La personalità narcisista estrema, come quella di Donald Trump, si fonda su un bisogno insaziabile di esaltare la propria grandezza agli occhi degli altri. Secondo Dan P. McAdams, professore presso la Northwestern University, l’obiettivo fondamentale di un narcisista è promuovere se stesso come una figura di grandiosità, per la quale tutti devono rendersi conto della sua magnificenza. Tuttavia, quando il narcisista non riesce a ottenere l'agognata adorazione o gloria, cosa accade? In particolare, come reagisce una figura pubblica, come Trump, quando il suo comportamento non solo non lo eleva, ma lo espone al ridicolo e alla vergogna?
Trump, come emerge dai suoi scritti, mostra una sensibilità estrema alla vergogna e all'umiliazione. In effetti, un narcisista come lui, pur essendo abituato a manipolare la realtà per mantenere la propria immagine, si trova costretto ad affrontare una frustrazione imprevista quando viene messo in luce per le sue azioni che minacciano la sicurezza del paese, come nel caso in cui ha offerto informazioni sensibili ai funzionari russi. Qui si rivela l’elemento centrale di ogni narcisista: sotto l’apparente comportamento grandioso si cela una fragile autostima. La domanda che sorge spontanea, quindi, è se, in fondo, la persona che Trump teme di più non sia il nemico politico, ma sé stesso. Il rischio di essere esposto come un "perdente" può spingerlo a provare, con qualsiasi mezzo, a dimostrare di essere ancora un "vincente".
In effetti, nei primi mesi del suo mandato presidenziale, Trump ha flirtato con l'idea di scatenare guerre in tre teatri di conflitto: Siria, Afghanistan e Corea del Nord, come risposta a questa sensazione di impotenza e umiliazione. In questo contesto, il ruolo del Congresso e della pubblica opinione diventa cruciale per arginare una spirale che rischia di sfociare in azioni catastrofiche.
Accanto al narcisismo, esiste un’altra condizione che, pur essendo altrettanto pericolosa, è spesso meno compresa: la sociopatia. Questa si manifesta in un individuo che, pur possedendo una certa intelligenza sociale, manca completamente della capacità di empatia. I sociopatici non solo manipolano gli altri per trarne vantaggio, ma lo fanno senza alcun rimorso o senso di colpa. La sociopatia, come ha scritto il dottor Lance Dodes, si distingue proprio per l'incapacità di percepire il dolore altrui. La capacità di danneggiare gli altri senza battere ciglio è la caratteristica fondante di un sociopatico, ma questo comportamento è spesso mascherato da una facciata di charme, che consente loro di ascendere ai vertici del potere.
In molti casi, i sociopatici di successo riescono a celare la loro disabilità emozionale dietro una maschera di potere, autorità e persuasività. Nonostante la loro mancanza di empatia, riescono ad attrarre e manipolare le persone con grande abilità, apparendo persino "normali" agli occhi della società. La vera difficoltà risiede nel fatto che, mentre queste persone sono capaci di compiere atti crudeli senza remore, la loro abilità nel nascondere la propria malattia mentale le rende difficili da identificare. Questo spiega perché alcune figure politiche, come Trump, siano stati percepiti da una parte della società come "geniali" o "astuti" anche in presenza di un comportamento palesemente sociopatico.
Per comprendere appieno una figura come Trump, è fondamentale esaminare non solo il suo narcisismo ma anche la dimensione sociopatica del suo comportamento. La sociopatia, seppur meno visibile e appariscente, è una distorsione mentale grave, che si esprime attraverso un disinteresse totale per il benessere altrui e una continua manipolazione per ottenere potere, denaro o vantaggi personali. Un sociopatico può facilmente manipolare e dominare una situazione grazie alla sua capacità di sembrare affascinante e carismatico, ma dietro quella facciata si nasconde una personalità emotivamente disturbata.
Nella diagnosi di disturbi psicologici, l’etichetta di sociopatia non è sempre chiaramente definita e può variare in base agli approcci diagnostici. Tuttavia, esistono caratteristiche fisse che identificano un sociopatico: un pattern pervasivo di disprezzo per i diritti altrui, la propensione alla menzogna e al raggiro, l’impulsività, l'aggressività e la totale indifferenza al danno che si causa agli altri. La chiave per riconoscere un sociopatico è quindi osservare questi comportamenti, indipendentemente dal fatto che una diagnosi formale venga o meno attribuita.
