Viaggiare in treno in India è un'esperienza che tocca non solo la geografia, ma anche la cultura e la memoria collettiva. Un viaggio di lunga distanza, che collega città e paesi, diventa una narrazione di incontri, paesaggi, tradizioni e trasformazioni. Durante il viaggio verso Allahabad, c'era sempre una sensazione di attesa, una certa ansia per il ritorno di una figura che, pur essendo estremamente puntuale, sembrava sempre riuscire a farsi ritardare nell'ultimo minuto. Ma, naturalmente, per qualcuno che dava così tanta importanza al tempo, il suo ritorno era sempre puntuale, e ciò alleviava le nostre preoccupazioni.
Quando finalmente il treno partiva, iniziava un viaggio epico. Durante le quattro ore verso Allahabad, eravamo pronti a un picnic improvvisato, con puri e bhaji, accompagnati da dolci, tutto consumato su piatti di terracotta usa e getta, e l’acqua servita in beccucci chiamati ‘koolhars’. Allahabad, con i suoi ponti sopra il Gange e lo Yamuna, aveva un fascino speciale. Ogni volta che il treno attraversava questi ponti, il panorama e il rumore delle acque sottostanti rendevano il viaggio ancora più emozionante.
A Allahabad, la locomotiva veniva staccata e attaccata all'estremità opposta del treno, un’operazione che inizialmente mi confuse. Perché non tornavamo indietro sulla stessa strada? In effetti, il treno che fino ad allora apparteneva alla East Indian Railway (E.I.R.) ora passava sotto il controllo della Great Indian Peninsular Railway (G.I.P.R.). Alcuni vagoni venivano staccati, altri venivano attaccati, e così il nostro vagone, che fino a quel momento era stato verde, manteneva il suo colore mentre il treno proseguiva nel territorio G.I.P.R., dove i nuovi vagoni erano color bordeaux.
Dopo Allahabad, il caldo diventava insopportabile. Per proteggersi dalla polvere, avevamo abbassato le serrande di vetro, ma a Moghalsarai avevamo dovuto aggiungere anche quelle di legno. Nonostante il caldo, l'aria nel compartimento rimaneva relativamente sopportabile grazie al blocco di ghiaccio, anche se il sollievo sarebbe stato temporaneo. In quel momento, ci distendevamo sui letti provvisori e ci preparavamo a una lunga siesta. A Jabalpur, nel pomeriggio, un tè e qualche snack, accompagnati da bibite fresche conservate nel ghiaccio, ci ristoravano prima di riprendere il viaggio.
Quando arrivavamo a Nasik, la colazione veniva servita, e le meraviglie del paesaggio indiano cominciavano a farsi vedere. Il percorso diventava più panoramico, attraversando ghat con gallerie e ponti che suscitavano il nostro entusiasmo. Più tardi, attraversando il traffico ferroviario locale vicino a Bombay, Anant ed io ci divertivamo a contare i treni locali, sorpresa che potessero viaggiare senza una locomotiva.
A Bombay, le nostre opzioni erano due. Talvolta, ci fermavamo a Hindu Colony, ospiti di Shri Narayanrao Vyas, dove la strada tranquilla e poco trafficata ci accoglieva, e il nostro arrivo a Dadar richiedeva solo un carretto per trasportare i nostri numerosi bagagli. Altre volte, se proseguivamo fino alla Victoria Terminus, ci sistemavamo al Sardar Griha, un hotel economico e ben rispettato, frequentato dalla classe media di Bombay. Bombay ci appariva come una città moderna, con tram, autobus e i tradizionali taxi, che ci affascinavano ogni volta che avevamo l'opportunità di salire su uno di essi, specialmente sul piano superiore del tram.
La città, per un ragazzo come me, era una terra di scoperte. Tra il Malabar Hill, il Gateway of India e le gite al zoo, ogni angolo della città era un’avventura. Ma ciò che più ci colpiva erano le visite al teatro Marathi e ai cinema locali, dove i film umoristici e leggeri come quelli con Damuanna Mavalankar o P.L. Deshpande ci facevano ridere e pensare alla nostra stessa cultura, pur essendo lontani da casa.
Dopo qualche giorno di svago a Bombay, salivamo a bordo del Poona Mail o della Deccan Queen per raggiungere Pune. Il viaggio era più breve, ma ugualmente intenso per le conversazioni e il relax che ci permetteva. A Pune, spesso ci fermavamo per alcuni giorni, godendoci la compagnia di parenti e amici, prima di proseguire verso Kolhapur. Ma, anche in questa fase, il cambio di ritmo era evidente: dal treno veloce della Deccan Queen a quello più lento e tranquillo del Kolhapur Mail.
In effetti, ogni parte di quel viaggio, dall’inizio alla fine, raccontava non solo il cambiamento dei paesaggi e delle città, ma anche quello delle persone, delle loro abitudini e dei modi di vivere. Oggi, quel viaggio avrebbe un sapore diverso. Le città sono cambiate, il traffico è aumentato, e i luoghi che un tempo erano tranquilli e silenziosi, ora sono invasi dalla folla. Tuttavia, in quei giorni, ogni piccolo dettaglio – un incontro casuale, un cambiamento nella direzione del treno, una risata condivisa durante una pausa – rendeva il viaggio qualcosa di speciale.
