Le reti neurali artificiali (ANN) rappresentano un sottoinsieme cruciale dell’apprendimento automatico, costituendo il nucleo degli algoritmi di deep learning. Il loro nome deriva dall’intento di emulare il funzionamento dei neuroni biologici nel cervello umano, simulando come questi ultimi trasmettono segnali tra loro. La struttura fondamentale di una rete neurale si compone di nodi organizzati in strati: uno strato di input, uno o più strati nascosti e uno strato di output. Ogni nodo, o “neurone artificiale”, è connesso ai nodi dello strato successivo tramite connessioni ponderate da valori di peso specifici.
Ogni input che giunge a un nodo viene moltiplicato per il peso associato; il risultato sommato viene confrontato con una soglia che ne determina l’attivazione. Solo se la somma pesata supera la soglia, il nodo si “attiva” e trasmette il segnale al livello successivo. Il processo è regolato da una funzione non lineare, che consente alla rete di modellare relazioni complesse e non lineari all’interno dei dati.
Una rete neurale di base si può visualizzare come un sistema feedforward multilivello, in cui l’informazione scorre in avanti dall’input all’output, senza cicli o feedback. Durante la fase di apprendimento, la rete viene “addestrata” attraverso una serie di esempi input-output. La funzione obiettivo è minimizzare la differenza tra l’output prodotto dalla rete e l’output desiderato, aggiustando iterativamente i pesi tramite algoritmi di ottimizzazione. In questo modo, la rete migliora progressivamente la sua capacità di generalizzazione e predizione.
Nel contesto del deep learning, le reti neurali si caratterizzano per la presenza di almeno tre strati, con molteplici nodi nascosti. L’aumento del numero di strati permette di catturare strutture più profonde e complesse nei dati, migliorando significativamente le prestazioni rispetto a modelli più semplici come la regressione logistica o le macchine a vettori di supporto. Tuttavia, questa complessità richiede una quantità molto maggiore di dati per l’addestramento e una potenza computazionale superiore.
È essenziale comprendere che ogni nodo in una rete neurale non opera isolatamente, ma in stretta collaborazione con tutti gli altri. Le connessioni e i pesi sono ciò che definisce la “personalità” della rete, ovvero la sua capacità di apprendere funzioni specifiche. Attraverso l’ottimizzazione dei pesi, la rete modifica il proprio comportamento fino a raggiungere un equilibrio in cui produce risultati accurati per gli input di addestramento e, auspicabilmente, anche per dati nuovi.
La natura non lineare delle funzioni di attivazione, come la funzione sigmoide o la tangente iperbolica, è fondamentale per permettere alla rete di modellare fenomeni complessi. Senza di esse, la rete sarebbe limitata a rappresentare solo funzioni lineari, molto meno potenti e utili.
Infine, è importante considerare che le reti neurali e il deep learning non sono solo strumenti tecnologici, ma rappresentano un paradigma di modellazione ispirato all’intelligenza biologica, capace di evolvere e adattarsi in contesti estremamente vari. L’efficacia di questi modelli dipende dalla qualità e quantità dei dati a disposizione, dalla corretta scelta dell’architettura e dai metodi di addestramento adottati.
Come funziona il clustering fuzzy, gerarchico e probabilistico nei dati sovrapposti?
Il clustering fuzzy rappresenta un metodo sofisticato per analizzare dati che non si prestano a una classificazione rigida e netta. A differenza del clustering tradizionale, in cui ogni punto dati appartiene esclusivamente a un unico gruppo, il clustering fuzzy permette che un singolo elemento possa appartenere simultaneamente a più cluster, ciascuno con un diverso grado di appartenenza. Si può pensare a un frutto che non è semplicemente “rosso” o “verde”, ma che può avere entrambe le caratteristiche in misure variabili: un grado di “rosso” pari a 0,5 e un grado di “verde” pari a 0,5. Questi valori di appartenenza sono normalizzati tra 0 e 1, ma non rappresentano probabilità canoniche, pertanto non devono necessariamente sommare a uno.
