La necessità di produrre diamanti sintetici è emersa durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la richiesta di strumenti con punte di diamante per la fabbricazione di equipaggiamenti militari divenne urgente. Il timore che la fornitura di diamanti naturali provenienti dal Sud Africa potesse esaurirsi ha spinto alla ricerca di metodi per replicare le condizioni geotermiche che portano alla formazione di diamanti naturali. Nel 1955, la GEC riuscì finalmente a far crescere cristalli di diamante di dimensioni fino a 1 mm, sciogliendo grafite in metalli fusi come nichel, cobalto o tantalio, e sottoponendo il tutto a pressioni di 6 GPa e temperature di circa 2000°C. Il metallo fuso fungeva da catalizzatore, abbassando la temperatura e la pressione di lavoro. Affinando questo processo, nel 1970 si riuscì a produrre diamanti di qualità gemma.

Oltre alla sintesi ad alta pressione, i diamanti possono essere prodotti anche tramite metodi di deposizione chimica da vapore (CVD), detonazione di esplosivi contenenti carbonio e ultrasoni ad alta energia. La sintesi ad alta pressione, in particolare, è stata utilizzata nella produzione di superconduttori ad alta temperatura, come i cuprati, in quanto facilita la formazione di fogli bidimensionali di Cu–O, necessari per questo tipo di superconduttività. In questi processi, la pressione elevata aumenta la densità del SrCuO2 dell'8%, trasformando la coordinazione Cu–O da catene a fogli bidimensionali di CuO2.

La deposizione chimica da vapore (CVD) rappresenta un altro approccio fondamentale nella preparazione dei materiali semiconduttori. In questo processo, i reagenti sono in fase vapore e possono essere depositati su un substrato, come un sottile foglio di metallo o ceramica. I reagenti volatili vengono riscaldati per formare vapori che vengono successivamente miscelati a una temperatura adatta e trasportati al substrato, dove si depositano come film monocrystalline. La CVD viene utilizzata per preparare semiconduttori III–V come GaAs, tramite reazioni con cloruri e idruri. Un esempio tipico di questa reazione è la preparazione dell’arseniuro di gallio (GaAs), in cui il cloruro di arseno (AsCl3) viene usato per trasportare il vapore di gallio, che poi si deposita formando il composto desiderato.

Oltre ai semiconduttori, la CVD è anche utilizzata nella produzione di film di diamante. I diamanti, oltre a essere il materiale più duro conosciuto, hanno la migliore conduttività termica a temperatura ambiente, sono insulatori elettrici e offrono la massima trasparenza nella regione infrarossa dello spettro. I film di diamante sono prodotti con la CVD a pressioni inferiori (circa 27 kPa) e temperature intorno agli 800°C, utilizzando miscele di gas contenenti carbonio, come il metano (o acetilene) e idrogeno. Questi gas vengono scomposti tramite microonde, laser o filamenti caldi, e gli atomi di carbonio risultanti vengono depositati su un substrato orientato. Inizialmente, i tentativi di depositare strati monocristallini su diamanti seme hanno permesso di far crescere diamanti più grandi, strato dopo strato.

Le applicazioni di questi film di diamante sono molteplici. I film microcristallini di diamante sono utilizzati per rivestimenti ottici antigraffio e per rivestire coltelli e bisturi, affinché mantengano la loro affilatezza. Inoltre, questi strati hanno il potenziale per fungere da rivestimenti resistenti all’usura per parti in movimento o come strati elettricamente isolanti ma conduttori di calore.

Un’altra applicazione importante dei materiali preparati tramite CVD è la fabbricazione delle fibre ottiche, che oggi trasportano la maggior parte del traffico di comunicazione globale. Per trasmettere la luce su lunghe distanze senza perdita di intensità, le fibre ottiche devono essere prodotte con specifiche molto precise. I metodi convenzionali di preparazione dei vetri di silice non sono sufficienti, per cui viene utilizzata una forma modificata di CVD (MCVD). Questo processo impiega il tetracloruro di silicio (SiCl4), che può essere facilmente purificato, per esempio tramite distillazione frazionata. Vengono aggiunti anche additivi, come il tetracloruro di germanio, per aumentare l'indice di rifrazione al centro della fibra. La produzione inizia con la creazione di una ‘preforma’, un tubo di silice che formerà il rivestimento esterno (cladding) della fibra. Viene riscaldato fino a 1600°C da una fiamma che passa su e giù lungo il tubo mentre questo ruota. Il SiCl4 reagisce con l'ossigeno, formando SiO2, che si deposita lungo le pareti del tubo come fuliggine. Questa preforma viene poi riscaldata e tirata in una fibra sottilissima, con un processo che permette di ottenere fino a 2 km di fibra da una singola preforma.

L’importanza di questi metodi, dalla produzione di diamanti sintetici alle fibre ottiche, risiede nel controllo preciso delle condizioni di sintesi, che permettono di ottenere materiali con proprietà uniche e applicazioni che spaziano dall’elettronica alla tecnologia delle comunicazioni. I progressi in questi ambiti non solo sono fondamentali per l’industria, ma contribuiscono in modo determinante allo sviluppo di nuove tecnologie per il futuro.

