Nel panorama politico degli Stati Uniti, il 2016 è stato un anno cruciale, segnato dalla crescente polarizzazione e da un'inasprita divisione sociale. Le dinamiche politiche e sociali dell'epoca sono state fortemente influenzate da due temi chiave: il risentimento contro il governo e l'establishment, e la contrapposizione tra città e campagna. Questi temi, come sottolinea Cramer, sono alla base della percezione di alienazione ed ineguaglianza economica che ha caratterizzato la campagna elettorale, influenzando il modo in cui le diverse razze e gruppi sociali hanno vissuto questi cambiamenti.
Cramer afferma che la politica del risentimento si articola in una divisione tra "noi" e "loro", una polarizzazione che diventa pervasiva proprio perché all'interno di queste divisioni si nascondono concetti più profondi di potere, giustizia e distribuzione delle risorse. Le percezioni razziali sono inevitabilmente influenzate dalle differenze regionali, dove differenti gruppi interpretano e vivono in modo diverso le realtà politiche ed economiche. Nella narrazione del risentimento, l'economia e la geolocalizzazione giocano un ruolo fondamentale, con il concetto di "coscienza legata al luogo", un filtro attraverso il quale gli americani interpretano la propria posizione sociale rispetto agli altri.
In questo contesto, la consapevolezza di gruppo ha avuto un impatto significativo, rinvigorendo i conflitti politici tra gruppi sociali. La disillusione economica, combinata con il sentimento di non avere accesso alle risorse a causa di decisioni politiche sistemiche, ha alimentato un ritorno alla politica conservatrice, incentrata sul rifiuto dell'ordine politico attuale. Questo risentimento ha trovato una manifestazione concreta nelle campagne politiche, come quella del 2016, dove la retorica della paura, utilizzata in modo demagogico da Donald Trump, ha colpito nel segno, in particolare tra i lavoratori bianchi delle zone più colpite dalla recessione.
Al contempo, la politica di genere ha assunto un'importanza centrale. Hillary Clinton, con la sua candidatura storica, ha affrontato non solo una sfida politica, ma anche una battaglia contro il pregiudizio di genere. La sua nomina ha messo in luce le difficoltà che una donna affronta nel contesto politico, dove le differenze di genere sono spesso usate per delegittimare la sua credibilità. Donald Trump, attraverso una retorica sessista, ha continuato ad alimentare stereotipi di genere, contestando Clinton per il suo ruolo di donna in politica. Questo tipo di retorica ha avuto un impatto profondo sulle percezioni pubbliche, accentuando la misoginia e cercando di "sminuire" la politica americana, accusandola di essere troppo "femminilizzata".
Il genere, come istituzione sociale, è un concetto che contribuisce a definire il potere, e la politica non fa eccezione. La divisione tra i sessi non solo riflette differenze biologiche, ma conferisce anche potere ai gruppi maschili, perpetuando disuguaglianze strutturali. La politica, storicamente dominata dagli uomini, è profondamente maschile, e questo ha creato l'idea che solo gli uomini siano idonei a ricoprire cariche presidenziali. Le donne in politica, di conseguenza, sono spesso sottoposte a un doppio standard, un trattamento discriminatorio che le pone in una posizione difficile nel cercare di coniugare tratti di femminilità con l'aggressività necessaria per un ruolo pubblico di potere.
L'effetto di questi stereotipi di genere nelle campagne politiche è ampiamente documentato. Le donne, infatti, vengono frequentemente ridotte a semplici oggetti di valutazione riguardo all'aspetto fisico, e la loro identità politica viene trattata come un aspetto secondario rispetto alla loro apparenza o comportamento. Questo fenomeno è descritto come il "doppio vincolo", un meccanismo che pone le donne in una situazione di continua difficoltà, in cui non possono soddisfare tutte le aspettative contemporaneamente senza subire penalizzazioni.
Quando si esamina il ruolo del genere in politica, è essenziale comprendere che non si tratta solo di questioni "femminili", ma di una parte integrante di un paradigma sociale che condiziona tanto gli uomini quanto le donne. La disuguaglianza che deriva dalla differenza di potere tra i sessi non è solo un problema delle donne, ma una questione che tocca tutta la struttura sociale e politica.
Infine, è fondamentale riconoscere che le disparità di genere in politica non riguardano solo le candidate. La percezione della politica come un dominio maschile limita l’accesso e la partecipazione delle donne, creando un ciclo di esclusione che è difficile da spezzare. Il cambiamento richiede non solo l’ingresso delle donne in politica, ma una trasformazione profonda delle strutture di potere che le marginalizzano, affinché possano essere riconosciute come legittime e autorevoli come i loro omologhi maschili.
