Durante il suo mandato, Donald Trump ha suscitato un'ondata di polemiche, soprattutto per il suo atteggiamento nei confronti delle manifestazioni estremiste e della retorica divisiva. La sua risposta agli eventi di Charlottesville, dove si è verificato uno scontro tra manifestanti di estrema destra e contro-manifestanti, è diventata uno degli episodi simbolici del suo periodo presidenziale. Trump ha dichiarato che “non tutti quelli presenti erano neonazisti, credetemi”, e ha aggiunto che c’erano “persone molto perbene da entrambe le parti”. Con queste parole, ha offerto una parziale legittimazione agli estremisti di destra, suscitando l'indignazione di molti. Leader repubblicani e media conservatori hanno condannato le sue dichiarazioni, ma al contempo, alcuni gruppi di suprematisti bianchi, come David Duke e Richard Spencer, hanno appoggiato il presidente, interpretando le sue parole come un segno di apertura verso la loro causa.
Questo episodio ha messo in evidenza una tendenza che si sarebbe manifestata in vari momenti del suo mandato: l'adozione di politiche e dichiarazioni che hanno rafforzato e legittimato l'estremismo, soprattutto quello di matrice razzista e xenofoba. A partire dalla sua campagna elettorale, Trump ha alimentato il malcontento tra le classi più impoverite e disilluse dell'America, usando un linguaggio che parlava alle loro paure e insicurezze. Ha descritto gli Stati Uniti come una nazione in declino, governata da una élite corrotta e lontana dalle reali necessità del popolo. Il suo discorso, intriso di retorica anti-establishment, è stato accolto con favore da chi sentiva di essere stato abbandonato dai governi precedenti.
Una delle sue prime mosse da presidente è stata quella di firmare un decreto che vietava l'ingresso negli Stati Uniti da sette paesi a maggioranza musulmana. Quest'azione, oltre a suscitare forti critiche internazionali, ha avuto il duplice effetto di rinvigorire sentimenti xenofobi e di alimentare la divisione tra "noi" e "loro". In parallelo, Trump ha preso misure per costruire il muro al confine con il Messico, un altro atto simbolico che ha segnato la sua presidenza come un’epoca di separazione e paura.
Trump ha anche dimostrato di essere particolarmente abile nel manipolare le percezioni attraverso i social media, in particolare Twitter. Le sue dichiarazioni e i suoi attacchi a gruppi, individui e istituzioni si sono moltiplicati in un flusso costante di provocazioni. In questo modo, ha creato una narrativa basata sulla contrapposizione, presentando sé stesso come un difensore della “America vera” contro un nemico interno rappresentato dai liberali, dai media e dalle minoranze. Ha utilizzato la sua capacità di destare scandali per spostare l'attenzione dalle questioni più urgenti e complicate, come le indagini sul coinvolgimento della Russia nelle elezioni presidenziali del 2016.
Molti dei suoi alleati più stretti, come Steve Bannon e Stephen Miller, avevano forti legami con l'alt-right, un movimento di estrema destra che promuove ideologie razziste e suprematiste. Bannon, in particolare, aveva assunto una posizione prominente come stratega principale della Casa Bianca, portando all'interno del governo figure con una visione radicale e un’aperta ammirazione per l'ultradestra. Miller, noto per la sua postura dura sull'immigrazione e per aver diffuso teorie complottiste, è stato un altro esempio di come Trump abbia facilitato l'ingresso di elementi estremisti nelle posizioni di potere.
Il caos che ha caratterizzato la sua amministrazione è stato amplificato da una costante sfida alle convenzioni politiche e governative. Le sue dichiarazioni false e infondate, come quelle sulla presunta intercettazione delle sue comunicazioni telefoniche da parte di Barack Obama, hanno contribuito a un clima di paranoia che ha scosso ulteriormente la fiducia nelle istituzioni statunitensi. Al tempo stesso, Trump ha attaccato senza sosta i media, etichettandoli come nemici del popolo, un termine che evoca tendenze autoritarie e dittatoriali, usato per giustificare attacchi contro le libertà civili.
