La corrosione intergranulare è un fenomeno che si manifesta in alcune leghe di acciaio inox, in particolare quelle con alti livelli di carbonio o che non sono state trattate termicamente in modo adeguato. In questi casi, il formarsi di carburi di cromo lungo i bordi dei grani diminuisce la resistenza alla corrosione del materiale. Un altro esempio si trova nelle leghe di alluminio, utilizzate in applicazioni aerospaziali, dove anche esse possono essere soggette alla corrosione intergranulare in particolari condizioni. L’alleanza Al–Cu, molto studiata, presenta una microstruttura che simula quella rappresentata nella figura 8.
Un altro tipo di corrosione che può danneggiare seriamente i materiali è la corrosione galvanica, anche conosciuta come corrosione da metalli dissimili. Questo tipo di corrosione si verifica quando due metalli diversi si trovano vicini e sono esposti a condizioni di umidità o acqua salata. In questo caso, uno dei metalli si corrode più velocemente (anodo), mentre l’altro resiste alla corrosione o si corrode più lentamente (catodo). La differenza nelle proprietà elettriche dei due metalli causa un flusso di elettroni tra di loro, accelerando la corrosione del metallo anodo. La velocità con cui si verifica la corrosione galvanica dipende dalla differenza di potenziale tra i metalli coinvolti, che può essere calcolata utilizzando la formula di Gibbs per l'energia libera della reazione, insieme al numero di moli di elettroni trasferiti e alla costante di Faraday.
Anche l'erosione rappresenta un problema significativo per la durata e l’integrità dei materiali. Si verifica quando la superficie di un materiale viene lentamente consumata da agenti esterni, come il vento, l’acqua o particelle che agiscono su di essa. La velocità di erosione dipende dalla forza e dalla durata di questi agenti esterni, nonché dalla natura del materiale che viene eroso. Una rappresentazione digitale dell'erosione su un tubo del gas è mostrata nella figura 10.
Per proteggere i materiali dalla corrosione, uno degli approcci più utilizzati è l'impiego di metalli nobili (come oro, argento, platino) come sistemi di protezione. Tuttavia, il loro elevato costo ne limita l’uso quotidiano. Per questo motivo, sono stati sviluppati altri metalli, leghe e tecniche di protezione. Prima di applicare qualsiasi rivestimento protettivo, è fondamentale preparare correttamente la superficie metallica, ad esempio utilizzando solventi organici volatili per rimuovere oli e grassi, oppure attraverso trattamenti acidi come la decapaggio per rimuovere la scala. È anche possibile utilizzare una soluzione alcalina per eliminare oli e grassi o ricorrere a una fiamma per rimuovere vecchi rivestimenti o vernici.
La selezione del materiale giusto è cruciale per minimizzare i danni da corrosione. Un buon progetto dovrebbe evitare il contatto tra metalli dissimili in ambienti corrosivi o, se necessario, assicurarsi che il metallo anodo abbia una superficie maggiore rispetto al metallo catodo. È importante anche evitare angoli acuti e non applicare vernici o rivestimenti che potrebbero accelerare la corrosione localizzata. La scelta dei materiali si basa su esperienza e prove di laboratorio, che permettono di valutare la loro idoneità in condizioni specifiche.
Un metodo efficace di protezione contro la corrosione è il rivestimento sacrificatorio, che consiste nell’applicare uno strato di un metallo più reattivo, come zinco o alluminio, sulla superficie di un altro materiale. Questo metallo sacrificatorio si corrode per primo, proteggendo il materiale sottostante dalla corrosione. Questo metodo è molto utilizzato in industrie come quella marittima, automobilistica e delle costruzioni, per proteggere strutture in acciaio, tubazioni e altre parti metalliche.
La protezione catodica è un altro approccio efficace per prevenire la corrosione. Consiste nel trasformare la superficie metallica nel catodo di una cella elettrochimica, evitando che il metallo si corrompa. Ci sono due tipi di protezione catodica: la protezione catodica galvanica (GCP), in cui un metallo più reattivo, come zinco o magnesio, viene collegato al metallo da proteggere, e la protezione catodica a corrente impressa (ICCP), che utilizza una fonte di corrente esterna per applicare una corrente diretta al metallo, impedendo la sua corrosione. Mentre la protezione galvanica è usata per strutture di piccole dimensioni come tubazioni o serbatoi, la protezione catodica a corrente impressa è impiegata per strutture più grandi come navi o piattaforme offshore.
