Nel corso degli ultimi decenni, i servizi sono diventati una componente sempre più rilevante nel commercio della Cina con i suoi partner internazionali. Se nel 1982 il valore del commercio di servizi era pari a soli 4,7 miliardi di dollari statunitensi, nel 2016 questa cifra è arrivata a 695,7 miliardi di dollari, segno di un fenomeno in crescita che non solo riflette l'espansione economica della Cina, ma anche il suo ruolo crescente nell'economia globale. Mentre le aziende americane sono tra le più attive nell'investire nella costruzione di fabbriche e filiali in Cina, l’opinione prevalente tra gli studiosi è che il mercato cinese emergente diventerà presto il mercato mondiale più grande per beni e servizi.
In particolare, le aziende statunitensi sono coinvolte in numerosi investimenti in joint venture con società cinesi o imprese statali, specialmente nel settore automobilistico. Ford e General Motors, per esempio, hanno collaborato con le case automobilistiche statali cinesi per produrre veicoli con il marchio americano. Dopo l'industrializzazione della Cina, il paese ha visto una trasformazione nelle sue esportazioni e importazioni di beni, passando da essere un produttore di prodotti industriali leggeri, come tessuti e elettrodomestici, a un fornitore globale di tutti i tipi di prodotti industriali. Tra questi, macchinari industriali, apparecchiature elettriche, e beni tecnologici come i prodotti ICT (Information and Communication Technology), che ora costituiscono una parte preponderante delle esportazioni cinesi.
Un esempio emblematico di questa trasformazione è l’assemblaggio degli smartphone, che avviene per lo più in Cina. Molti dei dispositivi elettronici venduti nel mercato mondiale sono prodotti in fabbriche cinesi, e aziende come Apple si affidano a numerose società locali per l’assemblaggio dei propri dispositivi. Questo processo ha implicazioni dirette per il mercato statunitense: infatti, se venissero imposte tariffe più elevate sui beni importati dalla Cina, i consumatori americani potrebbero subire aumenti dei prezzi, poiché i grossisti statunitensi considererebbero le tariffe come un costo aggiuntivo da trasferire al prezzo al dettaglio.
Con la crescita dell'economia cinese, il commercio internazionale è cambiato radicalmente. La Cina è passata dall’essere principalmente un esportatore con importazioni limitate a una figura più bilanciata nel mercato mondiale. La struttura del commercio tra Stati Uniti e Cina è particolarmente significativa, poiché la Cina è diventata il principale partner commerciale degli Stati Uniti e il maggiore esportatore a livello globale. Sebbene la Cina esporti a prezzi relativamente bassi grazie alla sua manodopera economica, essa importa anche un numero crescente di beni, come i circuiti integrati, che provengono dagli Stati Uniti. Questi beni sono cruciali per l'industria elettronica cinese, che dipende in modo significativo dalle forniture provenienti da aziende statunitensi.
In termini di struttura economica interna, il commercio tra le province cinesi e gli Stati Uniti ha rivelato interessanti dinamiche. Ad esempio, molte province cinesi esportano più di quanto importino dagli Stati Uniti, il che suggerisce una maggiore dipendenza del mercato cinese dalle importazioni americane. Questo squilibrio rende la Cina vulnerabile a restrizioni commerciali o sanzioni da parte degli Stati Uniti. Inoltre, diverse province cinesi dipendono in modo significativo dalle esportazioni verso gli Stati Uniti, in particolare quelle che ospitano importanti impianti di assemblaggio, come quelli che producono dispositivi elettronici per marchi internazionali come Dell, Apple e Hewlett-Packard.
Le aziende taiwanesi di produzione a contratto, come Foxconn, hanno investito pesantemente in Cina per l'assemblaggio di laptop, smartphone e altri dispositivi elettronici destinati principalmente ai mercati statunitense e europeo. Foxconn, ad esempio, è il principale esportatore di beni in alcune province cinesi, tra cui Henan, Shanxi e Sichuan. Se le tariffe imposte sui prodotti cinesi dovessero aumentare, molte di queste aziende potrebbero decidere di spostare le loro linee di produzione in altri paesi a basso costo come il Vietnam, la Thailandia, la Malesia o l'India. Tale spostamento avrebbe però un impatto devastante sulle economie locali, in particolare a causa della massiccia disoccupazione che ne deriverebbe, poiché queste imprese sono fortemente dipendenti dal lavoro manuale.
