Nell’ambito dei contratti, la gestione del rischio assume forme diverse a seconda del tipo di rapporto che si instaura tra le parti. Nel contratto transazionale, prevale un approccio basato sull’esercizio del potere, che si manifesta sotto due aspetti principali: il potere statale, cioè la capacità legale di far rispettare gli obblighi contrattuali, e il potere di mercato, ossia la possibilità di influenzare l’altra parte tramite la minaccia di interrompere la relazione commerciale. Questa dinamica crea spesso un rapporto di dipendenza, in cui il soggetto dominante può imporre condizioni unilaterali, come il diritto di risolvere il contratto “per comodità” senza necessità di giustificazione, o spostare i rischi derivanti da lacune nella due diligence con clausole di “scope sweep” che scaricano sull’altra parte le eventuali soprese legate alla definizione del perimetro del servizio.
Tale impostazione riflette una concezione del contratto come un accordo essenzialmente arido, dove le norme sociali sono marginali o inesistenti. Il contratto transazionale mira a mantenere la relazione su un piano “a distanza”, con il minimo di vincoli emotivi o morali, privilegiando scambi commerciali limitati e circoscritti nel tempo. Questo modello può portare a un clima di diffidenza, dove la strategia dominante è quella di tutelarsi dall’“opportunismo” altrui tramite sanzioni e clausole punitive.
Al contrario, il contratto relazionale si fonda sull’inclusione di norme sociali e principi guida che vincolano entrambe le parti non solo sul piano giuridico, ma anche morale e comportamentale. La relazione contrattuale diventa così parte integrante di un legame sociale più ampio, caratterizzato da obblighi di reciprocità, lealtà, equità, integrità e trasparenza. Questi principi, che Ian Macneil definì come costituenti una “mini-società” all’interno del contratto, permettono di superare le inevitabili incompletezze dell’accordo scritto, colmando i vuoti e prevenendo comportamenti opportunistici.
Un esempio pratico si trova nella gestione della clausola di “scope sweep” nelle relazioni di outsourcing: mentre nel contratto transazionale il rischio viene trasferito unilateralmente al fornitore, nel contratto relazionale si applicano obblighi di trasparenza e la regola di assegnare il rischio alla parte che può sostenere il costo minore della condivisione o reperimento delle informazioni, in coerenza con il principio di lealtà. Questo approccio previene gli abusi di potere e promuove una collaborazione basata sulla fiducia e sull’equilibrio reciproco.
La mitigazione del rischio nel contratto relazionale, dunque, non passa dalla coercizione o dalla minaccia di sanzioni, ma dalla costruzione di un allineamento continuo degli interessi e delle aspettative. L’opportunismo nasce da interessi contrastanti; se si riesce a mantenere gli interessi allineati, si riducono drasticamente i comportamenti opportunistici. La comunicazione costante, la chiarezza delle aspettative e la flessibilità sono strumenti fondamentali per evitare le frizioni generate da aspettative disattese, fenomeno noto come “shading” nella terminologia di Oliver Hart.
Sebbene sia illusorio pensare che conflitti di interesse e disallineamenti non si presentino mai, è possibile adottare meccanismi di governance che ne mitighino gli effetti. La definizione congiunta di obiettivi condivisi, l’adozione di modelli di pricing flessibili e giusti nel tempo, e l’istituzione di strutture di governance solide sono esempi concreti di tali meccanismi. Questi strumenti consentono di affrontare in modo proattivo le cause profonde dei problemi, mantenendo la relazione contrattuale stabile e sostenibile.
Nel complesso, il passaggio da una logica di potere e controllo a una basata su norme sociali condivise e principi guida rappresenta un’evoluzione essenziale per la gestione dei rapporti commerciali complessi e di lungo termine. Comprendere questa distinzione permette di scegliere consapevolmente il modello contrattuale più adatto alle proprie esigenze, valorizzando la relazione come elemento strategico piuttosto che come semplice scambio economico.
È importante ricordare che l’efficacia di un contratto non si misura solo dalla sua rigidità o dalle clausole punitive, ma dalla capacità di creare un equilibrio duraturo fra le parti, capace di adattarsi ai cambiamenti e prevenire conflitti. La centralità delle norme sociali e la loro trasformazione in obblighi contrattuali vincolanti sono strumenti preziosi per raggiungere questo risultato, offrendo un quadro di riferimento solido per l’interpretazione e l’applicazione dell’intero accordo.