Qual è l'impatto della percezione di genere nelle elezioni politiche?
Il rapporto tra politica e genere è un tema complesso che si intreccia con le dinamiche sociali e culturali di un paese. Durante le campagne elettorali, le donne che aspirano alla presidenza si trovano a fronteggiare sfide uniche, non solo a causa delle loro posizioni politiche, ma anche per via delle aspettative di genere che condizionano la percezione pubblica e mediatica. In particolare, nel contesto delle elezioni presidenziali americane, il ruolo della donna in politica è stato oggetto di molteplici analisi. Gli studi mostrano che le donne candidate non sono valutate solo in base alle loro idee politiche, ma anche attraverso filtri di genere che possono favorire o ostacolare il loro percorso elettorale.
Una delle principali sfide per le donne in politica è il cosiddetto "doppio legame". Questo concetto descrive la tensione tra le aspettative di comportamento tradizionali, che definiscono la femminilità, e le necessità politiche, che spesso richiedono un'assertività tipicamente associata alla mascolinità. In pratica, le donne che ricoprono ruoli di leadership politica sono costantemente giudicate non solo per la loro competenza, ma anche per la loro capacità di conformarsi a un ideale di femminilità che, nella maggior parte dei casi, non è compatibile con i tratti richiesti a un leader politico.
Il caso più emblematico di questa dinamica è rappresentato dalle elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti, dove Hillary Clinton, nonostante la sua lunga carriera politica e il suo innegabile impegno, è stata spesso rappresentata dai media e dal pubblico attraverso stereotipi di genere. Le sue scelte politiche, le sue dichiarazioni e la sua stessa personalità sono state frequentemente messe in discussione attraverso lenti sessiste, che la etichettavano come "troppo dura" o, al contrario, "troppo emotiva". Questi tratti, distintamente legati alla sua femminilità, sono stati usati per costruire un'immagine di lei che risultava inadatta per la presidenza.
L'importanza di comprendere come le donne siano percepite durante le campagne elettorali va oltre la semplice analisi dei pregiudizi di genere. È essenziale considerare il contesto storico e sociale in cui tali pregiudizi si radicano. Le donne, infatti, sono sempre state escluse dalle posizioni di potere, e il semplice fatto di candidarsi a una carica presidenziale rappresenta una sfida contro le norme di una società che ha tradizionalmente relegato le donne a ruoli di cura e supporto. In questo senso, ogni donna che aspira alla presidenza si trova a dover sfidare un'idea radicata di leadership che è intrinsecamente legata al concetto di mascolinità.
Un altro aspetto cruciale della politica di genere è il modo in cui la copertura mediatica influenza le percezioni dei candidati. Le donne, in particolare, sono sottoposte a una scrutinio maggiore rispetto agli uomini, e la loro immagine pubblica è modellata da critiche che vanno oltre il contenuto politico. Le donne sono spesso descritte per il loro aspetto fisico, per le loro emozioni e per le dinamiche familiari, fattori che raramente influenzano la valutazione di un uomo in politica. Questa disparità nella rappresentazione mediatica può influenzare non solo l'opinione pubblica, ma anche le strategie elettorali delle candidate stesse.
In questo contesto, l'analisi delle reazioni del pubblico ai comportamenti contro-stereotipici delle donne in politica rivela una forma di backlash, ovvero una reazione negativa nei confronti di una donna che non rispetta le aspettative tradizionali di genere. Ad esempio, le donne che esibiscono tratti considerati "mascolini", come l'aggressività politica o la competenza tecnica, rischiano di essere percepite come troppo fredde o inadeguate per ruoli di leadership emotiva e compassionevole. D'altro canto, una donna che si presenta in modo troppo dolce o empatico rischia di essere considerata debole o incapace di gestire la politica in modo efficace.
Per le donne in politica, la percezione di genere diventa quindi un elemento centrale nella costruzione della loro carriera e della loro immagine pubblica. Le barriere psicologiche, sociali e culturali, che limitano l'accesso delle donne ai ruoli di leadership, sono ancora molto forti, e richiedono uno sforzo costante per essere abbattute. Sebbene la presenza di donne in posizioni politiche di rilevo sia aumentata, la loro completa integrazione nel panorama politico globale è ancora lontana.