Un’altra tecnica di protezione è quella della barriera, che consiste nell’applicare un rivestimento protettivo sulla superficie metallica per separarla dall’ambiente circostante. Questo metodo è comunemente realizzato mediante l’uso di vernici, oli o metalli non corrosivi che proteggono i materiali dall’aria, dall’acqua e dal diossido di carbonio. Un materiale sempre più utilizzato in questo ambito è il grafene, grazie alla sua struttura unica e alle proprietà elettriche che lo rendono altamente resistente alla corrosione.
La galvanizzazione, processo sviluppato dal chimico italiano Luigi Brugnatelli nel 1805, è un altro esempio di protezione contro la corrosione. La tecnica consiste nel rivestire un materiale con un sottile strato di metallo, solitamente mediante l’uso di corrente elettrica. Il metallo depositato fornisce una protezione contro gli effetti ambientali, prolungando la durata del materiale sottostante.
Quando si studiano i metodi di protezione contro la corrosione, è fondamentale comprendere che nessun sistema di protezione è infallibile. Ogni tipo di rivestimento o trattamento ha i suoi limiti e deve essere scelto tenendo conto delle specifiche condizioni di esposizione e delle caratteristiche del materiale. L’approccio più efficace alla protezione contro la corrosione è una combinazione di metodi, che assicura la massima durabilità e sicurezza dei materiali nel tempo.
Quali tecniche di caratterizzazione della superficie sono utilizzate per i film e le polveri di MXene?
I materiali bidimensionali (2D) hanno suscitato un interesse crescente nel corso degli ultimi anni, grazie alle loro straordinarie proprietà fisiche e chimiche. Tra questi materiali, i carburi e i nitriti dei metalli di transizione, conosciuti come MXene, si distinguono per la loro struttura unica e per le capacità funzionali che possiedono. La loro capacità di condurre calore ed elettricità, la stabilità termica e la flessibilità sono alcune delle caratteristiche che li rendono ideali per applicazioni in numerosi settori, dalla protezione elettromagnetica alla tecnologia delle supercapacità. Tuttavia, per poter sfruttare appieno le potenzialità di questi materiali, è fondamentale comprendere le tecniche di caratterizzazione della loro superficie.
La tecnica di caratterizzazione della superficie gioca un ruolo cruciale nell'analisi dei materiali MXene, poiché permette di comprendere a fondo la loro composizione, la presenza di gruppi funzionali sulla superficie, i siti attivi e la possibilità di modulare la loro struttura. Questa comprensione è essenziale per il loro impiego in vari ambiti applicativi, come il miglioramento delle prestazioni dei superconduttori, la protezione contro le radiazioni elettromagnetiche o lo sviluppo di biosensori avanzati.
Una delle tecniche principali utilizzate per analizzare la superficie dei MXene è la spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS). Questa tecnica permette di ottenere informazioni dettagliate sulla composizione elementare e sui gruppi funzionali presenti sulla superficie del materiale. Grazie alla sua alta risoluzione, l'XPS consente di identificare anche piccole variazioni nelle configurazioni chimiche dei gruppi legati alla superficie dei MXene, come i gruppi ossidrilici o i gruppi ossigenati, che influenzano in modo significativo le proprietà chimiche e fisiche del materiale.
Un’altra tecnica importante è la microscopia elettronica a trasmissione (TEM), che consente di ottenere immagini ad altissima risoluzione della struttura dei MXene, permettendo di osservare non solo la disposizione dei singoli atomi, ma anche la disposizione delle fasi cristalline e le eventuali dislocazioni o difetti. La TEM è utile anche per esaminare la morfologia dei MXene su scala nanometrica, caratterizzando la forma e le dimensioni dei nanostrutture presenti.
La microscopia elettronica a emissione di raggi X (XPEM) rappresenta un'altra tecnica fondamentale per l'analisi della superficie. Essa permette di raccogliere informazioni sulla distribuzione degli atomi sulla superficie dei MXene, aiutando a capire come i gruppi funzionali e i difetti possano influenzare le proprietà macroscopiche del materiale.
Altre tecniche utili per l’analisi della superficie dei MXene includono la spettroscopia di assorbimento dei raggi X (XAS), che fornisce informazioni sullo stato di ossidazione degli atomi e sulla loro interazione con l'ambiente circostante. Grazie a questa tecnica, è possibile studiare le modifiche strutturali che avvengono durante l'interazione dei MXene con diversi ambienti, migliorando la comprensione della loro stabilità e della loro reattività.
