L’analisi non lineare delle strutture intelaiate e delle lastre rappresenta una sfida complessa che va ben oltre le capacità dei metodi lineari tradizionali. Le deformazioni significative, le rotazioni tridimensionali e le risposte post-instabilità richiedono un approccio che sia fondato su principi fisici chiari e interpretabili, più che su astratti formalismi matematici. In questo contesto, l’adozione di metodi computazionali basati sulla fisica, come quelli sviluppati con il rigido corpo regola (rigid body rule), emerge come un elemento chiave per una comprensione e una modellazione più trasparente e affidabile.

La meccanica delle strutture non lineari implica la necessità di considerare deformazioni e spostamenti così grandi da influenzare l’equilibrio stesso delle forze interne ed esterne. La sfida principale risiede nel fatto che i metodi convenzionali di analisi al contorno lineare, pur efficaci per problemi statici o lineari, si dimostrano insufficienti quando si tratta di sistemi strutturali con comportamento altamente non lineare o dinamico. Ciò si traduce in difficoltà pratiche e teoriche, quali la giustificazione fisica degli elementi finiti non lineari, la rappresentazione delle coppie di momenti tridimensionali, l’aggiornamento accurato delle forze nodali ad ogni incremento di carico, e l’individuazione fedele dei percorsi post-instabilità critici.

La risposta a queste questioni risiede in una formulazione che mette al centro la natura fisica del problema. Invece di appesantire l’analisi con derivazioni matematiche complesse, il metodo basato sulla rigid body rule offre una prospettiva più diretta, facendo leva sull’intuizione fisica del comportamento strutturale. Tale approccio consente di interpretare i fenomeni non lineari in termini di movimenti rigidi e deformazioni relative, semplificando e al contempo garantendo la precisione dell’analisi. Questo equilibrio tra rigore teorico e chiarezza fisica è fondamentale per rendere accessibile il metodo a ingegneri e ricercatori, mantenendo alti standard di accuratezza.

Le strutture considerate in questo ambito sono principalmente intelaiate, ovvero composte da elementi allungati, o snelli, rispetto alle loro dimensioni trasversali. Tali elementi sono modellati come linee unidimensionali nelle analisi a elementi finiti, dove le deformazioni di taglio nel piano della sezione sono trascurabili. Questo presupposto semplifica il modello senza compromettere la qualità dei risultati in molti casi pratici. Si considerano differenti configurazioni strutturali: dalle travi piane ai telai spaziali, dalle reti di tralicci fino alle lastre e gusci, ampliando così la validità del metodo.

Un aspetto cruciale del metodo presentato è l’attenzione posta sulle modalità di aggiornamento delle forze nodali a ogni passo incrementale del calcolo. Questo garantisce che la risposta strutturale sia tracciata fedelmente, anche nei casi di instabilità post-buckling, dove il comportamento può deviare drasticamente da quello previsto dai modelli lineari. Il percorso di carico e deformazione, dunque, è seguito con precisione, assicurando un controllo accurato dei punti critici multipli, essenziali per prevenire errori grossolani nelle previsioni di comportamento.

Non meno importante è la distinzione fisica tra forza e momento, in particolare nella gestione delle rotazioni tridimensionali nelle strutture intelaiate. Il momento, diversamente da una forza lineare, implica una rotazione che deve essere rappresentata accuratamente nella formulazione non lineare per evitare discrepanze e imprecisioni nell’analisi. L’approccio fisico permette di integrare queste caratteristiche senza compromessi, dando coerenza e robustezza al modello.

L’impiego estensivo del metodo della formulazione basata sulla rigidezza o sugli spostamenti, oggi largamente diffuso nella pratica ingegneristica, rappresenta una base stabile su cui costruire l’analisi non lineare. Tuttavia, va sottolineato che mentre i metodi lineari sono ormai ben consolidati e maturi, la non linearità richiede ancora sviluppi metodologici e un’attenzione particolare agli aspetti fisici sottostanti per garantire risultati affidabili.

Oltre al rigore tecnico e alla correttezza computazionale, questo approccio mira a favorire una comprensione profonda delle dinamiche fisiche coinvolte. Solo così è possibile affrontare con successo problemi ingegneristici reali, dai più semplici ai più complessi, mantenendo la capacità di interpretare i risultati in modo significativo e applicabile.

È quindi importante ricordare che la modellazione di strutture non lineari deve sempre tenere presente la realtà fisica dei fenomeni. La matematica è uno strumento potente, ma senza una base interpretativa chiara può diventare un mero esercizio astratto. L’integrazione tra intuizione fisica e rigore matematico è la via maestra per sviluppare metodi computazionali robusti, efficaci e di largo impiego, capaci di rispondere alle sfide ingegneristiche attuali e future.

Come si aggiornano le forze interne negli elementi strutturali nel contesto dell'analisi incrementale non lineare?