In sintesi, la figura di Trump, così come quella di altri leader e figure pubbliche, dimostra quanto sia cruciale comprendere la psicologia che si cela dietro l’apparenza. Il narcisismo e la sociopatia sono disturbi che, pur essendo spesso invisibili, possono avere un impatto devastante non solo a livello individuale ma anche su una scala globale. La società, la politica e la psicologia devono sviluppare una maggiore consapevolezza di questi fenomeni per poterli riconoscere e affrontare in modo efficace.
Perché Trump Ammira i Dittatori Brutali?
Le affermazioni di Donald Trump durante la sua carriera politica hanno suscitato numerose riflessioni sul suo approccio alla verità e sulla sua visione del potere. Un aspetto che emerge con forza è la sua propensione a sostenere menzogne palesi e dichiarazioni infondate, accompagnate da un atteggiamento di distacco dalla realtà. Questi comportamenti non si limitano a mere esagerazioni o tentativi di manipolare l'opinione pubblica, ma sembrano essere legati a un disturbo psicologico che si traduce in un'incredibile convinzione di sé, come se il mondo dovesse adattarsi alla sua visione personale della realtà.
Un esempio emblematico di tale atteggiamento è l'insistenza di Trump nel sostenere che il pubblico alla sua inaugurazione fosse il più numeroso di sempre, nonostante le evidenze fotografiche mostrassero chiaramente che il suo pubblico era significativamente inferiore rispetto a quello di Barack Obama nel 2009. In questo caso, la sua reazione alla verità, che egli definiva "Fake News", non era solo una difesa della sua immagine, ma una manifestazione di una distorsione totale del concetto di realtà. Le sue dichiarazioni sono state frequentemente seguite da altre affermazioni altrettanto false e autolegittimanti, come la sua affermazione di conoscere più di tutti i generali, di avere il miglior temperamento mai visto in un presidente o di essere stato il miglior giocatore di baseball della sua scuola superiore.
In un contesto simile, la questione che emerge è se Trump creda veramente nelle sue affermazioni, o se esse siano il prodotto di una psicologia patologica legata a un delirio di grandiosità. Il termine "solipsismo", pur essendo originariamente filosofico, può essere utile per comprendere il suo comportamento: un solipsista crede che solo la propria esistenza sia reale, mentre tutto il resto è un riflesso della propria mente. Questa concezione del mondo sembra descrivere perfettamente la visione che Trump ha di sé e delle sue interazioni con la realtà. È come se per lui la verità fosse un concetto relativo, plasmato dalla propria volontà, piuttosto che un dato oggettivo.
Oltre a questo, un altro aspetto che stupisce è la sua ammirazione per dittatori brutali, figure che, a detta di Trump, rappresentano modelli di leadership forti e determinati. Trump ha espresso ripetutamente rispetto per leader autoritari come Kim Jong-un, Bashar al-Assad, Saddam Hussein e Vladimir Putin, suscitando interrogativi su cosa spinga un uomo politico a idolatrare questi regimi oppressivi. Il suo apprezzamento per Kim Jong-un, ad esempio, si basa sull'idea che il leader nordcoreano sia riuscito a consolidare il potere in modo "incredibile", eliminando sistematicamente chiunque potesse ostacolarlo, inclusi membri della sua famiglia e generali. La brutalità delle sue azioni, come l'esecuzione di suo zio con un plotone di esecuzione, non sembra essere un deterrente per Trump, che vede in queste azioni la prova di una leadership forte, anche se tale forza si basa sulla violenza e sulla repressione totale.
Lo stesso discorso vale per Bashar al-Assad, che Trump ha definito un leader di successo, nonostante la sanguinosa repressione del suo popolo e l'uso di armi chimiche contro i civili. Hussein, da parte sua, è stato elogiato da Trump per la sua capacità di combattere il terrorismo, un'aggiunta sconcertante considerando il suo ampio uso di armi chimiche contro i curdi e la sua spietata dittatura. Putin, infine, è stato descritto come un "grande leader", un uomo che esercita un controllo totale sul suo paese, e che ha una popolarità che, a quanto pare, Trump considera come un indicatore di successo. La realtà, tuttavia, è ben diversa: la popolarità di Putin è largamente costruita su manipolazioni dei media e repressione, con un numero incalcolabile di giornalisti e attivisti uccisi o perseguitati per aver espresso opinioni contrarie al regime.