Nonostante la continua ondata di critiche e scandali, Trump ha mantenuto un solido supporto tra i suoi sostenitori. La sua figura è diventata simbolo di una battaglia tra un'America che si sentiva tradita e una politica che aveva abbracciato l'isolazionismo e il nazionalismo. Molti degli elettori che lo avevano scelto sentivano che la loro identità e i loro valori erano sotto attacco da parte della sinistra, e la retorica di Trump risuonava profondamente con queste paure.
Tuttavia, il panorama politico statunitense non è rimasto immutato. Se da un lato Trump ha cercato di consolidare il potere, dall’altro lato sono emerse voci dentro il Partito Repubblicano, come quelle di senatori come Bob Corker e Jeff Flake, che hanno cercato di distanziare il partito dalle tendenze autoritarie e dall'ideologia razzista che sembravano prevalere sotto la sua presidenza. Lo stesso ex presidente George W. Bush, sebbene senza fare nomi, ha criticato la crescente intolleranza e la diffusione di teorie complottiste, segnando un tentativo di ripristinare una visione più moderata all’interno del GOP.
In sintesi, la presidenza di Trump ha rappresentato un punto di rottura nella politica americana, una fase in cui le divisioni sono state esasperate, e l'estremismo ha trovato una nuova legittimità. Le sue politiche, il suo linguaggio e il suo stile di governo hanno avuto un impatto duraturo sulla società americana, portando a una polarizzazione che si è riflessa in ogni angolo della politica, dei media e della cultura.
Perché il Partito Repubblicano si è trasformato in un'entità autoritaria e populista: la parabola di Trump e la deriva verso l'estremismo
Nel corso degli ultimi decenni, il Partito Repubblicano ha subito un cambiamento radicale, trasformandosi da una forza politica che si definiva come un baluardo della democrazia a una struttura che sembra basarsi sulla legittimazione e sull'escalation di teorie del complotto, estremismo e manipolazione della paura. La figura di Donald Trump, con la sua retorica incendiaria e il suo stile di leadership demagogico, ha svolto un ruolo determinante in questo processo. Ma il percorso che ha portato a questo cambiamento è più complesso di quanto appaia, con radici che affondano in decenni di strategie politiche e di polarizzazione crescente.
Per comprendere pienamente la metamorfosi del Partito Repubblicano, bisogna guardare alla storicità di come la politica americana ha evoluto il concetto di "paura" e di "nemico". La sinistra americana, nonostante alcuni scivoloni, non ha mai sviluppato una strategia politica fondata sull'odio e sulla demonizzazione dell'avversario. Michael Dukakis, ad esempio, quando si confrontò con George H. W. Bush, non lo accusò di essere parte di un complotto malvagio, ma semplicemente di avere politiche sbagliate. Al contrario, il Partito Repubblicano, soprattutto negli ultimi decenni, ha adottato una retorica sempre più paranoica, dove il nemico non era solo l'avversario politico, ma anche il "nemico interno", una forza oscura che minacciava le fondamenta stesse della nazione. Le teorie del complotto, da quelle relative a Vince Foster fino alla più recente narrativa sul presunto "fraudolento" risultato delle elezioni del 2020, sono diventate una parte integrante della cultura politica repubblicana.
Trump ha preso questa retorica e l'ha amplificata, rendendola non solo una tattica politica ma una vera e propria ideologia. Il suo stile di leadership ha radicalizzato l'intero partito, trasformandolo in un movimento autoritario che non solo cerca di sconfiggere l'avversario, ma anche di eliminare qualsiasi dissenso interno. La logica del partito è diventata quella di aderire al "Grande Inganno", la narrativa secondo cui le elezioni del 2020 erano truccate, e chiunque non accettasse questa verità era considerato un traditore. La devozione a Trump divenne la condizione imprescindibile per far parte del Partito Repubblicano.