Nel contesto dell’analisi incrementale-iterativa non lineare delle strutture intelaiate, il concetto di coordinate convettive rappresenta un punto cardine per il trattamento della geometria aggiornata degli elementi. Quando gli spostamenti e le rotazioni rimangono piccoli in ogni passo incrementale, il sistema convettivo, nel quale le coordinate ruotano ma non si deformano con l’elemento, si rivela particolarmente efficace. L’asse x aggiornato dell’elemento e la lunghezza aggiornata LL sono determinati a partire dalle nuove coordinate dei nodi estremi, mentre l’asse y si assume normale all’asse x e giacente sullo stesso piano.

Nel caso dei telai spaziali, la situazione si complica notevolmente a causa dei tre gradi di libertà rotazionali presenti a ciascuna estremità dell’elemento. Tuttavia, se si mantengono le rotazioni in ciascun passo incrementale in un ambito di piccola entità, si può fare affidamento sulla validità della legge di commutatività. In tal caso, le rotazioni finali di ciascun elemento possono essere ottenute semplicemente sommando gli incrementi rotazionali a quelle accumulate nei passi precedenti. Attraverso il sistema convettivo, l’aggiornamento delle direzioni principali dell’elemento si ottiene mediando gli assi principali delle due estremità e calcolando l’asse z come prodotto vettoriale tra x e y.

La procedura si complica sensibilmente nel caso in cui le rotazioni non siano trascurabili. In tali condizioni, la legge di commutatività decade, e l’aggiornamento delle orientazioni deve necessariamente basarsi sulla teoria delle rotazioni finite. In ogni caso, una volta completata la fase predittiva — con il calcolo degli incrementi di spostamento {ΔU}\{ \Delta U \} — la geometria degli elementi è già stata aggiornata. Ciò implica la conoscenza delle nuove coordinate nodali e delle direzioni aggiornate degli assi dell’elemento.

A questo punto, si procede con l’aggiornamento delle forze interne iniziali e il calcolo degli incrementi di forza. L’incremento di spostamento locale {Δu}\{ \Delta u \} dell’elemento viene dedotto da {ΔU}\{ \Delta U \} utilizzando le relazioni di connettività. L’equazione dell’elemento viene riscritta per ottenere la forza totale aggiornata {fi}\{ f^i \} come somma tra la forza iniziale {fi1}\{ f^{i-1} \} e l’incremento di forza. Quest’ultimo è calcolato mediante:

{fi}={fi1}+([ke]+[kg]+[ki]){Δu}\{ f^i \} = \{ f^{i-1} \} + ([k_e] + [k_g] + [k_i]) \{ \Delta u \}

Qui, [k_e] è la matrice di rigidezza elastica, [k_g] la matrice di rigidezza geometrica, e [k_i] la matrice dei momenti indotti, quest’ultima utilizzata per gli elementi discreti prima del loro assemblaggio nella struttura. La matrice [k_j], che tiene conto della compatibilità nei nodi, viene invece impiegata solo nella costruzione globale della rigidezza nella fase predittiva.

È fondamentale ricordare che, in base al principio del corpo rigido, le forze nodali iniziali ruotano insieme all’elemento senza variazione di modulo, indipendentemente dall’entità della rotazione. Per questo motivo, non è necessario trasformare le forze iniziali da un sistema di riferimento all’altro; le forze presenti in Ci1C^{i-1} sono direttamente trasferite in CiC^i, senza bisogno di ulteriori trasformazioni.

L’incremento di forza, definito originariamente come secondo termine nell’equazione dell’elemento, può essere espresso in forma compatta come:

{Δf}=[k]i1{Δu}\{ \Delta f \} = [k]^{i-1} \{ \Delta u \}

Dove [k] varia a seconda del tipo di elemento: per i telai spaziali [k] = [k_e] + [k_g] + [k_i]; per i telai piani [k] = [k_e] + [k_g]; e per gli elementi a trave si include anche il contributo dei termini [s1], [s2] e [s3], come illustrato nei capitoli precedenti.

In condizioni di piccoli spostamenti incrementali, è spesso appropriato considerare solo la matrice di rigidezza elastica [k_e], semplificando l’equazione di recupero della forza a:

{Δf}=[ke]i1{Δu}\{ \Delta f \} = [k_e]^{i-1} \{ \Delta u \}

Questa espressione rappresenta la forma più essenziale del recupero delle forze, validata anche graficamente dalla relazione tra gli incrementi di spostamento e forza. L’efficacia di questo approccio è stata dimostrata anche per casi complessi di non linearità e post-instabilità, a condizione che siano rispettate le regole del corpo rigido e si utilizzino metodi di soluzione affidabili come il metodo di controllo degli spostamenti generalizzato (GDC).

Pertanto, la forza interna totale aggiornata per ciascun elemento di

Come si affronta l’analisi non lineare di strutture intelaiate usando elementi triangolari rigidi?

Il metodo proposto per l’analisi incrementale-iterativa non lineare delle strutture intelaiate si basa su un principio fondamentale: se gli effetti della rotazione rigida vengono considerati in modo completo in ogni stadio dell’analisi, allora le deformazioni naturali residue possono essere trattate mediante una teoria linearizzata delle piccole deformazioni. Tale approccio si fonda sulla formulazione lagrangiana aggiornata, distinguendo due fasi essenziali. La prima, detta predittore, calcola gli spostamenti strutturali a partire dagli incrementi di carico; la seconda, detta correttore, recupera le forze negli elementi. Mentre la fase predittore influisce sul numero di iterazioni necessarie, la fase correttore determina l’accuratezza della soluzione.

