Le lotte sociali e politiche negli Stati Uniti hanno raggiunto un’intensità mai vista dal 1960, e in gran parte questa resistenza è stata accesa dalla presidenza di Donald Trump. Un esempio lampante di questa mobilitazione è la Women's March, che ha avuto luogo il giorno successivo all'inaugurazione di Trump, diventando la più grande protesta della storia mondiale. A questa hanno fatto seguito numerosi altri movimenti, come le manifestazioni contro il divieto di viaggio per i musulmani, la politica di tolleranza zero sull'immigrazione che ha separato migliaia di bambini dalle loro famiglie, e le proteste del movimento Black Lives Matter contro la violenza della polizia e la massiccia incarcerazione di minoranze. È una resistenza che non si limita a un rifiuto della figura di Trump, ma che rifiuta anche l’intero sistema politico ed economico che egli rappresenta.
La politica della destra, sotto l’influenza di Trump e dei suoi alleati, non è solo un sistema di governo di un singolo individuo, ma un racconto ideologico che promuove una forma di capitalismo sfrenato. Questo racconto, noto come "storia della sicurezza", è intrinsecamente legato a un nazionalismo che cerca di unire le classi sociali inferiori con gli interessi delle grandi corporazioni, mentre alimenta paure e conflitti sia interni che esterni, spesso costruiti ad arte. La retorica utilizzata, come quella degli eventi di Charlottesville, Virginia, nel 2017, è riuscita a mescolare il nazionalismo bianco con un capitalismo globale che protegge gli interessi economici dei più ricchi, sfruttando simboli e tematiche razziali per alimentare divisioni.
La sinistra americana ha da sempre mostrato una diffidenza verso il nazionalismo, e giustamente. Perché mentre il nazionalismo, soprattutto quello militarista e giustificato dalla "sicurezza nazionale", si è tradotto in un sistema favorevole alla classe dominante, la sinistra ha cercato un’alternativa. Questa alternativa è stata spesso fondata sull’internazionalismo, sulla solidarietà globale e sulla difesa dei diritti universali, concetti espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. In particolare, articoli come l'Articolo 22, che stabilisce il diritto di ogni persona alla sicurezza sociale, e l'Articolo 25, che afferma il diritto a un livello di vita adeguato, sono i pilastri su cui costruire una vera sicurezza, una sicurezza che non sia militarizzata ma che riguarda la dignità e il benessere di ogni individuo, indipendentemente dalla sua nazionalità.
Il capitalismo, come è stato storicamente documentato, è strettamente legato a una narrativa di potere che cerca di mantenere un ordine sociale che protegge gli interessi dei pochi. La sinistra, al contrario, ha sempre lottato per trasformare questa struttura, per creare un racconto che promuova i diritti universali, che non si fermi alla sicurezza nazionale ma che abbracci la sicurezza economica, sociale ed ambientale a livello globale. È un racconto che si ispira a una visione di società più giusta e più equa, come quella sostenuta dal socialismo democratico di Bernie Sanders. Questo approccio si oppone direttamente al sistema del "1%" che prospera sullo sfruttamento delle masse.
Ciò che manca oggi, tuttavia, è una visione chiara di come la sinistra americana possa diventare il motore di una narrativa nazionale inclusiva e universale. Mentre i movimenti di resistenza crescono, c’è la necessità di integrare un messaggio più ampio che abbracci la diversità di esperienze e lotte. La sinistra non deve solo opporsi ai problemi creati dal capitalismo, ma deve proporre una soluzione concreta che vada oltre la critica. Questo significa, tra le altre cose, un’alleanza internazionale basata sui diritti universali e la giustizia sociale.
La sicurezza, intesa come diritto fondamentale, non può essere solo quella che protegge i confini di uno Stato, ma deve essere una sicurezza che riguarda ogni individuo, che garantisce il diritto al lavoro dignitoso, all'accesso all'istruzione, alla salute e alla protezione sociale. Se la sinistra americana vuole davvero affrontare la sfida della nostra epoca, dovrà abbandonare la sua storica opposizione al nazionalismo per creare una narrazione di sicurezza universale che trascenda le frontiere nazionali e che si basi sul rispetto dei diritti umani per tutti.
Qual è il significato e la possibilità di un sistema sociale universale ispirato al modello scandinavo?
