La pratica basata sui valori (VBP, dall'inglese Values-Based Practice) rappresenta un approccio fondamentale nella gestione delle decisioni in contesti sanitari e sociosanitari, dove i valori dei professionisti, dei pazienti e dei membri del team multidisciplinare entrano in gioco in modo complesso e spesso conflittuale. VBP, infatti, si propone come un'opportunità per affrontare la diversità dei valori all'interno delle pratiche quotidiane, promuovendo una comprensione più profonda delle decisioni condivise.

Il concetto di VBP nasce nell'ambito della salute mentale, quando, con il Professor Bill Fulford, fu sviluppato il progetto delle "Dieci Competenze Fondamentali Condivise", un framework per la formazione del personale sanitario (Department of Health, 2004). Il legame tra valori e comportamenti è al cuore di questa pratica. Ogni decisione, ogni scelta clinica e ogni interazione con i pazienti e tra i professionisti sono influenzate dalle convinzioni di ciascuno. Questo non significa che le decisioni possano essere sempre condivise in maniera unanime, ma che, comprendendo e confrontando i valori in gioco, è possibile giungere a un consenso più consapevole e arricchente.

La pratica basata sui valori non è un concetto isolato, ma si integra con la pratica basata sull'evidenza (EBP), che si concentra sull'utilizzo delle migliori prove scientifiche disponibili. Tuttavia, non è possibile parlare di evidenza senza considerare il contesto dei valori, poiché l'evidenza stessa non è neutra. Questo diventa particolarmente evidente nell'era dell'intelligenza artificiale, dove la medicina e l'evidenza non possono essere scisse dalle implicazioni etiche e dai valori individuali e collettivi che emergono nei contesti di cura.

In ogni decisione condivisa, i valori sono sempre presenti, e la consapevolezza di questa diversità è essenziale. Non solo i pazienti, ma anche i professionisti della salute operano all'interno di un sistema di valori che può essere diverso a seconda delle esperienze, della formazione e delle credenze. Questo porta alla necessità di riconoscere che le divergenze non sono anomalie da correggere, ma componenti intrinseche della pratica. Per questo motivo, non si deve mai assumere che ci sia una totale condivisione di pensiero tra i membri di un team, anche quando il linguaggio utilizzato appare simile. Parole come "compassione" o "cura" possono avere significati profondamente differenti da un individuo all'altro, nonostante vengano usate con intenzioni comuni. La VBP, quindi, insegna ad affrontare questa diversità piuttosto che negarla.

Lo sviluppo della pratica basata sui valori si concentra anche sulla competenza del professionista nel navigare attraverso conflitti di valori, promuovendo decisioni che, pur non essendo sempre perfettamente condivise, siano ben argomentate e comprendano il rispetto reciproco. Un aspetto fondamentale di questo approccio è la promozione di una cultura del dialogo, dove i valori vengono esplicitamente discussi all'interno dei team e tra i pazienti e i loro familiari. Questo non solo rende le decisioni più trasparenti, ma favorisce anche un clima di fiducia che è cruciale per la qualità del servizio.

Il VBP si concretizza attraverso quattro competenze chiave che i professionisti devono sviluppare: consapevolezza, conoscenza, ragionamento e capacità di gestire il dissenso. La consapevolezza riguarda il riconoscimento delle diversità di valori, mentre la conoscenza implica una comprensione approfondita delle fonti da cui derivano questi valori. Il ragionamento aiuta a esplorare come questi valori influenzano le decisioni, utilizzando i quadri etici e i codici professionali come guide. Infine, la gestione del dissenso è cruciale quando un consenso non può essere raggiunto: non bisogna temere il disaccordo, ma saperlo gestire in modo costruttivo.

Un altro punto di rilievo riguarda l'integrazione dei dati e della tecnologia nella medicina futura. L'uso crescente di dispositivi indossabili, intelligenza artificiale e altri strumenti tecnologici ha reso necessaria una sintesi profonda di tutte le informazioni disponibili. Il concetto di "medicina profonda", come viene definito nel contesto della pratica basata sui valori, implica l'uso di una vasta gamma di dati provenienti da diverse fonti – dai dati clinici ai biosensori, dalla genomica alla medicina di precisione – per arrivare a una comprensione olistica del paziente. Ciò che emerge da questa fusione di dati è la necessità di un approccio ancora più centrato sul paziente, che sappia tenere conto non solo delle evidenze scientifiche, ma anche dei valori e delle preferenze personali.