Un tale scenario potrebbe trasformarsi da una crisi economica a una crisi sociale di vasta portata, che colpirebbe non solo le province in cui le fabbriche sono situate, ma anche le regioni da cui provengono i lavoratori. Le conseguenze di questa dislocazione industriale potrebbero mettere a dura prova la stabilità sociale e richiedere l'adozione di politiche di sostegno più incisive da parte del governo cinese.
La crescente interdipendenza economica tra la Cina e gli Stati Uniti sta generando un delicato equilibrio che, sebbene porti vantaggi economici, rende entrambe le economie vulnerabili agli sviluppi politici e alle decisioni commerciali dei rispettivi governi. La Cina, sebbene abbia sviluppato una capacità produttiva straordinaria e abbia diversificato le sue esportazioni, continua a dipendere in modo significativo dalle forniture tecnologiche e dai mercati di consumo americani.
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La Geografia dell'Elezione Presidenziale Americana del 2016: Come Trump Ha Vinto Grazie alla Distribuzione Geografica dei Voti
Nel contesto delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, un fattore cruciale che influenza i risultati è la distribuzione dei voti popolari attraverso i vari Stati, specialmente in un sistema elettorale come quello del Collegio Elettorale, dove il sistema del "vincitore prende tutto" gioca un ruolo determinante. L’analisi delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti ha rivelato che, per i candidati, non è tanto il numero complessivo di voti popolari a determinare la vittoria, ma la loro distribuzione geografica. La vittoria in Stati chiave e la strategia di “vincere poco, perdere molto” sono elementi cruciali che possono rivelarsi determinanti per l’assegnazione dei voti del Collegio Elettorale.
Nel caso delle elezioni del 2016, Donald Trump ha beneficiato enormemente da questa distribuzione geografica dei voti. Sebbene Hillary Clinton abbia vinto il voto popolare a livello nazionale, Trump ha ottenuto una vittoria netta nel Collegio Elettorale grazie a margini ridotti in Stati decisivi, come la Florida, la Pennsylvania, l'Ohio, il Michigan e il Wisconsin. La distribuzione dei voti in questi Stati chiave, la cosiddetta "Rust Belt", è stata determinante per la sua affermazione. Trump ha infatti vinto con margini risicatissimi, sfruttando il cosiddetto "wasted vote", ovvero quei voti popolari che non contribuiscono direttamente alla vittoria di un candidato, rimanendo inutilizzati nelle circoscrizioni a maggioranza. Questi piccoli margini di vittoria in alcuni Stati hanno permesso a Trump di guadagnare numerosi voti elettorali, mentre Clinton ha visto i suoi sforzi vanificati a causa della distribuzione geografica sfavorevole del suo supporto.
Un'analisi più dettagliata mostra che, sebbene nel 2016 la distribuzione geografica dei voti abbia premiato Trump, nel passato il Partito Democratico aveva goduto di un vantaggio simile. Le elezioni del 1960, 1964 e 1972 hanno visto il Partito Democratico trionfare grazie a una distribuzione favorevole dei voti, accumulando anche 100 voti elettorali in più rispetto agli avversari. Questo stesso fenomeno, seppur in misura minore, si è ripetuto nelle elezioni del 2004, 2008 e 2012, dove il Partito Democratico ha guadagnato tra i 20 e i 30 voti elettorali in più, nonostante alcune componenti del sistema, come la dimensione degli Stati e l'affluenza alle urne, fossero più favorevoli ai Repubblicani. In queste elezioni, i Democratici sono riusciti a prevalere grazie a una distribuzione più uniforme dei voti popolari, riducendo al minimo i "wasted votes" rispetto ai Repubblicani.
Tuttavia, nel 2016, Trump ha potuto contare su una strategia molto mirata: il suo team ha compreso l'importanza di concentrare gli sforzi in alcuni Stati cruciali, dove il margine di vittoria, anche se ridotto, sarebbe stato sufficiente per garantirgli la maggioranza del Collegio Elettorale. Questo approccio è stato decisivo. Trump, infatti, ha ottenuto un numero di voti elettorali significativamente superiore a quello che sarebbe stato possibile solo sulla base del voto popolare. L'attenzione geografica è quindi risultata fondamentale per una vittoria che, in teoria, sembrava improbabile a causa della perdita del voto popolare.