L’accesso universale a bisogni materiali e sociali fondamentali come lavoro, istruzione e assistenza sanitaria rappresenta un modello che suscita un certo fascino, specialmente tra le nuove generazioni. Quando si confronta la realtà degli Stati Uniti con quella di paesi come la Danimarca, emergono profondi contrasti: un’università danese come quella di Copenaghen offre non solo la gratuità delle tasse universitarie, ma anche un sostegno economico agli studenti, un sistema che negli USA appare quasi impensabile di fronte ai costi stratosferici e ai debiti accumulati dagli studenti americani.
L’idea di adottare un sistema simile negli Stati Uniti solleva naturalmente domande sulla sostenibilità finanziaria: le tasse sono elevate, possono arrivare fino al 60-65%, e ciò alimenta un dibattito acceso sulla fiducia nel governo e sulla percezione del ritorno in termini di servizi pubblici. Tuttavia, un dato significativo è che la maggioranza dei giovani americani—specialmente i millennials—esprime sostegno verso questo tipo di modelli sociali e vede positivamente iniziative che mirano a fornire istruzione pubblica gratuita e sicurezza sociale universale. In questo senso, la diffidenza tradizionale verso il governo sembra in parte attenuarsi, lasciando spazio a un nuovo consenso che interpreta la spesa pubblica come investimento mirato al benessere collettivo.
Questa trasformazione del pensiero si riflette in sondaggi di opinione che indicano una crescente attrazione verso concetti associati al “socialismo” tra le giovani generazioni, pari o addirittura superiore a quella verso il “capitalismo”. Non si tratta di un abbandono radicale, ma di una ridefinizione dell’orizzonte politico ed economico: il modello americano si avvicina a una realtà più centro-sinistra o addirittura socialista nella percezione dei cittadini più giovani. Le recenti forze progressiste del Partito Democratico rispondono a questa sensibilità emergente, alimentandola e guidandola, ma è un movimento che nasce dal basso, dalle istanze popolari.
In parallelo, si sviluppano nuove forme di attivismo che richiamano alla memoria le lotte civili degli anni Sessanta, come quelle del reverendo William Barber, che riprende l’eredità di Martin Luther King ponendo al centro una visione intersezionale delle ingiustizie sociali: razzismo, povertà e militarismo sono problemi intrecciati che devono essere affrontati simultaneamente. La sua proposta è una “resistenza universalizzante”, una coalizione multirazziale e trasversale che non si limiti a resistere, ma aspiri a una giustizia morale profonda. Questo approccio evidenzia come la divisione sociale e razziale sia stata storicamente strumentalizzata per impedire un’azione collettiva efficace, ma al contempo suggerisce che solo una alleanza inclusiva può realmente promuovere un cambiamento radicale.
Movimenti e sindacati, come il SEIU e i sindacati degli insegnanti e infermieri, si mobilitano oggi in questa direzione, sostenuti da un’ondata di attivismo popolare che attraversa settori diversi della società. Queste coalizioni puntano a ottenere una sicurezza economica e sociale che sia realmente universale, andando oltre le divisioni tradizionali e costruendo un futuro che riconosca la centralità dei bisogni umani fondamentali.
È fondamentale comprendere che questi processi non sono semplicemente questioni di politica economica o di gestione fiscale, ma toccano profondamente la percezione di giustizia e di solidarietà collettiva. La sfida consiste nell’equilibrio tra sostenibilità finanziaria e ampliamento dei diritti sociali, nel superamento di diffidenze storiche verso le istituzioni pubbliche e nella costruzione di un’identità politica inclusiva e plurale. Senza questa visione intersezionale e senza un impegno concreto nella formazione di alleanze ampie, il modello universale rischia di rimanere un’utopia lontana, anziché diventare un orizzonte concreto di cambiamento.
Come si costruisce un Fronte Unito per la giustizia sociale e politica?
Il movimento progressista contemporaneo negli Stati Uniti offre una testimonianza concreta e dinamica di come un Fronte Unito possa essere costruito e alimentato dal basso. Attraverso l’azione collettiva e la mobilitazione di masse popolari, sono stati raggiunti risultati importanti come la rimozione della bandiera confederata dai terreni del Campidoglio della Carolina del Sud e il sostegno alla diplomazia per evitare una guerra costosa e non necessaria con l’Iran. Questi esempi mostrano come una massa critica di persone possa mettere pressione sul potere costituito e ottenere cambiamenti reali.
Il movimento “Our Revolution”, nato dalla campagna presidenziale di Bernie Sanders, incarna la volontà di creare una rivoluzione politica di ampio respiro, che trasformi il paese e imponga che il governo rappresenti la maggioranza, non solo un’élite di miliardari. Come afferma Nina Turner, la vera forza risiede nell’organizzazione di gruppi locali che coinvolgano direttamente le persone, rendendole protagoniste del processo politico. Questo approccio, meno concentrato sul mero risultato elettorale e più sull’organizzazione comunitaria, richiede un impegno di lungo periodo, ma genera una pressione dal basso in grado di spostare il quadro politico.
