La sorveglianza dei pazienti con sindrome di Lynch (Lynch syndrome, LS) e con poliposi adenomatosa familiare (FAP) è un aspetto fondamentale nella prevenzione del cancro e nella gestione di queste patologie genetiche. Ogni sindrome comporta un rischio elevato di sviluppare tumori maligni a carico di organi diversi, in particolare a livello del colon-retto, ma anche di altri organi come l'endometrio, l'ovaio, lo stomaco e il tratto urinario. Pertanto, una corretta strategia di sorveglianza è essenziale per la diagnosi precoce e la riduzione della mortalità.
Per i pazienti con sindrome di Lynch, che è associata a mutazioni dei geni di riparazione del mismatch (MMR), le raccomandazioni di screening variano in base al tipo di mutazione genetica e alla storia familiare. Secondo le linee guida del National Comprehensive Cancer Network (NCCN), il primo screening dovrebbe iniziare tra i 20 e i 25 anni con una colonscopia ogni 1-2 anni per i pazienti portatori di mutazioni nei geni MLH1, MSH2 e EPCAM. Per quelli con mutazioni nei geni PMS2 e MSH6, l'età di inizio dello screening si sposta a 30-35 anni. In aggiunta alla colonscopia, la sorveglianza ginecologica, attraverso ecografie transvaginali e biopsie endometriali, è raccomandata per le donne a partire dai 30-35 anni. Inoltre, lo screening gastrointestinale superiore (EGD) dovrebbe essere eseguito tra i 30 e i 40 anni, con un intervallo che può variare da 2 a 4 anni, a seconda della storia familiare e dei fattori di rischio.
Un altro aspetto cruciale della sorveglianza riguarda l'analisi delle urine, che viene consigliata per tutti i pazienti con sindrome di Lynch, a partire dai 30-35 anni, con un controllo annuale per la possibile insorgenza di tumori uroteliali.
Per quanto riguarda la poliposi adenomatosa familiare, i pazienti affetti da questa sindrome devono essere sottoposti a un monitoraggio intenso fin dalla giovane età. Le prime colonscopie devono essere eseguite tra i 10 e i 15 anni, con una frequenza annuale. Per i pazienti che hanno già subito interventi chirurgici come la colectomia, si consiglia di effettuare sigmoidoscopie o pouchoscopie a seconda del tipo di resezione effettuata. Lo screening per i tumori della tiroide dovrebbe iniziare negli anni adolescenziali, mentre l’esame gastroduodenale (EGD) è raccomandato tra i 20 e i 25 anni, con una frequenza che dipende dalla valutazione della stadiazione di Spigelman.
Nonostante la sorveglianza genetica e gli interventi chirurgici, l'approccio farmacologico, come l'uso di agenti chemopreventivi, ha mostrato risultati contrastanti nella riduzione del carico di polipi nei pazienti con FAP. Sebbene farmaci come il sulindac e il celecoxib abbiano mostrato una certa efficacia nel ridurre il numero e la dimensione dei polipi, non esistono ancora terapie approvate che possano sostituire la necessità di un monitoraggio costante e tempestivo.
Per i pazienti con sindrome di Lynch, l'uso quotidiano di aspirina (600 mg) per almeno 2 anni ha mostrato una riduzione del rischio di carcinoma colorettale (CRC), ma gli studi in corso sono ancora in fase di approfondimento per determinare la dose ottimale e la durata del trattamento.
In aggiunta a queste raccomandazioni, è fondamentale che ogni paziente affetto da una sindrome ereditaria del colon sia sottoposto a counseling genetico. Questo processo aiuta non solo a confermare la diagnosi, ma anche a informare i familiari sui rischi ereditari e a stabilire un piano di sorveglianza per i membri della famiglia che potrebbero essere portatori di mutazioni genetiche non ancora diagnosticate.
Infine, l'introduzione di tecniche avanzate come la colonscopia con rilevamento assistito da computer (CAD) ha portato a un aumento significativo del tasso di rilevamento degli adenomi rispetto alla colonscopia tradizionale ad alta definizione. Studi randomizzati hanno dimostrato che l'uso del CAD può migliorare il tasso di rilevamento degli adenomi, riducendo il rischio di tumori colorettali fatali e precoci.