L’algoritmo fuzzy K-means (FKM) segue una logica simile al classico K-means, ma si differenzia per la presenza di coefficienti di appartenenza flessibili, calcolati iterativamente. L’algoritmo inizia scegliendo il numero di cluster desiderati, quindi assegna casualmente i coefficienti di appartenenza a ciascun punto dati. Successivamente, itera fino a raggiungere la convergenza, calcolando i centroidi ponderati dalle rispettive appartenenze fuzzy e aggiornando i coefficienti fino a stabilizzare le variazioni entro una soglia di sensibilità predefinita. Il parametro “m” controlla il livello di “sfocatura” del clustering: valori più elevati producono cluster meno definiti e più sovrapposti. L’obiettivo del FKM è minimizzare una funzione obiettivo che considera la distanza tra punti dati e centroidi, pesata dai coefficienti di appartenenza elevati a potenze di m.
Il clustering gerarchico, al contrario, non prevede la definizione a priori del numero di cluster, ma costruisce una struttura ad albero, o dendrogramma, che riflette le somiglianze progressive tra i dati. L’algoritmo inizia assegnando ogni punto a un cluster individuale, per poi fondere ripetutamente i due cluster più vicini fino a ottenere un unico cluster generale. L’interpretazione del dendrogramma consente di individuare un numero ottimale di cluster, osservando dove è possibile tracciare una linea orizzontale che intercetta il massimo spazio verticale senza attraversare un cluster. Questa visualizzazione è particolarmente utile per scoprire gruppi naturali e per comprendere le relazioni gerarchiche tra insiemi di dati.
Nel contesto del clustering probabilistico, si utilizzano modelli come il Gaussian Mixture Model (GMM) per descrivere i dati come combinazioni di distribuzioni normali multivariate. Il GMM fornisce una visione “soft” simile al clustering fuzzy, attribuendo a ogni punto un vettore di probabilità di appartenenza a ciascun cluster. Questo consente di cogliere la sovrapposizione e le incertezze nella classificazione. Il GMM può essere impiegato sia per clustering hard, assegnando i punti al cluster con massima probabilità, sia per soft clustering, mantenendo valori di associazione parziali. Questa flessibilità rende il modello adatto a scenari complessi in cui i cluster possono avere dimensioni e correlazioni diverse tra loro. Come nel caso di altri metodi, anche con GMM è necessario indicare il numero di cluster in anticipo, che corrisponde al numero di componenti gaussiane nel modello.
Questi metodi rappresentano approcci complementari alla sfida di scoprire strutture nascoste nei dati senza supervisione esterna. La scelta tra fuzzy, gerarchico e probabilistico dipende dalla natura del problema e dal tipo di struttura che si desidera evidenziare. È essenziale comprendere che ogni metodo fornisce informazioni diverse sul modo in cui i dati si raggruppano, dal rigido al fluido, dal sequenziale alla statistica.
È importante inoltre notare che la sovrapposizione dei cluster riflette spesso la complessità reale dei dati e non solo una limitazione dell’algoritmo. Questa realtà implica che le appartenenze parziali possano essere utilizzate per una interpretazione più ricca e sfumata dei fenomeni studiati. La normalizzazione e la scelta dei parametri iper-modello, come la soglia di convergenza o il grado di fuzziness, influenzano profondamente la qualità e l’interpretabilità dei risultati. Infine, la validazione dei cluster, attraverso metodi quantitativi o visuali, è cruciale per assicurarsi che la segmentazione rappresenti effettivamente le strutture sottostanti dei dati.
Come si costruisce un modello di clustering K-Means con un dataset di percezione dei terremoti?
La costruzione di un modello di clustering K-Means richiede una serie di passaggi metodici, soprattutto quando si lavora con dataset di grandi dimensioni, come nel caso del dataset di percezione dei terremoti contenente 472 osservazioni e 10 caratteristiche. Per semplificare l’analisi, si può decidere di utilizzare solo alcune delle caratteristiche rilevanti; ad esempio, età, numero di membri della famiglia, piano, scossa e paura. Queste variabili vengono estratte dal dataset originale e convertite in valori numerici, poiché il clustering necessita di input numerici per calcolare le distanze tra punti dati.