Il viaggio in treno, con la sua calma e i suoi ritmi lenti, era l’occasione per riflettere, per osservare e per apprezzare le piccole cose, che oggi potrebbero sfuggirci in mezzo al caos quotidiano.
Come l'incontro con le grandi metropoli plasmò la mia carriera accademica e personale
L'esperienza di viaggiare e confrontarsi con nuove realtà è stata, per me, non solo un'opportunità di crescita personale, ma anche un passo cruciale per il mio percorso accademico. Il mio viaggio negli Stati Uniti, che inizialmente sembrava essere solo un’opportunità di esplorare una cultura diversa, si è rivelato un momento determinante per la mia carriera, con conseguenze che avrebbero segnato il mio futuro come scienziato e come individuo.
Il 24 maggio arrivai a New York, pronto a esplorare la città e poi dirigermi a Ithaca per partecipare a un incontro accademico di grande importanza. Il mio soggiorno con la famiglia Dilwali è stato, senza dubbio, un'introduzione eccezionale alla metropoli americana. Non solo mi permisero di immergermi nella vita quotidiana della città, ma, attraverso la loro connessione con le Nazioni Unite, ebbi anche l'opportunità di osservare da vicino il funzionamento di un'istituzione internazionale.
Le prime impressioni di New York furono indimenticabili. Ogni angolo della città, dai grattacieli dell'Empire State Building alla maestosità della Statua della Libertà, mi lasciava stupefatto. Tuttavia, non si trattava solo di visitare monumenti e attrazioni turistiche. New York era, ed è tuttora, una macchina in continuo movimento, dove tutto sembra essere a una velocità superiore rispetto ad altri luoghi. Il traffico frenetico, le luci di Times Square, la varietà culturale che si respirava ad ogni angolo, erano un chiaro riflesso di come la città fosse il centro di un mondo che non dorme mai, pieno di opportunità ma anche di sfide.
Dopo qualche giorno, il mio viaggio mi portò a Cornell, dove partecipai a un incontro scientifico che avrebbe avuto implicazioni a lungo termine sul mio lavoro. La discussione non si svolse in modo convenzionale, ma attorno a un lungo tavolo, con i partecipanti che presentavano i loro lavori mentre gli altri intervenivano direttamente. In quel contesto, un episodio particolare attirò la mia attenzione: Richard Feynman, figura iconica della fisica, sollevò un'obiezione al fatto che le sue osservazioni venissero registrate e inserite negli atti ufficiali dell'incontro. Egli riteneva che le sue osservazioni, spesso “sciocche” ma spontanee, avessero valore solo se dette liberamente. Alla fine, si giunse a una soluzione che fece sì che il suo nome venisse sostituito con “Mr X”, un dettaglio che diede un tocco di leggerezza all'incontro, pur mantenendo alta la qualità delle discussioni.
In quel contesto, uno dei momenti decisivi fu il mio esame finale. I miei esaminatori, tra cui il prof. Sciama, avevano già avuto modo di ascoltare la mia presentazione al convegno e, dopo aver discusso le domande sollevate, decisero che non fosse necessario un ulteriore approfondimento. Fu una valutazione rapida ma soddisfacente, che mi permettò di completare la mia formazione accademica senza ulteriori ostacoli.
Dopo Cornell, il mio viaggio mi portò all’Università del Texas ad Austin e poi a Caltech, in California. Ogni luogo aggiungeva qualcosa di unico al mio bagaglio di esperienze: Austin, con il suo aspetto più tranquillo e semplice, e Los Angeles, che mi lasciò un’impressione duratura per la sua architettura futuristica e l'immensa rete di autostrade. Los Angeles, come New York, rappresentava un’altra dimensione della modernità, un futuro già presente, dove la tecnologia e la vita quotidiana si intrecciavano in modo indissolubile.
In questi viaggi, non solo il contesto accademico mi arricchiva, ma anche le esperienze personali, come quella di cenare a Hollywood la sera, quando la città era animata e vibrante. Queste esperienze, che all'apparenza potevano sembrare marginali rispetto al lavoro scientifico, furono invece fondamentali per capire la profondità della vita nelle metropoli moderne e per sviluppare una visione più ampia e globale del mondo.
Infine, il mio ritorno a Cambridge segnò un altro passaggio significativo. L'incontro con i miei genitori, che non vedevo da anni, fu un momento di forte emozione. Cambridge, per mio padre, rappresentava una sorta di ritorno alle radici: era stato qui trent'anni prima, ma non era mai riuscito a completare il suo percorso accademico. Il ritorno a Cambridge per lui, dunque, aveva un significato simbolico e carico di emozioni. Fu il giusto momento per riflettere sul mio percorso e su quanto fossi cambiato in quegli anni di studi e viaggi.
Questi viaggi non furono solo l'opportunità di partecipare a incontri scientifici, ma anche un'occasione per esplorare nuove città, nuove culture e per crescere come persona. Ogni metropoli che visitai mi insegnò qualcosa di fondamentale, non solo sul mondo accademico, ma sulla vita stessa: l’importanza della rete di relazioni umane, l’impatto di una cultura globale che unisce persone di diverse provenienze, e il modo in cui le metropoli possono essere luoghi di intenso fermento intellettuale e creativo, ma anche di solitudine e riflessione.
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