Perché alcuni elementi conducono l'elettricità e altri no?

Nei metalli semplici, il numero di elettroni disponibili per la conduzione è sorprendentemente inferiore rispetto al numero totale di livelli energetici disponibili in una banda. I metalli dei gruppi 1, 2 e l'alluminio possiedono rispettivamente N, 2N e 3N elettroni di valenza, il che porta a una parziale occupazione delle bande di energia. Questo significa che ci sono livelli energetici vuoti appena sopra il livello di Fermi, permettendo agli elettroni di muoversi liberamente e rendendo i metalli eccellenti conduttori elettrici.

Spostandosi verso destra nella tavola periodica, si osservano elementi che, allo stato solido, non conducono l’elettricità come i metalli, ma si comportano come semiconduttori o isolanti. Gli elementi del Gruppo 14 — carbonio (nella forma di diamante), silicio e germanio — non adottano strutture ad alta coordinazione, tipiche dei metalli semplici, ma strutture tetraedriche in cui ogni atomo è circondato da quattro vicini.

In queste strutture tetraedriche, le bande formate dagli orbitali ns e np si sovrappongono e poi si scindono in due bande distinte, ciascuna contenente 2N orbitali, per un totale di 4N livelli disponibili. Queste due bande possono essere intese come bande di legame e bande antilegame. Il concetto chimico dietro questa divisione è legato alla formazione di orbitali ibridi sp³: la banda inferiore è costituita da combinazioni leganti, mentre quella superiore da combinazioni antilegnati. Poiché carbonio, silicio e germanio hanno configurazione elettronica ns²np², dispongono esattamente di 4N elettroni, sufficienti per riempire completamente la banda inferiore. Questa banda piena è detta banda di valenza, e gli elettroni al suo interno sono responsabili del legame tra gli atomi nel solido.

La scelta della struttura tetraedrica da parte di questi elementi non è casuale. Se adottassero una struttura a coordinazione più elevata, come nei metalli semplici, le bande ns/np sarebbero soltanto parzialmente riempite, rendendo una parte significativa degli elettroni non legante. La configurazione tetraedrica, invece, permette che tutti i 4N elettroni occupino stati leganti, rendendola energeticamente più favorevole.

Quando si scende nel gruppo, stagno e piombo si comportano diversamente. Sebbene appartengano anch’essi al Gruppo 14, sono metalli. Nel caso dello stagno, la separazione energetica tra orbitali s e p è maggiore e il loro sovrapporsi è minore rispetto a silicio e germanio. Di conseguenza, lo stagno può presentare strutture in cui la separazione tra le bande è minima (il band gap è quasi nullo), rendendolo conduttore. A basse temperature, esso può adottare la struttura del diamante, ma a temperatura ambiente è più stabile la struttura a coordinazione più elevata. Per il piombo, la situazione è ancora più marcata: l’interazione tra orbitali s e p è così debole da portare alla formazione di bande distinte, una s e una p, con la banda p parzialmente riempita da 2N elettroni. Questo rende il piombo un metallo, un risultato del cosiddetto effetto della coppia inerte, per cui gli elettroni s si comportano come elettroni di core e non partecipano alla conduzione o al legame chimico.

Silicio e germanio, pur avendo una banda di valenza completamente riempita, non sono isolanti. Essi rientrano nella categoria dei semiconduttori. La conduttività elettrica σ è espressa dalla relazione σ = nZeμ, dove n è il numero di portatori di carica, Ze la loro carica e μ la mobilità. Nei metalli, n è praticamente costante e la conduttività diminuisce con la temperatura a causa della riduzione di μ, dovuta all’aumento delle vibrazioni reticolari. Nei semiconduttori intrinseci, al contrario, la conduttività cresce con la temperatura. Gli elettroni devono essere promossi dalla banda di valenza alla banda di conduzione affinché si abbia una banda parzialmente occupata, necessaria alla conduzione.

Il numero di elettroni promossi dipende in modo esponenziale dalla temperatura ed è fortemente influenzato dalla dimensione del band gap. Un semiconduttore con un band gap minore avrà più elettroni promossi a una data temperatura, aumentando così il numero di portatori di carica n. Per esempio, il tellurio, che ha un band gap circa la metà di quello del germanio, presenta una conduttività significativamente maggiore a temperatura ambiente, con una resistività elettrica di circa 0,0044 Ω·m, rispetto ai 0,46 Ω·m del germanio, e ai 10¹² Ω·m tipici di un isolante.

Questa sensibilità alla temperatura rende i semiconduttori utili in dispositivi come i termistori e nei circuiti di allarme antincendio. Inoltre, gli elettroni possono essere promossi nella banda di conduzione non solo per effetto del calore, ma anche attraverso la luce. Se l’energia di un fotone incidente su un semiconduttore è superiore al band gap, può promuovere un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione, generando così conduttività. I materiali con band gap corrispondenti all’energia dei fotoni della luce visibile sono detti fotoconduttori: sono praticamente isolanti al buio, ma conducono quando esposti alla luce. Questa proprietà è alla base del funzionamento delle celle fotovoltaiche.