Quando si osservano le difficoltà di una donna candidata alla presidenza, come nel caso di Hillary Clinton, è fondamentale non solo riconoscere le sfide legate al genere, ma anche comprendere come queste sfide siano interconnesse con altri fattori, come la razza, l'etnia e la classe sociale. Le donne che affrontano la politica devono fare i conti con una varietà di discriminazioni e aspettative che variano a seconda della loro identità sociale e culturale.
In questo contesto, è essenziale non solo analizzare il fenomeno in termini di disparità di genere, ma anche considerare le sfide strutturali che le donne devono affrontare per accedere a posizioni politiche di potere. Le politiche di parità di genere, l'educazione politica delle donne e l'influenza dei movimenti femministi sono elementi che possono contribuire a cambiare questo panorama. Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere che il cambiamento richiede tempo e che la lotta per l'uguaglianza di genere in politica è una battaglia ancora aperta.
Come le emozioni hanno plasmato la politica economica e commerciale negli Stati Uniti durante la campagna del 2016
La campagna elettorale del 2016 negli Stati Uniti ha evidenziato un tema ricorrente che ha influenzato le opinioni politiche riguardo a economia, commercio e globalizzazione: il risentimento. Questo fenomeno, che ha permeato ampiamente la retorica politica, ha avuto un impatto significativo sulla percezione degli elettori, specialmente nel contesto della presidenza di Donald Trump. Sebbene l'economia statunitense avesse mostrato segnali di recupero dopo la crisi finanziaria del 2008, molti elettori percepivano una realtà diversa, alimentata dalle paure riguardanti i salari, l'occupazione, le tasse più alte e le minacce della globalizzazione.
Trump, durante la sua campagna, ha saputo sfruttare queste insicurezze, dipingendo l'America come intrappolata in un ordine globale difettoso che danneggiava la classe lavoratrice, mentre i politici e i burocrati di Washington ne traevano vantaggio. Questo discorso ha alimentato una narrativa anti-globalizzazione, creando un forte contrasto tra l'America "autentica" e un mondo che sfruttava i suoi lavoratori. Le alleanze internazionali e gli accordi commerciali sono stati accusati di rubare posti di lavoro e abbassare i salari. Trump ha attribuito le difficoltà economiche degli Stati Uniti alla globalizzazione, sostenendo che il paese fosse vittima di un sistema globale che favoriva le altre nazioni a discapito degli americani.
Una delle principali accuse di Trump riguardava gli accordi di libero scambio, come il NAFTA (Accordo di libero scambio nordamericano) e il TPP (Partenariato transpacifico), l'accordo commerciale voluto dall'amministrazione Obama che avrebbe ampliato gli accordi di libero scambio con i paesi del Pacifico. Questi trattati sono stati etichettati da Trump come strumenti di "delocalizzazione" dei posti di lavoro ben remunerati, in particolare nell'industria manifatturiera e tecnologica. L'afflusso di immigrati non documentati, disposti a lavorare per salari più bassi, è stato presentato come un ulteriore fattore che ha abbassato i salari e creato una sovrabbondanza di manodopera.
Nel corso della campagna, Trump ha proposto di ritirarsi da questi accordi internazionali per proteggere i posti di lavoro e rilanciare l'industria domestica. La sua retorica, che faceva leva sulle paure e sulla percezione di un'America in declino, ha avuto un impatto emotivo significativo sugli elettori. L'opposizione agli accordi commerciali ha trovato espressione nelle emozioni di paura e disgusto, che sono state cruciali nella formazione dell'atteggiamento degli elettori verso questi temi.
Gli elettori che nutrivano sentimenti di disgusto nei confronti di Hillary Clinton tendevano ad opporsi agli accordi di libero scambio, interpretando la sua candidatura come un prolungamento di politiche globaliste che non avrebbero beneficiato la classe lavoratrice. D'altro canto, coloro che provavano speranza per Trump vedevano nelle sue proposte un'opportunità per migliorare la situazione economica e commerciale del paese. Le emozioni di speranza verso Trump e di paura verso Clinton sono state determinanti nel plasmare le opinioni degli elettori sui temi economici.
Le emozioni giocate da Trump e Clinton, sebbene dirette verso obiettivi opposti, hanno avuto un'influenza simile sulla percezione degli accordi commerciali. La speranza verso Trump e la paura verso Clinton sono state le emozioni principali che hanno modellato la reazione degli elettori riguardo alle politiche economiche. Queste emozioni sono state un riflesso della retorica della campagna, in cui Trump ha promesso di "rimettere l'America al primo posto", portando a casa posti di lavoro e riducendo l'influenza delle potenze straniere.