Quando è necessario un contratto relazionale?
I contratti transazionali diventano strumenti fragili nei contesti ad alto rischio e forte dipendenza. L’approccio basato sulla distanza tra le parti e sulla forza contrattuale può generare proprio quei rischi che si cerca di evitare. Ignorare una dipendenza reale e trattare le parti come semplici agenti razionali (Econs), ciascuno guidato esclusivamente dai propri interessi, apre la strada a frizioni e comportamenti opportunistici. L’ironia è che il contratto stesso, pensato per evitarli, finisce per stimolarli. In questi casi, il contratto relazionale si rivela una soluzione decisamente più adatta.
Un contratto completo, privo di ambiguità, errori o omissioni, sarebbe teoricamente ideale. Tuttavia, la complessità crescente rende tale completezza impraticabile. Oliver Williamson ha osservato che “tutti i contratti complessi saranno incompleti” e Oliver Hart conferma che la pretesa di pianificare tutto in modo dettagliato in ambienti incerti è un’illusione miope. Quando le variabili sono numerose, ogni tentativo di pianificazione esaustiva si traduce in documenti lunghi, oscuri, e quindi, paradossalmente, incompleti.
Per affrontare tale incompletezza, alcuni professionisti del procurement e dei servizi ricorrono alla cosiddetta “triade contrattuale”: clausola di ampliamento del perimetro (scope sweeper), procedure di gestione dei cambiamenti, e clausola di risoluzione per convenienza. Questi strumenti hanno lo scopo di scoraggiare abusi da parte del fornitore nei punti deboli del contratto.
La clausola di scope sweeper impone al fornitore di fornire non solo i servizi specificati, ma anche quelli dimenticati ma necessari. Le procedure di change control definiscono tempi e modalità per modificare il contratto, limitando le possibilità di rinegoziazioni arbitrarie. Infine, la clausola di risoluzione per convenienza consente al cliente di terminare il contratto senza inadempienza da parte del fornitore, fungendo da leva negoziale per evitare comportamenti opportunistici.
Sebbene questa triade sembri sensata, la realtà mostra i suoi limiti. Le discussioni su cosa costituisca effettivamente un cambiamento possono creare attriti notevoli. In effetti, l’incompletezza contrattuale, anziché attenuata, viene amplificata da questi meccanismi: le parti si trovano a difendere i propri interessi sulla base delle aspettative iniziali, i cosiddetti reference points.
Secondo Hart, il contratto firmato genera aspettative contro cui saranno misurati gli esiti successivi. Il cliente punta al risparmio o alla riduzione dei costi, mentre il fornitore mira a ricavi e margini. Il contratto diventa una lotta tra business case, dove ognuno cerca di salvaguardare i propri scenari ottimali o punti di rottura (BATNA). Ma la pratica negoziale scoraggia la condivisione dei BATNA, portando a contratti rigidi, costruiti su presupposti taciti, vulnerabili agli imprevisti.
Quando l’imprevisto si manifesta – e nei contesti complessi è inevitabile – ciascuna parte tenta di difendere il proprio reference point. Il cliente invoca lo scope sweeper, il fornitore chiede modifiche e compensazioni. L’avversione alla perdita, combinata con aspettative disallineate, genera resistenza e comportamenti di shading: azioni sottili, non verificabili in tribunale, ma chiaramente in contrasto con lo spirito dell’accordo. Il fornitore può diventare meno proattivo, ridurre la qualità al limite del minimo accettabile o evitare di proporre miglioramenti. Il cliente, invece, può penalizzare il fornitore, utilizzare concorrenti alternativi, o esercitare pressioni attraverso sanzioni.