Ciò che lega queste figure è la loro capacità di governare in modo autoritario, senza opposizione, e con il potere assoluto di determinare la vita e la morte dei loro cittadini. In un certo senso, Trump sembra ammirare questi regimi perché rappresentano il potere puro e incontrollato, un potere che egli stesso probabilmente considera la chiave per realizzare la propria visione di grandezza e successo.
Se consideriamo tutto questo attraverso la lente della psicologia, l'amore di Trump per i dittatori può essere interpretato come un desiderio inconscio di identificarsi con queste figure di potere assoluto. La sua visione del mondo sembra essere quella di un uomo che, non avendo mai dovuto affrontare veri ostacoli o critiche significative, vorrebbe poter estendere questa stessa condizione a livello globale, dove le sue parole e le sue azioni non dovrebbero mai essere messe in discussione. Questo tipo di pensiero è compatibile con una psicologia narcisistica e grandiosa, che vede l'autoritarismo come un mezzo per ottenere un controllo totale, senza interferenze.
In questo contesto, è importante sottolineare che l'ammirazione di Trump per questi leader non è solo una questione di politica internazionale, ma una manifestazione di un più profondo desiderio di potere. Trump sembra essere più interessato alla forza brutale che alla diplomazia o al rispetto dei diritti umani. Il suo attaccamento alla figura del dittatore può essere visto come il riflesso di un'inquietante concezione del potere, dove la verità e la giustizia sono subordinate alla volontà di chi detiene il controllo.
La Cognizione del Presidente: Un'Analisi delle Competenze Mentali e dei Rischi di Declino Cognitivo
Il ruolo del Presidente degli Stati Uniti, e in generale di qualsiasi figura di massima responsabilità politica, impone una chiarezza cognitiva quasi inumana in ogni momento. Questo non è un aspetto che può essere trascurato, indipendentemente dalle circostanze personali o dalle difficoltà che la persona che ricopre tale incarico potrebbe affrontare. Sebbene la posizione di POTUS (President of the United States) richieda, come naturale, una mente lucida e capace di prendere decisioni sotto pressione, non sorprende che sia stata proposta, in diverse occasioni, l'idea di una "presidenza duale", ossia una divisione dei compiti che allevi la pressione su un singolo individuo. Tuttavia, la realizzazione pratica di tale proposta è stata storicamente difficile da perseguire.
In generale, la popolazione tende a considerare qualità come l'esuberanza, l'energia e l'esperienza come indispensabili in un Presidente, con la consapevolezza che tali tratti variano di importanza a seconda del contesto politico e sociale di ciascun periodo storico. Spesso, il desiderio di un leader esperto, che incarna una figura quasi "paterna" o "nonno", ha portato a scegliere candidati che si trovano in età avanzata, come nel caso di Donald Trump, che è stato il Presidente più anziano a essere eletto. L'età, pur portando con sé esperienza, solleva inevitabilmente preoccupazioni riguardo al declino cognitivo. Sebbene alcune funzioni neurologiche raggiungano il loro picco di efficienza in età giovanile (ad esempio, il tempo di reazione fisica), la funzione cognitiva in generale rimane sorprendentemente intatta fino a età molto avanzate, con un lieve deterioramento a partire dai settant'anni e un declino misurabile solo dopo gli ottant'anni in individui sani. Ciò che merita attenzione, quindi, non è tanto il declino cognitivo legato all'età, ma quello causato da malattie neurologiche o da fattori fisiologici non legati all'età, come l'uso di farmaci prescritti o precedenti traumi cranici.
Per quanto riguarda il Presidente, le preoccupazioni legate alle sue capacità cognitive si dividono in cinque categorie principali: (1) le abilità cognitive e intellettuali innate, (2) il deterioramento causato da malattie neurologiche in corso (come l'Alzheimer o altre forme di demenza), (3) i danni cognitivi derivanti da malattie acute, (4) gli effetti tossici dei farmaci prescritti o dell'uso di sostanze illecite, e (5) gli effetti cumulativi di traumi cranici o l'uso di agenti tossici, legali o illegali.
Le Competenze Cognitive di Base
Il sistema politico attuale non prevede alcun tipo di standard intellettuali o cognitivi per diventare Presidente. Questo rappresenta una vulnerabilità evidente. Ancor più evidente è la difficoltà nel determinare quale dovrebbe essere la linea di demarcazione per valutare la salute mentale e le competenze cognitive di un candidato. In assenza di standard formali, si fa affidamento sulla volontà del candidato di divulgare la propria storia medica (come nel caso di Trump, che non lo fece con prove cliniche valide), e sulla capacità dell'elettorato di decidere se le capacità intellettuali del candidato siano adeguate. Questo sistema è intrinsecamente difettoso, poiché l'elettorato ha accesso solo a presentazioni preconfezionate, come dibattiti e discorsi pubblici, che non forniscono un quadro completo e oggettivo delle competenze cognitive.
