La nostra inclinazione a credere in informazioni relative ai pericoli, più che ai benefici, non è una semplice tendenza psicologica casuale, ma è radicata in meccanismi evolutivi che hanno avuto un ruolo fondamentale nella sopravvivenza della nostra specie. Questa predisposizione è legata alla necessità di reagire prontamente e con maggiore cautela agli allarmi che riguardano possibili minacce. L'orientamento politico, ad esempio, sembra riflettere in parte queste inclinazioni innate, con i conservatori sociali che mostrano una maggiore credulità verso informazioni minacciose rispetto ai liberali sociali. Questo fenomeno è noto come "credulità negativamente distorta", un concetto che implica una maggiore predisposizione a credere a informazioni che riguardano pericoli o rischi rispetto a quelle che trattano opportunità o vantaggi.
La logica funzionale alla base di questa inclinazione psicologica suggerisce che l'umanità abbia sviluppato una particolare attenzione per i pericoli, in quanto la loro minaccia immediata può compromettere il benessere individuale in modo più diretto e immediato rispetto alle opportunità, che spesso sono più diffuse e meno urgenti. È stato osservato che, quando le persone hanno la possibilità di selezionare le informazioni da perseguire, tendono a concentrarsi su quelle che riguardano i rischi, piuttosto che su quelle che offrono benefici. La percezione di pericolo non solo influenza la selezione delle informazioni, ma anche la valutazione delle competenze di chi le trasmette: coloro che parlano di minacce sono ritenuti più competenti rispetto a quelli che parlano di aspetti positivi.
Questa propensione a dare maggiore valore alle informazioni negative si riflette anche nei comportamenti sociali, come la trasmissione di notizie. Le persone sono più propense a condividere informazioni che ritengono utili per sé stesse e per gli altri, specialmente quando queste riguardano eventi che suscitano emozioni forti, come l'ansia e la paura. La trasmissione di informazioni negative è quindi più frequente e diffusa, creando un circolo vizioso che amplifica la percezione di un mondo più pericoloso di quanto in realtà non sia. Questo fenomeno si riflette anche nelle leggende metropolitane, che tendono a riguardare eventi negativi e sono diffuse con maggiore rapidità rispetto alle storie positive, nonostante possiedano lo stesso grado di importanza.
Inoltre, è importante notare che questo schema non è solo un prodotto della nostra psicologia individuale, ma anche del contesto culturale in cui viviamo. Le informazioni relative ai pericoli vengono amplificate attraverso i media e le tradizioni, diventando parte della cultura condivisa, spesso a discapito di quelle riguardanti i benefici. Studi hanno dimostrato che le leggende urbane, che raccontano eventi negativi, sono di gran lunga più comuni rispetto a quelle che narrano situazioni favorevoli. Lo stesso vale per le credenze soprannaturali, dove le informazioni relative ai pericoli, come maledizioni o presagi funesti, sono più prevalenti rispetto a quelle che trattano di benedizioni o vantaggi.
L'aspetto cruciale di questa tendenza è che la nostra mente è evolutivamente predisposta a essere credula, ma con una differenza fondamentale: la credulità si adatta ai costi e ai benefici percepiti. Se l'informazione riguarda un pericolo, un errore di incredulità potrebbe avere conseguenze gravi, mentre un errore di credulità sarebbe meno dannoso. Questo spiega perché tendiamo a credere più facilmente alle informazioni sui pericoli, spesso ignorando o minimizzando quelle che parlano di benefici o opportunità. Questo schema si applica non solo nella vita quotidiana, ma anche in ambito politico, dove le persone che percepiscono il mondo come un luogo più pericoloso, come nel caso dei conservatori sociali, tendono a essere più inclini a credere a notizie allarmanti rispetto a quelle che promuovono una visione ottimistica del futuro.
In conclusione, la nostra evoluzione ci ha resi particolarmente sensibili alle minacce, non solo per la sopravvivenza individuale ma anche per la trasmissione e conservazione delle informazioni. La nostra predisposizione a credere alle notizie allarmanti non è solo il risultato di una nostra debolezza psicologica, ma una strategia evolutiva che ha avuto un'importante funzione di adattamento. L'importante per l'individuo moderno è riconoscere questa tendenza innata e imparare a gestirla in un mondo dove i pericoli non sono sempre immediati o tangibili, e dove la paura può facilmente distorcere la percezione della realtà.