Ciò che è emerso, dopo gli eventi del 6 gennaio 2021, è stato un partito che ha abbracciato in modo ancora più deciso la figura di Trump e le sue politiche autoritarie. Molti elettori repubblicani hanno continuato a sostenere la versione distorta degli eventi, rifiutando la realtà e abbracciando una narrativa che metteva in discussione le basi della democrazia stessa. La divisione tra le diverse visioni politiche in America è diventata ancora più profonda, con una parte della popolazione che si è schierata apertamente con un'agenda che minacciava i principi democratici fondamentali. E il Partito Repubblicano non ha solo accettato questa radicalizzazione, l'ha incentivata.
Il tema dell'estremismo all'interno del Partito Repubblicano è divenuto centrale con l'affermazione di figure come Marjorie Taylor Greene e Lauren Boebert, che in passato avevano aderito apertamente a teorie del complotto come QAnon. La crescente legittimazione di queste posizioni ha aperto la strada a una radicalizzazione ulteriore, che si è manifestata in attacchi contro i democratici, sia nella retorica che nei fatti. La promozione di teorie antisemite, la giustificazione della violenza politica e il sostegno a regimi autoritari, come quello di Vladimir Putin, sono solo alcuni esempi di come l'estremismo sia diventato una parte del discorso politico repubblicano.
La situazione non si è fermata qui. Subito dopo l'insediamento di Joe Biden, numerosi legislatori repubblicani hanno proposto leggi per restringere il diritto di voto, mirando a manipolare i processi elettorali a favore del loro partito. L'idea di una "vittoria rubata" ha preso piede, alimentando la convinzione tra molti repubblicani che qualsiasi elezione persa fosse illegittima. Il tentativo di prendere il controllo delle elezioni non è stato solo un atto politico, ma una manifestazione di come l'integrità del processo democratico fosse diventata un obiettivo secondario rispetto al mantenimento del potere a ogni costo.
Il discorso anti-scientifico riguardo al COVID-19 e le politiche di rifiuto delle misure sanitarie, come le mascherine e i vaccini, hanno dimostrato come il Partito Repubblicano abbia cavalcato la retorica della paura e della disinformazione per ottenere consenso, persino di fronte a una crisi sanitaria che stava decimando la popolazione americana. In questo scenario, la manipolazione dell'informazione è diventata una parte integrante delle politiche del partito, il quale ha scelto di ignorare le evidenze scientifiche pur di seguire la narrazione che meglio si adattava alla sua base elettorale.
Tuttavia, per comprendere appieno l'evoluzione del Partito Repubblicano, bisogna anche riflettere sul suo ruolo storico nella politica americana. Fondato nel 1854 con lo scopo di difendere la democrazia e contrastare la schiavitù, il Partito Repubblicano ha tradito, con il tempo, molte delle sue fondamenta originarie. In particolare, la sua evoluzione da un partito progressista, nel contesto della lotta per i diritti civili, a una forza politica che oggi si allea con estremisti e teorie cospirazioniste, è un monito per la democrazia americana. Questo processo non è stato solo il risultato di una serie di eventi isolati, ma di un lento e costante cambiamento che ha preso piede con la crescita del populismo e della politica dell'odio.
Come il Partito Repubblicano ha affrontato la Paranoia e l'Estremismo nel Tempo
Le immagini di quei giorni non si dimenticano facilmente: il Cow Palace, una struttura originariamente costruita come padiglione per il bestiame dalla Works Progress Administration di Franklin D. Roosevelt, divenne il palcoscenico di uno dei momenti più significativi e turbolenti della politica americana. Gli attivisti di Goldwater, con il loro fervore incrollabile, non avrebbero mai permesso che Rocky, rappresentante dei repubblicani più moderati, avesse il sopravvento sul movimento che stava cercando di definire la direzione del partito. Era una sera tesa quando Rockefeller, dopo essere stato accolto con lanci di carta, prese la parola per i suoi cinque minuti di intervento. Non appena suggerì l'inserimento di un emendamento contro i Bircher nella piattaforma del partito, i suoi avversari risposero con un fragoroso coro di boati.
