La generalità, in un contesto esplicativo, si riferisce alla gamma di variabili che possono essere prese in considerazione nell'ambito dell'esplains. In altre parole, corrisponde alla possibilità di chiedersi "cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente", rispetto ad un fenomeno da spiegare. Tuttavia, come sottolineano Knowles e Saatsi (2019, p. 1127), non è possibile valutare questi controfattuali estremi senza fare delle assunzioni modali che vanno oltre il contesto naturalistico. Per esempio, se la Terra fosse stata più grande o più piccola, ciò avrebbe influenzato la durata dei cicli biologici. Ma, anche in questo caso, tali cicli sarebbero comunque finiti. Quando si parla di cicli di vita più lunghi, come quelli superiori all'età dell'universo, è necessaria una teoria che possa integrarli in un modo che tenga conto di queste estreme ipotesi. In effetti, è difficile comprendere come questi controfattuali possano davvero contribuire alla spiegazione del fenomeno, dato il contesto in cui la domanda era stata posta.
Nonostante una maggiore generalità di campo possa migliorare una spiegazione fino a un certo punto, questa non è qualcosa che un'alternativa nominalistica non potrebbe raggiungere in principio, data la cornice naturalistica. La generalità del campo riguarda la possibilità di fare domande "cosa sarebbe successo se..." rispetto ad una variabile o un gruppo di fenomeni, ma non è sempre chiaro come la generalità del tema possa migliorare una spiegazione. Se, per esempio, due fenomeni distinti che erano stati spiegati separatamente possono ora essere unificati sotto una spiegazione comune, la domanda è come questa unificazione possa effettivamente migliorare l'esplains. Potrebbe sembrare che la spiegazione sia migliore proprio perché unisce due argomenti precedentemente separati. Ma, come notano Knowles e Saatsi (2019, p. 1129), se così fosse, sarebbe grazie al fatto che la generalità del tema ha comportato un aumento della generalità del campo, ossia un ampliamento dell'insieme delle variabili esplicative per ciascuno dei fenomeni individualmente.
Nel caso in cui la generalità del tema non contribuisca effettivamente ad aumentare la portata delle domande contraffattuali, potrebbero anche emergere delle obiezioni. Un aumento della generalità del tema potrebbe addirittura ridurre il numero di domande contraffattuali, se i dettagli specifici del tema vengono persi nella spiegazione più generale. Infatti, le spiegazioni molto specifiche sono ben adattate ai fenomeni di dominio particolare sotto indagine. Di conseguenza, anche se le spiegazioni possono manifestare una generalità del tema o del campo, questo di per sé non giustifica l'affermazione che esse comportino una quantità di informazioni ontologicamente vincolanti maggiore rispetto ad alternative nominalistiche (Knowles e Saatsi, 2019, p. 1128).
La generalità del campo può effettivamente rafforzare una spiegazione, ma la sua efficacia è limitata dal contesto naturalistico dell'EIA (Explanatory Inference Argument). La quantità di informazioni modali rilevanti dipende in parte dal contesto teorico, quindi, un'esplicazione che coinvolge informazioni modali illimitate supera ciò che potrebbe essere ragionevolmente richiesto all'interno di un quadro naturalista. Ciò pone un problema rispetto alla posizione nominalistica, che tende a minimizzare l'uso di entità matematiche non osservabili.
Un argomento a favore della superiorità delle spiegazioni matematiche rispetto alle loro controparti nominalistiche potrebbe basarsi sull'idea che le spiegazioni matematiche estraggano fatti generali della realtà, come ad esempio dipendenze causali generali che portano ad una comprensione più profonda del fenomeno in questione. Ogni fatto individuale sarebbe "incorporato" in questo fatto più generale, il che giustificherebbe la sua esistenza in base a una spiegazione matematica di ordine superiore. Ma questo non significa che una spiegazione nominalistica non possa spiegare come questi fatti individuali siano collegati tra loro. La dipendenza contraffattuale, infatti, mette in evidenza le relazioni tra i fatti individuali.