Nonostante l'analisi professionale delle capacità intellettuali possa essere utile, la scarsità di dati concreti rende difficile stabilire una valutazione adeguata. A ciò si aggiunge la difficoltà di separare le opinioni oggettive da quelle influenzate da considerazioni politiche o propaganda.
Il Deterioramento Cognitivo da Malattie Neurologiche
Il termine "Alzheimer" viene spesso utilizzato in modo impreciso per riferirsi a qualsiasi tipo di malattia neurodegenerativa, ma la realtà è che i disturbi cognitivi possono derivare da numerose malattie degenerative. Sebbene la progressione del declino cognitivo sia generalmente lenta, il problema sta nel fatto che i segnali iniziali di tale deterioramento sono spesso minimizzati o attribuiti al normale invecchiamento. Questo è particolarmente vero in politici anziani, dove le prime manifestazioni di un processo degenerativo possono essere scambiate per effetti dell'età. Per un osservatore esperto, è possibile notare cambiamenti nel comportamento di un individuo, che potrebbero suggerire un inizio di deterioramento cognitivo, ma senza una diagnosi formale e senza l'accesso alla storia medica, è difficile stabilire un giudizio definitivo.
Le preoccupazioni riguardo alla candidabilità di figure come Donald Trump sono state espresse da numerosi esperti, alcuni dei quali hanno parlato di un "dovere di avvertire" il pubblico. Tuttavia, queste preoccupazioni sono spesso state travolte dalla confusione, alimentata da opinioni contrastanti e dalla difficoltà di ottenere dati concreti. Nonostante ciò, è evidente che ci sono differenze significative nel funzionamento cognitivo di un individuo a distanza di anni, e un'analisi più approfondita potrebbe essere necessaria per comprendere appieno la situazione.
L'Impatto dei Farmaci e degli Abusi
Un altro fattore che influisce sulle capacità cognitive è l'uso di farmaci prescritti, che spesso comportano effetti collaterali difficili da riconoscere come legati alla salute mentale. Le persone anziane, in particolare, sono più propense a usare numerosi farmaci, alcuni dei quali possono alterare sottilmente la cognizione. Nonostante ciò, l'uso di farmaci non è un problema intrinsecamente legato all'età, ma piuttosto all'interazione tra farmaci e altri fattori fisiologici. La gestione dei farmaci in politica, in particolare per figure di alto profilo, è un aspetto che dovrebbe essere trattato con maggiore attenzione per evitare che la salute mentale venga compromessa senza un'adeguata valutazione.
In sintesi, le sfide cognitive di un Presidente non derivano solo dall'età, ma anche da fattori medici, traumi e l'uso di sostanze che potrebbero non essere immediatamente evidenti al pubblico. La necessità di valutazioni sanitarie più trasparenti e precise diventa quindi cruciale, non solo per il benessere del Presidente, ma anche per la sicurezza e la stabilità del paese. Il dibattito su come affrontare queste problematiche non è solo politico, ma essenzialmente medico e sociale.
Il Trauma Psicologico Post-Elettorale e l'Impatto sui Professionisti della Salute Mentale: Una Riflessione Sulla Psicoterapia in Periodi di Crisi
Nel periodo successivo alle elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti, una significativa percentuale di cittadini, indipendentemente dalla loro affiliazione politica, ha riportato un aumento di stress e ansia riguardo al futuro del paese. Secondo un'indagine condotta dall'American Psychological Association nel febbraio del 2017, due terzi degli americani si dichiarano preoccupati per la direzione del paese, con un numero rilevante di democratici e repubblicani che segnalano livelli di stress simili. La crisi psicologica provocata dall'esito delle elezioni ha avuto un impatto profondo non solo sui cittadini comuni, ma anche sui professionisti della salute mentale, molti dei quali si sono trovati a dover gestire le proprie emozioni in un periodo di incertezze sociali e politiche, mentre cercavano di assistere i loro pazienti.
