Nel periodo in cui sono stato associato al TIFR (Tata Institute of Fundamental Research), una delle principali speranze di Homi Bhabha era che molti dei membri del nostro istituto, dopo aver completato i loro studi o ricerche, avrebbero avuto l’opportunità di entrare nelle università indiane e contribuire al miglioramento degli standard accademici. Sperava che questi ricercatori potessero assumere posizioni di professori senior e, in tal modo, risollevare il sistema universitario del paese. Tuttavia, queste aspettative furono realizzate solo in parte. Pur non mancando collaborazioni con università estere negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone, era molto difficile persuadere i membri del nostro staff a lasciare la loro posizione di lettore o ricercatore per accettare una cattedra universitaria.

Questa difficoltà aveva radici nella continua decadenza del sistema universitario indiano. Le università, incluse le più prestigiose come la Banaras Hindu University (B.H.U.), erano diventate luoghi di grande instabilità politica, dove il casteismo e l’indisciplina studentesca dominavano l’ambiente accademico. La gloriosa visione del B.H.U., come "la capitale di tutte le conoscenze" nelle parole del suo inno, sembrava ormai un ricordo lontano e privo di significato. Il sistema di reclutamento delle università, che privilegiava l'assunzione dei "figli della terra", impediva a ricercatori esterni, anche altamente qualificati, di accedere a posizioni di prestigio. La conseguenza di questo malessere era che, sebbene molti membri del TIFR andassero all’estero per collaborazioni di ricerca, pochissimi riuscivano a fare il passaggio definitivo a una università indiana.

In una tragica ironia, il movimento che Bhabha aveva sperato di vedere accadere, ovvero l’assunzione di ricercatori internazionali nelle università indiane, si è verificato nel verso opposto. Gli accademici di valore, scoprendo che il loro lavoro non poteva prosperare all’interno delle università, finirono per trovare posizioni più adatte in istituti di ricerca autonomi come il TIFR. Questo fenomeno ha contribuito a ridurre ulteriormente la qualità dell'istruzione nelle università indiane, trasformandole in luoghi di mediocrità.

Durante gli anni '60, mentre tornavo periodicamente in India, avevo notato questo declino che iniziava già negli ultimi anni '50, ma che divenne evidente e costante durante il decennio successivo. Le università indiane stavano subendo una vera e propria disgregazione accademica. Ho cercato di incoraggiare gli accademici promettenti delle università a venire al TIFR per scambi di ricerca, ma queste erano iniziative isolate che non riuscivano a cambiare la tendenza complessiva. Nonostante i miei tentativi di interagire con il mondo universitario, ho capito che sarebbe stato impossibile avere un impatto significativo finché non avessi trovato un modo per intervenire in modo più diretto e strutturato.

Nel 1972, quando mi unii al TIFR, una delle prime cose che feci fu quella di continuare le mie collaborazioni con l'estero, in particolare con il professor Fred Hoyle, un celebre astrofisico che avevo incontrato a Cambridge. Durante una delle mie visite all'estero, nel 1973, partecipai alla 13ª Conferenza Internazionale sui Raggi Cosmici a Denver, ma il mio vero obiettivo era fare una sosta nel Regno Unito per incontrare Hoyle e continuare i nostri lavori di ricerca. Fred, sebbene non fosse più a capo di un istituto, aveva ancora una forte influenza e riuscì a ottenere un finanziamento per il mio soggiorno in Inghilterra, durante il quale ebbi l'opportunità di visitare il Jodrell Bank Observatory, un centro di ricerca astrofisica di fama internazionale.

Questa esperienza mi permise di rafforzare ulteriormente le collaborazioni internazionali, ma fu anche un incontro con la triste realtà delle difficoltà amministrative e burocratiche che spesso accompagnano i viaggi all’estero, come il caso della mia partenza dall’India, quando, durante il controllo doganale, fui costretto a firmare un’ulteriore dichiarazione a causa della mia breve permanenza precedente all’estero. Questo episodio, apparentemente marginale, simboleggia le difficoltà che anche i ricercatori, impegnati nel miglioramento delle scienze, si trovano ad affrontare in un sistema che spesso non supporta adeguatamente la mobilità internazionale.

