Il fenomeno Trump, e la sua trasformazione in Trumpismo, ha inciso profondamente sugli equilibri politici, sociali e internazionali, ridefinendo non solo gli Stati Uniti ma anche il loro ruolo nel contesto globale. La geografia politica della sua amministrazione si intreccia con numerosi fattori spaziali, tra cui il successo elettorale del 2016, la sua retorica xenofoba, le politiche migratorie e la sua visione sull’ambiente e sulla sicurezza globale. Il successo di Trump nelle elezioni presidenziali del 2016, che gli ha permesso di vincere il Collegio Elettorale, è il primo punto di osservazione in questo paesaggio complesso. In particolare, la sua vittoria in stati tradizionalmente democratici come il Wisconsin, il Michigan e la Pennsylvania, ha rappresentato un cambio di paradigma, con il voto dei bianchi non laureati che ha fatto la differenza. Questo gruppo demografico, in larga parte disilluso dal sistema, si è trovato nella retorica di Trump una forma di rappresentanza che prometteva di contrastare l'establishment politico, economico e culturale.

La politica di Trump verso l’immigrazione, soprattutto quella latina, e il suo insistere sulla costruzione di un muro al confine con il Messico, sono esempi lampanti della sua visione geografica del mondo. La frontiera diventa non solo un elemento fisico ma un simbolo di una separazione netta tra l’America "pura" e quella minacciata dalle "invasioni straniere". La sua presidenza ha accentuato le fratture interne, alimentando il razzismo e la xenofobia, ma anche la paura della "sostituzione" etnica, che ha trovato terreno fertile in ampie porzioni di elettorato bianco.

Sul piano internazionale, Trump ha modificato l’immagine degli Stati Uniti nel mondo. Il suo ritiro dagli accordi internazionali, come il TPP (Trans-Pacific Partnership) e l’Accordo di Parigi sul clima, ha segnato una forte discontinuità con l'era Obama, accentuando la retorica del "America First". Il suo rapporto con leader autocratici, come Vladimir Putin, e il suo approccio aggressivo nei confronti di alleati storici come l'Unione Europea, hanno sollevato preoccupazioni circa il futuro delle alleanze globali e la stabilità internazionale. La sua politica estera, soprattutto riguardo la Corea del Nord e l'Iran, è stata segnata da scelte imprevedibili e per certi versi disastrose, mettendo in discussione il ruolo degli Stati Uniti come potenza stabilizzatrice.

Anche sul piano ambientale, l’impronta lasciata dalla sua amministrazione è stata significativa. La ritirata dagli impegni climatici e la revisione delle normative ambientali introdotte dal predecessore Barack Obama sono un riflesso della sua visione a corto raggio, incentrata sulla deregolamentazione e sul favore alle grandi imprese. Questi temi sono cruciali per comprendere come Trump abbia ridefinito la geopolitica, non solo a livello nazionale, ma anche nei confronti delle sfide globali.

L’approccio geografico alla sua elezione è altrettanto illuminante. Le dinamiche del voto di Trump nel 2016 sono state il risultato di una strategia politica mirata che ha saputo sfruttare le disuguaglianze regionali e sociali. Studi sulle votazioni hanno rivelato come Trump abbia saputo manipolare la geografia politica degli Stati Uniti per ottenere consensi in aree precedentemente dominati dai democratici, mobilitando un elettorato bianco, in particolare quelli non laureati, sensibile ai temi della sicurezza e del nazionalismo etnico. Il suo sostegno è stato ampio anche tra gli elettori evangelici bianchi e altri gruppi che condividono una visione conservatrice della "grandezza" dell'America, percepita come minacciata dal progresso sociale e dalla globalizzazione.

Infine, il fenomeno Twitter e l’utilizzo massiccio dei social media durante la sua campagna elettorale ha avuto una funzione fondamentale nel plasmare l’immaginario collettivo degli elettori. Le sue dichiarazioni, spesso aggressive e provocatorie, non solo hanno polarizzato il dibattito pubblico, ma hanno anche consolidato un paesaggio politico dominato dalla paura e dall'odio verso l'Altro. Le sue affermazioni contro i musulmani e gli immigrati sono diventate il simbolo di una politica della paura, che ha trovato il suo spazio nell'immaginario geografico di coloro che si sentivano minacciati dalla diversità etnica e culturale.

Accanto a questi aspetti, non si può ignorare l’idea che Trump non sia solo il riflesso di tendenze globali come il neoliberismo autoritario, ma anche il promotore di esse. Le sue politiche economiche e sociali sono profondamente legate a un modello di sviluppo che favorisce le élite e che si basa sulla concentrazione della ricchezza e sulla marginalizzazione delle classi lavoratrici, con effetti devastanti sulle disuguaglianze sociali e ambientali.

Le scelte geopolitiche di Trump, la sua retorica nazionalista e la sua visione economica, hanno creato un nuovo tipo di paesaggio politico e sociale, che si riflette in vari aspetti della società americana e delle sue relazioni internazionali. La sua eredità è ancora in fase di costruzione, ma uno degli insegnamenti fondamentali che emerge da questa analisi riguarda il potere delle narrazioni politiche e geografiche nel modellare l’opinione pubblica e nel determinare le traiettorie politiche globali.

