Il processo di costruzione e addestramento di un modello di deep learning con MATLAB inizia dalla preparazione e organizzazione dei dati, che rappresentano il fulcro di qualsiasi progetto di intelligenza artificiale. I dati vengono innanzitutto caricati attraverso la funzione readtable(), che consente di leggere il dataset salvato in un file CSV. Nel caso specifico, si tratta di un dataset relativo a terremoti, contenente variabili quali latitudine, longitudine, profondità, ora e magnitudo (MAG). Per scopi di addestramento e validazione, il dataset viene suddiviso in due parti uguali: i primi 3000 record sono destinati all’addestramento, mentre i successivi 3000 vengono riservati al test del modello.
La corretta estrazione e organizzazione delle colonne rilevanti è fondamentale. In questo esempio, le variabili LATI, LONG, DEPTH e HOUR vengono considerate come input, mentre MAG rappresenta la variabile target, ovvero l’output. Vengono creati due array di dati separati, trainData e testData, che uniscono rispettivamente input e output. Successivamente, questi array vengono convertiti in oggetti arrayDatastore con la funzione omonima, la quale gestisce in modo efficiente la lettura batch dei dati durante l’addestramento, migliorandone la scalabilità e la gestione della memoria.
Una volta preparati i datastores, si passa alla progettazione della rete neurale tramite il Deep Network Designer (DND) di MATLAB. Si opta per una rete creata da zero, piuttosto che utilizzare modelli pre-addestrati, in modo da comprendere in modo completo la costruzione di un modello per una sequenza di regressione. La struttura tipica prevede un layer di input di tipo featureInputLayer e un layer di output di tipo regressionLayer. Un elemento chiave inserito è il layer Long Short-Term Memory (LSTM), essenziale per la gestione di dati sequenziali, perché consente di catturare la dipendenza temporale fra gli step temporali della sequenza, migliorando la capacità predittiva.
Durante la configurazione, è importante settare accuratamente i parametri, come l’OutputSize delle Fully Connected (FC) layers, che in questo caso deve essere ridotto a 1 per allinearsi alla dimensione dell’output, cioè la magnitudo del terremoto. Completata la definizione della struttura, si procede all’importazione dei datastores per il training e la validazione direttamente tramite l’interfaccia grafica del DND.
L’addestramento vero e proprio avviene attraverso la scheda Training, dove si avvia il processo che aggiorna i pesi della rete sulla base dei dati di training e ne verifica la performance sui dati di validazione. Al termine, il modello addestrato e le informazioni di training vengono salvate nello Workspace MATLAB, pronte per essere riutilizzate per ulteriori valutazioni o implementazioni.
La fase successiva riguarda la validazione del modello: si crea uno script dedicato che carica un dataset di test, in questo caso limitato a 100 record per una valutazione rapida, e si applica il modello addestrato per verificarne le prestazioni. Questa verifica è cruciale per confermare che il modello abbia effettivamente appreso le caratteristiche significative e sia capace di generalizzare su dati non visti durante il training.
Oltre alle operazioni tecniche descritte, è fondamentale comprendere che il successo nel deep learning non dipende solo dalla costruzione di una rete complessa o dall’uso di dataset ampi, ma dalla capacità di gestire correttamente il flusso e la qualità dei dati, dalla scelta accurata delle variabili di input e output, e dall’adeguata divisione tra training e test per evitare sovradattamento. La configurazione di layer specializzati come LSTM è fondamentale per lavorare con dati sequenziali, come nel caso di eventi temporali o spaziali, poiché consentono di catturare relazioni dinamiche nel tempo.
Infine, il processo di valutazione tramite dati di test separati è essenziale per assicurare che il modello non solo memorizzi i dati di addestramento ma impari una rappresentazione generalizzabile, capace di fornire predizioni affidabili su nuovi dati. Questo ciclo iterativo di preparazione, addestramento, salvataggio e validazione costituisce la base di qualsiasi progetto pratico di deep learning, garantendo rigore e robustezza del modello finale.
Che cos’è il clustering e quali sono le principali tecniche di apprendimento non supervisionato?
Il clustering è una metodologia fondamentale nell’ambito dell’apprendimento non supervisionato, il cui obiettivo consiste nel raggruppare un insieme di dati in cluster, cioè sottoinsiemi omogenei di elementi simili tra loro. Una caratteristica cruciale è la distinzione tra hard clustering e soft clustering. Nel primo caso, ogni dato appartiene in modo esclusivo a un solo cluster; nel secondo, invece, un singolo punto dati può appartenere a più cluster con differenti gradi di appartenenza, come avviene nel clustering sovrapposto.