Infine, la spettroscopia Raman, che analizza le vibrazioni delle molecole, è utile per investigare la composizione chimica e strutturale dei MXene, offrendo informazioni sullo stato cristallino e sugli eventuali danni che i materiali potrebbero aver subito durante i processi di sintesi o di trattamento.
L’analisi approfondita delle superfici dei MXene, combinata con queste tecniche avanzate, permette di ottimizzare il design e la fabbricazione dei dispositivi che impiegano questi materiali. Ad esempio, i MXene vengono utilizzati per produrre superconduttori altamente efficienti e per migliorare le prestazioni dei sistemi di stoccaggio dell'energia. Inoltre, il loro utilizzo in applicazioni come la schermatura elettromagnetica, la rilevazione di biosensori e l’elettronica avanzata può essere migliorato ulteriormente con una comprensione più dettagliata delle loro proprietà superficiali.
La capacità di manipolare la struttura dei MXene a livello superficiale permette non solo di migliorare le prestazioni di dispositivi esistenti, ma anche di aprire la strada a nuove applicazioni in campi ad alta tecnologia. La ricerca futura, concentrata sul miglioramento delle tecniche di caratterizzazione e sulla sintesi di nuovi MXene con proprietà superficiali modificate, porterà sicuramente a progressi significativi nel loro utilizzo.
Quali sono le sfide e i progressi nella funzionalizzazione superficiale dei MXene?
La funzionalizzazione superficiale dei MXene, materiali bidimensionali innovativi, è un processo cruciale per ottimizzare le loro prestazioni in diverse applicazioni tecnologiche. Le proprietà avanzate dei MXene, come la conducibilità elettrica, la stabilità ambientale e la resistenza alla corrosione, possono essere notevolmente migliorate attraverso modifiche chimiche delle loro superfici. Tuttavia, questo processo non è privo di sfide, soprattutto in relazione alla distribuzione omogenea dei gruppi terminali e alla stabilità a lungo termine delle caratteristiche del materiale.
I MXene, come il Ti3C2Tx, sono noti per la loro capacità di ospitare vari gruppi terminali sulla loro superficie, come –F, –OH e –O, che influenzano le loro proprietà fisico-chimiche. L'introduzione di questi gruppi durante la sintesi dei MXene modifica la loro idrofobicità e reattività ambientale. Ad esempio, i gruppi –OH e –O conferiscono una maggiore affinità per l'acqua, mentre i gruppi –F tendono a rendere il materiale più idrofobico. Queste modifiche sono essenziali per applicazioni in sensori, dispositivi di stoccaggio energetico e tecnologie catalitiche.
Un approccio comune per la funzionalizzazione superficiale dei MXene è la polimerizzazione superficiale, che consente di generare catene polimeriche direttamente dalle superfici dei MXene. I metodi di polimerizzazione come la grefatura da, in cui gli iniziatori sono fissati sulla superficie del MXene, e la grefatura a, in cui i polimeri preparati vengono attaccati direttamente, sono tecniche che migliorano la dispersibilità e la stabilità dei MXene. La polimerizzazione permette anche di personalizzare le caratteristiche superficiali del materiale, come la sensibilità ai cambiamenti ambientali, migliorando ulteriormente le loro prestazioni in applicazioni avanzate.
Tuttavia, il processo di funzionalizzazione superficiale dei MXene deve affrontare diverse difficoltà pratiche. La distribuzione non uniforme degli iniziatori di polimerizzazione e il controllo della lunghezza delle catene polimeriche sono problemi significativi che richiedono soluzioni precise. Inoltre, la passivazione dei gruppi attivi sulla superficie può ridurre le prestazioni del materiale, rendendo essenziale mantenere una funzionalizzazione superficiale ottimale senza compromettere le proprietà originali del MXene. Le condizioni ambientali, come la temperatura e l'atmosfera in cui avvengono i trattamenti termici, influenzano fortemente il risultato della funzionalizzazione. Ad esempio, il trattamento a temperature elevate può portare alla rimozione di gruppi come –OH e –F, migliorando la conducibilità elettrica ma a scapito della stabilità di alcuni gruppi funzionali.
