Il 2017 è stato un anno turbolento per gli Stati Uniti, in particolare per gli eventi politici che segnarono l'inizio del mandato di Donald Trump come presidente. Per Oskar Eustis, direttore artistico del Public Theater di New York, quell'anno rappresentò un momento cruciale per l'arte teatrale. Quello che stava accadendo nella politica americana, la crescente polarizzazione e la sensazione di minaccia alla democrazia, spinse Eustis a rispondere con una produzione teatrale audace: una versione modernizzata di "Giulio Cesare" di Shakespeare, con un chiaro riferimento al presidente Trump.

Questa rappresentazione non era semplicemente un adattamento della tragedia shakespeareniana, ma un'affermazione politica diretta. Eustis e il suo team volevano esplorare le dinamiche tra democrazia e autoritarismo, tra il desiderio liberale di difendere la libertà e la resistenza contro una figura che sembrava incarnare il potere assoluto. Come in "Giulio Cesare", la domanda centrale riguardava il modo in cui le democrazie affrontano le minacce interne, sia da parte di tiranni che dalle forze che tentano di opporsi a loro.

Per comprendere questa produzione, bisogna partire dalla consapevolezza che la tragedia di Shakespeare non è solo un dramma antico, ma una riflessione eterna sul potere e sulla moralità. La figura di Giulio Cesare, infatti, è un simbolo di potere incontrollato, ma anche di un personaggio che può suscitare ammirazione e paura allo stesso tempo. Allo stesso modo, Trump, per molti dei suoi oppositori, rappresentava una minaccia per i valori fondamentali della democrazia. Ma come nel caso di Cesare, il rifiuto di fermare un tiranno spesso si scontra con la difficoltà di determinare come resistergli senza compromettere ulteriormente le proprie convinzioni morali.

La produzione del "Giulio Cesare" di Eustis scelse di rendere questa connessione esplicita, con l'interpretazione di Gregg Henry nel ruolo di Cesare, caratterizzato da una performance che evocava fortemente l'immagine di Trump, nel suo atteggiamento e nel suo aspetto. Henry non impersonava Trump, ma sembrava incarnarlo, rendendo la rappresentazione ancora più potente e provocatoria. L'uso di abiti, gesti e linguaggio fortemente associati a Trump non lasciava dubbi sul messaggio che voleva trasmettere: la sua ascesa al potere ricordava quella di Cesare, un uomo che gioca con la figura del leader carismatico per attrarre folle di sostenitori, indipendentemente dalle sue azioni o dalle sue reali capacità.

Ma Eustis non voleva un'analisi semplicistica. L'uso di "Giulio Cesare" come metafora di Trump non si limitava a una satira diretta; piuttosto, voleva suscitare una riflessione più profonda sul comportamento dei cittadini di fronte alla minaccia di un tiranno. Infatti, una delle linee che Eustis modificò per adattarsi al contesto moderno rispecchiava perfettamente la situazione politica: "Se Cesare avesse pugnalato le loro madri, non avrebbero fatto altro" divenne "Se Cesare avesse pugnalato le loro madri sulla Fifth Avenue, non avrebbero fatto altro". La connessione tra la fedeltà cieca dei sostenitori di Cesare e quella dei sostenitori di Trump, che sembravano pronti a giustificare qualsiasi suo comportamento, è uno degli aspetti più inquietanti di questa produzione. In altre parole, il dramma non solo metteva in discussione il comportamento di un uomo al potere, ma interrogava anche la reazione della popolazione di fronte a un abuso di potere.

Ma cosa significava veramente questa messa in scena di "Giulio Cesare"? Per molti spettatori, la risposta era chiara: l'arte aveva il compito di sfidare il potere, di scuotere la coscienza pubblica. Eustis stesso affermò di non voler cercare alcuna approvazione esterna per la sua visione artistica, mantenendo il suo impegno nell'autonomia creativa. La scelta di rappresentare un Cesare così palesemente simile a Trump non era un caso, ma un atto deliberato di critica politica.

Un altro aspetto interessante di questa produzione è l'uso delle scenografie e delle immagini, che richiamavano fortemente l'immaginario politico degli Stati Uniti sotto Trump. Il palco evocava una Washington moderna e militarizzata, con la presenza di poliziotti senza volto e grafiche evocative dei monumenti nazionali. Ogni elemento visivo rafforzava il parallelismo tra il passato di Roma e il presente degli Stati Uniti, mostrando come la storia possa ripetersi, o quanto meno risuonare, attraverso i secoli.

In questa produzione, il pubblico era anche invitato a interagire attivamente, aggiungendo le proprie riflessioni su muri bianchi con frasi come "piango per" e "spero per". Questa partecipazione diretta degli spettatori simboleggiava un coinvolgimento collettivo nella difesa dei principi democratici, ma anche una consapevolezza della lotta che si stava svolgendo in quel momento.

La domanda che sorge spontanea è: come interpretare la figura di Cesare in un contesto così moderno? Nonostante il cambiamento delle modalità di espressione del potere, la sostanza rimane invariata. Cesare, come Trump, rappresenta un individuo che utilizza l'immagine e il carisma per consolidare il proprio potere, mascherando spesso la sua vulnerabilità dietro la facciata di un leader deciso. Ecco perché questa produzione di "Giulio Cesare" non si limita a un esercizio storico, ma si fa specchio della realtà contemporanea.