Tra gli algoritmi più rilevanti, il K-Means si colloca nella categoria del clustering hard, poiché assegna ogni punto dati a un solo cluster in modo definitivo. La sua semplicità e velocità di calcolo ne hanno determinato una larga diffusione, ma il problema di stabilire il numero ottimale di cluster, K, rimane una sfida affrontata con metodi come l’Elbow e il Silhouette. Questi metodi valutano rispettivamente la varianza intra-cluster e la coesione e separazione tra cluster, consentendo così di scegliere una soluzione di clustering più rappresentativa.
Il clustering soft comprende modelli più complessi, tra cui spicca il Gaussian Mixture Model (GMM). Questo modello assume che i dati siano generati da una combinazione di distribuzioni gaussiane e permette a ciascun punto di appartenere simultaneamente a più cluster, assegnando probabilità di appartenenza. Tale approccio si rivela particolarmente efficace in contesti dove la sovrapposizione naturale dei gruppi è intrinseca e i confini netti tra cluster non sono facilmente definibili.
La sovrapposizione di cluster può essere anche modellata attraverso il Fuzzy C-Means, una variante del K-Means che utilizza pesi di appartenenza e ottimizza una funzione obiettivo fuzzy. Questa tecnica permette di rappresentare con maggiore fedeltà la complessità dei dati reali, soprattutto in ambiti quali la medicina o il marketing, dove le categorie possono essere sfumate e interconnesse.
Un altro strumento rilevante nell’ambito dell’analisi non supervisionata è rappresentato dalle regole di associazione, tipicamente estratte con l’algoritmo Apriori. Questo algoritmo identifica insiemi frequenti di item, cioè combinazioni di attributi che appaiono frequentemente insieme, e da questi si derivano regole di associazione che svelano relazioni nascoste tra variabili in grandi basi dati. La misura di supporto indica quanto spesso un insieme di item appare nei dati, mentre la confidenza esprime la probabilità condizionata che un evento accada dato un altro evento, fornendo così una metrica di affidabilità della regola.
L’utilizzo combinato di tecniche di clustering e regole di associazione apre possibilità ampie per la scoperta di pattern complessi e la segmentazione efficace di dati non etichettati. Tuttavia, è importante considerare che questi metodi richiedono un’attenta fase di pre-processing e la scelta accurata dei parametri, poiché il risultato finale dipende fortemente dalla qualità e dalla natura del dataset. Inoltre, interpretare i cluster e le regole estratte richiede competenze specifiche, per evitare errori di sovrainterpretazione o bias indotti da una cattiva selezione delle caratteristiche.
Al di là delle definizioni formali e degli algoritmi, comprendere la differenza tra apprendimento supervisionato e non supervisionato è fondamentale. Nel primo, i dati sono accompagnati da etichette che guidano la costruzione del modello, mentre nel secondo, come nel clustering e nelle regole di associazione, non vi è alcuna informazione preliminare e il modello deve scoprire autonomamente la struttura sottostante. Questa autonomia rende l’apprendimento non supervisionato uno strumento potente ma anche delicato, poiché la mancanza di feedback diretto richiede tecniche di validazione rigorose e spesso anche un coinvolgimento esperto nella valutazione dei risultati.
Nel contesto pratico, l’implementazione di questi algoritmi tramite software come MATLAB permette di testare e visualizzare i modelli, per esempio attraverso funzioni come dendrogrammi nel clustering gerarchico o grafici dei centroidi nel K-Means. La disponibilità di dataset reali, come quelli medici per il diabete o il cuore, consente di applicare e valutare le tecniche, fornendo un ponte tra teoria e applicazione concreta.
È importante anche considerare le implicazioni di interpretazione e applicazione delle tecniche di clustering. La natura probabilistica di alcuni metodi suggerisce che i cluster non rappresentano necessariamente gruppi rigidi, ma piuttosto zone di influenza con confini sfumati, riflettendo la complessità e la variabilità dei fenomeni reali. Inoltre, le regole di associazione devono essere sempre contestualizzate: una regola con alta confidenza può non avere rilevanza pratica se il supporto è basso o se il fenomeno analizzato non ha senso nel dominio specifico.