L'approccio integrato alla gestione di queste sindromi ereditarie implica una stretta collaborazione tra oncologi, genetisti, gastroenterologi e chirurghi per garantire una sorveglianza adeguata e tempestiva, riducendo significativamente i rischi associati a queste patologie.
Quali sono le principali considerazioni chirurgiche nelle malattie infiammatorie intestinali e nelle patologie anorettali benigne?
Le malattie infiammatorie intestinali (IBD) come il morbo di Crohn e la colite ulcerosa, nonché le patologie anorettali benigne, presentano sfide chirurgiche uniche. La gestione chirurgica di queste condizioni richiede un approccio altamente individualizzato, basato su fattori come l'estensione della malattia, la risposta ai trattamenti conservativi e la presenza di complicazioni locali o sistemiche.
Nel caso di un paziente con morbo di Crohn che sviluppa un blocco intestinale persistente, il trattamento iniziale dovrebbe concentrarsi sulla stabilizzazione e sul miglioramento delle condizioni generali del paziente, attraverso una reidratazione endovenosa, la sostituzione degli elettroliti e la decompressione nasogastrica. Quando la stabilità clinica è raggiunta, è necessario considerare un intervento chirurgico per la resezione intestinale, soprattutto in presenza di fallimento delle terapie non chirurgiche. La resezione ileocolica è una delle soluzioni più efficaci per ridurre i sintomi del blocco intestinale e migliorare la qualità della vita del paziente. Tuttavia, prima dell'intervento, è fondamentale eseguire una preparazione pre-operatoria meccanica dell'intestino, che includa l'uso di antibiotici profilattici, per minimizzare il rischio di infezioni post-chirurgiche.
In parallelo, è cruciale il monitoraggio continuo della terapia con infliximab, un farmaco biologico comunemente utilizzato nella gestione del morbo di Crohn. Dopo una resezione ileocolica, la continuazione della terapia con infliximab può ridurre il rischio di recidive e migliorare la prognosi a lungo termine del paziente. Il monitoraggio dei marcatori surrogati e della colonoscopia preventiva sono strumenti essenziali per rilevare eventuali segni di recidiva della malattia.
Nel contesto delle patologie anorettali, il trattamento chirurgico per il prolasso rettale richiede una valutazione attenta dei fattori di rischio. Il trattamento chirurgico più efficace per il prolasso rettale consiste nella resezione del colon e del retto ridondanti, che può essere effettuata tramite un approccio laparotomico o laparoscopico. Tuttavia, nei pazienti ad alto rischio di complicanze chirurgiche, la resezione del retto può essere eseguita utilizzando tecniche meno invasive, come la procedura di Altemeir, che consiste in una proctectomia perineale. Questa tecnica offre un approccio meno invasivo rispetto alle resezioni intestinali complete, ma richiede un'attenta selezione dei pazienti per ottimizzare i risultati.
Un altro aspetto importante della chirurgia anorettale riguarda la gestione delle fistole perianali nei pazienti con malattia di Crohn. Le fistole complesse, caratterizzate da drenaggio purulento e dolore, sono una complicanza comune. Sebbene il trattamento chirurgico delle fistole possa essere necessario, l'approccio esclusivamente chirurgico potrebbe non essere sufficiente in presenza di una malattia infiammatoria attiva. In questi casi, è fondamentale eseguire una valutazione approfondita del coinvolgimento mucosale rettale, utilizzando tecniche diagnostiche come l'ecografia perianale o la risonanza magnetica. La gestione iniziale prevede una drena- zione adeguata delle fistole e l'inserimento di setoni, che aiutano a mantenere il drenaggio continuo, seguito da una terapia medica, inclusi i farmaci biologici, per ridurre l'infiammazione.