Come la Propaganda Computazionale Influenza i Processi Politici nell'Era Digitale
L’era digitale ha radicalmente modificato il panorama politico globale, creando nuove forme di comunicazione e, parallelamente, nuove vulnerabilità nei processi democratici. In particolare, l’emergere della propaganda computazionale ha introdotto dinamiche complesse in cui le tecnologie digitali vengono sfruttate per influenzare l’opinione pubblica e manipolare le percezioni politiche. Questi fenomeni si manifestano attraverso l’uso di bot, disinformazione e notizie false, diffusi tramite piattaforme sociali e altri canali online.
Le piattaforme digitali, in particolare i social media, hanno abbattuto le barriere alla partecipazione politica, consentendo a una vasta gamma di attori, dai governi alle organizzazioni private, di intervenire direttamente nel dibattito pubblico. Tuttavia, questa democratizzazione della comunicazione ha anche prodotto effetti collaterali, rendendo gli utenti più suscettibili a manipolazioni politiche. La propaganda computazionale, ovvero l'uso sistematico di tecniche informatiche per distorcere l'informazione e influenzare le scelte politiche, è uno degli strumenti più potenti in questo nuovo contesto.
Un esempio emblematico di come la propaganda computazionale sia diventata un attore chiave nei processi elettorali è l’uso dei bot sui social media. Durante le elezioni presidenziali statunitensi del 2016, ad esempio, si è assistito a un'intensa attività automatizzata su Twitter, finalizzata a manipolare l'opinione pubblica. L’analisi dei dati provenienti dalle piattaforme social ha rivelato che un grande volume di contenuti polarizzanti veniva distribuito da account automatizzati, alimentando divisioni politiche e diffondendo notizie false. Questo fenomeno non è limitato agli Stati Uniti, ma si estende a numerosi altri paesi, tra cui il Regno Unito e la Francia, dove simili tecniche sono state utilizzate per influenzare l’esito di consultazioni politiche importanti come il referendum sulla Brexit e le elezioni presidenziali francesi.
In paesi come la Cina, l'uso della propaganda computazionale è stato sviluppato in modo ancora più sofisticato. La Cina, con il suo vasto sistema di censura e controllo dell'informazione, è riuscita a implementare pratiche di propaganda che vanno oltre la semplice diffusione di notizie false. Il governo cinese ha adottato un approccio sistematico nell’utilizzare il cyber-spazio per distorcere l’opinione pubblica, sia internamente che globalmente. Strumenti di propaganda, come i “commenti automatizzati” sui social network, vengono utilizzati per creare una narrativa favorevole al regime, distraendo l'attenzione da problemi interni o esterni che potrebbero danneggiare l'immagine del governo.
Questo tipo di propaganda computazionale ha un impatto devastante sulla democrazia. In un contesto in cui le persone sono bombardate continuamente da informazioni di ogni tipo, la capacità di discernere la verità dalle menzogne diventa sempre più difficile. Le piattaforme sociali, alimentate da algoritmi che privilegiano il contenuto polarizzante, amplificano la disinformazione e favoriscono la creazione di bolle informative in cui gli utenti sono esposti solo a notizie che confermano le loro convinzioni preesistenti.
La questione cruciale che emerge da queste pratiche è il modo in cui le tecnologie possono essere utilizzate per sovvertire il processo democratico. La manipolazione dell'informazione attraverso i media digitali mina la capacità dei cittadini di formarsi opinioni libere e consapevoli, un principio fondamentale su cui si basano le democrazie moderne. In questo contesto, l'integrità dei media e l’alfabetizzazione digitale diventano essenziali per contrastare l'erosione della fiducia pubblica nelle istituzioni politiche.
Inoltre, è fondamentale comprendere che la propaganda computazionale non si limita alla semplice manipolazione dell’opinione pubblica. Essa è parte di una strategia più ampia che può includere l’interferenza nelle elezioni, la destabilizzazione delle istituzioni democratiche e la creazione di conflitti interni tra diversi gruppi sociali e politici. Le tecniche impiegate vanno ben oltre la diffusione di fake news; spesso vengono combinati con operazioni di cyber-guerra, come il sabotaggio delle infrastrutture critiche o il furto di dati sensibili, per colpire direttamente la stabilità di una nazione.