Il comportamento di shading tende a innescare reazioni a catena. Un’azione opportunistica da una parte porta facilmente a una risposta simmetrica dall’altra. In breve tempo si entra in una spirale di sfiducia e vendette reciproche. E ciò accade nonostante l’
Come gestire le variazioni di ambito e i rischi nei contratti complessi: principi di lealtà, equità e trasparenza
Nei contratti di outsourcing di grande scala, una pratica efficace per ridurre i rischi legati alle variazioni dell’ambito di lavoro è il “joint baselining”: un’attività congiunta tra committente e fornitore per definire e misurare lo stato iniziale delle attività trasferite. Questo approccio è stato adottato con successo, ad esempio, da Microsoft e Accenture nella gestione delle operazioni finanziarie esternalizzate. Dopo la firma del contratto, fu istituito un team di transizione congiunto che lavorò per creare una baseline condivisa, consentendo a entrambe le parti di allinearsi in modo trasparente sull’effettiva portata delle attività. La collaborazione in questa fase cruciale limita il rischio di incomprensioni o disconnessioni nell’ambito contrattuale e rispecchia il principio di lealtà volto a minimizzare i costi e i rischi complessivi della partnership.
Nonostante tali misure preventive, in contratti complessi è inevitabile che si manifestino variazioni di ambito (scope creep). Per questo motivo è fondamentale stabilire preventivamente un processo condiviso per la gestione di queste situazioni. È importante distinguere tra ciò che poteva ragionevolmente essere scoperto prima della firma e le esigenze sopravvenute in corso d’opera. Nel primo caso, secondo il principio di lealtà, il rischio deve essere assunto da chi poteva individuare tale ambito sconosciuto con il minor costo, prevedendo quindi un tempo adeguato per la verifica. Quanto alle variazioni imprevedibili, la soluzione dipende dalle specifiche circostanze: il principio di equità suggerisce che chi assume il rischio debba ricevere una compensazione proporzionata sotto forma di premio di rischio o sconto di prezzo, mantenendo così l’equilibrio nella relazione contrattuale.
La gestione della responsabilità civile nei contratti segue spesso una logica di trasferimento del rischio tramite clausole di limitazione di responsabilità, dove il committente tende a richiedere un tetto molto elevato o illimitato per proteggersi da eventuali danni. Tuttavia, sotto una lente relazionale, la domanda diventa come collaborare per minimizzare il rischio complessivo della partnership. Ciò implica un impegno congiunto nell’identificare e mitigare i rischi durante tutte le fasi contrattuali, attribuendo la responsabilità a chi è in posizione migliore per gestirli. Quando si verifica un danno, il principio di lealtà orienta l’allocazione del rischio verso chi ha la polizza assicurativa più economica e adeguata, mentre per i rischi non assicurabili si applica nuovamente l’equità, prevedendo una remunerazione proporzionata.
Le clausole di recesso per convenienza rappresentano un elemento critico nei contratti a lungo termine, poiché le condizioni e le strategie aziendali possono mutare dopo la stipula. Se da un lato il committente desidera flessibilità, dall’altro il fornitore richiede tutele per gli investimenti effettuati. È possibile conciliare queste esigenze solo attraverso una formulazione della clausola che rispetti i principi guida della relazione contrattuale. Un recesso senza compensazione viola il principio di equità e può configurare un abuso del potere contrattuale contrario al principio di autonomia. Una soluzione più equilibrata è prevedere clausole di recesso giustificato, con motivazioni trasparenti e tempi adeguati per disimpegnarsi, conformi ai principi di reciprocità e lealtà. Tali clausole devono contemplare diritti bilaterali e prevedere un periodo di “off-ramp” che consenta un’uscita ordinata e supportata da entrambe le parti.
Oltre a quanto esposto, è fondamentale che i contratti includano meccanismi di governance continua, capaci di adattare la gestione dei rischi e dell’ambito alle evoluzioni del contesto operativo. La collaborazione, la trasparenza e il rispetto dei principi di lealtà, equità e reciprocità non sono solo strumenti contrattuali ma devono essere vissuti come valori fondanti di una partnership efficace e sostenibile nel tempo.
Una comprensione approfondita di queste dinamiche consente al lettore di riconoscere come i contratti moderni, specialmente in ambito outsourcing, si distacchino dalla mera negoziazione di clausole rigide per avvicinarsi a modelli di relazione dinamica e cooperativa, dove il successo dipende dalla capacità di gestire insieme le incertezze e le complessità emergenti. Questa prospettiva impone anche una riflessione sulla preparazione delle organizzazioni a impegnarsi in dialoghi trasparenti e strutturati, in cui il valore non risiede solo nel prezzo ma nella qualità del rischio condiviso e nella solidità della collaborazione.
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