Mentre i miei viaggi all'estero, tra cui le visite alla famiglia Devadas negli Stati Uniti e al Jodrell Bank, mi permisero di ampliare la mia visione scientifica e di interagire con i migliori ricercatori internazionali, la consapevolezza che il sistema accademico indiano stava lentamente crollando divenne sempre più evidente. La questione fondamentale non era solo la difficoltà di trovare posizioni di professore di alto livello, ma il fatto che il sistema stesso stava perdendo la sua capacità di attrarre e trattenere talenti, siano essi locali o internazionali.

In un contesto simile, l’importanza di collaborazioni internazionali diventa cruciale. La scienza, come ogni altro campo, prospera attraverso lo scambio e la sinergia tra idee e culture diverse. Tuttavia, questo richiede un ambiente favorevole alla ricerca, che spesso manca nelle università indiane, ormai soffocate dalla politica interna e dalla crescente mediocrità accademica. La sfida, quindi, non è solo quella di esportare talenti all'estero, ma anche di creare le condizioni per attrarre competenze dall’esterno, riportando le università a essere luoghi vivaci di ricerca e innovazione.

Qual è la differenza tra l'educazione di ieri e quella di oggi?

I miei ricordi più lontani d’infanzia sono legati a momenti semplici e affettuosi, come le gite in barca sul Gange o i viaggi a Ramnagar, dove ho visto per la prima volta il Maharaja di Banaras in una processione su un elefante. La mia infanzia è stata immersa in un’atmosfera di festività e cerimonie, ma anche di esperienze quotidiane che hanno lasciato un’impronta profonda nella mia memoria. Uno dei momenti più significativi della mia giovinezza è stato il mio ingresso alla scuola primaria, che ricordo ancora come se fosse ieri.

Nel 1943, all’età di cinque anni, fui iscritto alla scuola dell’università. Era una scuola piccola, frequentata dai figli del personale accademico e dei dipendenti. Il suo clima era tranquillo e informale, molto lontano dalla frenesia delle scuole odierne. Ogni bambino sedeva su un tappeto con un piccolo tavolino chiamato ‘chowki’, e la maestra, una donna gentile che chiamavamo "Bahanji", si occupava di noi con grande dedizione. Ricordo ancora il mio primo giorno, quando, dopo l’addio dei miei genitori, mi trovai da solo. La solitudine che provai fu presto alleviata dall’approccio affettuoso della maestra, che riuscì a coinvolgermi in attività creative, facendo sì che l’ambiente scolastico divenisse presto familiare.

Il mio ingresso alla scuola fu caratterizzato da un'atmosfera di tranquillità che oggi sarebbe difficile immaginare. Non c’erano le pressioni e le ansie legate all’ammissione scolastica che oggi i genitori devono affrontare. Le scuole erano più piccole, con meno studenti per classe, e l'ingresso non era una corsa ad ostacoli. Oggi, al contrario, la competizione per un posto nelle scuole è feroce. I genitori devono passare attraverso una serie di ostacoli: formulari da compilare, colloqui con la direzione scolastica e, in alcuni casi, enormi donazioni per garantire l'ammissione. L’esperienza di molti bambini, quindi, non è più quella di un’entrata serena nell’ambito scolastico, ma una vera e propria “corsa al successo” in un sistema educativo sempre più caotico.

Le scuole odierne sono molto più grandi rispetto a quelle di allora. Oggi, in una classe si trovano più di 60 bambini, e le scuole ospitano spesso migliaia di studenti. L’aumento della popolazione e la crescente domanda di educazione hanno portato alla creazione di scuole sovraffollate, dove non sempre gli insegnanti riescono a dare a ciascun bambino l’attenzione di cui avrebbe bisogno. Le scuole sono organizzate in turni, con orari che spesso costringono i bambini a viaggiare per lunghe distanze per arrivare in classe, rendendo difficile anche solo la gestione del tempo. Il tempo di viaggio, una volta ridotto a pochi minuti a piedi, è ora una sfida quotidiana che i bambini devono affrontare, insieme a pesanti zaini, un altro fardello che noi, una volta, non conoscevamo.