Per combattere efficacemente questa minaccia, è necessario un approccio multidimensionale che coinvolga non solo i governi e le piattaforme tecnologiche, ma anche i cittadini. L'educazione ai media e alla gestione dell'informazione deve essere un pilastro centrale di qualsiasi strategia di difesa contro la propaganda computazionale. Inoltre, la trasparenza degli algoritmi utilizzati dalle piattaforme social è fondamentale per garantire che non vengano favoriti contenuti manipolativi e polarizzanti.
L'interferenza straniera nelle elezioni, come dimostrato dai tentativi di influenzare l'esito della Brexit e delle elezioni americane del 2016, ha dimostrato che la propaganda computazionale può essere utilizzata come uno strumento di destabilizzazione internazionale. Le tecniche di manipolazione dei media non sono limitate ai confini nazionali, ma hanno la capacità di infrangere le barriere geopolitiche, alimentando conflitti internazionali e distorcendo il dibattito pubblico a livello globale.
Infine, è importante sottolineare che il contrasto alla propaganda computazionale richiede una collaborazione internazionale. Poiché le tecniche di disinformazione attraversano i confini nazionali, le nazioni devono lavorare insieme per sviluppare leggi e regolamenti che disciplinino l'uso delle tecnologie digitali e proteggano l'integrità dei processi elettorali. La protezione della democrazia nell’era digitale non può essere affidata solo agli sforzi interni di ciascun paese; è necessaria una risposta collettiva.
La Guerra dell'Informazione: Comprendere e Rispondere alle Operazioni Informatiche
Le operazioni di manipolazione dei contenuti domestici non possono essere valutate separatamente dalle questioni internazionali, poiché nell'attuale ordine mondiale “connesso”, la politica interna di uno stato può influenzare le relazioni internazionali e la politica di altri paesi, e la popolazione domestica può essere ingannata su questioni che riguardano altri Stati. Un esempio significativo di questa complessità è lo scandalo di Cambridge Analytica, che ha dimostrato come esista una rete articolata di agenti coinvolti nelle operazioni di informazione (IO) e come vengano adottate varie misure per influenzare l'opinione pubblica e la psicologia collettiva. Le operazioni di disinformazione deliberate, come evidenziato dagli esempi discussi, possono essere parte di una strategia informativa molto più ampia, che integra molteplici tattiche sia online che offline.
Un aspetto fondamentale di queste operazioni è la plausibile negabilità delle azioni civili nel contesto della Guerra Illimitata, specialmente nelle operazioni cibernetiche e nelle operazioni informatiche. Questo consente agli Stati aggressori di "tenere pulite le mani", rendendo difficile, se non impossibile, una risposta diplomatica adeguata. Gli Stati bersaglio possono dover accettare che l'attribuzione degli attacchi non sia una priorità, concentrandosi invece sulla prevenzione e sulla risposta. Tuttavia, gli Stati che si attengono alla visione occidentale delle operazioni cibernetiche, incentrata sulle infrastrutture di tecnologie dell'informazione e sulle reti di computer, si trovano in una posizione svantaggiata rispetto ad altri Stati come la Repubblica Popolare Cinese, che adotta una visione più ampia del dominio informativo, comprendente “sottodomini” come l’elettromagnetismo, le reti di computer, la psicologia e l’intelligence.
Le operazioni di disinformazione sono tanto più pericolose in quanto, pur avendo il potenziale di ingannare le popolazioni, possono anche distruggere la fiducia tra i cittadini e le istituzioni. È evidente che, per combattere le operazioni informatiche in modo efficace, non è sufficiente limitarsi a una risposta esclusivamente tecnologica. La partecipazione civica è cruciale. Gli Stati che affrontano le minacce informatiche dovrebbero cercare di mobilitare la loro popolazione, coinvolgendo i cittadini in processi decisionali, come consultazioni pubbliche, incontri di quartiere o metodologie innovative come il processo vTaiwan descritto in precedenza. Il coinvolgimento civico non solo rafforza la legittimità della risposta politica, ma aiuta a costruire una resilienza collettiva contro le minacce esterne.
La resilienza nazionale contro le operazioni informatiche non può prescindere dalla coesione sociale e dalla solidarietà nazionale. Esempi come la "Difesa Totale" di Singapore, con i suoi cinque pilastri, evidenziano l'importanza di strategie che includano la difesa sociale contro ideologie estremiste e la promozione dell'armonia razziale. Gli Stati che sono riusciti a costruire un forte senso di solidarietà interna, come Taiwan, sono in una posizione privilegiata per affrontare le operazioni informatiche, poiché la mobilitazione di una popolazione coesa e informata può neutralizzare le minacce in modo efficace.