Una volta selezionate le variabili, si costruisce una matrice di dati di input, che nel nostro caso comprende cinque colonne corrispondenti alle caratteristiche scelte. Per una visualizzazione iniziale, si può creare una matrice secondaria con solo le prime due caratteristiche, età e numero di membri della famiglia, per tracciare un grafico bidimensionale che aiuta a comprendere la distribuzione dei dati.
Il cuore del procedimento è la chiamata alla funzione kmeans() che esegue il clustering vero e proprio, definendo un numero di cluster (k=3 in questo esempio) e assegnando ogni osservazione a uno dei gruppi. L’output principale della funzione sono due matrici: un vettore idx che indica a quale cluster appartiene ogni osservazione, e la matrice C, i cui elementi rappresentano le coordinate dei centroidi per ciascuna caratteristica e cluster. La matrice C ha dimensione k per il numero di caratteristiche, ovvero 3x5 nel nostro caso.
La rappresentazione grafica finale permette di visualizzare i dati suddivisi nei tre cluster, evidenziandoli con colori diversi, e di segnare i centroidi con un simbolo distintivo. Questo facilita l’interpretazione visiva delle differenze e delle somiglianze all’interno del dataset e tra i gruppi formati.
Il vettore idx è fondamentale per l’analisi, in quanto permette di sapere esattamente a quale gruppo ogni singolo dato appartiene, mentre la matrice C sintetizza le caratteristiche tipiche di ciascun cluster attraverso le coordinate dei centroidi. Tale rappresentazione permette non solo di segmentare i dati, ma anche di comprendere le caratteristiche medie di ogni gruppo, aprendo la strada a interpretazioni significative nell’ambito dell’analisi della percezione del rischio sismico.
È importante notare che la scelta delle caratteristiche da includere nel clustering influisce fortemente sui risultati. Pertanto, una fase preliminare di selezione e trasformazione delle variabili è cruciale. Inoltre, la dimensione del dataset e il numero di cluster scelto devono bilanciarsi per evitare sovra o sottoclusterizzazione, che può distorcere le conclusioni.
Questo metodo di clustering, sebbene semplice nella sua implementazione con strumenti come MATLAB, rappresenta uno strumento potente per l’analisi esplorativa dei dati, permettendo di evidenziare pattern latenti e segmentazioni non ovvie all’interno di dati complessi. Nel contesto della percezione dei terremoti, può aiutare a identificare gruppi di persone con caratteristiche simili in termini di reazioni emotive e demografiche, fondamentali per studi di rischio e pianificazione della sicurezza.
Per un utilizzo più avanzato, è utile comprendere come interpretare e validare i risultati, ad esempio analizzando la coesione interna dei cluster e la separazione tra gruppi, e testare la stabilità dei risultati al variare di k. Inoltre, l’integrazione con altre tecniche di apprendimento non supervisionato e metodi di visualizzazione multidimensionale può arricchire notevolmente l’analisi e la comprensione dei dati.
Come si costruisce e si valuta un modello ANFIS per la previsione del prezzo azionario?
La costruzione di un modello ANFIS (Adaptive Neuro-Fuzzy Inference System) per la previsione dei prezzi azionari inizia con la generazione del modello iniziale. Nel software Neuro-Fuzzy Designer si sceglie la partizione a griglia come modalità predefinita per creare una struttura di base del sistema fuzzy. Successivamente si seleziona il numero di funzioni di appartenenza (MFs) per gli input chiave: OPEN, HIGH, LOW e VOLUME. In questo esempio, sono state utilizzate quattro MFs per ogni input, mantenendo i valori predefiniti 4, 3, 3, 3, con funzioni di appartenenza gaussiane per gli input e funzioni lineari per l’output. Dopo aver generato il modello FIS, è possibile salvarlo per futuri utilizzi.