Nei casi di fistole persistenti nonostante la terapia medica, può essere presa in considerazione una chirurgia definitiva, come la resezione endorettale o la procedura LIFT (ligation of intersphincteric fistula tract). Tuttavia, in alcuni pazienti con malattia perianale refrattaria, può essere necessaria una deviazione fecale temporanea per consentire il recupero della mucosa rettale. Sebbene non esistano dati conclusivi sull'efficacia a lungo termine della deviazione fecale temporanea, essa rappresenta un'opzione terapeutica per ridurre l'infiammazione e migliorare i risultati chirurgici.
Infine, è fondamentale sottolineare l'importanza della gestione multidisciplinare in questi casi complessi. La collaborazione tra chirurghi, gastroenterologi, e specialisti in malattie infiammatorie intestinali è cruciale per garantire un trattamento ottimale e personalizzato, in grado di affrontare le numerose variabili cliniche che si presentano nei pazienti con IBD e patologie anorettali.
Quali sono le implicazioni del reflusso gastroesofageo e delle ernie paraesofagee nella chirurgia esofagea?
Il carcinoma esofageo rappresenta una delle patologie più gravi del tratto gastrointestinale, con una sopravvivenza a cinque anni che si aggira intorno al 47%. Tuttavia, questa cifra cala drasticamente al 25% nei casi di malattia regionale e al 5% quando la patologia è metastatica, con pochissimi pazienti che superano i 18 mesi di vita. Purtroppo, la maggior parte dei tumori esofagei viene diagnosticata in stadi avanzati, con malattia localmente avanzata o metastasi, quando la possibilità di una cura è limitata e l’unica opzione terapeutica rimane la palliativa.
La malattia da reflusso gastroesofageo (GERD) è una delle condizioni più comuni e spesso sottovalutate, caratterizzata dalla presenza di sintomi o lesioni mucosali causate dal reflusso anomalo del contenuto gastrico nell’esofago. Si stima che un terzo della popolazione statunitense soffra di sintomi legati alla GERD almeno una volta al mese, il 10%-20% almeno una volta alla settimana, e il 4%-7% quotidianamente. Sebbene il bruciore di stomaco sia un sintomo prevalente, non tutti i pazienti con bruciore di stomaco soffrono di GERD.
I sintomi tipici della GERD comprendono il bruciore retrosternale, la rigurgitazione, la bruciore di bocca (quando la cavità orale si riempie improvvisamente di saliva, talvolta mescolata con acidi gastrici risaliti fino alla gola) e la disfasia, che rappresenta la difficoltà nel passaggio del cibo nella zona retrosternale inferiore. Il bruciore classico è definito come una sensazione di bruciore retrosternale che sale dallo stomaco o dalla parte bassa del torace verso il collo, che dura da pochi momenti a diversi minuti, che si allevia con antiacidi o cibo e che si verifica 30-60 minuti dopo i pasti. Tra i sintomi atipici o extra-esofagei si trovano la tosse, l’asma, la raucedine, la laringite, le erosioni dentali e il dolore toracico non cardiaco. Circa il 20%-25% dei pazienti con GERD presenta sintomi atipici come sintomo principale, e molti altri li associano successivamente a bruciore di stomaco e rigurgitazione. In effetti, quasi il 50% dei pazienti con dolore toracico e coronarografie negative, il 75% di quelli con raucedine cronica e fino all’80% di chi soffre di asma hanno un test pH esofageo a 24 ore positivo, indicando reflusso acido anomalo nell’esofago.
Le cause principali che alterano la barriera gastroesofagea (GE) sono l’ipotesi della pressione del LES (lower esophageal sphincter) e la perdita dell’angolo di His a causa di ernia paraesofagea. Entrambe le condizioni possono contribuire alla perdita di competenza dello sfintere e quindi al reflusso anomalo. Il reflusso fisiologico o il reflusso nelle fasi iniziali della malattia sono dovuti alla perdita temporanea della zona ad alta pressione normalmente creata dalla contrazione tonica delle fibre muscolari del LES. Nei casi di GERD grave, questa zona ad alta pressione è permanentemente ridotta o inesistente. Un’ernia paraesofagea di grandi dimensioni altera la geometria dell’EGJ (esophagogastric junction) e causa la perdita dell’angolo di His. In tali pazienti, la dilatazione gastrica necessaria per superare la zona ad alta pressione è maggiore rispetto a chi ha un angolo di His integro. Inoltre, un’ernia paraesofagea può causare anche ipotensione del LES. Tuttavia, non tutti i pazienti con un’ernia paraesofagea sviluppano GERD, e la presenza di una piccola ernia iatale scivolante senza GERD non è indicativa di intervento medico o chirurgico.