Le democrazie hanno un vantaggio significativo rispetto ai regimi autoritari, poiché la loro “forza morbida” proviene non solo dalle istituzioni statali, ma soprattutto dalla loro società civile. Le democrazie dovrebbero evitare di rispondere alle operazioni informatiche con contromisure altrettanto segrete, poiché azioni non trasparenti potrebbero danneggiare la loro reputazione internazionale. Piuttosto, dovrebbero puntare sulla trasparenza, sul rafforzamento della società civile e sulla promozione di una cultura di apertura. Come sottolineato da esperti come Joseph Nye, il potere morbido si costruisce attraverso l'educazione, i media e la cultura, tutti settori che beneficiano del supporto statale ma che dovrebbero restare sotto il controllo della società civile. Questo approccio non solo protegge la democrazia interna, ma può anche prevenire o limitare la partecipazione dei cittadini di altri Stati alle operazioni di disinformazione.
Anche la strategia di coinvolgere la popolazione civile contro le operazioni informatiche straniere può essere vista come una “guerra del popolo” moderna, in cui i cittadini sono chiamati a costruire il potere morbido, a smascherare la disinformazione e a rafforzare la solidarietà nazionale. Gli Stati autoritari, al contrario, si trovano in difficoltà nel generare potere morbido, poiché non permettono ai loro cittadini di esprimere liberamente i propri talenti e idee. Il "popolo" in questi contesti è spesso costretto a rimanere sotto il controllo diretto dello Stato, il che limita la loro capacità di contribuire positivamente a un clima di dialogo e comprensione reciproca.
In ultima analisi, sebbene le operazioni informatiche possano sembrare un aspetto tecnico della guerra moderna, esse implicano dinamiche politiche e sociali più profonde. Un approccio efficace richiede non solo la difesa delle infrastrutture tecnologiche, ma anche la protezione della coesione sociale e l'attivazione di risposte collettive da parte dei cittadini, in modo che le democrazie possano resistere alla manipolazione informatica e mantenere la loro integrità politica ed etica.
Come Proteggersi dalle Operazioni di Influenza: L’Importanza della Resilienza Sociale contro le DRUMS
Il concetto di "DRUMS" (Distorsioni, Rumori, Menzogne, Disinformazione e Diffamazione) è emerso come una delle minacce più insidiose e pervasive nel contesto delle guerre moderne, spostando l’attenzione dalla battaglia tradizionale sul campo di guerra alla manipolazione psicologica delle percezioni pubbliche. Le operazioni di influenza, che spesso si manifestano attraverso la diffusione di false informazioni online e offline, possono distorcere la realtà e indebolire la coesione sociale, minando la fiducia nelle istituzioni politiche e nei leader.
Taiwan, come esempio di stato vulnerabile, ha affrontato numerosi attacchi mirati a manipolare l'opinione pubblica attraverso la diffusione di false narrazioni. Haciyakupoglu e Ang sottolineano che, in un contesto di guerra non convenzionale, la negabilità plausibile delle azioni civili consente agli aggressori di evitare la colpa, rendendo difficile ogni risposta diplomatica. La difficoltà di attribuire responsabilità alle operazioni di disinformazione costringe gli stati a concentrarsi sulla prevenzione e sulla risposta piuttosto che sull'attribuzione di colpe. L'esperienza di Taiwan, purtroppo, non è un caso isolato, e altri stati dovrebbero imparare dalle sue risposte per rafforzare le proprie capacità di difesa contro tali operazioni.
Le operazioni di disinformazione possono avere un impatto devastante non solo sui conflitti esterni, ma anche sulla stabilità interna. Come osservato da Jānis Bērziņš, la guerra moderna si è estesa a una nuova dimensione: quella del cyberspazio. In questo nuovo campo di battaglia, l'obiettivo non è più solo quello di infliggere danni materiali, ma di controllare la percezione e la psicologia del nemico. La capacità di influenzare l'opinione pubblica, minando la fiducia nelle istituzioni e alimentando il disincanto della popolazione, può indebolire la resistenza psicologica e morale di una nazione senza sparare un colpo.