La riflessione che emerge da questa interpretazione non riguarda solo la politica e le figure di potere, ma anche il modo in cui la società reagisce di fronte all'autoritarismo. La tensione tra la necessità di difendere la democrazia e il rischio di scivolare nel cinismo o nella violenza è il cuore della tragedia shakespeareniana e continua a essere di estrema rilevanza oggi. È una lezione sul come ogni generazione deve confrontarsi con il potere, e come le arti, in particolare il teatro, possano essere un potente strumento di resistenza e di riflessione.

Perché la destra e la sinistra hanno interpretato diversamente Giulio Cesare?

La controversia che ha accompagnato la messa in scena del Giulio Cesare al Public Theater di New York solleva importanti questioni legate alla teoria letteraria e alla funzione dell’arte nel contesto politico. La discussione tocca temi cruciali, non solo nel campo della letteratura, ma anche nella comprensione del ruolo dell’arte nel plasmare le opinioni e le azioni della società.

Nel corso di questa controversia, alcuni hanno accusato la rappresentazione del dramma di incitare alla violenza, mentre altri hanno difeso l'opera come una riflessione critica sulla politica e il potere. In effetti, il teatro ha sempre avuto una funzione simbolica, mettendo in scena storie che stimolano la riflessione su temi universali, ma è altrettanto vero che certe rappresentazioni possono essere interpretate come un invito all'azione. Un caso esemplare di questa interpretazione è il caso legale riguardante la pubblicazione di minacce su Facebook, dove un uomo postò delle minacce di morte nei confronti della sua ex moglie, ma giustificò le sue parole come parte di un testo rap. Nonostante il messaggio fosse percepito come minaccioso da molte persone, la corte non ritenne sufficiente per dichiarare un intento criminale, dato che non si riusciva a dimostrare che l'autore avesse realmente l'intenzione di incitare alla violenza.

Questo principio legale si riflette nelle dichiarazioni di Eustis, il direttore artistico del Public Theater, che racconta di essere stato interrogato dalla Secret Service riguardo alla produzione di Giulio Cesare. La sua esperienza evidenzia quanto sia delicato il confine tra espressione artistica e incitamento alla violenza. La visita della Secret Service, sebbene sia stata una reazione a una serie di denunce, non implica che la produzione fosse realmente pericolosa o che avesse l’intenzione di incitare atti violenti. Piuttosto, evidenzia la difficoltà di stabilire un chiaro confine tra ciò che può essere interpretato come arte e ciò che può essere percepito come una minaccia concreta.

In questo contesto, il dibattito tra Platone e Aristotele, che si intreccia anche con le reazioni suscitate dalla rappresentazione di Giulio Cesare, risulta essere di fondamentale importanza. Platone, nella sua visione della Repubblica, propugnava un controllo rigoroso sulla letteratura e sull'arte, temendo che la forza della parola e della rappresentazione potessero influenzare negativamente l’opinione pubblica. Secondo Platone, infatti, la letteratura e l’arte, attraverso il loro potere persuasivo, potrebbero corrompere le menti degli individui e distruggere l’ordine sociale. L’arte, essendo una "mimesi", cioè un'imitazione della realtà, rischia di distorcere la verità e di alimentare un'illusione che può portare a conseguenze disastrose, come accade nel caso delle immagini ideologiche o politiche che i cittadini potrebbero prendere troppo letteralmente. L'arte che imita la realtà rischia di offuscare la capacità critica dell'individuo, che potrebbe agire sulla base di una falsa comprensione del mondo.

Aristotele, d'altra parte, adottò un punto di vista più liberale e ottimista, che riteneva l'arte come uno strumento di riflessione e purificazione. Nella sua Poetica, Aristotele distingue chiaramente l'arte dalla semplice imitazione della realtà: l'artista non riproduce il mondo com'è, ma crea un mondo che invita a riflettere su quello reale. L'arte diventa, in questo modo, un mezzo per purificare emozioni come la pietà e la paura, che sono intrinsecamente umane. Grazie all’esperienza estetica, l’individuo è in grado di confrontarsi con emozioni complesse in modo sicuro e, attraverso la catarsi, di elaborarle.

In relazione alla controversia sul Giulio Cesare, le posizioni di Platone e Aristotele mostrano approcci opposti alla funzione del teatro e dell’arte in generale. Se Platone sarebbe stato incline a censurare la rappresentazione di Giulio Cesare per evitare che il pubblico si identificasse troppo facilmente con i messaggi politici, Aristotele difenderebbe l’idea che l’arte stimoli il pensiero critico e la riflessione sulla società. La domanda centrale rimane: quale ruolo ha l’arte in un contesto politico? Può l’arte essere un’opportunità di discussione, o rischia di incitare azioni dirette, come accaduto con il caso di Giulio Cesare e le accuse di incitamento alla violenza?

In un’epoca in cui i confini tra arte, politica e realtà sono sempre più sfumati, il pubblico deve essere consapevole della sua responsabilità nell'interpretare le opere d'arte. Non tutto ciò che è rappresentato sulla scena è un invito all'azione, ma piuttosto un invito a riflettere, a interrogarsi sul potere, sulla giustizia e sulle conseguenze delle azioni politiche. L’importanza della contestualizzazione e della consapevolezza critica dell’audience è fondamentale, poiché solo in questo modo è possibile evitare che l'arte venga fraintesa come un messaggio diretto e pericoloso.