Il senatore Thruston Morton, presidente della convenzione, cercò di intervenire per proteggere Rockefeller, suggerendo di rinviare il discorso per motivi di sicurezza. Ma la tensione esplose quando Rockefeller, con fermezza, minacciò Morton di colpirlo in pubblico se avesse continuato a ostacolarlo. Il gesto mostrò chiaramente la polarizzazione interna che stava scuotendo il partito. Goldwater, da parte sua, ricevette indicazioni dai suoi collaboratori per fermare l’escalation, consapevoli che il tentativo di difendere l’ideologia di destra radicale rischiava di dipingere l’intero movimento come estremista e privo di razionalità.
Ma Rockefeller, determinato a smascherare la natura pericolosa di alcune correnti interne, proseguì il suo intervento, criticando apertamente i militanti di destra, che vedeva come una minaccia per la vera essenza del conservatorismo. L'accusa nei confronti dei Bircher era chiara, ma la risposta della platea non si fece attendere: le urla e i fischi si moltiplicarono. A questo punto, il discorso non sembrava più un tentativo di conciliazione, ma una battaglia aperta. Non c'era spazio per il compromesso, e l'indignazione cresceva visibilmente tra i partecipanti, fino a raggiungere un punto in cui la ragionevolezza, la stessa che Eisenhower aveva evocato precedentemente nel suo discorso, sembrava un lontano ricordo.
In un contesto simile, le parole di Rockefeller, purtroppo, non riuscirono a scuotere la maggioranza presente. La voce della maggioranza, spinta dalla paura di essere associata a una visione politica più moderata, vinse nel voto, e la sua richiesta di scissione tra i conservatori «puri» e coloro che cercavano di mantenere un Partito Repubblicano inclusivo si rivelò vana. Quel giorno, il Partito Repubblicano compì una scelta cruciale, rifiutando la visione più inclusiva e tentando di allearsi con una frangia radicale di destra che, negli anni successivi, avrebbe avuto un'influenza sempre più forte.
Molti decenni dopo, il partito si sarebbe ritrovato a fronteggiare una sfida analoga, quando nel gennaio del 2021 l'ex presidente Donald Trump scese sul palco di un comizio a Washington D.C. per un altro momento storico carico di tensione e conflitto. Nonostante la sconfitta alle elezioni presidenziali contro Joe Biden, Trump continuò a propagare teorie del complotto, alimentando il malcontento e la paranoia tra i suoi sostenitori. Queste teorie includevano accuse infondate di brogli elettorali e complotti internazionali, sostenuti da un vasto e variegato insieme di cospirazioni: dai macchinari di voto manipolati alla presunta interferenza della Cina, passando per presunti hacker italiani.
Il clima che si respirava quella giornata era carico di odio e diffidenza, alimentato da un movimento che si nutriva di teorie cospirative e paura. Tra la folla, c'erano suprematisti bianchi, nazionalisti cristiani e gruppi estremisti come i Proud Boys e gli Oath Keepers, pronti a lanciarsi in azioni violente per difendere le parole di Trump. Questi gruppi, come quelli che avevano riempito il Cow Palace decenni prima, avevano come obiettivo non solo il potere politico, ma anche la creazione di un’immagine del mondo come un campo di battaglia tra forze del bene e del male, con Trump come paladino contro un male assoluto e globale.
Il pericolo di un'ideologia che minaccia la razionalità e la moderazione all'interno di un grande partito politico è sempre presente. La storia ci insegna che il conflitto tra l'estremismo e la ragionevolezza non è mai risolto, ma si manifesta ciclicamente in momenti di crisi. Per questo motivo, è fondamentale comprendere che una cultura politica in cui la paura e la paranoia dominano il discorso pubblico non solo mina la capacità di risolvere i problemi, ma porta a una frattura sociale che può rivelarsi difficile da ricomporre.