Le reazioni emotive, come l'odio nei confronti della Clinton e la speranza nei confronti di Trump, sono state radicate in una visione più ampia del paese e del suo posto nel mondo. Queste emozioni non solo riflettevano la retorica della campagna, ma influenzavano anche le percezioni politiche a lungo termine, creando una polarizzazione tra i sostenitori di ciascun candidato.
È importante notare che le emozioni di disgusto verso Clinton, seppur marginalmente significative, sono state un fattore che ha spinto gli elettori a opporsi agli accordi di libero scambio, a causa della percezione che la sua politica commerciale fosse dannosa per gli americani. La reazione di disgusto, che si radicava anche nel suo legame con il passato di NAFTA, ha rafforzato l’idea che Clinton fosse in qualche modo "parte del problema". Mentre Trump ha proposto una visione di protezionismo, i suoi sostenitori vedevano in questo un modo per rimanere fedeli agli interessi nazionali, piuttosto che continuare su una via che ritenevano ormai fallimentare.
Per quanto riguarda le emozioni più generali, la speranza e la paura sono state strumenti potenti nella formazione dell'opinione pubblica. La speranza verso Trump ha offerto una via d'uscita dalle difficoltà economiche, mentre la paura verso Clinton ha contribuito a consolidare l'idea che il suo approccio avrebbe potuto aggravare ulteriormente la situazione. Questo contrasto di emozioni ha reso la campagna del 2016 non solo una battaglia ideologica, ma anche una lotta emotiva tra visioni contrapposte di futuro e di identità nazionale.
L'Emozione e la Politica: Il Ruolo delle Tecnologie Digitali e della Personalizzazione nelle Campagne Elettorali
Le risposte emotive sono esperienze pre-cognitive e, di conseguenza, immediate nella mente degli spettatori o degli ascoltatori. Gli elettori ricordano a lungo come si sono sentiti rispetto alle informazioni ricevute (lo stimolo o il segnale), piuttosto che cosa pensavano delle stesse. Quello che ha reso l'elezione presidenziale del 2016 un cambiamento rispetto alle convenzioni passate è che le strategie della campagna non erano finalizzate a persuadere o informare gli elettori, ma a connettersi emotivamente con loro. Con la crescente polarizzazione e la lealtà partitica, gli elettori erano probabilmente già decisi riguardo al loro candidato, ma la politica era diventata estremamente personale per loro. I candidati e le élite politiche hanno reso i loro appelli diretti agli elettori più intimi, spesso attaccando gli avversari per tratti personali invece che per politiche.
La politica americana è diventata sempre più personale con l'intensificarsi delle campagne centrato sul candidato. Gli elettori sono ora più concentrati nel valutare i tratti personali di un candidato, indipendentemente dall'affiliazione partitica, e naturalmente, accoppiati alle questioni della campagna. Nonostante un'apparente attenzione crescente sui candidati e le loro personalità, il comportamento degli elettori rimane comunque coerente nel tempo, indipendentemente da chi sia al comando. La maggiore accessibilità delle tecnologie dei social media, come Facebook, Twitter e Instagram, negli ultimi venti anni, ha affinato i modi in cui i cittadini si relazionano con i candidati e gli eletti. Queste tecnologie personali sono altamente personalizzabili e gli utenti possono selezionare i contenuti che preferiscono. I candidati e gli eletti, da parte loro, hanno sfruttato i vantaggi di queste piattaforme per interagire direttamente con i propri elettori, amplificando così gli effetti della politica centrata sul candidato.
Le tecnologie digitali sono destinate a creare associazioni digitali che imitano i legami sociali reali. Questo tipo di legame, che avviene attraverso le reti sociali digitali, può forgiare legami emotivi tra le persone e, nel contesto elettorale, tra gli elettori e i candidati. Le emozioni sono un elemento razionale della cognizione umana e servono una funzione fondamentale per la sopravvivenza, permettendo alle persone di valutare rapidamente se una persona sconosciuta è un "amico" o un "nemico". Creare legami emotivi consente di stabilire associazioni intime, che scatenano risposte affettive intense verso una persona percepita come membro della propria rete sociale. Questo aspetto delle emozioni può anche aiutare a spiegare il ruolo dei media digitali nella campagna del 2016 (ancora in fase di valutazione) e la diffusione massiva di disinformazione attraverso piattaforme come Facebook e Twitter. Gli individui sono meno propensi a scrutinare informazioni condivise da un membro fidato della propria rete sociale rispetto a quelle provenienti da una fonte sconosciuta.