La differenza tra le esperienze scolastiche di allora e quelle di oggi non si limita solo alla struttura scolastica e alla logistica. C’è anche la pressione psicologica che oggi i bambini sono costretti a subire. L’idea che il successo scolastico dipenda non solo dall’impegno individuale, ma dall’ausilio di lezioni private, è ormai un pensiero consolidato nella mentalità dei genitori. Il sistema educativo moderno, con classi troppo numerose e un programma sovraccarico, ha generato un mercato fiorente di tutoraggi privati. Molti bambini oggi non hanno il tempo di sviluppare la propria autonomia di studio, costretti com’è a ripetere le lezioni impartite dai docenti durante ore supplementari.

Io, invece, ero libero da questo tipo di pressioni. La scuola che frequentavo aveva una popolazione ridotta, con meno di 350 studenti, e non era mai necessario ricorrere a lezioni private. I miei genitori, sebbene avessero in passato organizzato qualche ora di ripetizioni per aiutarmi a recuperare il materiale perso durante un anno scolastico, non sentivano il bisogno di affrettarmi verso un successo preconfezionato. La scuola era un luogo di apprendimento genuino, dove ognuno si sviluppava seguendo i propri ritmi.

Con il passare del tempo, mi resi conto che la serenità della mia esperienza scolastica era un privilegio, e che molti bambini di oggi non possono godere di una simile tranquillità. La competizione è diventata un tema centrale della vita scolastica, e la corsa all’ammissione nelle scuole è solo il primo passo in un cammino di sfide che non sembra finire mai.

Nonostante questi cambiamenti, è importante ricordare che l’essenza dell’educazione non è mai cambiata. La scuola non deve essere solo un luogo dove si apprendono nozioni, ma un ambiente che stimola la curiosità, la creatività e la crescita personale. La pressione sociale e accademica di oggi potrebbe sembrare un ostacolo insormontabile, ma la vera forza di un sistema educativo sta nella capacità di ogni individuo di svilupparsi senza la costante paura di non essere abbastanza.

Qual è il ruolo della gravità nelle scoperte scientifiche: il punto di vista di un astronomo

Mi trovavo alla stazione ad aspettare il mio incontro con lui, Chandra, che mi avrebbe accompagnato al prestigioso Osservatorio Yerkes. Lì, mi mostrò i telescopi, la biblioteca e anche il suo ufficio, da dove gestiva il lavoro editoriale per l' Astrophysical Journal. Dopo un breve giro, ci dirigemmo verso un ristorante per il pranzo. Chandra, vegetariano, si trovò limitato nelle scelte, mentre io mi accontentai di un classico pranzo americano, con un panino. Durante il pranzo, mi parlò della sua avversione nei confronti di alcuni stati del sud degli Stati Uniti, dove la discriminazione razziale era ancora un problema, motivo per cui non aveva partecipato al convegno di Dallas.

Dopo aver mangiato, il mio compito era quello di presentare i punti salienti di una recente conferenza a Texas. Chandra non era presente a Dallas, ma il suo consiglio di essere preparato a qualsiasi critica durante il mio intervento mi fece riflettere. Mi raccontò un episodio in cui aveva interrotto senza pietà un intervento di Ray Lyttleton, con il quale aveva lavorato, accusandolo di presentare risultati incomprensibili. Ray, esasperato dalle interruzioni, aveva risposto sarcasticamente: "Chandra, un elefante potrebbe calpestare una mosca e dire che non capisce come ci sia arrivata".

Al mio turno, Chandra non mancò di alzare la mano, obiettando alcune delle cose che stavo presentando, ma non per le mie idee, quanto per quelle che stavo riportando da altri. In particolare, ricordo che stavo discutendo le teorie di Willy Fowler riguardo l'energia gravitazionale di una stella massiccia come indicatore della sua instabilità. Chandra reagì immediatamente, sottolineando che non si poteva basare una teoria sulla sola energia gravitazionale e che occorreva fare un'analisi matematica delle perturbazioni nel sistema per trarre conclusioni più precise. Questa discussione, che all'inizio sembrava una semplice obiezione, portò poi Chandra a fare i calcoli e pubblicare un importante articolo sulle sue conclusioni.