La questione centrale, però, non è che una spiegazione matematica sia per forza migliore di una nominalistica solo perché più generale. Piuttosto, essa potrebbe emergere come più potente in quanto è in grado di connettere fenomeni disparati sotto una spiegazione comune, e ciò comporta un'espansione della gamma di variabili esplicative. Tuttavia, non si può assumere automaticamente che una maggiore generalità di campo o di tema aumenti l’efficacia di una spiegazione, senza una valutazione accurata delle implicazioni ontologiche e del contesto epistemologico in cui la spiegazione è formulata. Questo solleva una domanda critica: quanto è effettivamente rilevante l'uso delle entità matematiche nella costruzione di teorie che cercano di spiegare fenomeni naturali, e fino a che punto le assunzioni modali influenzano la validità della spiegazione?
La Principale Questione dell'HP: Analiticità o Causalità nel Ragionamento Matematico?
La discussione sull'HP (Principio di Abstrazione) come principio analitico è una delle questioni centrali nel dibattito neo-fregiano. Sebbene molti sostengano che l’HP sia almeno una forma di equivalenza materiale, altri, come i neo-fregiani, sostengono che esso non si riduce a una semplice equivalenza materiale. Prendiamo come esempio la distinzione tra "creatura con un cuore" e "creatura con reni". Tale equivalenza materiale non comporta alcun trasferimento di contenuto tra i due concetti, poiché non si tratta di una verità necessaria, ma solo di un fatto accidentale. Le creature con cuore, infatti, accadono frequentemente anche ad avere reni, ma questa connessione non è logica o essenziale.
Diversamente, l'HP, almeno come lo vedono i neo-fregiani, agisce come un assioma per l'oggetto F, risultando in un’equivalenza dimostrabile. Questo lo rende un principio che non si limita a essere un’affermazione di equivalenza materiale, ma che opera come una definizione implicita o contestuale. Proprio in questa funzione di "riconfigurazione" del tipo di stato di cose, HP è spesso considerato un principio analitico. Secondo Wright, l'idea fondamentale dietro HP nel contesto neo-fregiano è che l’istanza sul lato sinistro di un principio di astrazione debba rappresentare una riconfigurazione dello stato di cose sul lato destro, implicando che l’HP sia un principio analitico. In altre parole, se l’HP viene considerato sotto questa luce, allora la formulazione matematica che lo accompagna diventa analiticamente equivalente ad altre proposizioni matematiche.
Ciò comporta che l’esplanandum, ovvero la proposizione che deve essere spiegata, è anche analiticamente equivalente a una frase che va interpretata come contenente significato matematico. Di conseguenza, l’esplanandum deve essere interpretato come una proposizione con contenuto matematico. Ma questo solleva immediatamente un problema di circolarità. Se l’HP è davvero un principio analitico, il tentativo di parafrasare l’esistenza dei numeri attraverso l’argomentazione (D) potrebbe risultare circolare, come già accaduto con la formulazione iniziale della data (D).
Il problema di circolarità viene sollevato da più parti. Boolos (1998) sostiene che l'HP non dovrebbe essere considerato un principio analitico, poiché se fosse vero, implicherebbe l'esistenza di infiniti oggetti astratti. I principi analitici, infatti, dovrebbero essere ontologicamente neutri, cioè non dovrebbero fare affermazioni sostanziali sull’esistenza di entità, specialmente se astratte. In risposta a questa critica, alcuni hanno argomentato che le questioni di significato e quelle di esistenza dovrebbero essere trattate separatamente. In altre parole, l’esistenza dei numeri non deriverebbe direttamente da HP, ma sarebbe già presupposta, essendo ritenuta vera dai neo-fregiani.