In sintesi, la pratica basata sui valori è essenziale per il benessere sia del paziente che del professionista. Essa non solo aiuta a prendere decisioni migliori e più etiche, ma promuove anche una cultura della comprensione reciproca e del rispetto, dove la diversità non è vista come un ostacolo, ma come una risorsa. I professionisti della salute devono imparare a navigare tra valori personali e professionali, a riconoscere la loro influenza sulle decisioni e a gestire le differenze in modo costruttivo. Solo in questo modo la pratica sanitaria potrà evolversi verso un futuro che non solo sia basato sull'evidenza, ma anche sui valori condivisi e rispettati.

Qual è il ruolo della compassione nell'insegnamento e nella pratica professionale?

La compassione, sia come valore personale che professionale, è un elemento fondamentale nella formazione dei futuri professionisti della salute, in particolare per coloro che operano in ambienti altamente stressanti come gli ospedali e le strutture sanitarie. La sua importanza non è soltanto legata alla qualità dell'assistenza, ma anche alla capacità di sostenere i pazienti in momenti di vulnerabilità. Numerosi studi dimostrano che l'insegnamento della compassione nelle scuole di formazione infermieristica può non solo migliorare l'esperienza del paziente, ma anche rafforzare il benessere dei professionisti stessi, prevenendo il burnout e migliorando la soddisfazione lavorativa.

Il concetto di compassione si intreccia con altre virtù professionali come il coraggio e la saggezza pratica, ed è cruciale nel contesto dell'assistenza sanitaria. In uno studio condotto da Attree (2001), è stato evidenziato che le esperienze dei pazienti e dei familiari con l'assistenza sanitaria sono fortemente influenzate dalla presenza o meno di un atteggiamento compassionevole. Le persone che ricevono cure da professionisti empatici e compassionevoli tendono a percepire una qualità superiore nelle loro cure, il che, a sua volta, influisce sulla loro ripresa e sulla loro salute mentale.

Sebbene la compassione venga spesso definita come un atto di sensibilità e comprensione nei confronti della sofferenza degli altri, essa può anche essere insegnata e sviluppata come una competenza. L'intervento formativo può assumere molteplici forme, tra cui la meditazione di consapevolezza (mindfulness), la riflessione sul significato delle proprie azioni professionali e l'adozione di approcci etici nella pratica quotidiana. L'approccio di mindfulness, come dimostrato da Albertson et al. (2015), ha effetti positivi sulle donne in relazione alla disistima corporea, ma questi principi possono essere applicati anche alla cura dei pazienti. I professionisti che praticano la mindfulness riescono a mantenere una visione più chiara delle necessità dei loro pazienti, affrontando con maggiore serenità le sfide quotidiane.

Un altro aspetto fondamentale del processo di formazione alla compassione è legato alla comprensione del coraggio morale, che è essenziale per garantire l'adozione di comportamenti compassionevoli anche quando le circostanze sono difficili. In situazioni in cui gli interessi del paziente potrebbero entrare in conflitto con le politiche sanitarie o con altre norme organizzative, il coraggio morale diventa la chiave per difendere ciò che è giusto per il benessere del paziente. Secondo la ricerca di Lindh et al. (2010), il coraggio morale è intrinsecamente legato alla competenza etica del professionista, che è chiamato a prendere decisioni difficili, pur mantenendo sempre il rispetto per la dignità umana.

L'insegnamento della compassione nelle scuole di infermieristica può anche affrontare la necessità di migliorare le competenze emotive degli studenti, preparandoli a gestire non solo le difficoltà tecniche del lavoro, ma anche le sue sfide emotive. Secondo Durkin et al. (2022), la formazione online sulla compassione ha dimostrato di essere efficace nel migliorare le capacità empatiche degli studenti infermieri, suggerendo che l'integrazione di tecniche di sviluppo emotivo e compassionevole all'interno del curriculum accademico può avere un impatto duraturo sulle pratiche professionali future.

Inoltre, uno degli aspetti chiave dell'insegnamento della compassione riguarda la gestione del trauma vicariante. La formazione alla compassione non solo aiuta a sviluppare l'empatia nei confronti dei pazienti, ma anche a proteggere i professionisti dal rischio di traumi emotivi derivanti dall'esposizione costante alla sofferenza altrui. La ricerca di Hollins-Martin et al. (2021) ha mostrato che l'insegnamento della "Compassionate Mind Training" è particolarmente utile per i professionisti sanitari che affrontano situazioni traumatiche durante la loro pratica.