L’esempio del progetto di legge Medicare-for-All, inizialmente ignorato, ma poi sostenuto da molti senatori grazie alla crescente pressione popolare, evidenzia come il cambiamento possa avvenire solo se la richiesta proviene dalle persone comuni. Le nuove generazioni di attivisti progressisti, come Alexandria Ocasio-Cortez, rappresentano una nuova fase di questo movimento. Entrando in politica elettorale senza abbandonare l’attivismo di strada, portano avanti una visione che supera la dicotomia razza-classe, evidenziando come le questioni razziali siano intrinsecamente connesse a quelle economiche. La loro strategia “inside-outside” mira a trasformare il Partito Democratico da dentro e da fuori, lavorando sia nel Congresso che nelle comunità.
Il fallimento nel costruire un Fronte Unito sul versante progressista ha contribuito alla quasi totale dominanza del Partito Repubblicano e delle grandi corporation, mentre la destra ha saputo creare una propria alleanza, il Tea Party, che ha guidato la distruzione del New Deal e l’istituzione di una plutocrazia autoritaria. Per contrastare questa tendenza, la sinistra deve costruire un Partito Democratico autenticamente democratico, che difenda i diritti universali e promuova la democrazia partecipativa.
Un’altra importante tendenza è la crescita e il coordinamento tra attivisti locali, statali e movimenti nazionali e globali. Città come Seattle, San Francisco e Boston dimostrano come sia possibile bypassare lo Stato federale conservatore, attuando agende di sicurezza sociale e ambientale dal basso. L’aumento del salario minimo, le città santuario per gli immigrati, i programmi di economia cooperativa e le iniziative per l’acqua pulita sono esempi di politiche progressive che nascono dal livello locale, spesso guidate da figure come Kshama Sawant, prima socialista eletta su scala cittadina a Seattle. Sawant ha dimostrato come l’impegno diretto e la solidarietà concreta possano tradursi in successi tangibili, come l’adozione del salario minimo a 15 dollari.
L’esperienza di queste realtà dimostra che la vera sicurezza e giustizia sociale si costruiscono attraverso un processo bottom-up, che valorizzi la partecipazione popolare e l’azione collettiva nei territori. Le cooperative di lavoratori, promosse da studiosi come Gar Alperovitz, rappresentano un altro tassello cruciale per un’economia più equa e democratica, fondando la sicurezza su proprietà e controllo diffusi piuttosto che sul profitto esclusivo di pochi.
È fondamentale comprendere che la trasformazione politica e sociale non può limitarsi a risultati elettorali immediati, ma deve radicarsi in un impegno costante che renda i cittadini parte attiva e protagonista. La connessione tra lotte economiche, ambientali, razziali e sociali è inscindibile e richiede una visione unitaria che superi le divisioni tradizionali. Solo attraverso questa unità e partecipazione dal basso si può costruire un sistema politico che risponda realmente alle esigenze della maggioranza, promuovendo la giustizia sociale, l’uguaglianza e la democrazia sostanziale.
Qual è la vera sicurezza globale e come raggiungerla?
La vera sicurezza può essere raggiunta solo attraverso una governance globale, con l’ONU e altre istituzioni di sicurezza collettiva, incluse le leggi internazionali, i tribunali e gli accordi di sviluppo che possano unire tutte le nazioni in sforzi comuni come l'Accordo di Parigi sul clima e i trattati di non proliferazione nucleare. In questo contesto, la visione della sicurezza non si limita a difendere la singola nazione, ma promuove una sicurezza globale che implica la cooperazione tra Stati, per affrontare insieme le minacce universali.
Uno degli ostacoli principali a una vera sicurezza globale è il nazionalismo, specialmente quello statunitense, che è strettamente legato al militarismo. Il nazionalismo statunitense, in particolare, mina ogni tentativo di risolvere le crisi globali. Il rifiuto del cambiamento climatico e gli investimenti miliardari di Trump nell'arsenale nucleare degli Stati Uniti, incluse le armi nucleari tattiche per il campo di battaglia, sono ostacoli decisivi per ogni vera sicurezza globale. La narrazione della sicurezza nazionale, che promuove un ordine mondiale pacifico a vantaggio della sicurezza degli Stati Uniti, in realtà mina la speranza che la nazione possa sopravvivere, distruggendo i fondamenti della pace mondiale e della sicurezza collettiva. Gli Stati Uniti hanno progettato l’ONU per essere debole e incapace di sfidare il potere americano, trasformandola in uno strumento al servizio delle grandi potenze occidentali.
