Quando si cucina con una pentola a pressione, l'elemento cruciale è la gestione della temperatura e della pressione. A prima vista, potrebbe sembrare che la pentola funzioni come una semplice casseruola a vapore, ma in realtà la dinamica termodinamica che si svolge all'interno è ben più complessa e interessante.

Un aspetto fondamentale della cottura a pressione è l'uso ridotto di acqua. In questo tipo di cottura, i vegetali non vengono direttamente immersi in acqua, ma sono posti all'interno di un colino, esponendoli al vapore caldo che li cuoce. Questo processo è diverso dalla cottura tradizionale, poiché i vegetali non sono bolliti, ma cotti a vapore in un ambiente di alta pressione. Di fatto, il vapore acqueo a temperatura elevata è ciò che li rende teneri, senza necessità di grandi quantità di acqua.

Una volta che la pentola viene chiusa e il controllo di pressione viene regolato, si crea una miscela di vapore, acqua e aria all'interno della pentola. Quando il vapore inizia a fuoriuscire dalla pentola, l'aria viene espulsa, lasciando solo acqua e vapore saturo. A questo punto, la temperatura all'interno della pentola raggiunge i 100°C e la pressione è di 1 bar. La pentola è quindi in uno stato di equilibrio termodinamico, con acqua bollente e vapore saturo.

Il calore aggiunto fa sì che la temperatura dell'acqua superi i 100°C, a causa dell'aumento della pressione. In questo stadio, la pentola a pressione è configurata per mantenere costante il volume, mentre la pressione e la temperatura aumentano. La valvola di sicurezza della pentola regola il livello di pressione, impedendo che la temperatura o la pressione raggiungano livelli pericolosi. La valvola di sicurezza, o valvola a molla, apre una via di fuga per il vapore quando la pressione interna supera il limite stabilito, solitamente intorno ai 2 bar. Questo permette di mantenere un ambiente sicuro e controllato all'interno della pentola.

Molte pentole a pressione moderne offrono più impostazioni di pressione, che consentono di scegliere la temperatura di cottura in base al tipo di cibo. Ad esempio, con una pressione di 1.3 bar, la temperatura è di circa 107°C, mentre con una pressione di 2 bar, la temperatura sale a 120°C. Queste impostazioni consentono di adattare il processo di cottura a diverse esigenze culinarie.

Uno degli aspetti più importanti della cottura a pressione è il parboiling, o pre-cottura, durante la quale l'aria all'interno della pentola viene espulsa. Questo processo è cruciale per evitare che l'aria rimanga intrappolata, aumentando inutilmente la durata della cottura. Infatti, l'aria contenuta nella pentola non solo aumenta la pressione totale, ma interferisce anche con il processo di cottura. Se l'aria non viene espulsa, la cottura risulta meno efficiente e il tempo necessario per raggiungere la temperatura di cottura desiderata aumenta. Una volta che l'aria è stata rimossa, la pentola contiene solo vapore e acqua, creando una miscela che consente di cuocere i cibi rapidamente e in modo uniforme.

Per quanto riguarda la dinamica dei gas, è interessante osservare come l'aria, pur non influenzando la pressione di saturazione del vapore acqueo, aumenti la pressione totale all'interno della pentola. La presenza di aria non cambia il punto di ebollizione dell'acqua, ma contribuisce ad aumentare la pressione totale del sistema. Questo fenomeno è importante, poiché influisce sull'efficacia complessiva del processo di cottura. Quando due gas, come l'aria e il vapore acqueo, sono mescolati, i loro rispettivi "pressioni parziali" si sommano per determinare la pressione totale nel sistema.

In sintesi, la cottura in pentola a pressione sfrutta il principio di aumentare la temperatura e la pressione all'interno di un contenitore sigillato per accelerare il processo di cottura. Sebbene il principio base sia piuttosto semplice, la gestione precisa della temperatura, della pressione e del vapore richiede una comprensione approfondita dei fenomeni termodinamici che avvengono all'interno della pentola.

Oltre a quanto descritto, è fondamentale comprendere che il controllo del tempo di cottura e la gestione della valvola di sicurezza sono essenziali per evitare situazioni di pericolo. Quando si utilizza una pentola a pressione, la precisione nella regolazione della pressione è cruciale non solo per garantire un risultato culinario perfetto, ma anche per la sicurezza in cucina. L'uso appropriato della pentola a pressione permette di ottenere cibi cotti in modo più veloce e sano, preservando i nutrienti e migliorando la consistenza dei piatti.