La geografia dell'elezione del 2016 ha evidenziato un altro aspetto cruciale: la polarizzazione del voto, particolarmente evidente nella cosiddetta Rust Belt, dove Trump ha saputo attrarre in gran parte l’elettorato bianco svantaggiato, mentre Clinton ha visto una diminuzione del suo sostegno tra gli elettori afroamericani e coloro che avevano votato per Obama nel 2012 ma che, nel 2016, hanno scelto di astenersi o di votare per Trump. Questo spostamento, seppur minimo, è stato sufficiente per alterare l’esito in diversi Stati determinanti. Allo stesso modo, Trump ha beneficiato di un sistema elettorale che premia chi riesce a vincere con margini ridotti in un numero ristretto di Stati, mentre il perdente vede spesso i suoi voti sprecati in Stati dove la sua vittoria è scontata.
In definitiva, la vittoria di Trump nel 2016 è stata una combinazione di fattori geopolitici e strategici, ma anche di un sistema elettorale che premia la geografia dei voti. La capacità di Trump di ottenere una vittoria nei margini più stretti, mentre Clinton vedeva dilapidarsi il suo supporto in Stati chiave, è la chiave di lettura fondamentale per comprendere come, nonostante la sconfitta nel voto popolare, Trump sia riuscito a trionfare nel Collegio Elettorale. La geografia ha avuto un ruolo determinante e, probabilmente, se Clinton avesse distribuito meglio i suoi voti, i risultati sarebbero stati molto diversi.
È fondamentale comprendere che le elezioni negli Stati Uniti non sono solo una questione di numeri complessivi di voti, ma di come quei voti sono distribuiti. La polarizzazione geografica degli Stati, unita al sistema elettorale del Collegio Elettorale, crea una dinamica in cui anche una minima deviazione in alcune aree strategiche può cambiare il risultato finale. La lezione delle elezioni del 2016 ci insegna che la battaglia politica non si gioca solo sulla base del numero di voti ricevuti, ma soprattutto sulla loro distribuzione nel territorio.
Come Donald Trump ha Conquistato la Casa Bianca: La Rivoluzione Populista del 2016
Il 16 giugno 2015, alla Trump Tower di New York, Donald Trump dichiarò ufficialmente la sua intenzione di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti come repubblicano. In quello che sarebbe stato solo il primo di molti discorsi populisti, Trump annunciò la sua promessa di costruire un grande muro al confine con il Messico e di farlo pagare proprio al governo messicano. "Quando il Messico manda la sua gente, non sta mandando i migliori. Non sta mandando te. Non sta mandando te. Sta mandando persone con molti problemi, e stanno portando quei problemi con loro. Stanno portando droga, stanno portando crimine, sono stupratori, e alcuni, suppongo, sono brave persone" (Stracqualursi 2016). Le sue parole suscitarono forti reazioni, con molti critici che lo accusavano di alimentare il razzismo e la xenofobia. Tuttavia, Trump non si fermò e continuò a utilizzare le sue dichiarazioni controverse come strumento per attirare l'attenzione dei media, i quali, incuriositi dal suo comportamento fuori dagli schemi, gli concessero ampio spazio.
Il 6 agosto 2015, durante il primo dibattito delle primarie repubblicane, Trump guadagnò ulteriore notorietà, non solo per le sue posizioni radicali ma anche per il suo scontro con la giornalista Megyn Kelly, alla quale rispose con un attacco verbale dopo una domanda riguardante il suo trattamento delle donne. Questo episodio mostrò la sua indifferenza alle convenzioni politiche tradizionali e alimentò la sua immagine di outsider. L'influenza dei media, che amavano il suo stile provocatorio, lo portò a dominare le cronache politiche anche al di fuori delle elezioni primarie.
Il 7 dicembre 2015, la sua campagna rilasciò una dichiarazione che sollevò ulteriori polemiche: Trump chiese una "sospensione totale e completa" dell'ingresso di musulmani negli Stati Uniti fino a quando il paese non avesse trovato una soluzione ai problemi legati al terrorismo. La reazione fu immediata e bipartisan. Il senatore repubblicano Lindsey Graham chiese a tutti i candidati di condannare la dichiarazione di Trump, mentre Hillary Clinton la definì "riprovevole, pregiudizievole e divisiva" (Diamond 2015). Questi attacchi, tuttavia, non fecero altro che cementare la posizione di Trump come candidato anti-establishment agli occhi dei suoi sostenitori.