Donald Trump ha utilizzato Twitter come principale strumento per connettersi direttamente con gli elettori. Trump non è stato il primo politico a usare Twitter; Barack Obama aveva infatti istituito il primo account ufficiale della Casa Bianca nel 2011, e i membri del Congresso avevano creato i loro account poco dopo il lancio della piattaforma nel 2007. Tuttavia, Trump si è distinto per l'uso non strutturato e spontaneo di Twitter, scrivendo tweet personalmente, senza l'intervento del suo staff. Questo stile indifeso ha contribuito ad amplificare il carattere spettacolare della sua campagna. Come piattaforma per connettersi con gli elettori, Trump ha saputo utilizzare un linguaggio specifico che attivava quelle che vengono definite "emozioni morali" tra i suoi sostenitori. Queste emozioni includono un sottoinsieme noto come "altro-condannante", che comprende disprezzo, rabbia e disgusto. Attivando le componenti emotive legate alla moralità, i suoi sostenitori sono stati particolarmente recettivi all'uso della retorica per offuscare le proprie debolezze personali e delegittimare gli avversari politici.
In un'epoca di polarizzazione politica intensificata, il partigianesimo guida un forte impegno verso i candidati presidenziali, al punto che "la realtà può diventare irrilevante per le persone fortemente impegnate in un simbolo che soddisfa emotivamente" (Edelman 1964). Come già accennato, gli appelli dei candidati alle emozioni degli elettori rendono il messaggio della campagna estremamente personale, trasformando l'esperienza di reagire ai segnali in qualcosa di altamente individuale, rendendo i candidati simboli emotivamente soddisfacenti.
Il mito di un presidente onnipotente, inteso come il mito dell'eroe-salvatore, costruisce l'aspettativa che una sola persona, come capo dell'esecutivo nazionale, possa risolvere i problemi del paese. Questa aspettativa è diventata più pronunciata con l'ascesa della presidenza, come istituzione, al centro del sistema politico americano. Grazie alla potenza della televisione, la presidenza è diventata il punto focale dell'immaginario pubblico, rendendo i candidati alla presidenza oggetti delle aspirazioni dell'elettorato. Il pubblico ha iniziato a credere che tutti i problemi del paese — sociali, economici e internazionali — potessero essere alleviati grazie al potere della presidenza. La costruzione di questa aspettativa ha perpetuato l'idea di un'aspettativa eccessiva nei confronti di un presidente. Gli elettori proiettano direttamente i loro desideri, paure, bisogni e aspettative sui candidati, creando una visione distorta e spesso irrealistica delle capacità di un leader.
La copertura mediatica delle campagne politiche, specialmente quella del 2016, ha intrecciato le strategie per modellare l'immagine del candidato con le caratteristiche dell'intrattenimento. Il concetto di "politica come spettacolo" ha preso piede, con la copertura delle campagne che enfatizzava i tratti della personalità dei candidati piuttosto che le loro posizioni politiche. In questo contesto, la narrativa che si è sviluppata attorno alla figura del candidato ha preso la forma di una trama, in cui ogni azione, qualità e gaffe veniva amplificata e vista come affascinante e degna di attenzione. I media si sono concentrati sempre più sui tratti personali, riducendo la complessità delle soluzioni politiche a una serie di racconti semplificati, piuttosto che analizzare a fondo le politiche proposte. Ciò ha portato a un ulteriore rinforzo della personalizzazione della politica, spostando l'attenzione dagli aspetti programmatici ai tratti umani del candidato.
Il significato della campagna presidenziale di Trump: spettacolo, caos e strategia mediatica
Nel contesto della campagna presidenziale del 2016, Donald Trump ha mostrato una capacità unica di catturare l'attenzione del pubblico e dei media, una capacità che è stata, in gran parte, il motore del suo successo elettorale. La sua figura pubblica, costruita sulla provocazione e sull'inatteso, ha generato una vera e propria rivoluzione nel modo di fare politica. Lungi dal seguire le convenzioni stabilite dei candidati presidenziali precedenti, Trump ha saputo attrarre il pubblico con un approccio non convenzionale che ha spinto i media a coprire ogni sua mossa, amplificando il suo messaggio ben oltre il tradizionale palcoscenico politico.