La più grande guerra del mondo potrebbe essere vista come quella tra gli Stati Uniti e l'ONU, una guerra che promuove gli interessi economici americani e protegge il capitalismo globale, indebolendo qualsiasi organismo internazionale che potrebbe creare sicurezza collettiva e proteggere altre nazioni contro gli stessi Stati Uniti. La sicurezza nazionale, concepita come un dogma del nazionalismo, intensifica l'insicurezza creando nemici immaginari. Il nazionalismo è una ricetta per una guerra infinita, essenza della politica estera degli Stati Uniti sin dalla Seconda Guerra Mondiale. Come può esistere una vera sicurezza in un mondo definito dalla nazione più potente come ostile, con nemici pronti a danneggiarla economicamente o indebolirla militarmente?
In questo scenario, la vera sicurezza è incompatibile con l'idea di un mondo dominato da un superpotere predatorio e violento, come gli Stati Uniti, che cercano perpetuamente profitto e controllo sulle altre nazioni, che temono gli Stati Uniti come principale minaccia alla loro stessa sicurezza nazionale. In base a numerosi sondaggi Gallup, risulta che le persone di tutto il mondo temono gli Stati Uniti come la grande minaccia per la loro sicurezza e per la pace mondiale. Per ottenere una vera sicurezza, è necessario costruire l'architettura di una "casa globale", comprendente governi mondiali, regionali, nazionali e locali. Questo richiede una narrazione di sicurezza globale che non elimini lo Stato nazione, ma lo integri in una gerarchia di governi locali e istituzioni di sicurezza globale.
L’architettura di questa casa globale dovrebbe essere basata sul principio di sussidiarietà, che non significa concentrare tutto il potere in un governo mondiale, ma piuttosto spingere le decisioni verso il livello democratico più basso in grado di garantire i diritti e la vera sicurezza. Gli Stati nazionali devono trasferire parte del loro potere a organismi internazionali per creare sicurezza per il clima e per la pace, ma anche devolvere potere alle autorità locali per promuovere la comunità e la democrazia. Lo Stato deve essere uno strumento per promuovere la dignità umana, proteggere i diritti umani e sviluppare il bene comune. Il principio di sussidiarietà sostiene che tali funzioni del governo dovrebbero essere esercitate al livello più basso possibile, fintanto che ciò possa essere realizzato adeguatamente. Quando non è possibile, devono intervenire livelli di governo superiori.
Il principio di partecipazione, che afferma che tutti i popoli hanno il diritto di partecipare alla vita economica, politica e culturale della società, è legato a quello di sussidiarietà. Esso richiede che i diritti universali siano applicabili a ogni individuo sulla Terra, senza discriminazioni legate alla nazionalità, come sottolineato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La sicurezza globale può essere realizzata solo in una società globale, dove i diritti universali si applicano a ogni essere umano, al di là della sua nazionalità.
Per costruire una vera sicurezza, è necessario abbandonare rapidamente il nazionalismo sfrenato e la sua religione della "sicurezza nazionale" per adottare il paradigma locale-globale. La sicurezza nazionale, che considera ogni nazione come un nemico, promuove un mondo hobbesiano in cui ogni entità sovrana teme che l'erosione del proprio potere crei un vuoto di potere che altre nazioni tenteranno di colmare. Al contrario, la sicurezza globale promuove la governance globale, le leggi internazionali e i tribunali, e una cultura globale di apertura che indebolisce l’insicurezza hobbesiana degli Stati sovrani.
Questo non significa la fine dello Stato nazione, ma la comprensione che le nazioni sono solo un livello di istituzioni interessate alla sicurezza globale. La governance globale e locale sono entrambe essenziali per garantire i diritti universali e la vera sicurezza. L’Unione Europea, dove i diritti universali e la sicurezza sono più sviluppati, rappresenta un esempio di come la cittadinanza stia diventando sempre più internazionale, mentre le identità globali emergono. La concezione dei diritti universali non dipende più dal luogo o dalla nazionalità. I diritti umani, indipendenti dal territorio, devono essere la base di ogni politica e di ogni movimento globale volto a garantire la pace e la sicurezza nel mondo.
Qual è il ruolo delle storie di sicurezza nel consolidamento del potere e nella politica moderna?