Quando si sospetta una GERD, è fondamentale eseguire una serie di esami diagnostici. Questi includono la radiografia con contrasto del esofago, l’esofagogastroduodenoscopia (EGD), la manometria esofagea e il test pH esofageo a 24 ore, quest’ultimo considerato il "gold standard" per la diagnosi di GERD. La radiografia esofagea con bario fornisce informazioni sia funzionali che strutturali, ed è utile per valutare la dimensione e la riducibilità di un’ernia paraesofagea. L’EGD consente di identificare la presenza di esofagite e di esofago di Barrett, mentre la manometria esofagea valuta la funzione peristaltica dell’esofago e la pressione e il rilassamento del LES. Infine, il monitoraggio del pH esofageo a 24 ore è il metodo più diretto per valutare la presenza e la gravità della GERD, ed è essenziale prima di ogni intervento chirurgico anti-reflusso.
Un LES difettoso, con una pressione inferiore a 6 mmHg, ha implicazioni significative: è quasi sempre associato a lesioni mucosali esofagee e prevede che i sintomi siano difficili da controllare solo con la terapia medica. Un LES difettoso porta a un aumento del diametro dell’EGJ e alla progressiva perdita dell’angolo acuto di His, causando lo sviluppo di un’ernia paraesofagea. In questi casi, la terapia chirurgica diventa la scelta preferibile, poiché la condizione è irreversibile, anche se l’esofagite associata è guarita.
L’anomalia della motilità esofagea è un altro aspetto cruciale nella gestione della GERD. Un deterioramento della funzione peristaltica dell’esofago può portare a motilità esofagea inefficace (più del 70% delle deglutizioni inefficaci o almeno il 50% di peristalsi fallita) o assenza di contrattività. La disfagia è generalmente uno dei sintomi predominanti in questi pazienti.
Infine, l’indicazione principale per un intervento chirurgico anti-reflusso è la presenza di sintomi gravi e persistenti non controllabili con la sola terapia medica, o nei casi di complicanze significative, come l’esofago di Barrett, che non possono essere trattate efficacemente con i farmaci. Il trattamento chirurgico, che include tecniche come la fundoplicatura, mira a ripristinare la funzione del LES e a ridurre il reflusso acido, migliorando la qualità della vita del paziente.
Le Malattie Epatiche in Gravidanza: La Diagnosi e il Trattamento dell'AFLP e di Altri Disturbi
L'AFLP (Acute Fatty Liver of Pregnancy) è una patologia rara che colpisce circa 1 gravidanza su 13.000-16.000. Solitamente si manifesta nel secondo periodo della gravidanza, durante il terzo trimestre, ma in rari casi può iniziare anche nel periodo post-partum. I sintomi includono nausea, vomito, ittero, malessere generale, sete e alterazione dello stato mentale. I casi più gravi progrediscono rapidamente verso ipoglicemia, coagulazione intravascolare disseminata (CID), insufficienza renale, coma e morte. Talvolta sono presenti segni di preeclampsia concomitante, come un aumento moderato della pressione arteriosa, proteinuria e iperuricemia. Dal punto di vista laboratoristico, le anomalie comprendono l’aumento moderato di AST e ALT (di solito sotto i 1000), iperbilirubinemia coniugata, aumento del PT, prodotti di degradazione della fibrina e dd-dimeri, insieme a una riduzione del numero delle piastrine, livelli elevati di ammoniaca e acido urico nel siero, e leucocitosi. L’ipoglicemia è un segno di estrema gravità; pertanto, è fondamentale monitorare attentamente i livelli di glucosio nel sangue.