Il mio lavoro come psicologa clinica in una comunità suburbana progressista a Evanston, Illinois, ha mostrato chiaramente l'intensificarsi di disturbi legati all'ansia e alla depressione tra i miei pazienti. Il contesto in cui lavoro, caratterizzato da una popolazione altamente istruita e liberal, ha reso particolarmente evidente come l'elezione di Donald Trump abbia scosso emotivamente molti individui, in particolare quelli più sensibili alle problematiche politiche e sociali. I miei pazienti, per lo più studenti universitari e professionisti, si sono trovati a confrontarsi con emozioni di shock, rabbia, frustrazione e paura per il futuro. In un'area così politicamente attiva, era raro che qualcuno non esprimesse il proprio disagio riguardo all'esito elettorale.
La mia esperienza terapeutica ha rivelato che il sostegno psicologico fornito ai pazienti in questi periodi di ansia politica non era limitato solamente alla gestione dei sintomi individuali, ma spesso includeva la validazione di emozioni universali, come lo sgomento e la paura. Le strategie terapeutiche si sono incentrate sull'aiutare i pazienti a comprendere che le loro reazioni erano legittime, trattando il loro stress come una risposta naturale a un contesto sociale e politico che molti percepivano come destabilizzante. Inoltre, è stato fondamentale incoraggiare i pazienti a concentrarsi su ciò che potevano controllare, come l'attivismo, il sostegno alla propria comunità e la partecipazione a eventi che potessero dare un senso di empowerment, mitigando così il senso di impotenza e di frustrazione.
Un aspetto cruciale del lavoro terapeutico in un periodo post-elettorale è stato quello di riconoscere l'impatto psicologico delle relazioni familiari e personali, in particolare nei casi di pazienti con familiari affetti da disturbi di personalità, come il disturbo narcisistico. In particolare, per alcuni pazienti che vivevano in contesti familiari caratterizzati da dinamiche disfunzionali, l'elezione di Trump aveva amplificato il senso di abuso emotivo e gaslighting, facendo emergere ancora più prepotentemente le difficoltà nell'affrontare figure autoritarie e manipolatorie, sia in famiglia che nella sfera politica. Lavorare con pazienti come "Claire", una madre che affrontava una relazione con un marito narcisista, ha reso necessario un approccio integrato che includesse la gestione dell'ansia e la costruzione di confini emotivi sani.
Altri pazienti, come "Ida", una giovane studentessa universitaria, hanno espresso un senso di alienazione profonda, riferendo che la loro percezione della realtà sembrava essere manipolata dalle azioni e dalle parole di Trump, similmente a quanto accade in una relazione abusiva. Ida ha lottato con l'ansia post-elettorale, sentendo di essere intrappolata in una sorta di "relazione emotivamente abusiva" con il presidente, e per lei le manifestazioni pubbliche e la partecipazione a proteste politiche sono diventate un modo per dare sfogo alla propria frustrazione e sentirsi meno impotente. Tuttavia, la gestione dei social media è risultata una delle difficoltà maggiori, dato che la continua esposizione alle notizie politiche la faceva sentire sopraffatta.
Questi casi, pur trattandosi di situazioni diverse, evidenziano l'importanza di adottare un approccio terapeutico che sia sensibile al contesto sociopolitico e che aiuti i pazienti a distinguere tra ciò che è sotto il loro controllo e ciò che non lo è. Aiutare i pazienti a ridurre l'esposizione ai media, promuovere il self-care e incentivare attività che stimolano un senso di comunità e di speranza sono diventati strumenti fondamentali per affrontare il trauma emotivo e psicologico che ha segnato la società americana dopo le elezioni.
I professionisti della salute mentale hanno dovuto confrontarsi con la loro stessa vulnerabilità, mentre cercavano di sostenere i pazienti. Molti terapeutici, pur cercando di offrire speranza, si sono trovati ad affrontare i propri sentimenti di impotenza, paura e disorientamento di fronte alla figura di un leader che incarna tratti di personalità che molti professionisti considerano problematici. L’impatto di questa realtà sul benessere psicologico dei terapeuti è stato profondo, e la sfida era duplice: assistere i pazienti mentre si combatteva una battaglia interna simile.
È importante comprendere che il contesto politico e sociale in cui viviamo può avere un impatto profondo sul nostro benessere psicologico, sia a livello individuale che collettivo. L’ansia e il trauma post-elettorale non sono fenomeni isolati, ma riflettono una realtà più ampia di incertezze e paure collettive che si riverberano in ogni aspetto della nostra vita. La psicoterapia, quindi, non solo come strumento di cura individuale, ma anche come riflesso della società in cui viviamo, gioca un ruolo fondamentale nell'aiutare a dare un senso e una direzione in periodi di crisi e cambiamento.

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