L'efficacia delle operazioni di influenza, come quelle condotte dalla Russia durante le elezioni presidenziali francesi del 2017 e le elezioni parlamentari tedesche, dimostra come la disinformazione possa essere utilizzata per ridurre la pressione internazionale sulle azioni aggressive di un paese. Janda e Víchová, studiando queste operazioni, sostengono che le nazioni non devono limitarsi a rispondere in modo reattivo a queste minacce, ma devono invece integrare una strategia istituzionalizzata per combattere le operazioni di influenza a lungo termine. Solo una cooperazione internazionale robusta e duratura, unita a una risposta sistematica da parte degli stati, può contrastare efficacemente queste operazioni.
Il caso della Germania, analizzato da Karolin Schwarz, evidenzia le problematiche legate alla disinformazione e alla diffusione di stereotipi razziali attraverso le DRUMS. Le iniziative legislative, come la legge tedesca sul rafforzamento delle reti (Netzwerkdurchsetzungsgesetz), sono state criticate per concentrarsi troppo sulle piattaforme di social media, invece di permettere ai tribunali di decidere in merito alla veridicità dei contenuti. Le iniziative di fact-checking, sebbene necessarie, spesso non sono abbastanza rapide o precise per contrastare efficacemente le menzogne diffuse. La situazione in Germania dimostra che la legislazione e la verifica dei fatti non sono soluzioni sufficienti da sole. È fondamentale che la società nel suo complesso sviluppi una maggiore resilienza nei confronti della disinformazione.
La resilienza, come sottolineato da Bērziņš, è un elemento centrale nella difesa contro le operazioni di disinformazione. La costruzione di una società resiliente richiede, prima di tutto, la riduzione del divario tra governanti e governati, migliorando la comunicazione e la partecipazione politica. I cittadini devono essere educati a sviluppare capacità di pensiero critico e a partecipare attivamente alla vita politica, per poter discernere tra informazioni veritiere e false. Solo attraverso una popolazione ben informata e coinvolta sarà possibile difendersi dalle manipolazioni psicologiche e influenzare positivamente le decisioni politiche.
La battaglia contro le DRUMS non si vince solo con leggi e regolamenti. Come argomenta Andreas Schleicher, la vera soluzione risiede nell'educazione. In un'era dell'informazione, è essenziale che le persone acquisiscano competenze non solo per accedere e gestire le informazioni, ma anche per valutarle criticamente. Le società moderne devono formare individui capaci di navigare in un mondo segnato dalla post-verità, dove le informazioni vengono continuamente distorte e manipolate.
Inoltre, la lotta contro le DRUMS deve essere vista come un processo che coinvolge tutta la società. I governi, le aziende tecnologiche, le organizzazioni non governative e i singoli cittadini devono cooperare per proteggere la verità e l'integrità delle informazioni. È fondamentale riconoscere che il conflitto per il controllo delle informazioni è destinato a crescere, con la proliferazione di attori non statali e la crescente diffusione della tecnologia a basso costo. Ogni società dovrà sviluppare proprie strategie per ridurre la vulnerabilità a queste operazioni, imparando a rafforzare i propri sistemi informativi e a proteggere la propria capacità di resistere agli attacchi psicologici e informativi.
Qual è la relazione tra la percezione di controllo e la credenza nelle teorie del complotto?
Il legame tra la percezione del controllo e la propensione a credere nelle teorie del complotto è stato oggetto di numerosi studi, che suggeriscono che quando le persone si sentono minacciate o prive di controllo, tendono a cercare spiegazioni alternative che diano senso agli eventi che li circondano, anche se queste spiegazioni sono basate su teorie non verificate. Molti studi correlazionali, come quelli di Swami et al. (2016) e di Hamsher et al. (1968), hanno osservato che individui che soffrono di stress o che hanno una visione esterna del controllo (locus of control) sono più inclini a credere in teorie complottiste. La paura di perdere il controllo o l'incertezza sociale e politica possono fungere da terreno fertile per la crescita di queste convinzioni.
Un esempio significativo è quello fornito da van Prooijen e Acker (2015), che hanno studiato la reazione delle persone al "bug" del millennium, la paura che i computer non fossero in grado di gestire il passaggio dall'anno 1999 al 2000. Nonostante il fatto che la minaccia fosse di natura tecnica e limitata, le persone che si sentivano vulnerabili o in qualche modo impotenti rispetto alla gestione della situazione tendevano a sostenere più teorie del complotto. Questo suggerisce che la percezione di una minaccia al controllo può spingere le persone a cercare un senso in situazioni incerte, guardando a spiegazioni alternative che rassicurano sulla presenza di una causa nascosta o intenzionale.