Tuttavia, questa separazione non risolverebbe il problema per chi difende l’EIA (Explanatory Inference Argument), poiché l’argomentazione in questo caso risulterebbe neutra rispetto all’esistenza dei numeri. È per questo che Field (1984) propone una versione condizionale dell'HP, in cui si afferma che "se i numeri esistono, allora ∀F∀G(#F = #G ↔ F ∼= G)". In questo modo, l’HP diventerebbe una connessione tra l'aritmetica e l'argomentazione, ma solo se si accetta già l’esistenza dei numeri. Questo complica ulteriormente il quadro, perché l’argomento stesso dell’EIA dovrebbe giustificare l’esistenza dei numeri, ma la forma condizionale dell’HP presuppone che questa esistenza sia già accettata.
Un altro punto critico sollevato da Wright (1999) è che l'intelligibilità di una versione condizionale dell'HP presuppone l'esistenza dei numeri. L'antecedente "i numeri esistono" implica espressioni come #X, ma non esiste più una condizione sufficiente per determinare la verità di frasi contenenti tali espressioni. Per Wright, l'HP condizionale deve quindi essere "relativizzato a un dominio di quantificazione già dato", il che implica che l’esistenza dei numeri è un fatto separato, non risolvibile attraverso l’equinumero delle nozioni.
La domanda sull’analiticità di HP rimane quindi aperta, con le conseguenti implicazioni per l’EIA. Recentemente, Boccuni e Woods (2018) hanno difeso l'idea che l'HP sia una verità concettuale, mentre Darnell e Thomas-Bolduc (2018) hanno sostenuto che non lo sia. L’esito di questo dibattito è cruciale per la valutazione dell’EIA. Quello che è certo, tuttavia, è che affinché l’EIA funzioni, l’HP deve essere considerato un principio non analitico.
Baker (2021) ha suggerito di includere l’HP nel procedimento di bootstrap, trattandolo inizialmente in modo tentativo. In questo modo, come nel caso della primalità del numero degli anni del ciclo vitale, se HP risulta necessario per colmare il divario contestuale tra le frasi parafrasate in (Dfol) e i dati (D), l’argomento non risulterebbe circolare. Tuttavia, come sottolineato in precedenza, se l'HP è un principio analitico, la stessa argomentazione sarebbe inevitabilmente circolare.
È fondamentale che l’HP, seppur in un contesto matematico, non sia trattato come un principio analitico nel ragionamento ontologico. Se fosse trattato come tale, il rischio di circolarità nella spiegazione matematica sarebbe inevitabile. Un approccio che mantiene HP come principio non analitico e che gestisce separatamente le questioni di significato e di esistenza risulta quindi essere il più promettente per evitare problematiche circolari nel ragionamento filosofico e matematico.
Qual è il ruolo della matematica nelle spiegazioni scientifiche e la sua relazione con la realtà concreta?
La questione fondamentale quando si affronta il tema delle spiegazioni scientifiche riguarda il legame tra la matematica e i fenomeni concreti. In effetti, ogni discussione sull'esplorazione matematica sembra richiedere un approfondimento sul rapporto tra matematica e realtà, ovvero, su come l'astratto si collega al concreto. Questo problema si riflette nell'interrogativo su quale possa essere il ruolo della matematica nelle spiegazioni scientifiche, e come tale ruolo possa influenzare lo status ontologico della matematica stessa utilizzata in tali spiegazioni, supponendo, tra le altre cose, che contribuisca effettivamente all'esplicazione del fenomeno. È proprio questo il cuore di un argomento che approfondisce la connessione tra spiegazione matematica e ontologia, un legame che pervade non solo il pensiero scientifico, ma anche la natura stessa delle teorie scientifiche.