Le superfici dei MXene sono soggette a modifiche dinamiche durante i trattamenti termici, con la formazione di legami Ti–O e la possibile rimozione di gruppi terminali come il fluoro. Trattamenti come l'uso di atmosfera di argon, vapore acido o ozono UV possono alterare significativamente la struttura superficiale dei MXene. Per esempio, il trattamento UV-ozono aumenta la concentrazione di gruppi Ti–O, che a loro volta riducono il bandgap dei MXene, migliorando le loro proprietà elettriche e di trasparenza.
L’uso di additivi alcalini e l'atmosfera riduttiva durante i trattamenti termici possono promuovere la rimozione di gruppi –OH e la formazione di nuovi gruppi funzionali sulla superficie del MXene, migliorando la sua stabilità idrica e la reattività. Un esempio è l'intercalazione del Ti3C2Tx con dimetilsolfossido (DMSO) in soluzione di KOH, che sostituisce i gruppi –OH con gruppi –F, aumentando la conducibilità del materiale e la sua idrofobicità. In alternativa, il trattamento del MXene a temperature elevate (450 °C in atmosfera di argon) promuove l’abbondanza di gruppi –OH, migliorando la sua capacità di interazione con l'acqua e le prestazioni in applicazioni come i lubrificanti biologici.
Un altro aspetto critico riguarda la stabilità a lungo termine dei MXene funzionalizzati. Sebbene le modifiche superficiali possano portare a miglioramenti immediati nelle prestazioni, è fondamentale valutare la loro durata e affidabilità in condizioni operative reali. La gestione delle temperature, la scelta dell'atmosfera di trattamento e la qualità dei polimeri funzionalizzati sono fattori determinanti per garantire la robustezza e la funzionalità a lungo termine dei MXene in una varietà di tecnologie avanzate.
Inoltre, la scalabilità del processo di funzionalizzazione è un altro problema rilevante. La produzione industriale di MXene funzionalizzati deve affrontare sfide legate ai costi, al tempo e alla consistenza delle proprietà tra i lotti di produzione. La caratterizzazione precisa dei gruppi superficiali e dei polimeri è essenziale per validare il successo del processo di funzionalizzazione e comprendere il comportamento dei materiali in applicazioni reali. La comprensione delle dinamiche di trattamento e delle modifiche a livello atomico e molecolare è fondamentale per ottimizzare l'uso dei MXene nelle applicazioni emergenti.
Come i sensori basati su MXene possono rivoluzionare l'analisi ambientale e la protezione
Il processo di adsorbimento fisico del vapore acqueo su una superficie, sotto un campo elettrostatico, porta alla ionizzazione delle molecole d'acqua, generando ioni H3O+ e causando il trasporto dei protoni tramite conducibilità ionica. A livelli elevati di umidità, si forma uno strato d’acqua che penetra nel materiale sensore, modificandone le proprietà elettriche. In uno studio recente, è stato dimostrato che un sensore modificato con CuO/Ti3C2Tx presentava una sensibilità elevata (451 K/% RH), circa 282.000 volte superiore a quella di un sensore Ti3C2/polielettrolita (1,6 K/% RH), con tempi di risposta e recupero brevi (0,5 s e 1 s rispettivamente) e un basso valore di isteresi. I sensori elettrochimici basati su MXene, solitamente, incorporano un elettrodo in carbonio vetroso (GCE), che agisce come base per il sensore, all'interno di un corpo isolante, solitamente un polimero, con un disco di carbonio vetroso posizionato all'estremità dell'elettrodo. Questo disco entra direttamente in contatto con gli analiti durante l'esperimento. I materiali conduttivi all'interno dell'elettrodo sono di solito fili d'argento, rame o platino, che connettono il disco di carbonio vetroso con l'attrezzatura elettrochimica. Questo tipo di elettrodo può essere modificato tramite drop-casting di una soluzione contenente MXene. Lee e collaboratori hanno proposto una modifica simile, suggerendo di modificare un GCE con un film composito MXene-titania-Nafion, utilizzato per determinare la concentrazione di capsaicina nei campioni di peperoncino. Questo elettrodo ha mostrato un significativo aumento della corrente di ossidazione rispetto a un GCE non modificato, con un limite di rilevamento di 2,5 × 10^-8 M.
