L'uso dei selezionatori esterni da parte dei datori di lavoro non è motivato solamente dalla scarsità di competenze specifiche nel mercato del lavoro, ma anche da ragioni strategiche legate alla gestione aziendale e alla politica interna delle organizzazioni. L'impiego di reclutatori esterni, infatti, permette alle aziende di rimanere in una posizione di "deniabilità plausibile" nei confronti della concorrenza. Quando un'azienda sottrae risorse umane a un altro datore di lavoro, l’intermediazione del reclutatore permette di evitare il coinvolgimento diretto del committente e di mantenere le proprie manovre sotto traccia. Inoltre, il ricorso ai reclutatori consente di evitare di esporre al mercato le competenze precise ricercate, evitando così di rivelare carenze strutturali all'interno dell'azienda. Un altro vantaggio che alcuni manager trovano nell'affidarsi a terzi per la selezione del personale è legato a politiche interne di gestione delle risorse umane. In alcune aziende, i responsabili delle assunzioni preferiscono bypassare i dipartimenti HR per evitare conflitti di priorità o per sfuggire alle restrizioni imposte dalla legislazione in materia di assunzioni. Tuttavia, questo approccio presenta anche dei lati negativi che impattano negativamente sui lavoratori STEM. In primo luogo, l’utilizzo dei selezionatori esclude dal processo di assunzione i dipendenti interni, riducendo o addirittura annullando la possibilità di crescita professionale interna. Questo fenomeno non fa che aumentare la distanza tra i lavoratori e le opportunità di avanzamento all’interno dell’organizzazione, facendo apparire le opportunità come inaccessibili a chi già fa parte del team. Inoltre, il reclutatore seleziona candidati basandosi spesso su una lista limitata di qualifiche, che può non corrispondere completamente alle reali necessità dell'azienda. La selezione attraverso canali esterni, quindi, finisce per rendere più angusta la rosa dei candidati, limitando la diversità e la qualità del talento disponibile.

L’incidenza di reclutatori eccessivamente focalizzati

Come affrontare la rapida obsolescenza delle competenze nel settore STEM e l'importanza della formazione continua

Nel contesto del lavoro nel settore STEM, l'autoformazione diventa una necessità, indipendentemente dal fatto che i datori di lavoro supportino o meno i propri dipendenti con programmi formativi specifici. I lavoratori STEM dovrebbero essere in grado di agire in modo autonomo e proattivo, adottando un approccio simile a quello dei liberi professionisti del settore. Se le aziende offrono corsi di formazione come parte dei benefici per il reclutamento, è fondamentale che i dipendenti ne approfittino al massimo. La formazione può infatti essere parte integrante delle attività quotidiane del lavoro, poiché i lavoratori affrontano costantemente problemi e apprendono soluzioni mentre li risolvono. Inoltre, la collaborazione reciproca e lo scambio di informazioni tra colleghi possono rappresentare fonti fondamentali di sviluppo delle competenze.

Nel settore del software, ad esempio, il semplice lavoro in team può diventare un'opportunità di formazione, a condizione che i lavoratori siano in grado di comunicare efficacemente e siano gestiti in modo da lavorare insieme in maniera collaborativa anziché competitiva. La ricerca condotta dai professori John J. Horton e Prasanna Tambe offre uno spunto interessante su come i lavoratori possano rispondere alla rapida obsolescenza delle competenze. L'esempio degli sviluppatori di software che hanno visto una rapida decadenza del programma Flash di Adobe dimostra come l'adattamento e l'apprendimento continuo siano essenziali per sopravvivere in un mercato che cambia velocemente. Questi sviluppatori, dopo aver perso il supporto per la tecnologia obsoleta, si sono affidati a lavori da freelance su piattaforme online, dove hanno imparato nuove competenze in modo autonomo. Il 60% di loro ha dichiarato che questi nuovi apprendimenti erano "estremamente importanti". I metodi più comuni per acquisire nuove competenze includevano l'apprendimento sul lavoro, ad esempio attraverso il cosiddetto "stretchwork", e la partecipazione a forum online come Stack Overflow.