Qual è l'efficienza reale delle pompe di calore e qual è il loro impatto energetico complessivo?

Quando si discute delle pompe di calore per il riscaldamento domestico, è essenziale non limitarsi ai valori teorici di efficienza, ma valutare anche le condizioni reali di utilizzo. L’efficienza stagionale di una pompa di calore viene solitamente espressa tramite il coefficiente di prestazione stagionale (SCOP) o il fattore di prestazione stagionale (SPF). Il primo si basa su condizioni climatiche standardizzate e serve per confrontare diversi modelli; il secondo riflette l’effettiva efficienza operativa, tenendo conto di fattori concreti come le condizioni meteorologiche, il comportamento degli utenti e le modalità d’installazione.

Per esempio, in condizioni operative tipiche come A2/W35 per pompe aria-acqua o B0/W35 per pompe salamoia-acqua, il valore massimo teorico del coefficiente di prestazione (COP) secondo Carnot si avvicina a 9,3. Tuttavia, le misurazioni effettuate in Svizzera tra il 2005 e il 2011 hanno mostrato valori reali compresi tra 3,0 e 4,4. Questo indica chiaramente che le pompe di calore reali operano a meno della metà del loro potenziale teorico.

Test condotti in campo, come quello dell’Istituto Fraunhofer per i Sistemi Solari nel 2019, hanno mostrato che le pompe di calore aria-acqua installate in edifici esistenti raggiungono SPF annuali tra 2,5 e 3,8, mentre le pompe geotermiche ottengono valori leggermente superiori, tra 3,3 e 4,7. L’uso del riscaldamento elettrico supplementare, inefficiente dal punto di vista energetico, è stato marginale, rappresentando meno del 2% del consumo totale.

È importante sottolineare che il solo valore del COP non ha significato senza una chiara indicazione delle condizioni di misura. La precisione dei dati, soprattutto riguardo alle temperature dell’ambiente esterno e dell’acqua di mandata, è cruciale per valutare quanto si discosti il sistema reale dal rendimento ideale di Carnot.

Dal punto di vista del bilancio energetico primario, l’uso di pompe di calore non è automaticamente sinonimo di risparmio energetico. Una pompa con SPF pari a 3,8, che richiede 2632 kWh di elettricità per produrre 10.000 kWh di calore, implica, se alimentata esclusivamente da energia elettrica generata da combustibili fossili con un’efficienza del 35%, un consumo primario di circa 7519 kWh. Sebbene il bilancio sia positivo, il margine è ristretto, e può diventare negativo in caso di performance stagionale più bassa.

Il contesto energetico in cui la pompa opera fa dunque la differenza. Se l’elettricità utilizzata proviene da fonti rinnovabili, l’impianto di riscaldamento diventa potenzialmente neutro in termini di emissioni di CO₂. Tuttavia, questa affermazione è valida solo se la capacità rinnovabile è effettivamente disponibile per ogni nuova pompa installata. Finché la transizione energetica non sarà completata, ogni nuova pompa di calore alimentata dalla rete elettrica nazionale parteciperà comunque al consumo di energia da fonti fossili. Lo stesso ragionamento si applica ai veicoli elettrici.

Nella prospettiva a lungo termine, solo un sistema elettrico completamente alimentato da fonti rinnovabili potrà rendere il riscaldamento domestico tramite

Come il Modello di Boltzmann-Einstein Spiega l’Entropia e l’Irreversibilità Microscopica

L’intuizione di Boltzmann, che sostituisce l’energia cinetica con la “forza vivente”, ha aperto la strada alla comprensione microscopica dei fenomeni termodinamici. Sebbene il concetto originale non contemplasse la quantizzazione dell’energia, la meccanica quantistica ha confermato che l’energia si presenta in porzioni discrete, multipli di ℏω₀, come illustrato dal modello dell’oscillatore armonico. Questa scoperta ha ampliato il campo di applicazione del modello di Boltzmann: non solo le molecole di un gas, ma anche le vibrazioni reticolari nei solidi possono essere interpretate come oscillatori quantistici, dando così nuova linfa al modello nelle prime formulazioni della meccanica quantistica. Einstein, nel 1907, utilizzò questa struttura per ricavare la capacità termica dei solidi, dimostrando la flessibilità del modello: l’energia non veniva più distribuita tra molecole gassose, ma tra gli stati vibrazionali degli atomi nel solido.

