'umanità universale, ma la sua visione cosmopolita si differenzia da quella di Cicerone nella misura in cui non lascia spazio alla dimensione locale della politica. Questo contrasto tra la visione universale di Kant e quella più localizzata di Cicerone è al centro di molte discussioni moderne sul cosmopolitismo e sul nazionalismo. La dialettica tra questi due orientamenti—l'universalismo cosmopolita e il patriottismo repubblicano—è ancora oggi rilevante nel dibattito politico contemporaneo.

Per il lettore, è importante non considerare Cicerone come un pensatore statico o facilmente classificabile. La sua opera si sviluppa in un contesto storico che lo vede non solo come un filosofo della politica, ma come un oratore che ha vissuto il passaggio dalla Repubblica Romana all'Impero. Questo cambiamento storico è fondamentale per comprendere le sfumature del suo pensiero: Cicerone ha cercato di coniugare il valore della comunità politica locale con una visione più ampia dell'umanità, che abbraccia i legami universali tra gli individui. La sua proposta non è mai quella di un cosmopolitismo disincarnato, ma di un cosmopolitismo che riconosce la centralità della polis e dei legami particolari che uniscono i cittadini.

In sintesi, Cicerone rappresenta una figura complessa, la cui eredità non può essere ridotta a semplici etichette. La sua riflessione sulla politica, sulla comunità e sull'umanità offre spunti per un dialogo contemporaneo che interroga la relazione tra identità locale e appartenenza universale. Per comprendere appieno il suo pensiero, è necessario coglierne la dimensione dialettica, che permette di integrare l'umanità comune con la politica concreta dei singoli popoli.

Come il Glocalismo Può Offrire una Risposta Democratica al Cosmopolitismo e all’Imperialismo

James Tully, nel suo esame delle sfide politiche contemporanee, mette in evidenza la difficoltà di sostenere democrazie autentiche in un contesto globale e diversificato come quello dell'Unione Europea. La sua analisi solleva una serie di problematiche che riguardano la conciliazione di identità civiche e autodeterminazione politica in un sistema che, pur cercando di essere inclusivo, non sempre riesce ad affrontare la complessità delle diversità. Secondo Tully, la chiave per superare queste difficoltà non risiede in un insieme unico di istituzioni o norme, ma piuttosto in un approccio dialogico che privilegi il negoziato democratico tra cittadini, decisori politici e ricercatori. La sua visione implica una revisione dei meccanismi politici attuali per consentire una maggiore partecipazione e integrazione delle pratiche democratiche di base, evitando una visione centralizzata e statocentrica del governo.

Tuttavia, le limitazioni strutturali del modello europeo sono evidenti. Nonostante i tentativi di promuovere una forma di governo consensuale e limitato, l’Unione Europea fatica a dare una risposta completa all’eredità dell’imperialismo e della stratificazione politica globale. Il sistema statale attuale, pur nel suo tentativo di conciliare diversità culturali e politiche, è intrinsecamente legato a dinamiche imperiali che non consentono la nascita di un’alternativa davvero cosmopolita e non imperialista.

È in questo contesto che Tully propone il concetto di glocalismo come una risposta alternativa al cosmopolitismo ispirato al pensiero kantiano. Il termine "glocalismo", originariamente coniato da Roland Robertson negli anni Novanta, descrive il fenomeno della globalizzazione che si sviluppa in parallelo con il rafforzamento delle identità locali. Per Tully, questa combinazione di dimensioni globali e locali offre una prospettiva radicalmente democratica in grado di rispondere alle sfide poste dalla globalizzazione, senza ricadere nel nazionalismo o nel populismo di destra. La sua visione del glocalismo è quella di un movimento progressista, che, se correttamente realizzato, può contrastare gli effetti imperialistici del cosmopolitismo liberale.

Il glocalismo, nella concezione di Tully, si distingue per un approccio che promuove la creazione di pratiche civiche fuori dalle tradizionali istituzioni rappresentative. Queste pratiche derivano, o sono compatibili, con le condizioni particolari locali, affrontando problematiche globali come l’impatto ambientale delle multinazionali nei paesi in via di sviluppo, o l’opposizione a grandi progetti internazionali che possono minacciare le comunità locali. Per Tully, questi conflitti offrono l'opportunità di far dialogare gli attori internazionali con le organizzazioni locali, sostituendo l’approccio tradizionale del “diritto” con un modello di confronto e negoziazione continua, dove le risoluzioni non sono mai definitive ma piuttosto il risultato di un processo in evoluzione.

La caratteristica più interessante del glocalismo, che lo rende un’alternativa valida e democratica, è il suo orientamento verso la creazione di reti di resistenza che operano per riequilibrare i rapporti di potere. Tali reti, se ben strutturate, non solo fanno da supervisori per qualsiasi risoluzione, ma contribuiscono anche a mantenere il controllo delle decisioni politiche nelle mani dei cittadini. Tuttavia, Tully è consapevole della natura ambigua delle telecomunicazioni moderne, che possono diventare uno strumento di propaganda statale o, al contrario, uno strumento di emancipazione, come dimostrato dalle rivolte in Iran e in Egitto, dove i social media sono stati utilizzati come veicolo di resistenza contro i regimi autoritari.

In definitiva, Tully vede nel glocalismo una forma di cittadinanza che abbraccia la diversità e la pluralità, un modello che può superare le limitazioni dell’imperialismo e del cosmopolitismo liberale. Le principali caratteristiche di questa cittadinanza diversificata includono: la promozione di pratiche locali, l'evitare linguaggi universali e la concezione della politica come partecipazione attiva, il partire dalle lingue locali e dalle pratiche negoziate, e la necessità di sostituire il modello di governo tradizionale con forme più inclusive e fluide di interazione politica.

L’aggiunta fondamentale a questa discussione è il riconoscimento che, sebbene il glocalismo offra una via alternativa ai modelli di governo centralizzati e imperialisti, è cruciale per la sua realizzazione la capacità di creare un vero e proprio cambiamento strutturale. Le reti di resistenza devono essere sostenibili nel lungo periodo, con l’obiettivo di garantire un cambiamento che non sia solo temporaneo, ma che radichi nuove forme di partecipazione democratica nelle strutture politiche locali e globali. È in queste pratiche di resistenza e di dialogo che si gioca la possibilità di un futuro democratico e giusto a livello globale.