L'importanza di una rete di supporto, sia nel mondo reale che online, è emersa come un fattore cruciale per identificare le competenze più richieste e per guidare l'apprendimento. Molti sviluppatori hanno descritto il loro approccio come una progressiva acquisizione di competenze: "Passare a una nuova tecnologia implica che non puoi immediatamente lavorare su progetti di livello esperto. È necessario iniziare con progetti più semplici e migliorare mentre lavori su progetti dal vivo". Un altro sviluppatore ha commentato: "Quando lavoro con una nuova tecnologia, inizio con progetti più semplici rispetto a quelli che affronterei con una tecnologia che conosco bene. Man mano che ottengo più esperienza con la nuova tecnologia, inizio a candidarmi per progetti più complessi."

Tuttavia, il successo di questi sviluppatori non deve farci dimenticare le difficoltà insite in questo processo di adattamento, che può portare alcuni professionisti a lasciare il settore STEM. Per i lavoratori in ambiti come le scienze della vita, l'energia e la chimica, ad esempio, l'accesso ai laboratori e alle attrezzature specializzate può essere essenziale. Inoltre, i lavoratori che devono formarsi autonomamente fuori dall'orario di lavoro sono sotto maggiore pressione, specialmente se hanno una famiglia o altre priorità. Un esempio significativo dei pesi che derivano dall'obsolescenza delle competenze nel settore STEM è stato fornito da un post anonimo su Slashdot, un sito web dedicato alle notizie e alle domande sul mondo tecnologico. Un utente, di nome "ErichTheRed", ha condiviso una riflessione che ha ottenuto una valutazione molto alta. In risposta alla domanda su quale fosse la "dura verità" che il settore IT deve accettare, ha spiegato: "Non si può rimanere comodi essendo esperti in un'unica area. Tenersi aggiornati su tutte le conoscenze necessarie per rimanere impiegato, soprattutto quando tutto il lavoro di routine viene esternalizzato, è difficile. Ho dovuto dedicare molto tempo fuori dal lavoro a questo, perché ormai nessuna azienda forma più i propri dipendenti." Questo commento mette in luce quanto possa essere difficile per un lavoratore STEM bilanciare l'autoformazione con altre responsabilità, come la vita familiare, e come il carico di lavoro possa risultare insostenibile se le aziende non offrono formazione adeguata.

L'esperienza di "ErichTheRed" suggerisce che lavorare nel settore STEM sia particolarmente arduo se i datori di lavoro non offrono supporto formativo, in un contesto dove il "treadmill delle competenze" può risultare opprimente. Quando le aziende sono guidate da investitori e da una cultura che considera la formazione come una spesa inutile, i laureati STEM potrebbero essere indotti a rifiutare questa carriera. Un possibile approccio per affrontare questa situazione è stato proposto da un ex dirigente di una grande azienda tecnologica: l'introduzione di programmi di formazione personalizzati, simili a quelli utilizzati nelle scuole per gli studenti con esigenze speciali. Nei cosiddetti "Programmi di Istruzione Individualizzati" (IEP), gli educatori valutano le difficoltà e i punti di forza degli studenti per stabilire obiettivi di sviluppo delle competenze. Un approccio simile potrebbe essere adottato anche dalle risorse umane nelle aziende, utilizzando le revisioni delle performance per comprendere le aree di forza e debolezza dei dipendenti rispetto a competenze specifiche. Le aziende sarebbero quindi in grado di guidare i propri dipendenti nell'acquisizione delle competenze necessarie per affrontare il "treadmill delle competenze", aiutandoli a evitare investimenti sbagliati che potrebbero costringerli ad abbandonare il settore STEM.

Nel contesto di questi sviluppi, è fondamentale considerare che la formazione non deve essere un'esperienza isolata, ma un processo continuo e supportato sia dall'individuo che dall'ambiente lavorativo. Le aziende che non riconoscono questa necessità e non forniscono le risorse adeguate rischiano di vedere un numero crescente di professionisti STEM abbandonare il settore, portando a una maggiore carenza di talenti e ad una continua instabilità nel mercato del lavoro.