Un altro aspetto cruciale dei semiconduttori è la possibilità di modificarne intenzionalmente le proprietà mediante drogaggio. L’introduzione di impurità, anche a concentrazioni bassissime (dell’ordine di una parte su 10¹⁰), può alterare drasticamente la conduttività del materiale. Per questo motivo, il silicio utilizzato in elettronica deve essere straordinariamente puro, ma opportunamente drogato per ottenere le caratteristiche richieste nei dispositivi.

Per comprendere appieno la natura dei semiconduttori, è essenziale tenere conto non solo della struttura elettronica degli atomi costituenti, ma anche della simmetria del reticolo cristallino, della larghezza della banda proibita e del comportamento termico dei portatori di carica. Inoltre, l’interazione fra la struttura locale degli orbitali atomici e le proprietà collettive del reticolo gioca un ruolo fondamentale nel determinare la conduttività. È proprio nella sottile intersezione tra chimica quantistica e fisica dello stato solido che emergono le proprietà straordinarie dei materiali semiconduttori.

Quali sono le caratteristiche e le potenzialità dei metallo-silicati a coordinazione mista e dei framework metallo-organici (MOF)?

I metallo-silicati a coordinazione mista rappresentano un'interessante deviazione dalla tradizionale definizione di zeoliti, che prevede la coordinazione tetraedrica di alluminio e silicio. In questi materiali, atomi metallici come titanio si trovano in coordinazioni diverse, spesso ottaedriche, generando strutture microporose con proprietà uniche. Esempi emblematici sono ETS-10 e sitinakite, due silicato di titanio microporosi che mostrano caratteristiche strutturali peculiari: ETS-10 è formato da catene di ottaedri TiO6, mentre sitinakite possiede cluster Ti4O16 costituiti da ottaedri TiO6 condivisi ai bordi. Queste strutture non rispettano la regola di Löwenstein, che normalmente limita la presenza di legami tra atomi di alluminio, segnalando così un comportamento chimico atipico rispetto alle zeoliti classiche.

L’applicazione di ETS-10 come catalizzatore basico, ad esempio nella disidratazione del t-butanolo, dimostra l’importanza di queste strutture in ambiti catalitici specifici. Sitinakite, noto anche come silicotitanato cristallino (CST), si distingue per le sue proprietà di scambio ionico. La capacità di migliorare la selettività di scambio verso il cesio mediante drogaggio con Nb5+ ha permesso l’impiego commerciale del materiale, noto come IONSIV-911, nel trattamento di rifiuti nucleari, inclusi i casi critici di Chernobyl e Fukushima, testimoniando la rilevanza industriale e ambientale di tali metallo-silicati.

Parallelamente, i framework metallo-organici (MOF) costituiscono una classe di materiali porosi ibridi, formati da ioni metallici o cluster metallici connessi tramite molecole organiche chiamate linker. Questi materiali, scoperti alla fine degli anni '90, si distinguono per un elevato grado di personalizzazione in termini di superficie specifica, dimensioni e funzionalità dei pori. La diversità combinatoria tra metalli e linker organici permette di ottenere strutture estremamente variegate, capaci di rispondere a esigenze specifiche in ambiti come lo stoccaggio e la separazione di gas, catalisi, veicolazione di farmaci e sensori.

Tra i MOF più studiati vi sono MOF-5, formato da cluster tetraedrici Zn4O collegati da ligandi 1,4-benzenedicarbossilato (BDC), e UiO-66, un MOF a struttura cubica tridimensionale con cluster Zr6O4(OH)4 uniti da BDC, apprezzato per la sua elevata stabilità termica (fino a 540 °C) dovuta ai forti legami Zr-O. La stabilità chimica e la modularità di tali materiali li rendono oggetto di studio intensivo nonostante la presenza di limitazioni, come la sensibilità all’acqua, agli acidi e alle basi che ne condiziona l’utilizzo industriale su larga scala.

La chimica dei MOF è caratterizzata da un equilibrio delicato tra le condizioni di sintesi e la struttura finale. Cambiamenti come il pH della reazione possono modificare drasticamente la coordinazione degli ioni metallici e la modalità di legame dei linker, dando origine a MOF con caratteristiche molto differenti, come evidenziato dal confronto tra MIL-121 (pH basso) e MIL-120 (pH alto). Queste variazioni influiscono sulle proprietà funzionali, e dunque sulle applicazioni pratiche.

È fondamentale comprendere che la versatilità di questi materiali risiede non solo nella loro struttura, ma anche nella capacità di manipolare finemente le condizioni di sintesi per ottenere porosità, stabilità e funzionalità desiderate. La sfida rimane nell’ottimizzare la resistenza dei MOF alle condizioni operative più severe e nel ridurre i costi di produzione per favorire la loro diffusione industriale.