Generalizzando, consideriamo n “scatole” o “celle” nelle quali sono distribuite u porzioni di energia, simbolizzate come ϵ. La natura fisica di queste scatole è indifferente; possono rappresentare molecole, atomi o regioni spaziali. Il sistema macroscopico è quindi definito dal numero di scatole n e dal numero di porzioni u, con energia interna U = uϵ. Il problema consiste nel determinare il numero di microstati Ω(u,n) corrispondenti a questo macrostato. La meccanica statistica assume che tutti i microstati siano equiprobabili, in virtù delle transizioni costanti fra essi – analogamente alle collisioni che modificano continuamente lo stato microscopico di un gas.

Un’applicazione fondamentale di questo modello è la descrizione di un processo irreversibile come l’espansione libera di un gas. Consideriamo un contenitore diviso in due metà da una partizione; inizialmente il gas occupa solo una metà. Se la partizione viene rimossa, il numero di microstati accessibili aumenta drasticamente, e con esso la probabilità che l’energia (o le molecole) si disperda nell’intero volume. La probabilità che il gas ritorni spontaneamente a concentrarsi in metà contenuta si riduce drasticamente all’aumentare del numero di porzioni di energia u. Questa progressiva diminuzione della probabilità di ritorno a stati più ordinati è la base microscopica dell’irreversibilità e dell’aumento dell’entropia.

L’essenza della seconda legge della termodinamica si può enunciare così: un sistema isolato evolve verso il macrostato che possiede il maggior numero di microstati compatibili con le condizioni esterne. L’entropia diventa quindi una misura statistica della “distribuzione” dell’energia tra i gradi di libertà microscopici e si collega al numero di microstati tramite la formula di Boltzmann: S = k_B ln Ω, dove k_B è la costante di Boltzmann. L’uso del logaritmo garantisce l’additività dell’entropia quando si combinano sistemi indipendenti, poiché il numero totale di microstati è moltiplicativo.

Questa definizione di entropia lega direttamente la termodinamica macroscopica alle proprietà microscopiche della materia e rende conto del carattere irreversibile dei processi naturali. Inoltre, il modello suggerisce un’altra interpretazione, che associa l’entropia all’informazione mancante sul microstato reale del sistema. La conoscenza completa di quale microstato si sta effettivamente realizzando è un’informazione che si misura in bit, e la quantità minima di informazione necessaria per specificare il microstato dato il macrostato è proporzionale al logaritmo in base due del numero di microstati. Questa idea estende il concetto di entropia oltre la termodinamica, collegandolo alla teoria dell’informazione di Shannon.

Importante è comprendere che l’aumento di entropia e l’irreversibilità non derivano da interazioni particolari o da leggi asimmetriche, ma dalla semplice predominanza statistica degli stati più disordinati e numerosi. La fisica microscopica non contraddice la reversibilità delle equazioni del moto, ma evidenzia che la probabilità di osservare il ritorno a uno stato ordinato è così infinitesimamente piccola da poter essere considerata trascurabile su scala macroscopica. Inoltre, la connessione tra entropia e informazione rende evidente che la termodinamica è profondamente legata alla conoscenza e all’osservazione, un aspetto che ha riverberi anche in altri campi della scienza moderna.

Come si genera e si trasferisce l’energia termica tramite radiazione: dal Sole ai satelliti spaziali

La reazione chimica di formazione dell’acqua da idrogeno e ossigeno libera una quantità definita di energia, precisamente 286 kJ per mole, come indicato dall’equazione: 2 H₂ + O₂ → 2 H₂O. Questo implica che per ottenere l’energia di reazione, è necessario far reagire 2 g di idrogeno con 16 g di ossigeno, cioè un totale di 18 g di combustibile. Se un chilogrammo di tale combustibile reagisse completamente, l’energia rilasciata sarebbe di circa 15,9 MJ. Se ipoteticamente l’intera massa del Sole, pari a circa 1.99 × 10³⁰ kg, partecipasse a questa reazione chimica, si otterrebbe un’energia massima di circa 3.16 × 10³⁷ J.

Tuttavia, utilizzando la legge di Stefan-Boltzmann, che definisce la potenza irradiata da un corpo nero come proporzionale alla quarta potenza della sua temperatura, si può calcolare la potenza emessa dal Sole come radiazione termica. Questa potenza ammonta a circa 3.91 × 10²⁶ W. Dividendo l’energia chimica totale per questa potenza si ottiene un tempo massimo di “accensione” solare di circa 2565 anni, un valore palesemente incompatibile con le osservazioni geologiche e astronomiche. Questo ha portato alla conclusione che la combustione chimica non può spiegare la fonte di energia del Sole.