Come le pratiche di assunzione STEM influenzano la diversità e perché persistono

L’uso di visti H-1B per sostituire lavoratori qualificati americani, come nel caso dell’università UCSF, ha scatenato non solo polemiche e cause legali, ma anche una riflessione profonda sul rapporto tra diversità e strategie occupazionali nel settore STEM. Il licenziamento di dipendenti esperti, spesso costretti a formare i loro sostituti stranieri a condizioni economiche inferiori, mostra una dinamica complessa: non si tratta semplicemente di un problema di costo, ma anche di una questione di equità e di come certe politiche aziendali possano influenzare negativamente la composizione demografica del settore.

Le professioni STEM, soprattutto in informatica e ingegneria, sono spesso considerate un terreno fertile per l’innovazione e la crescita economica, ma i dati mostrano come queste stesse industrie abbiano gravi carenze nella rappresentanza di donne, afroamericani e lavoratori più anziani. Nonostante la scarsità di talenti, molte aziende continuano a perpetuare pratiche di assunzione e ambienti lavorativi che scoraggiano la permanenza di queste categorie. La cultura aziendale dominante, ancora profondamente radicata nell’idea di un lavoratore ideale giovane, maschio, bianco e americano, crea barriere invisibili ma efficaci.

Il paradosso è che mentre le imprese lamentano la mancanza di candidati qualificati, esse stesse contribuiscono a costruire ambienti che spingono via i talenti diversi. La percezione di esclusione e di ostilità che si respira in questi contesti porta molti a scegliere di non entrare o a lasciare presto il settore. Il senso di isolamento di chi è spesso l’unico rappresentante di un determinato gruppo etnico o di genere si traduce in una perdita di risorse preziose per l’intera economia STEM.

Una delle strategie più efficaci per invertire questa tendenza consiste nel modificare le pratiche di assunzione in modo da includere e valorizzare un ampio spettro di diversità, non solo per una questione di giustizia sociale, ma anche perché la diversità genera un circolo virtuoso: la presenza visibile di persone diverse attrae altrettanti talenti diversi. I dati indicano che la semplice presenza di un gruppo minoritario è già un segnale positivo che può migliorare la percezione del clima aziendale, favorendo la retention.

Ma assumere è solo il primo passo. Mantenere una forza lavoro diversificata richiede un impegno continuo verso la creazione di un ambiente di lavoro inclusivo. Il sostegno da parte dei supervisori e dei colleghi, così come la flessibilità per bilanciare vita privata e professionale, risultano cruciali per la permanenza delle donne e delle minoranze. Cambiare le persone marginalizzate è inefficace se non si interviene su chi le circonda quotidianamente.

Interventi strutturati come programmi di mentoring formali, la presenza di manager dedicati alla diversità e gruppi di lavoro interni che monitorano e agiscono sulle dinamiche di esclusione possono realmente migliorare l’esperienza lavorativa. Il mentoring, se ben organizzato, permette di evidenziare e rimuovere gli ostacoli invisibili, scoprire talenti altrimenti trascurati e facilitare le promozioni.

Inoltre, è fondamentale riconoscere che le dinamiche di esclusione non sono sempre evidenti o intenzionali: spesso si manifestano in comportamenti culturali radicati e nelle pratiche non scritte di un’organizzazione. Un’analisi critica e costante dei meccanismi di selezione, valutazione e avanzamento professionale è quindi indispensabile per prevenire la riproduzione di disuguaglianze.

L’evoluzione tecnologica, come la diffusione del lavoro remoto, potrebbe ridurre l’importanza di visti come l’H-1B, ma non risolverà da sola le questioni di diversità. Le aziende dovranno affrontare consapevolmente le proprie responsabilità culturali e organizzative, altrimenti continueranno a perdere il potenziale umano che tanto cercano.

È importante considerare anche l’impatto generazionale: i lavoratori più anziani in STEM spesso affrontano discriminazioni e difficoltà nell’adattarsi o essere valorizzati nei contesti più giovani e dinamici. Questo rappresenta un’altra dimensione della diversità che necessita attenzione e interventi mirati.

Infine, l’interazione tra diversità e performance economica non è un aspetto secondario. Organizzazioni che investono nella diversità e nell’inclusione tendono a sviluppare maggior creatività, innovazione e resilienza. Trascurare queste dimensioni significa quindi non solo perpetuare ingiustizie sociali, ma anche compromettere la competitività stessa delle imprese.