Come i Discorsi Geopolitici e Geoeconomici Influenzano la Percezione della Corea del Nord in Corea del Sud

La geopolitica critica si concentra sull'analisi e l'interpretazione dei "testi" per scoprire le strutture di potere e le concezioni nascoste dietro eventi politici e comunicazioni. I "testi" in questo contesto non si limitano alla scrittura, ma comprendono anche forme comunicative visive e verbali, come gesti, immagini, film e mappe. Un esempio emblematico è il discorso del presidente statunitense George Bush del 2002, noto come il discorso sull'"asse del male", in cui collegò la Corea del Nord, l'Iran e l'Iraq, alimentando timori di una possibile cooperazione tra questi paesi contro gli Stati Uniti. In quel discorso, la condivisione di un nemico comune portò a una semplificazione geopolitica che cancellava le differenze reali tra questi paesi, come la guerra Iran-Iraq del 1980-88 o l'assenza di legami diretti tra la Corea del Nord e gli altri due stati.

Tale discorso non solo rispecchiava una retorica di paura alimentata dall'insicurezza post-11 settembre, ma rievocava anche un’immagine geopolitica della Guerra Fredda, incentrata sulla minaccia di un "imperialismo nucleare" e sul ruolo degli Stati Uniti come difensori globali della democrazia. Questo esempio mostra chiaramente come i discorsi geopolitici possano servire a giustificare azioni concrete, come la dichiarazione di guerra contro l'Iraq nel 2002, portando così all'adozione di politiche che non solo riflettono una visione del mondo, ma che contribuiscono anche a plasmare l'opinione pubblica e a rafforzare il consenso per azioni politiche specifiche.

Nel corso del tempo, la geopolitica critica si è evoluta, estendendo il suo campo di indagine oltre le politiche estere statali e i discorsi dei leader politici, per includere la cosiddetta "geopolitica popolare". Questo concetto si riferisce ai processi attraverso cui la percezione della politica mondiale viene espressa e modellata da vari mezzi di comunicazione di massa, come film, riviste, musica e, soprattutto, dai media tradizionali. L'analisi delle organizzazioni giornalistiche come attori politici diventa quindi essenziale per comprendere come i discorsi geopolitici vengano diffusi e riprodotti. Un esempio pertinente riguarda il modo in cui i media sudcoreani trattano le relazioni con la Corea del Nord, un tema che ha suscitato opinioni contrastanti in Corea del Sud, tra coloro che lo vedono come una questione geopolitica di sicurezza e chi, invece, lo considera un'opportunità geoeconomica.

A questo proposito, un aspetto che non può essere ignorato nella geopolitica è il ruolo dell'economia. Gli studiosi di geopolitica hanno sottolineato da tempo come le questioni economiche siano parte integrante dei discorsi geo-strategici, che operano su scala globale e territoriale. Concetti come la "geoeconomia", introdotta da Luttwak nel 1990, riflettono l'idea che il potere economico sia cruciale per la politica internazionale e per la diplomazia. La guerra del Vietnam, ad esempio, è stata vista da Mercille (2008) come un esempio lampante di come le aspirazioni economiche abbiano motivato le decisioni politiche degli Stati Uniti. Sparke (2007) ha suggerito un quadro duale che unisce geopolitica e geoeconomia per spiegare come paure e speranze economiche abbiano alimentato l'invasione dell'Iraq nel 2002.

Per quanto riguarda la Corea del Nord, questo approccio duale permette di comprendere come le dinamiche geopolitiche ed economiche si intrecciano nelle politiche della Corea del Sud. Da un lato, i conservatori sudcoreani tendono a vedere la Corea del Nord come una minaccia geopolitica, una "territorialità" che non può esistere separatamente senza mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Dall'altro, i liberali considerano la Corea del Nord come un'opportunità geoeconomica, una zona da cui trarre benefici economici per stimolare la crescita del paese. Il caso del parco industriale Kaesong, gestito congiuntamente da sudcoreani e nordcoreani, rappresenta un esempio di come la politica di sicurezza e quella economica possano coesistere, ma anche competere tra loro.

Inoltre, è importante osservare come la retorica geopolitica e geoeconomica influisca sulle politiche interne della Corea del Sud, creando una linea di divisione tra le fazioni conservatrici e progressiste. Le politiche di sicurezza e di economia sono da sempre un campo di battaglia per le diverse forze politiche, con i conservatori che accentuano il pericolo della Corea del Nord come una questione di sicurezza nazionale e i progressisti che vedono nel miglioramento delle relazioni economiche un'opportunità di pace e prosperità.

Un altro elemento che merita attenzione è il modo in cui la geopolitica e la geoeconomia si mescolano nella visione della Corea del Nord da parte degli Stati Uniti e, in particolare, dell'amministrazione Trump. In un incontro con i giornalisti durante il summit di Singapore, Trump ha suggerito che la Corea del Nord potrebbe diventare una destinazione turistica di lusso, con "grandi spiagge" e opportunità immobiliari. Questa visione rivela un approccio geoeconomico che cerca di immaginare la Corea del Nord come una risorsa da sfruttare economicamente, una metafora per le opportunità di crescita e sviluppo economico, piuttosto che una minaccia geopolitica.

Alla luce di ciò, l'analisi della geopolitica della penisola coreana deve considerare sia le dinamiche della sicurezza che quelle economiche. Le questioni legate alla Corea del Nord non possono essere comprese solo attraverso una lente di paura geopolitica; è fondamentale includere anche l'aspetto economico e la sua influenza sulle politiche e sugli atteggiamenti delle nazioni coinvolte. La crescente interconnessione globale e le sfide economiche potrebbero ridisegnare il panorama geopolitico della regione, creando nuove opportunità e nuove tensioni.