La serata proseguì in modo più rilassato, con una cena in compagnia di sua moglie, Lalitha. Quando mi accompagnò alla stazione per il mio treno, la puntualità di Chandra mi impressionò, arrivando pochi minuti prima che il treno giungesse alla piccola stazione. Il giorno dopo, partii per Londra, ma il volo venne deviato a Manchester a causa della fitta nebbia londinese. Dopo un'attesa di alcune ore, arrivai finalmente a Londra e poi a Cambridge. Era il gennaio del 1964 e, solo un anno prima, mi trovavo a combattere per ottenere il mio dottorato, mentre ora avevo vinto una borsa di studio al King's College e avevo partecipato a due importanti conferenze negli Stati Uniti, ampliando la mia visibilità nel mondo scientifico.

Essere diventato un "don" a Cambridge, con la possibilità di svolgere ricerche in un ambiente stimolante, mi aveva fatto riflettere sul mio futuro. Nonostante le attrattive offerte da università negli Stati Uniti, come Caltech e Cornell, dove Fred Hoyle stava cercando opportunità per me e per altri membri del suo gruppo, la mia preferenza per lo stile di vita europeo, specialmente a Cambridge, rimaneva forte. Le opportunità accademiche in Inghilterra sembravano garantirmi un ambiente più tranquillo e favorevole per la mia ricerca.

Il mio legame con Cambridge cresceva. Frequentavo i teatri, come l'Arts Theatre, insieme a Morgan Forster, e condividevo cene e discussioni con amici e colleghi. Le cene settimanali a Fitzwilliam College, dove ricoprivo ancora il ruolo di Direttore degli Studi in Matematica, erano un'importante occasione per rimanere in contatto con il mio passato accademico. Inoltre, le relazioni con altre figure influenti della città, come il mio medico di famiglia, il dottor Apthorpe Webb, erano fonte di sostegno e amicizia.

Nel frattempo, sul fronte scientifico, il mio lavoro aveva preso una piega interessante. I tre articoli che avevo scritto durante il mio soggiorno ad Ames, Iowa, furono finalizzati e inviati alla Royal Society, dove furono accettati e presentati in una sessione del 1964. Fu un evento importante, alla quale parteciparono numerosi scienziati di rilievo, tra cui Abdus Salam, Hermann Bondi, e Ray Lyttleton, e anche amici e conoscenti non scienziati, come Arun Mahajani. Fu l'occasione per discutere e fare rete con altri esperti, consolidando il mio posto nella comunità scientifica internazionale.

Oltre alla comprensione della gravità come forza fondamentale, l'incontro con Chandra e le sue critiche costruttive mi fecero riflettere su un aspetto cruciale della scienza: l'importanza della revisione critica e della ricerca continua. Le obiezioni di Chandra non erano mai un attacco personale, ma piuttosto una sfida intellettuale che spingeva a rivedere i risultati e a migliorare il proprio lavoro. Questo approccio, tipico di un grande scienziato, evidenziava un punto fondamentale: la scienza non è mai conclusa, ma è un processo continuo di confronto, verifica e rielaborazione delle idee.

Soprattutto, è importante ricordare che il lavoro scientifico non avviene in un vuoto. Il successo nella ricerca dipende anche dall'ambiente in cui si lavora, dalle persone con cui si interagisce e dalle opportunità che si creano. La continua ricerca di ambienti accademici stimolanti e la capacità di adattarsi alle nuove sfide scientifiche sono aspetti fondamentali per chi aspira a una carriera di successo nella scienza. A Cambridge, io avevo trovato il mio posto ideale, ma il confronto con altre realtà accademiche internazionali aveva ampliato le mie prospettive e mi aveva dato la motivazione per andare oltre, sia nella mia ricerca che nella mia carriera accademica.