La diagnosi di AFLP si basa principalmente su un sospetto clinico elevato, poiché la malattia può manifestarsi come un’insufficienza epatica in prossimità del termine della gravidanza o subito dopo il parto, in assenza di fattori di rischio o di indizi sierologici che suggeriscano epatiti virali. La sete, sintomo caratteristico di diabete insipido resistente alla vasopressina, è un segno distintivo di AFLP e della sindrome HELLP. Sebbene la biopsia epatica possa essere diagnostica, non è considerata indispensabile in ogni caso. Se eseguita, la biopsia rivela una infiltrazione microvescicolare grassa, prevalentemente nelle zone centrilobulari, senza gravi segni di necrosi cellulare o infiammazione. Inoltre, la steatosi microvescicolare è osservata anche in altre condizioni come la sindrome di Reye, la tossicità da sodio valproato, la malattia del vomito giamaicano, e alcuni difetti congeniti nei cicli metabolici degli acidi grassi.
Il trattamento dell'AFLP prevede il ricovero ospedaliero con monitoraggio stretto da parte di un’équipe multidisciplinare (epatologo, specialista in medicina materno-fetale e medico di terapia intensiva), e la consegna immediata del bambino. La maggior parte delle pazienti recupera completamente, anche se il recupero può essere ritardato nei casi con complicazioni significative prima del parto, come CID, insufficienza renale e infezioni.
La prognosi per i bambini di madri con AFLP è migliorata notevolmente grazie a una maggiore consapevolezza, diagnosi precoce e l’accesso alle cure intensive neonatali. I tassi di mortalità fetale, che in passato erano elevati (75%-90%), sono stati significativamente ridotti. Nei casi di difetto congenito LCHAD (long-chain 3-hydroxyacyl-CoA dehydrogenase), il bambino può sviluppare grave disfunzione epatica già dai primi mesi di vita, caratterizzata da ipoglicemia ipoketotica, ipotonia, epatomegalia e encefalopatia epatica. La gestione dietetica attraverso una dieta a basso contenuto di grassi, in cui i trigliceridi a catena media sostituiscono i grassi a catena lunga, è fondamentale per prevenire la disfunzione epatica e per migliorare la sopravvivenza del bambino, che se trattato, ha una probabilità di sopravvivenza del 67% e la maggior parte dei bambini trattati è in grado di frequentare la scuola.
In casi di difetti LCHAD, la malattia è recessiva e colpisce circa uno su quattro dei feti. La probabilità che la madre sviluppi AFLP in una gravidanza successiva è compresa tra il 15% e il 25%. Pertanto, è fondamentale che tutte le donne che hanno avuto AFLP, così come i loro partner e i figli, si sottopongano a test genetici per identificare eventuali difetti genetici legati a questa condizione. La sola ricerca della mutazione Glu474Gln nella madre non è sufficiente per escludere il difetto LCHAD nel feto o in altri membri della famiglia.
Oltre all'AFLP, esistono altre condizioni epatiche che possono verificarsi durante la gravidanza, come la sindrome HELLP (Hemolysis, Elevated Liver Enzymes, and Low Platelets), che si presenta nel 0,2%-0,6% delle gravidanze e nel 4%-12% delle donne con preeclampsia. La diagnosi di HELLP si basa su evidenze laboratoristiche che mostrano segni di coinvolgimento epatico associati a trombocitopenia. Sebbene la biopsia epatica possa essere caratteristica, spesso non è necessaria per la diagnosi, dato che l’intervento precoce, in particolare la visualizzazione di emorragie epatiche tramite TC o RM, consente di intervenire tempestivamente. In caso di emorragie intraepatiche spontanee, la mortalità materna rimane alta, ma la consapevolezza precoce e il trattamento tempestivo possono migliorare significativamente le prospettive di sopravvivenza.
La comprensione di queste condizioni e il riconoscimento precoce dei segni e sintomi sono essenziali per garantire una gestione tempestiva e appropriata, riducendo al minimo i rischi per la madre e il bambino. Un monitoraggio costante e una gestione multidisciplinare sono la chiave per affrontare le complicanze epatiche durante la gravidanza.
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