Endtext
Come il movimento di destra ha trasformato il Partito Repubblicano negli anni '60: l'influenza della John Birch Society e il caso Goldwater
Nel cuore degli anni Sessanta, il panorama politico americano stava cambiando rapidamente, con il Partito Repubblicano che si trovava a fare i conti con una crescente influenza di gruppi di estrema destra. Il movimento conservatore, purtroppo per i suoi oppositori, stava mescolando posizioni reazionarie con il tradizionale conservatorismo repubblicano, come mai prima d'ora. Tra i più significativi di questi gruppi vi era la John Birch Society (JBS), un'organizzazione che si oppose fermamente alla crescita del governo federale e alla diffusione del comunismo, ma che attrasse anche individui con posizioni estremiste e teoriche complottiste. La John Birch Society, pur dichiarandosi patriottica, veniva sempre più percepita come un gruppo con tendenze antidemocratiche, responsabile della radicalizzazione di numerosi repubblicani e della crescente intolleranza all'interno del partito.
La convergenza tra Goldwaterism e la JBS non fu casuale. Mentre il senatore Barry Goldwater emergente dal movimento conservatore tentava di raccogliere consenso per la sua candidatura presidenziale del 1964, le sue idee – spesso descrivibili come “radicali” e “conservatrici senza compromessi” – trovarono una sponda naturale in molti membri della JBS. Goldwater rifiutò di separarsi da questi gruppi estremisti e anzi, li accolse a braccia aperte, convinto che il loro impegno fosse fondamentale per il successo della sua campagna. L’idea che il suo partito dovesse evolversi in una forza politica “senza compromessi” lo portò a ignorare le preoccupazioni di alcuni repubblicani moderati, tra cui Nelson Rockefeller, che temeva l’influenza crescente degli estremisti all’interno del partito. Rockefeller, in particolare, non esitò a criticare la JBS, dichiarando che i suoi membri stessero “rovinando” l’immagine dei repubblicani e imponendo tattiche di tipo totalitario nel dibattito politico. Tuttavia, l'alleanza tra Goldwater e la destra radicale non solo non venne dissuasa, ma paradossalmente crebbe in forza.
Mentre i sostenitori di Goldwater venivano accusati di essere in gran parte radicali, la risposta di Goldwater fu evasiva, cercando di minimizzare l’influenza della JBS e di altri gruppi estremisti. Era chiaro che, per quanto la JBS fosse odiata dai suoi critici, essa rappresentava una potenza politica che non poteva essere ignorata, e le sue risorse e il suo impegno attivo venivano utilizzati per sostenere la sua campagna. Nella California, uno degli stati chiave per la nomination presidenziale, Goldwater ebbe bisogno dei voti dei conservatori più estremisti e, a tal fine, non esitò ad allearsi con loro. Nonostante le sue dichiarazioni in cui minimizzava il ruolo della JBS, la sua campagna non poté fare a meno dei suoi membri.
Nel frattempo, a livello nazionale, si stava profilando una vera e propria divisione tra i repubblicani moderati e quelli radicali. L'influenza della JBS non si limitava ai soli confini del partito, ma attraversava la società americana, raggiungendo anche i media e l’opinione pubblica. I conservatori più estremisti, che si concentravano principalmente sulla paura del comunismo e sull’anti-complottismo, erano convinti che la società americana fosse sull'orlo del disastro, e questo li rendeva ancora più radicali. Tra le accuse che venivano mosse contro il governo Kennedy, quella di aver facilitato una cospirazione comunista globale o, come veniva proposto in alcuni articoli della rivista “American Opinion”, di aver orchestrato l’assassinio di Kennedy stesso per impedire che diventasse un ostacolo per i suoi “sovietici padroni”.