MXene è una classe di nanomateriali bidimensionali che ha suscitato notevole attenzione nell'ambito della protezione ambientale. Le sue principali caratteristiche includono una superficie specifica molto elevata, abbondanti gruppi terminali e una struttura a strati distintiva, simile al grafene. Questi materiali presentano siti attivi, facilità di funzionalizzazione, biocompatibilità, elevata porosità, idrofobicità, grande spaziatura interstrato, stabilità chimica e una maggiore capacità di adsorbimento e riduzione. La determinazione della superficie BET è fondamentale per la caratterizzazione degli MXene nelle applicazioni ambientali, come l'adsorbimento, la catalisi e i sensori. Gli MXene con superfici maggiori mostrano una capacità di adsorbimento superiore. Un aumento della superficie specifica giustifica una miglior adsorbimento di Pb(II), in particolare grazie alla presenza significativa di gruppi funzionali. Tuttavia, studi recenti hanno mostrato che, per MXene non agglomerati, la superficie specifica potrebbe essere maggiore di 1800 m²/g. Un materiale con capacità di adsorbimento elevata può essere utilizzato per il trattamento di inquinanti, con risultati di alta efficienza.
L'uso di MXene come adsorbente presenta vantaggi anche in termini di rigenerazione. Un adsorbente ideale deve mantenere una capacità elevata di adsorbimento durante i cicli successivi di adsorbimento-desorbimento, riducendo così i costi operativi. Gli MXene mostrano una notevole stabilità chimica, che li rende particolarmente interessanti per l'uso ambientale. In uno studio, sono stati trattati MXene alcalinizzati con buone capacità di adsorbimento per la rimozione di coloranti come Congo red (539,7 mg/g), tetraciclina (1.053,3 mg/g) e malachite green (7.111,3 mg/g). Dopo cinque cicli di rigenerazione, la capacità di adsorbimento rimaneva sopra l'85%, dimostrando un'ottima capacità di recupero. Altri studi hanno utilizzato un processo elettrochimico per rigenerare MXene Ti3C2Tx per la rimozione della ciprofloxacina dalle acque reflue, con un'efficienza di rigenerazione del 99,7% in soli cinque minuti. La possibilità di rigenerare questi materiali è cruciale per l'adozione industriale e per l’applicazione su larga scala, poiché riduce i costi operativi e migliora la sostenibilità.
Oltre alla capacità di adsorbimento, gli MXene possiedono anche una proprietà unica che permette loro di ridurre gli inquinanti mentre li adsorbono, un vantaggio rispetto ad altri materiali nanostrutturati. Queste proprietà elettrochimiche sono legate ai trattamenti condotti sulla fase MAX, che sostituiscono i gruppi funzionali. Gli MXene con gruppi terminali hanno una conduttività maggiore rispetto ai MXene non trattati. Ad esempio, la modifica della chimica superficiale fornisce nuove opzioni chimiche per progettare materiali capaci di alte prestazioni in applicazioni di accumulo ad alta potenza. Per quanto riguarda i sensori elettrochimici, la conduttività elevata degli MXene facilita il trasferimento di elettroni dall'elettrodo all'elettrolita, migliorando la sensibilità del sensore.
La struttura degli MXene, la cui spessore è un parametro cruciale, ha un impatto significativo sulle loro applicazioni elettrochimiche. In generale, all’aumentare dello spessore degli MXene, la loro conduttività diminuisce. Pertanto, per ottenere le migliori prestazioni elettrochimiche, si prediligono nanosheets MXene molto sottili. Tuttavia, l'efficienza della conduttività può aumentare quando i nanosheets di MXene più grandi vengono utilizzati, riducendo lo spazio tra le particelle e aumentando il potenziale per la formazione di una rete.
Un aspetto importante da tenere in considerazione è che gli MXene possono essere sensibili all'umidità e all'ossigeno disciolto, e la luce può favorire l'ossidazione delle soluzioni colloidali di MXene, provocando la formazione di ossidi. Inoltre, mentre i MXene come Ti3C2Tx presentano una resistenza moderata all'ossidazione e possono essere termicamente degradati in carbonio, TiO2 e CO2 a temperature superiori ai 200°C, la funzionalizzazione degli MXene può migliorarne la stabilità termica e chimica.
L’applicazione degli MXene è ancora in fase di sviluppo, ma la crescente comprensione delle loro proprietà offre nuove prospettive per l'innovazione tecnologica e la protezione ambientale. In futuro, potrebbero emergere nuove caratteristiche che estenderanno ulteriormente l'uso di questi materiali, soprattutto in ambiti come il monitoraggio ambientale, la purificazione delle acque e il trattamento dei rifiuti.
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