Le storie di sicurezza, che frequentemente vengono utilizzate per giustificare politiche autoritarie e per legittimare l’accumulo di potere da parte di una ristretta élite, sono diventate uno degli strumenti più potenti nelle mani dei leader politici contemporanei. La creazione e la manipolazione della paura, spesso attraverso narrazioni di minacce esistenziali provenienti dall'esterno, come il terrorismo, l'immigrazione illegale o l'evocazione di nemici nazionali, svolgono un ruolo centrale nel rafforzare il controllo sociale e politico.
Le storie di sicurezza non si limitano alla semplice narrazione di eventi, ma diventano veri e propri strumenti di legittimazione per le politiche di esclusione, di controllo e di militarizzazione. È attraverso l'evocazione di nemici esterni o interni che si genera un consenso per la difesa della "nazione", giustificando l'incremento della sorveglianza, il rafforzamento della sicurezza statale, e l'adozione di leggi che limitano le libertà individuali in nome di un bene maggiore.
Tuttavia, non sono solo i regimi autoritari a fare uso di queste narrazioni. Anche i regimi cosiddetti democratici, in particolare quelli che abbracciano la retorica populista, trovano nelle storie di sicurezza uno strumento per guadagnare supporto dalla popolazione, alimentando il timore di una perdita di controllo sulla sovranità nazionale e sulle proprie tradizioni. La politica della paura, che si traduce spesso in politiche repressive, trova un terreno fertile in una società in cui le percezioni di insicurezza sono ampiamente diffuse e manipolate.
Il concetto di "nemici" è fondamentale in questo contesto: la creazione di un "altro", un'entità minacciosa che deve essere neutralizzata, permette a chi detiene il potere di unire il popolo sotto una bandiera comune, ma anche di giustificare politiche di repressione e di esclusione. In questo scenario, l'idea di "sicurezza" non si riferisce solo alla protezione fisica, ma a una costruzione ideologica, in cui il nemico diventa simbolo di ciò che minaccia l'ordine costituito, alimentando divisioni interne e giustificando politiche di protezione estrema.
All’interno di questo meccanismo, le élite economiche e politiche giocano un ruolo fondamentale. Non solo perché detengono la capacità di costruire e diffondere queste narrazioni, ma anche perché ne traggono vantaggio. La concentrazione di potere e risorse in poche mani, che caratterizza molte democrazie moderne, si alimenta proprio di questo clima di insicurezza. Le storie di sicurezza, utilizzate per alimentare il timore di minacce esterne, spesso servono a nascondere le disuguaglianze interne e a giustificare politiche economiche che favoriscono i già privilegiati, mantenendo in atto strutture di potere che, altrimenti, potrebbero essere messe in discussione.
Le politiche di sicurezza, tuttavia, non sono solo un mezzo per legittimare il potere. Esse svolgono anche una funzione simbolica, rinforzando l’idea che il mondo sia diviso tra chi è dentro e chi è fuori, tra i protetti e gli esclusi. L’inclusione nel "corpo della nazione" è, quindi, legata alla capacità di aderire a determinate narrazioni di sicurezza e di rispettare determinati codici morali e culturali, spesso imposti dalla stessa élite dominante. Queste storie diventano così un metodo per selezionare chi merita protezione e chi, invece, deve essere considerato una minaccia.
La visione di un mondo sicuro non coincide necessariamente con un mondo giusto. In molte situazioni, la ricerca della sicurezza porta con sé un sacrificio delle libertà individuali e una progressiva erosione della democrazia. Le politiche securitarie, infatti, sono spesso accompagnate da un crescente controllo sociale, da un rafforzamento della sorveglianza e dalla creazione di nuove forme di esclusione sociale, come nel caso della criminalizzazione dei migranti o delle minoranze etniche. La sicurezza, quindi, diventa non solo uno strumento di protezione, ma anche di esclusione e di marginalizzazione.
Inoltre, è fondamentale che il lettore comprenda come le storie di sicurezza possano essere sfruttate per alimentare conflitti interni e distrarre l’opinione pubblica dai veri problemi sociali ed economici. Le disuguaglianze sociali, il crescente potere delle grandi multinazionali, la concentrazione della ricchezza, la disoccupazione e il degrado ambientale non vengono mai messi in discussione da queste narrazioni, che anzi spesso servono a distrarre il pubblico dai veri motivi di insoddisfazione.
In questo contesto, la narrazione della "sicurezza" diventa il pretesto ideale per perpetuare un ordine economico e sociale che favorisce le élite, a discapito dei più vulnerabili. La sicurezza, in tale ottica, non è un valore universale, ma un potente strumento ideologico al servizio di una politica che privilegia l’autoritarismo e l’esclusione.
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