In effetti, la JBS non si limitò a giocare un ruolo di supporto all'interno delle campagne elettorali, ma alimentava anche un clima di paranoia politica, aumentando l’influenza dell’estrema destra negli Stati Uniti. Quando Goldwater lanciò la sua candidatura nel gennaio del 1964, molti già lo vedevano come il portavoce di una nuova era politica in cui il Partito Repubblicano avrebbe abbracciato con forza un conservatorismo senza compromessi. A questo proposito, il suo slogan “offrire agli elettori una scelta, non un’eco” sintetizzava perfettamente la sua visione: una sfida al sistema vigente e un allontanamento dalla moderazione politica.
Ma la sua alleanza con i gruppi di estrema destra, come la JBS, non venne mai realmente messa in discussione. Il fatto che alcuni tra i suoi maggiori sostenitori fossero membri della JBS e che questi gruppi avessero accesso alla sua campagna in modo così attivo è significativo. A livello internazionale, l’ascesa di Goldwater, con il suo approccio radicale e la sua connivenza con la destra estrema, contribuì a indebolire la posizione degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda, poiché le sue posizioni alimentavano la paura e il disordine all'interno del paese stesso.
Ciononostante, il vero pericolo che le alleanze tra i repubblicani conservatori e l'estrema destra rappresentavano non risiedeva solo nella loro capacità di manipolare l’opinione pubblica, ma nel loro impatto sulle istituzioni politiche. Goldwater si trovava a navigare in un terreno pericoloso, sostenuto da una base che non temeva di fare le sue alleanze con i più disparati gruppi radicali, dai sostenitori del razzismo segregazionista a quelli che vedevano complotti ovunque. In questo contesto, l’influenza della JBS non solo radicalizzò il dibattito all’interno del Partito Repubblicano, ma contribuì a definire un’intera generazione di politici conservatori che avrebbero continuato a influenzare la politica americana per decenni.
In sintesi, l’epoca di Goldwater rappresentò una fusione di ideologie che legavano la politica conservatrice tradizionale alla radicalizzazione delle posizioni politiche. L’influenza dei gruppi estremisti, nonostante le resistenze interne al partito, fu decisiva nel trasformare il volto del Partito Repubblicano, spingendo alcuni dei suoi membri più moderati a prendere le distanze da ciò che vedevano come un pericoloso allontanamento dalla sua tradizionale posizione di governo responsabile.
Perché la teoria del complotto di birtherism ha preso piede e come ha influenzato la politica americana
Nel 2008, durante la campagna presidenziale di Barack Obama, emerse una teoria del complotto che avrebbe avuto un impatto profondo non solo sulla politica americana, ma anche sulla retorica e sulla percezione della società statunitense. La teoria del "birtherism", che sosteneva che Obama non fosse un cittadino nato negli Stati Uniti e quindi non fosse qualificato per diventare presidente, non fu soltanto un attacco alle credenziali legittime di Obama, ma una manifestazione di razzismo, xenofobia e paura alimentata dalla paranoia.
Tutto ebbe inizio con una serie di e-mail anonime e voci infondate che circolarono tra il 2008 e il 2009. Una di queste sosteneva che Obama fosse di origine musulmana e che il suo obiettivo fosse "promettere falsa speranza e pace mondiale", ma che, alla fine, avrebbe "distrutto tutto". Altre voci attribuivano a missionari cristiani in Kenya la falsa affermazione che la madre di Obama fosse morta in Africa, mentre una nuova e-mail, spuntata nella primavera del 2008, accusava Obama di essere nato in Kenya, e che la sua registrazione alle Hawaii fosse una messa in scena per nascondere la sua vera identità. Queste storie non solo ignoravano i fatti, ma venivano anche presentate come rivelazioni apocalittiche.