Il passo successivo è l’addestramento del modello con una rete neurale adattiva. Si aumenta il numero di epoche da 3 a 60 e si seleziona il metodo di ottimizzazione backpropagation, avviando così il processo di training. Il risultato si valuta tramite l’errore quadratico medio (RMSE) sia sul training sia sul dataset di controllo, con valori di errore che indicano la buona efficacia del modello. La verifica del modello avviene confrontando l’output predetto (CLOSE) con i dati originali di chiusura, selezionando l’opzione di test nel designer e analizzando graficamente i risultati.
La struttura dell’ANFIS, con quattro input e rispettive funzioni di appartenenza, può essere visualizzata per comprenderne il funzionamento interno, mentre la vista delle regole consente di osservare il comportamento dinamico del sistema e come l’output si modifica in tempo reale al variare degli input. È possibile inoltre esaminare ogni funzione di appartenenza singolarmente e osservare la superficie dell’envelope del modello, che sintetizza le relazioni non lineari apprese.
Una volta completato il training e i controlli preliminari, il modello deve essere valutato e validato su un set di dati indipendente. In questo caso, si utilizza un dataset di test contenente dati reali dei prezzi azionari di Google, raccolti in un arco temporale definito. Le quattro variabili di input vengono estratte, convertite e normalizzate – un passaggio fondamentale per gestire le variazioni significative tipiche dei dati finanziari, permettendo di concentrare l’attenzione non sui valori assoluti ma sulle tendenze relative.
Attraverso un semplice script, si caricano i dati di test, si normalizzano e si utilizzano come input per il modello ANFIS addestrato. Il risultato della previsione viene quindi confrontato graficamente con i prezzi di chiusura reali, permettendo di valutare visivamente l’efficacia del modello e la sua capacità di generalizzare su dati non visti durante l’addestramento.
È cruciale comprendere che la normalizzazione dei dati rappresenta il cuore della riuscita del progetto. La complessità dei mercati finanziari e le variazioni improvvise rendono poco significativo prevedere valori assoluti: è invece la capacità di captare e replicare l’andamento e le dinamiche relative che determina il valore del modello. Inoltre, la validazione su dati esterni serve a confermare la robustezza e la reale applicabilità del sistema neuro-fuzzy, elemento essenziale per ogni modello predittivo che voglia avere un impatto concreto.
Oltre ai passaggi descritti, è importante che il lettore consideri la scelta accurata delle funzioni di appartenenza e dei parametri di addestramento, poiché influiscono direttamente sulla capacità del sistema di apprendere e generalizzare. La verifica delle regole generate e la comprensione della struttura interna consentono di affinare e adattare il modello alle specificità del problema trattato. Infine, un’attenta valutazione degli errori e delle prestazioni attraverso set di dati diversi garantisce che il modello non solo si adatti ai dati di training ma sia capace di rispondere efficacemente a condizioni reali e variabili.
Come si interpreta e si applica la regressione lineare nei modelli predittivi complessi?
La regressione lineare rappresenta uno strumento fondamentale per modellare relazioni tra variabili, spesso impiegato per sostituire funzioni obsolete come xlsread(), specialmente nell’estrazione e gestione di dati provenienti da file di testo, fogli Excel, HTML o Word. L’algoritmo di regressione lineare viene tipicamente implementato tramite la funzione fitlm(), che permette di costruire modelli di regressione lineare a partire da un dataset e da specifiche opzioni di fitting. Questa funzione si distingue per la sua flessibilità, offrendo vari costruttori con da uno a quattro parametri di ingresso, mentre il tipo di regressione predefinito è lineare qualora non venga esplicitamente indicato altro.
L’esecuzione della funzione fitlm(), senza terminazione con punto e virgola, restituisce nella Command window l’output completo del modello, comprendente parametri fondamentali come la stima dei coefficienti, l’errore standard, il valore statistico t e il p-value associato. Tali parametri forniscono informazioni cruciali sull’importanza e la significatività di ciascun coefficiente nel modello. Ad esempio, la statistica t è calcolata come rapporto tra la stima del coefficiente e il suo errore standard, consentendo di testare l’ipotesi nulla che il coefficiente sia nullo. Questo approccio consente una valutazione robusta dell’affidabilità dei parametri stimati.