In conclusione, la padronanza delle tecniche di clustering e delle regole di associazione richiede non solo la conoscenza degli algoritmi, ma anche una comprensione approfondita delle caratteristiche dei dati, delle esigenze applicative e delle metodologie di validazione. La combinazione di approcci hard e soft, l’uso di modelli probabilistici e fuzzy, e l’estrazione di pattern mediante regole di associazione rappresentano strumenti imprescindibili per chi desidera estrarre conoscenza utile da dati non strutturati, rendendo l’apprendimento non supervisionato un campo dinamico e in continua evoluzione.
Come si valutano e confrontano diversi algoritmi di classificazione nel rilevamento del diabete?
Nel contesto dell’analisi predittiva per il diabete, è fondamentale disporre di un dataset strutturato che consenta di addestrare e testare modelli di classificazione. Il processo inizia con la suddivisione del dataset in due insiemi: uno per l’addestramento, che contiene i primi 668 campioni, e uno per il test, che comprende gli ultimi 100 campioni. Le variabili predittive sono ricavate dalle prime otto colonne, mentre la colonna finale, Outcome, rappresenta la variabile di risposta binaria. Questa organizzazione permette di istruire modelli su dati noti e verificarne la capacità predittiva su dati nuovi, sconosciuti al modello.
L’addestramento di modelli lineari di classificazione si concretizza, ad esempio, attraverso la funzione fitclinear(), che accetta come input le variabili predittive e la risposta associata. A valle dell’addestramento, si utilizzano i dati di test per effettuare previsioni e ottenere le etichette predette. Il confronto tra etichette reali e predette avviene tramite l’analisi della matrice di confusione, uno strumento fondamentale per valutare la qualità della classificazione, evidenziando la frequenza di classificazioni corrette e errate per ciascuna classe.
Oltre alla classificazione lineare, si possono adottare approcci più complessi come il kernel method, supportato dalla funzione fitckernel(), che consente di mappare i dati in spazi dimensionali più elevati per ottenere una migliore separazione non lineare. La stessa metodologia di addestramento, previsione e valutazione tramite matrice di confusione è applicata per confrontare le prestazioni di modelli diversi.
Un ulteriore approccio è rappresentato dal Support Vector Machine (SVM), implementato con fitcsvm(). Questo algoritmo cerca di trovare un iperpiano ottimale che massimizzi il margine tra le due classi, migliorando la capacità di generalizzazione su dati non visti. Infine, il metodo dei K-Nearest Neighbors (KNN), attraverso fitcknn(), basa la classificazione sulla vicinanza di punti simili, ma spesso risulta meno performante rispetto ai modelli precedenti in questo contesto specifico.
La funzione plotConfChart() è uno strumento personalizzato che consente di visualizzare graficamente le matrici di confusione per ciascun modello, evidenziandone le differenze in termini di accuratezza, sensibilità e specificità. L’uso di indicatori normalizzati per righe e colonne aiuta a comprendere le proporzioni di corrette e errate classificazioni per ogni classe reale e predetta.
Dall’analisi empirica emerge che l’SVM fornisce la migliore accuratezza nella classificazione del diabete, seguita dai modelli lineari e kernel, mentre il KNN mostra performance inferiori. Questo risultato sottolinea l’importanza di selezionare l’algoritmo più appropriato in base alla natura del problema e alla struttura dei dati.
Per una comprensione completa, è essenziale considerare la qualità e la rappresentatività del dataset, nonché il bilanciamento tra le classi, elementi che influenzano fortemente la capacità predittiva dei modelli. Inoltre, la scelta delle metriche di valutazione deve riflettere le esigenze specifiche dell’applicazione, poiché in contesti medici la minimizzazione degli errori di falso negativo può avere un’importanza cruciale. L’interpretazione delle matrici di confusione deve quindi essere accompagnata da una riflessione critica sui costi associati a differenti tipi di errore, e non solo dalla mera accuratezza numerica.
L’efficacia di un modello non dipende esclusivamente dalla complessità algoritmica, ma anche dalla capacità di generalizzare su dati mai visti e dalla robustezza rispetto a rumori e variazioni nei dati reali. Infine, l’integrazione di questi modelli in sistemi reali richiede una continua validazione e aggiornamento, per adattarsi a eventuali cambiamenti nel fenomeno osservato e mantenere elevati standard di affidabilità.
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