John Herschel nel 1833 sottolineava lo “straordinario mistero” di come il Sole potesse mantenere una tale emissione di energia senza esaurirsi rapidamente. Helmholtz propose che l’energia gravitazionale liberata durante una contrazione del Sole potesse essere la fonte energetica, stimando un tempo massimo di 40 milioni di anni. Oggi sappiamo che la vera fonte dell’energia solare sono le reazioni nucleari, che permettono una durata di emissione di energia ben superiore.

Un caso interessante di applicazione della legge di Stefan-Boltzmann riguarda il raffreddamento dei satelliti spaziali. Negli anni ’60, sia gli USA sia l’URSS svilupparono satelliti alimentati da reattori nucleari, dove il raffreddamento avveniva esclusivamente tramite emissione termica, poiché nello spazio non esiste un mezzo per la convezione o conduzione. Il satellite Snapshot, lanciato nel 1965, portava un reattore da 30 kW con radiatori di superficie di 5.81 m². Applicando la legge di Stefan-Boltzmann, si può stimare che la temperatura dei radiatori si assestasse intorno ai 549 K, valore in buon accordo con il dato tecnico di 597 K riportato nelle fonti originali.

Questo esempio illustra il principio fondamentale secondo cui un corpo sottoposto a una sorgente di energia raggiunge un equilibrio termico, ossia la sua temperatura si innalza fino a quando la potenza emessa tramite radiazione termica e altre forme di scambio di calore eguaglia quella fornita. Il meccanismo è essenziale anche per comprendere la temperatura degli oggetti esposti al Sole, come la Terra o una macchina parcheggiata all’aperto.

Quando radiazione elettromagnetica incide su un corpo, può essere riflessa, assorbita o trasmessa. La frazione assorbita, definita assorbanza (α), è quella che realmente contribuisce al riscaldamento del corpo. L’assorbanza dipende da molte variabili, tra cui il materiale, la temperatura, la struttura superficiale, la lunghezza d’onda e l’angolo di incidenza. Fortunatamente, il principio di Kirchhoff mette in relazione l’assorbanza con l’emissività (ϵ) di un corpo, riducendo così la complessità dei parametri da considerare. Questo principio afferma che un corpo in equilibrio termico emette radiazione termica in egual misura rispetto a quella che assorbe alla stessa temperatura e lunghezza d’onda.

La validità di questa legge si fonda sulla seconda legge della termodinamica: se un corpo assorbisse più di quanto emette, si avrebbe un trasferimento di calore spontaneo che violerebbe il principio di equilibrio termico. Perciò, α(λ,T) = ϵ(λ,T) per ogni lunghezza d’onda e temperatura.

Il trasferimento di calore per radiazione tra due superfici si verifica sempre da quella più calda a quella più fredda. La quantità di energia trasferita dipende da molti fattori, inclusi dimensioni, forma e orientamento delle superfici, oltre che dalle loro proprietà emissive. Solo la frazione di radiazione che raggiunge effettivamente la superficie opposta contribuisce al riscaldamento, e questa è quantificata dal fattore di vista, la cui determinazione è una delle più complesse nel campo del trasferimento radiativo.

È importante riconoscere che la radiazione termica costituisce uno dei meccanismi fondamentali di scambio energetico non solo nello spazio, ma anche nelle condizioni quotidiane terrestri. La temperatura di un corpo è sempre il risultato di un equilibrio dinamico tra energia assorbita e quella emessa, influenzato dalla natura e dall’ambiente circostante. Questo principio si applica a sistemi molto diversi, dai corpi celesti ai dispositivi artificiali come i satelliti, fino agli oggetti comuni della vita quotidiana.

La comprensione di questi meccanismi richiede di considerare non solo le proprietà intrinseche dei materiali, ma anche le condizioni esterne come la presenza di radiazione ambientale e le caratteristiche geometriche che modulano lo scambio energetico. Inoltre, la distinzione tra assorbimento ed emissione non può essere trascurata nel valutare la risposta termica dei corpi, poiché le lunghezze d’onda coinvolte e la natura della radiazione incidente influenzano in modo determinante il comportamento termico osservato.