Il modello riporta anche valori riassuntivi quali il numero di osservazioni senza dati mancanti, i gradi di libertà degli errori (calcolati come differenza tra numero di osservazioni e numero di parametri), l’errore quadratico medio radice (root mean squared error, RMSE), l’indice di determinazione R-squared e la sua versione corretta, l’Adjusted R-squared. Quest’ultimo è particolarmente rilevante poiché fornisce una misura più veritiera dell’aderenza del modello ai dati, correggendo il valore R-squared per il numero di predittori inclusi. L’F-statistic e il relativo p-value testano la significatività complessiva del modello rispetto a un modello costante, confermando se il modello aggiunge un miglioramento significativo nella spiegazione della variabilità osservata.
L’equazione di regressione risultante, ad esempio y = −2.0105 + 6.7485x, deriva direttamente dai coefficienti stimati, con l’intercetta e la pendenza che rappresentano rispettivamente il valore iniziale della variabile risposta e la sua variazione attesa per unità di incremento della variabile indipendente. È importante notare che l’algoritmo di regressione lineare assume, per default, che la variabile risposta sia posizionata nell’ultima colonna del dataset, un dettaglio spesso trascurato dai principianti, ma essenziale per un corretto funzionamento della procedura.
L’estensione naturale della regressione lineare è la regressione lineare multipla (MLR), che introduce simultaneamente più variabili esplicative per migliorare la capacità predittiva del modello. La MLR modella la relazione tra una variabile dipendente e molteplici variabili indipendenti, stimando parametri multipli di pendenza oltre all’intercetta. Essa si basa sul principio dei minimi quadrati ordinari (OLS) esteso a un contesto multivariato, con l’obiettivo di minimizzare la somma dei quadrati degli errori residui. Questo consente di considerare l’effetto congiunto e indipendente di vari fattori, migliorando la qualità dell’adattamento del modello ai dati reali.
La differenza sostanziale tra regressione lineare semplice e multipla risiede nella complessità e nella capacità di rappresentare fenomeni più articolati. Mentre la prima coinvolge un solo predittore, la seconda può includerne molti, comprendendo anche modelli non lineari con molteplici variabili esplicative. Nel contesto applicativo, la regressione multipla è ampiamente utilizzata in molteplici campi, come la meteorologia, l’ecologia e la sicurezza antincendio. Ad esempio, il Canadian Forest Fire Danger Rating System (CFFDRS) si avvale di indici meteorologici e di umidità del combustibile per valutare la pericolosità degli incendi boschivi attraverso modelli che possono essere interpretati e predetti tramite regressione multipla.
L’applicazione pratica di questi modelli richiede anche un’attenta preparazione e modifica dei dataset di partenza, poiché i dati originali possono non contenere tutte le variabili necessarie, come nel caso dell’indice Fire Weather Index (FWI) mancante in alcuni dataset. Comprendere la struttura dei dati, la selezione accurata delle variabili indipendenti e la gestione di valori mancanti o anomalie è fondamentale per costruire modelli affidabili e significativi.
Oltre a quanto espresso nel testo, è cruciale che il lettore comprenda la natura delle assunzioni implicite nella regressione lineare e multipla, come la linearità, l’indipendenza degli errori, la normalità dei residui e l’omocedasticità. La violazione di tali assunzioni può compromettere la validità del modello e richiedere tecniche di correzione o metodi alternativi. Inoltre, la multicollinearità tra variabili indipendenti può distorcere le stime dei coefficienti, rendendo difficile interpretare gli effetti individuali. La valutazione critica delle metriche di bontà di adattamento e la validazione incrociata sono altresì indispensabili per evitare il sovra-adattamento (overfitting) e garantire la generalizzabilità del modello a dati nuovi.
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