Il 2 febbraio 2016, Trump non vinse il caucus dell'Iowa, ma si classificò sorprendentemente al secondo posto, con un ampio supporto nelle aree rurali. Pochi giorni dopo, il 9 febbraio, trionfò in New Hampshire, segno che gli elettori stavano rifiutando i candidati più tradizionali come Hillary Clinton e Jeb Bush. A partire da quel momento, Trump diventò il principale candidato alla nomination repubblicana, un percorso segnato da una continua lotta con l'establishment del suo stesso partito. La resistenza contro di lui arrivò dal cuore del partito, con figure come George H.W. Bush e Mitt Romney che disertarono la Convenzione Nazionale Repubblicana in segno di protesta. Questo malcontento, tuttavia, alimentò ulteriormente l'appeal di Trump tra i suoi sostenitori, che vedevano in lui una figura in grado di sfidare l'ordine costituito.
Il 26 maggio 2016, Trump ottenne abbastanza delegati per assicurarsi la nomination repubblicana. Nonostante le preoccupazioni per la sua natura impulsiva, alcuni membri del partito speravano che potesse moderare il suo comportamento una volta raggiunto il vertice. Ma non fu così. Con il suo stile diretto e senza compromessi, Trump continuò a sfidare le convenzioni politiche e a mobilitare una base di elettori sempre più fedele.
Nel periodo tra giugno e novembre dello stesso anno, Trump tenne 137 comizi in tutto il paese, raccogliendo un pubblico di circa 600.000 persone (Wikipedia 2019). Questi eventi assomigliavano più a concerti rock che a tradizionali manifestazioni politiche. A volte, i sostenitori indossavano magliette con lo slogan "Lock Her Up" e cappelli MAGA (Make America Great Again). La sua campagna fu mirata principalmente alle aree rurali e suburbane, evitando le grandi città urbane, se possibile. In questo modo, Trump riuscì a raggiungere il suo elettorato di base: bianchi, rurali e poco istruiti.
Nel giorno delle elezioni, Trump vinse la presidenza nonostante avesse perso il voto popolare con un margine di oltre 2,8 milioni di voti (2,09%). Tuttavia, conquistò la vittoria nel Collegio Elettorale, prevalendo sulla rivale democratica Hillary Clinton con un vantaggio di 77 voti elettorali. La sua affermazione di aver ottenuto la "più grande vittoria nel Collegio Elettorale dai tempi di Ronald Reagan" nonostante i numeri in favore di Barack Obama nel 2012 e George H.W. Bush nel 1988, si rivelò essere una delle sue molteplici distorsioni della realtà (Cummings 2017).
Il suo successo elettorale non è stato solo il frutto di una campagna mirata, ma anche di un elettorato sempre più polarizzato. Le mappe dei risultati elettorali mostrano chiaramente un sostegno più marcato nelle aree rurali e lungo la "Rust Belt", così come in stati come Florida e Carolina del Nord. Trump trionfò anche tra gli elettori maschi bianchi, adulti di oltre 40 anni, e quelli senza un diploma universitario, mentre Clinton ottenne il supporto maggioritario tra i votanti non bianchi, le donne, i giovani e coloro che avevano almeno un titolo di studio universitario (CNN 2016). Questo divario demografico riflette una nazione sempre più divisa, con Trump che dominava in molte contee più piccole e periferiche, mentre Clinton prevaleva nelle grandi aree urbane.
Infine, va sottolineato che la vittoria di Trump ha segnato una svolta epocale non solo per la politica americana, ma anche per la percezione del populismo a livello globale. La sua ascesa alla Casa Bianca non fu solo il trionfo di un uomo contro il sistema politico tradizionale, ma anche il sintomo di un malessere profondo tra una vasta fetta della popolazione, che si sentiva trascurata e messa ai margini da un'élite politica sempre più distante dalle esigenze della gente comune. La sua elezione segna la conclusione di un'era e l'inizio di un'altra, dove le tradizionali divisioni politiche vengono sfidate da un nuovo ordine, più volatile e imprevedibile.
La territorialità come strumento di resistenza: Cuba e la politica degli Stati Uniti
La territorialità, in senso materiale e ideologico, è un concetto che va ben oltre la semplice delimitazione geografica dei confini. Si riferisce infatti agli sforzi compiuti dallo Stato per stabilire e mantenere il controllo, non solo su territori fisici ma anche su idee, norme e pratiche che disciplinano la vita sociale, politica ed economica. Nel contesto internazionale, la territorialità si manifesta soprattutto nella creazione e difesa della sovranità tra gli Stati, ed è una forza potente che incide sia sulle dinamiche interne degli Stati, sia sulle loro relazioni reciproche.