Allo stesso modo, ricerche condotte da DiGrazia (2017) hanno trovato una correlazione tra situazioni sociali instabili, come la disoccupazione o la perdita di terreno politico, e l'aumento delle ideazioni complottistiche. Le crisi sociali e politiche, che minano la sicurezza e la stabilità percepita, spesso stimolano la diffusione di teorie del complotto, alimentando la convinzione che esista un gruppo di potere segreto che manipola gli eventi a livello globale.
Studi sperimentali suggeriscono che la gravità di un evento influenza la tendenza a credere in teorie complottiste. Per esempio, eventi come attacchi terroristici, disastri naturali o incidenti industriali tendono a stimolare una risposta complottista più forte, in particolare quando le persone percepiscono che questi eventi sfidano la loro comprensione e controllo della realtà (LeBoeuf e Norton, 2012). La psicologia della teoria del complotto si fonda, quindi, su un meccanismo psicologico che cerca di ristabilire un senso di controllo quando si percepisce una perdita di certezza.
Nonostante ciò, alcuni teorie del complotto, come quelle relative al presunto allunaggio dell'Apollo, non sembrano derivare da minacce dirette alla nostra comprensione del controllo sociale o personale. In alcuni casi, la percezione di minore controllo non porta necessariamente alla credenza in teorie del complotto. Anzi, la compensazione di tale perdita di controllo può talvolta manifestarsi in un rafforzamento della fiducia nelle istituzioni, piuttosto che nel loro rifiuto (Kay et al., 2009).
In uno studio condotto da van Prooijen e Acker (2015), l'influenza del controllo sulla tendenza a credere in teorie del complotto è stata esplorata confrontando condizioni di controllo ridotto, aumentato e neutrale. I risultati suggerivano che il rafforzamento del controllo riduceva la tendenza a credere nelle teorie del complotto, mentre la percezione di controllo ridotto non aveva un effetto così drastico.
Anche se i dati sembrano suggerire una relazione tra la percezione di controllo e la credenza nelle teorie del complotto, la questione è più complessa. Non tutte le persone che sperimentano una perdita di controllo si avvicinano al complottismo. Alcuni individui, di fronte a crisi o eventi imprevisti, tendono a rafforzare la loro fiducia nelle istituzioni, cercando spiegazioni rassicuranti che confermino la loro visione del mondo.
Un altro aspetto centrale del complottismo è la tendenza a percepire schemi là dove non ce ne sono. Gli studi di Whitson e Galinsky (2008) hanno dimostrato che esiste una correlazione tra complottismo e altre forme di percezione di schemi, come il riconoscimento di pattern in situazioni casuali, come il lancio di una moneta. Questo fenomeno è legato alla "percezione illusoria di pattern", dove si tende a vedere relazioni e significati anche in eventi puramente casuali.
Uno studio fondamentale in questo ambito è stato condotto da Dieguez, Wagner-Egger e Gauvrit (2015), i quali hanno esplorato la tendenza delle persone a riconoscere schemi in sequenze di lanci di monete. I risultati, però, non hanno mostrato differenze tra i credenti nelle teorie del complotto e i non credenti nel riconoscere la casualità nei lanci di monete. Tuttavia, uno studio successivo di van Prooijen, Douglas e De Inocencio (2017) ha trovato una correlazione tra complottismo e la percezione di schemi illusori, suggerendo che la percezione di pattern potrebbe non essere una questione generale, ma piuttosto una predisposizione a vedere schemi non esistenti.
Gli autori di questo studio, infatti, suggeriscono che il complottismo non è legato alla capacità di riconoscere schemi veri e propri, ma alla tendenza a percepire schemi che non esistono, ossia illusori. Quando le persone osservano sequenze di eventi apparentemente casuali, come in un'opera d'arte astratta di Pollock, la percezione di un significato nascosto può favorire la credenza in teorie complottiste. Questo fenomeno è stato confermato dallo studio in cui le persone che vedevano opere di Pollock tendevano a percepire pattern significativi dove non ce n'erano, a differenza di chi osservava opere più strutturate e ordinate.
In sintesi, la percezione illusoria di pattern sembra essere un meccanismo fondamentale nel complottismo, così come la tendenza a sovrastimare la probabilità di eventi correlati, come nel caso dell'errore di probabilità noto come "fallacia di congiunzione". Tuttavia, non tutte le forme di percezione di schemi sono correlate al complottismo, e la relazione tra controllo e complottismo rimane un campo di studio complesso che richiede ulteriori approfondimenti.

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