A differenza dei candidati tradizionali, che si presentano sempre più come figure scultoree, pulite e prive di controversie, Trump ha rotto ogni schema. La sua personalità, imprevedibile e caustica, ha catturato l'attenzione delle masse e dei giornalisti. La sua capacità di lanciarsi in dichiarazioni provocatorie e insulti nei confronti degli avversari, come nel caso di “Lying Ted”, “Little Marco” e “Crooked Hillary”, ha trasformato ogni suo discorso in un atto di spettacolo. Questo approccio ha avuto una doppia valenza: da un lato, ha alimentato la sua popolarità presso i suoi sostenitori, dall’altro ha scatenato una feroce critica da parte di chi vedeva in lui una minaccia per la dignità della politica.
Trump ha compreso perfettamente il potere dei media e ha saputo sfruttarlo a suo favore. La sua campagna era, in pratica, un’operazione di marketing politico. Si è assicurato che ogni momento della sua vita politica fosse trasmesso in diretta, dando accesso illimitato a tutti i media, locali e nazionali. In un’epoca di saturazione informativa, è riuscito a rendere ogni suo atto, ogni parola, ogni battuta una notizia. Questo controllo dei media ha reso Trump una figura più interessante rispetto ai suoi avversari, che si mostravano più riservati e meno disposti a concedere spazio ai giornalisti.
Tuttavia, quello che più ha sorpreso è stato il suo apparente immunità alle conseguenze degli scandali. Nonostante l’uso di un linguaggio provocatorio, le sue parole non sembravano mai avere un impatto negativo significativo sulla sua campagna. I tradizionali "scandali" che avrebbero fatto crollare la popolarità di un altro candidato non hanno avuto alcun effetto tangibile sulla sua base elettorale. Trump è diventato il simbolo del populismo accessibile, un leader che si presentava come qualcuno vicino al popolo, lontano dalle istituzioni che i suoi sostenitori vedevano come corrotte o incapaci.
La sua performance, tuttavia, non va letta solo in termini di efficacia politica. Quello che Trump rappresentava per molti elettori era più significativo di ciò che faceva concretamente. La sua campagna era una manifestazione di caos, una sfida alle convenzioni politiche che avevano caratterizzato la politica americana fino ad allora. La sua figura incarnava la frustrazione della classe media americana, preoccupata per il futuro e alla ricerca di una via di uscita da un sistema che percepivano come distante e ostile. In questo contesto, la campagna di Trump ha attratto non solo i suoi elettori più fedeli, ma anche quelli che si sentivano esclusi dal sistema.
In parallelo, è importante considerare l’impatto che la presidenza di Barack Obama ha avuto sulla politica americana, specialmente in relazione alla campagna del 2016. Obama, il primo presidente afroamericano, ha incarnato una sfida alle strutture di potere tradizionali, suscitando sia entusiasmo che rabbia. Mentre alcuni vedevano in lui un simbolo di speranza e cambiamento, altri reagivano con un crescente risentimento, alimentato dalla percezione che la sua elezione avesse minato il potere bianco che aveva dominato la politica americana per secoli.
Durante la sua presidenza, la politica americana ha vissuto un periodo di profonde trasformazioni. Il suo governo ha dovuto fare i conti con un'incredibile polarizzazione politica, che ha trovato espressione soprattutto nelle reazioni emotive del pubblico. Le emozioni giocate in campagna, come l’orgoglio, la speranza, la rabbia e il disgusto, hanno avuto un impatto rilevante sull'approvazione presidenziale. Questi sentimenti, che si manifestano in modo particolarmente netto tra i sostenitori dei partiti, hanno contribuito a orientare il giudizio del pubblico nei confronti di Obama e, successivamente, nei confronti dei suoi successori.
Nel panorama politico del 2016, la sfida per i candidati non era più solo quella di formulare proposte politiche concrete, ma di saper gestire le emozioni dei propri elettori e attrarre i media in un contesto sempre più dominato dalla spettacolarizzazione. Trump, con la sua abilità di trasformare ogni dichiarazione in uno show, ha incarnato questa nuova realtà politica, creando un’onda emotiva che ha trascinato con sé il paese intero.
Per comprendere appieno l'impatto di questo fenomeno, è essenziale riconoscere che la politica è ormai fortemente mediata e spettacolarizzata. La capacità di un candidato di attrarre l’attenzione dei media, di alimentare il caos e di alimentare la retorica della polemica è diventata una parte centrale della strategia elettorale. Tuttavia, oltre alla strategia comunicativa, è cruciale riflettere sulle implicazioni che una tale trasformazione porta alla qualità della politica democratica e alla relazione tra i leader e il pubblico.
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