Un esempio significativo di come la territorialità sia stata applicata in maniera strategica può essere osservato nella storia delle relazioni tra gli Stati Uniti e Cuba. Nel corso degli ultimi 60 anni, Cuba ha sviluppato una forma di territorialità che le ha permesso non solo di resistere agli sforzi degli Stati Uniti per minarne la stabilità politica, ma anche di creare un consenso interno che ha consolidato il potere del Partito Comunista Cubano (PCC). La strategia degli Stati Uniti, mirante a rovesciare il regime cubano e a minare la sua legittimità, si è scontrata con la resistenza della territorialità cubana che ha resistito a ogni tentativo di deterritorializzazione. Non solo il controllo fisico del territorio da parte dello Stato cubano è stato mantenuto, ma le pratiche politiche e sociali sono state interiorizzate dalla popolazione, creando un consenso diffuso che ha rafforzato l’apparato ideologico e il controllo sociale.
Un altro esempio di territorialità applicata in modo complesso è rappresentato dall’analisi che Nevins (2010) compie riguardo al confine tra gli Stati Uniti e il Messico nel XIX secolo. Qui, la demarcazione del confine non è solo una questione geografica, ma un atto di potere che implica la costruzione di legittimità ideologica, sociale ed economica. La stessa logica si è applicata nella creazione della territorialità cubana, in cui la difesa dei confini fisici è stata accompagnata dalla promozione di un sistema di valori che ha giustificato il dominio e la governabilità del regime cubano.
La territorialità non si limita, quindi, alla delimitazione fisica, ma abbraccia anche la dimensione ideologica. Le politiche di Trump, che hanno cercato di rinforzare l'isolamento di Cuba e la resistenza al cambiamento, sono state un tentativo di smantellare questa territorialità ideologica e sociale, ma senza successo. Cuba ha continuato a mantenere la sua sovranità e il suo ordine interno, nonostante gli sforzi degli Stati Uniti di destabilizzare il regime e far crollare la sua leadership. L’approccio statunitense, basato sull’isolamento e sulla pressione economica e politica, non ha fatto altro che rafforzare la determinazione della leadership cubana, che ha usato la territorialità come strumento di resistenza e di legittimazione.
A partire dal 2013, con l’amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno cambiato rotta nei confronti di Cuba. La decisione di riaprire i canali diplomatici e incoraggiare i contatti tra cittadini dei due paesi ha segnato un cambio di paradigma, passando dalla logica dell'isolamento a quella del coinvolgimento. La riapertura dei viaggi e dei contatti ha suscitato speranze e aspettative tra i cubani, molti dei quali hanno visto in questo cambiamento un’opportunità per migliorare la loro condizione economica e sociale. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo iniziale, la realtà di questi scambi ha evidenziato la persistente incertezza legata alla politica cubana e alla sua relazione con gli Stati Uniti, con molti cubani che rimanevano scettici riguardo alla durata di tali iniziative.
I giovani cubani, come nel caso di Andy, che ha visto nella politica di Obama una possibilità per ampliare i propri orizzonti, erano entusiasti ma anche consapevoli che queste opportunità potrebbero essere cancellate da un cambiamento nelle politiche statunitensi. La speranza per il futuro, quindi, coesisteva con la consapevolezza della vulnerabilità della situazione, che dipendeva non solo dalla stabilità interna di Cuba, ma anche dagli sviluppi internazionali. Le esperienze quotidiane di Andy e Katia, che hanno visto nelle nuove aperture un’opportunità di crescita personale ed economica, evidenziano come la territorialità possa essere vissuta in modo diverso da chi si trova al di là dei confini politici e ideologici, ma che è comunque condizionato dalle dinamiche globali.
L’apertura diplomatica di Obama, pur se accolta positivamente da gran parte della popolazione cubana, ha avuto un impatto limitato sul cambiamento reale della situazione politica e sociale sull’isola. I governi cubani hanno sempre mantenuto un controllo rigoroso sulla narrativa nazionale, sulla gestione delle risorse e sulla protezione della propria territorialità. L’esempio di Cuba dimostra come, nonostante gli sforzi esterni di minare la sovranità di un paese, un sistema di controllo ben radicato può continuare a prosperare, facendo fronte a sfide interne ed esterne.
Inoltre, è importante comprendere che la territorialità, in questo contesto, non è solo un concetto politico o geografico, ma rappresenta una forza che coinvolge la cultura, le relazioni internazionali e la vita quotidiana. Essa definisce il modo in cui le persone si identificano con la loro nazione, con le norme che regolano la loro vita e con le strutture di potere che dominano le loro azioni. La lotta per la territorialità è, quindi, anche una lotta per la definizione dell'identità collettiva e per il controllo del futuro.
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