Il movimento birther è emerso rapidamente come un veicolo per delegittimare Obama, non solo come candidato, ma anche come americano. La sua campagna, consapevole del pericolo di tali calunnie, rispose prontamente, pubblicando una certificazione di nascita ufficiale proveniente dal Dipartimento della Salute delle Hawaii, che attestava la sua nascita a Honolulu nel 1961. Nonostante ciò, le voci e i dubbi non cessarono. I teorici del complotto continuavano a sostenere che il documento fosse falso, chiedendo prove ancora più forti e rafforzando il sospetto che Obama fosse straniero. Persino un certo Jerome Corsi, noto per le sue teorie estremiste, andò in onda su Fox News per accusare Obama di mentire riguardo alla sua provenienza.
Nonostante tutte le prove a favore di Obama, i "birther" non cessarono mai di alimentare il dubbio. Un sondaggio del Pew Research nel luglio del 2008 mostrava che circa il 12% degli americani credeva ancora che Obama fosse musulmano, mentre il dibattito continuava a crescere. Eppure, le accuse non si fermavano. L'ex procuratore generale della Pennsylvania, Philip Berg, avviò una causa legale contro Obama, sostenendo che fosse nato in Kenya. Sebbene la causa venne presto archiviata come "frivola", il danno era già stato fatto. La stessa strategia, che affondava le radici nell'odio e nella paura, veniva ora utilizzata anche a livello elettorale.
Nel contesto delle elezioni del 2008, la campagna McCain-Palin non solo ignorava queste teorie razziste e cospirative, ma le amplificava anche. La retorica di Sarah Palin, in particolare, giocava sulla paura di un Obama straniero e pericoloso. Durante i suoi comizi, accusava Obama di essere legato a terroristi, sfruttando la figura di Bill Ayers, un ex membro del gruppo radicale Weather Underground, per dipingere Obama come una minaccia per l'America. Le folle, infiammate da questa retorica, esponevano cartelli con frasi xenofobe, gridavano insulti razziali e minacciavano Obama con violenza. Le campagne pubblicitarie, così come le dichiarazioni di McCain, spingevano la narrativa che Obama non fosse "un vero americano", insinuando che fosse un socialista o un traditore.
Queste accuse alimentavano la creazione di un nemico comune, un "altro", che non era più un semplice avversario politico ma una figura demonizzata. Questo processo di "altroizzazione" non solo si concentrava sulla figura di Obama come un immigrato illegale o un musulmano, ma rifletteva una più ampia crisi identitaria. Le elezioni del 2008 segnarono l’ingresso in una nuova era della politica americana, in cui l'infodemia di paura e odio, amplificata dai social media e da una rete di canali televisivi conservatori, prese piede.
In questo contesto, è fondamentale considerare come la politica dell’odio e della disinformazione non si sia limitata al periodo delle elezioni, ma abbia dato il via a una nuova forma di politica basata sulla paura, sulla manipolazione emotiva e sul rafforzamento delle divisioni. Le campagne successive, così come gli sviluppi successivi nella politica americana, hanno mostrato come la retorica divisiva possa essere utilizzata per costruire consenso, ma anche per alimentare conflitti profondi e durevoli.
L'importanza di questo periodo non risiede solo nell'analisi delle teorie del complotto stesse, ma anche nell’osservazione di come questi discorsi abbiano plasmato la politica americana contemporanea. La capacità di manipolare le paure collettive, di giocare sull'ignoranza, sulla xenofobia e sulla razza, ha portato alla creazione di una narrativa in cui non solo le differenze politiche, ma anche quelle etniche e culturali, venivano accentuate per creare una divisione insanabile tra i "veri americani" e chi era visto come straniero. Questo ha avuto un impatto duraturo sulla società americana, e gli effetti di queste teorie del complotto continuano a farsi sentire anche a distanza di anni, influenzando la politica e la cultura negli Stati Uniti.

Deutsch
Francais
Nederlands
Svenska
Norsk
Dansk
Suomi
Espanol
Italiano
Portugues
Magyar
Polski
Cestina
Русский