Iniziamo con il concetto di spiegazione scientifica. In generale, le spiegazioni si configurano come raccolte di enunciati intese a mostrare il perché di un determinato fenomeno. Una spiegazione scientifica, ad esempio, cerca di rispondere alla domanda "perché?" in relazione a un fenomeno osservato. Hempel e Oppenheim (1948), nel loro celebre articolo "Studies in the Logic of Explanation", forniscono l'esempio del funzionamento di un termometro a mercurio. La domanda centrale è: "Perché il mercurio scende temporaneamente e poi sale rapidamente quando il termometro viene immerso nell'acqua calda?". La risposta fornita dagli autori è la seguente: l'aumento della temperatura influenza inizialmente solo il tubo di vetro del termometro, che si espande, creando così uno spazio maggiore per il mercurio al suo interno, con conseguente abbassamento della superficie del mercurio. Una volta che il calore raggiunge il mercurio, quest'ultimo si espande, e poiché il suo coefficiente di espansione è considerevolmente maggiore rispetto a quello del vetro, il livello del mercurio sale.
Questo esempio, seppur semplificato, ci porta ad affrontare una questione più profonda: la natura stessa delle spiegazioni scientifiche. Storicamente, le domande sul "perché" erano strettamente legate a concetti metafisici di comprensione. Fisici come Ernst Mach e Pierre Duhem sostenevano che la scienza non fosse in grado di rispondere a queste domande in senso filosofico, ma si limitasse a rappresentare e classificare leggi empiriche (Curd & Cover, 1998). Tuttavia, con l'introduzione della teoria deduttivo-nomologica (DN) di Hempel e Oppenheim, la scienza ha iniziato a considerare le domande sul "perché" come richieste di una spiegazione che dovesse essere collocata in un quadro di leggi empiriche generali (Carnap, 1966). Secondo questa teoria, le spiegazioni sono argomentazioni deduttivamente valide in cui il fenomeno da spiegare (l'explanandum) deve seguire logicamente dalla premessa (l'explanans), e in cui almeno una delle premesse è una legge generale. Questo approccio è anche noto come la "tesi della legge di copertura", poiché implica che ogni spiegazione debba comprendere almeno una legge generale.
In altre parole, la teoria deduttivo-nomologica richiede che le spiegazioni siano costruite in modo tale che il fenomeno da spiegare sia una conclusione che segue logicamente dalle leggi generali, evitando generalizzazioni accidentali, cioè generalizzazioni che sono vere, ma non necessariamente così in un altro contesto. Ad esempio, l'affermazione "tutte le sfere solide di oro (Au) hanno un diametro inferiore a un miglio" è vera sulla Terra, ma non esistono motivi scientifici per escludere la possibilità che in altre condizioni, come su un altro pianeta, esistano sfere d'oro più grandi.
A tal proposito, l'uso di controfattuali è fondamentale per comprendere la natura di queste leggi scientifiche. Se, ad esempio, una certa regola è stata formulata come una limitazione fisica (come nel caso dell'uranio), il controfattuale aiuta a escludere possibilità che non sono scientificamente rilevanti, basandosi su ciò che potrebbe o non potrebbe accadere in determinate circostanze. Questi scenari controfattuali vengono utilizzati per stabilire l'impossibilità o la possibilità di fenomeni in contesti diversi, ed è interessante notare come essi siano strettamente legati alla validità delle spiegazioni scientifiche.
Infine, il legame tra matematica e scienza si manifesta chiaramente quando la matematica viene utilizzata per esprimere leggi scientifiche generali. La matematica non solo descrive fenomeni fisici ma è anche un mezzo attraverso il quale le leggi universali vengono formalizzate e comprese. La matematica diventa, quindi, non solo un linguaggio, ma anche un elemento costitutivo delle spiegazioni scientifiche, capace di tradurre fenomeni empirici in modelli formali che rispondono a questioni sul "perché" di un determinato evento. Tale ruolo della matematica solleva interrogativi fondamentali sull'ontologia della matematica stessa, interrogativi che meritano di essere esplorati in dettaglio. Questo approccio implica che la matematica, pur essendo astratta, abbia un ruolo centrale nell'esplicazione e nella comprensione della realtà concreta, così come nel fornire un quadro teorico che consenta di predire e spiegare fenomeni scientifici.
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