Anche la neuroscienza ha contribuito alla comprensione della compassione, identificando segnali fisiologici e comportamentali che possono essere legati a risposte compassionevoli. Kim et al. (2020) hanno analizzato i marker neurofisiologici e comportamentali della compassione, suggerendo che la capacità di provare e agire compassionevolmente potrebbe essere influenzata da determinati fattori biologici. Questo apre nuovi orizzonti per la formazione dei professionisti, che potrebbero beneficiare di tecniche che stimolano i circuiti neurali associati alla compassione.

Un ulteriore aspetto che merita attenzione è la relazione tra compassione e saggezza pratica. Secondo Conroy et al. (2021), l'uso della "phronesis", o saggezza pratica, è fondamentale per prendere decisioni etiche complesse, soprattutto quando le situazioni coinvolgono conflitti tra valori contrastanti. La saggezza pratica permette di bilanciare gli imperativi morali con le necessità contingenti della pratica clinica, facendo della compassione una virtù dinamica e contestualizzata.

Infine, è cruciale sottolineare che la compassione non è solo un tratto individuale, ma una cultura che può essere coltivata all'interno delle istituzioni sanitarie. La leadership compassionevole, come discusso da Ali e Terry (2017), gioca un ruolo essenziale nel creare un ambiente di lavoro che promuove la cura reciproca tra professionisti, oltre che nei confronti dei pazienti. Le politiche organizzative che incentivano comportamenti compassionevoli non solo migliorano la qualità delle cure, ma favoriscono anche la creazione di ambienti di lavoro più sani e meno stressanti.

La Scienza della Compassione: Un Legame Biologico e Sociale

La motivazione a prendersi cura è un tratto fondamentale della nostra natura, che sostiene la coesione familiare ma, allo stesso tempo, è cruciale per sviluppare legami sociali che vadano oltre la famiglia. Il prendersi cura, sia nel dare che nel ricevere, è un fattore importante nell'attrazione, nell'affiliazione e nella selezione del partner. Siamo animali sociali, orientati al gruppo, e, come tali, siamo sensibili ai bisogni degli altri. Questa sensibilità e preoccupazione per il benessere di noi stessi e degli altri non si allineano semplicemente con le professioni di cura, ma rappresentano un segno distintivo della nostra evoluzione biologica. Le prove storiche e archeologiche abbondano, suggerendo che gli esseri umani sono da sempre predisposti al prendersi cura degli altri, non solo nel fornire aiuto, ma anche nel contribuire al recupero fisico significativo (Tilley e Oxenham, 2011; Simpkins et al., 2018).

Questo comportamento di cura aiuta a identificare uno dei principali costrutti psicologici alla base degli atti compassionevoli: la motivazione. Senza la motivazione a prendersi cura degli altri (o di noi stessi), è difficile intraprendere azioni compassionevoli. Per questo motivo, l'ansia e la depressione sono disturbi così debilitanti: un deficit motivazionale è presente in molti altri disturbi psicologici. La motivazione a prendersi cura di sé, a cercare aiuto e ad accettarlo è fondamentale. Quando la motivazione si altera (come accade nella depressione), gli effetti possono essere profondi. Il prendersi cura degli altri richiede una motivazione a notare, ascoltare e osservare. Questo aspetto della motivazione verrà esplorato più a fondo nei capitoli successivi, poiché rappresenta un elemento cruciale nella comprensione del nostro essere compassionevoli e nella nostra preoccupazione per gli altri.

Uno degli aspetti più difficili della compassione è la necessità di tollerare il dolore. Il nostro mondo, le nostre vite e quelle degli altri sono raramente, se non mai, "come dovrebbero essere". A volte, le nostre vite sono segnate da un dolore significativo, e vediamo la sofferenza negli altri. Nella cura in generale, e soprattutto in quella professionale, i livelli di tolleranza al dolore degli altri possono essere molto alti. Questo può portare a problemi legati al "burnout", che derivano dalla necessità di tollerare il dolore degli altri. L'interesse per il burnout e per l'infortunio morale, in particolare nelle professioni di cura, è aumentato negli ultimi anni, e questo sarà un tema trattato nei capitoli successivi, che esploreranno il lavoro in team e la leadership.

Il fondamento biologico della compassione è supportato da diverse ricerche. Gli studi sull'empatia, ad esempio, sono stati condotti tramite la risonanza magnetica funzionale (fMRI), e ci sono stati rapporti coerenti che indicano come l'empatia attivi l'insula anteriore (AI) e la corteccia cingolata mediale/anteriore (Lamm et al., 2011; Xiang et al., 2018). Da una prospettiva sanitaria, questo solleva alcune questioni interessanti non solo riguardo l'evoluzione e la compassione, ma anche su come concepiamo la "salute". Gli studenti e i professionisti della salute sono tradizionalmente insegnati utilizzando un modello bio-psico-sociale, ma questa visione risulta indebolita nella pratica, poiché i servizi bio-psico-sociali sono in realtà separati: gli infermieri per adulti imparano solo alcuni aspetti della salute mentale, ma raramente riconoscono il valore di tale conoscenza. D'altro canto, gli infermieri psichiatrici si impegnano a malincuore ad apprendere i sistemi biologici per la stessa ragione. Continuiamo a vivere in un mondo concettuale, espresso da René Descartes, in cui la mente (psicologia) è separata dal corpo, ma la realtà è ben diversa. Una comprensione sommaria della risposta umana allo stress o all'ansia dimostra chiaramente l'interconnessione tra cervello, mente e sistemi fisiologici.

La relazione tra cervello, mente e corpo, così come tra l'ambiente sociale e fisico, è strettamente intrecciata, e un'integrazione attenta di questi sistemi è al cuore della pratica compassionevole nell'assistenza sanitaria. Non è il luogo per una descrizione integrativa dettagliata dei processi evolutivi biologici, ma alcune idee chiave sono spiegate in seguito.

Il cervello umano, come lo conosciamo oggi, è il risultato di un lungo processo evolutivo. Non lo abbiamo scelto, siamo nati con esso. Alcuni dei comportamenti che il cervello "esegue" non sono stati una nostra scelta. Il legame con il sistema limbico, che ha sviluppato un centro emotivo, è più evidente nei mammiferi rispetto ai rettili. Un ulteriore sviluppo, risalente a circa due milioni di anni fa, è la neocorteccia, che supporta attività cerebrali superiori come l'immaginazione, la risoluzione di problemi e altre funzioni cognitive. Le evidenze neuroscientifiche suggeriscono che il cervello non si è evoluto in maniera incrementale, sovrapponendo un sistema su un altro (tronco encefalico, sistema limbico, neocorteccia). Feldman-Barrett (2017) afferma che abbiamo un solo cervello, non tre, e che esso è adattivo, interdipendente e plastico, sviluppato per rispondere ai bisogni interni e monitorare l'ambiente esterno (monitoraggio del rischio), un processo definito "Allostasi" (Schulkin e Sterling, 2019). La questione del monitoraggio del rischio e della sicurezza diventa cruciale quando si riflette sulla compassione. Gli esseri umani rispondono all'ambiente comportandosi in modi che presentano qualità adattive, una considerazione fondamentale quando si cerca di interpretare motivazioni e azioni.

Per essere compassionevoli verso noi stessi e verso gli altri, è necessario sviluppare una comprensione di ciò che guida i comportamenti. Nei capitoli successivi, verrà introdotta la teoria polivagale di Porges (2011) e Porges e Dana (2018), che propone un approccio integrato per comprendere come i sistemi psicologici e fisiologici siano intrecciati.

A proposito della scienza della compassione, è possibile parlare realisticamente di un fondamento scientifico? Sembra un concetto nebuloso, difficile da adattare a una "scienza dura". Tuttavia, esiste ormai una scuola di ricerca rispettata che esplora la compassione e il suo impatto. Un ampio studio condotto da Tania Singer dell'Istituto Max Plank in Germania, il "ReSource Project", ha esaminato l'efficacia dell'addestramento per il benessere, utilizzando la meditazione mindfulness e esercizi mentali compassionevoli per migliorare il controllo psicologico e fisico sulla salute. Gli interventi, che includevano l'insegnamento di competenze prosociali orientate alla compassione, hanno mostrato alterazioni nelle strutture cerebrali, come il cambiamento nelle regioni corticali associate alla compassione.

In definitiva, la compassione non è un concetto astratto, ma una capacità che può essere sviluppata, allenata e integrata nel nostro cervello, con un impatto profondo sul nostro benessere psicologico, fisico e sociale. La ricerca scientifica ci offre quindi nuove prospettive per migliorare le nostre interazioni sociali e la nostra comprensione reciproca.