Per la fase predittore, la matrice di rigidezza geometrica [kg]r.b.[k_g]_{r.b.} di un elemento trave rigido tridimensionale viene derivata a partire dall’equazione del lavoro virtuale, assumendo un campo di spostamenti rigidi. La matrice geometrica [kg]TPE[k_g]_{TPE} per l’elemento triangolare rigido (TPE) è assemblata dalle matrici di tre travi rigide poste lungo i lati dell’elemento. Un vantaggio evidente di questo approccio è che le matrici di rigidezza geometrica per entrambi gli elementi, trave rigido tridimensionale e triangolo rigido, sono fornite in forma esplicita e tengono conto di tutte le azioni sia nel piano sia fuori dal piano. Questo riduce significativamente il lavoro di derivazione, dato che sono richiesti solo campi di spostamenti rigidi.

Nella fase correttore, la regola del corpo rigido viene utilizzata per aggiornare le forze nodali iniziali senza limitazioni sulla grandezza delle rotazioni rigide. Gli incrementi di forza sono calcolati a ogni passo incrementale impiegando esclusivamente la matrice di rigidezza elastica [ke][k_e], basata sulla teoria linearizzata delle piccole deformazioni. La combinazione robusta di predittore e correttore è stata ampiamente testata su problemi di intelaiature e gusci, anche in condizioni di post-instabilità. Sebbene il metodo TPE richieda un tempo di calcolo leggermente maggiore rispetto al metodo TRIC — che considera solo azioni nel piano — questo è giustificato dall’inclusione di tutte le tipologie di azione, sia nel piano sia fuori dal piano, e dalla capacità di seguire l’intera risposta post-instabilità usando soltanto [ke][k_e], senza ulteriori modifiche della matrice rigidezza, a scapito però di un incremento del tempo di calcolo.

È cruciale comprendere che l’accuratezza e la stabilità numerica di questa metodologia dipendono dalla corretta valutazione degli effetti di rotazione rigida, che consentono di separare con efficacia le componenti non lineari dovute alla geometria da quelle lineari dovute alle deformazioni elastiche residue. Questo consente di mantenere la semplicità della teoria lineare per la parte deformativa, mentre la complessità geometrica viene gestita in modo rigoroso e sistematico. Inoltre, la definizione esplicita delle matrici di rigidezza geometrica facilita la generalizzazione a modelli tridimensionali complessi e a condizioni di carico variabili, senza necessità di approssimazioni grossolane o di incrementi di complessità numerica eccessivi.

L’adozione del concetto di elemento rigido, dunque, non rappresenta solo un semplificazione formale, ma una strategia che aumenta l’efficienza computazionale e la robustezza dell’analisi, permettendo di trattare con precisione tutti i tipi di azioni, incluse quelle fuori dal piano, essenziali per la valutazione accurata del comportamento post-instabile delle strutture intelaiate.

Il lettore deve inoltre tenere presente l’importanza del corretto bilanciamento tra precisione e costo computazionale. Sebbene l’uso esclusivo della matrice elastica [ke][k_e] possa estendere significativamente il tempo di calcolo, questa scelta può essere preferibile quando si desidera ottenere la curva completa della risposta post-instabilità senza interruzioni. D’altro canto, un’applicazione rigorosa delle fasi predittore e correttore con considerazione esplicita della rigidezza geometrica riduce le iterazioni e garantisce un controllo più diretto sulla convergenza, risultando più efficiente per problemi complessi.

Va sottolineato che la metodologia descritta si inserisce in un più ampio contesto di metodi fisico-computazionali che pongono la fisica del problema al centro della formulazione numerica. Questo approccio non solo migliora la chiarezza interpretativa delle soluzioni, ma funge anche da valido strumento per la validazione dei risultati numerici, particolarmente prezioso in assenza di soluzioni analitiche di riferimento per problemi tridimensionali complessi.

Qual è la risposta analitica al fenomeno di instabilità flessionale nei telai inclinati soggetti a momenti quasitangenziali?

Nel contesto della stabilità di telai piani inclinati, soggetti a momenti quasitangenziali, l’analisi si fonda sulla risoluzione di equazioni differenziali accoppiate che descrivono il comportamento flessionale e torsionale dei membri strutturali. Le equazioni fondamentali che regolano il comportamento dei due membri principali del telaio, quando sottoposti a un momento iniziale M0M_0, sono derivate a partire dalle leggi di equilibrio e dalle relazioni forza-spostamento per elementi snelli.

Per ciascun membro, si considerano le equazioni differenziali del quarto ordine per la flessione trasversale e del secondo ordine per la rotazione torsionale. Le condizioni geometriche imposte alla base fissa (giunto A) annullano gli spostamenti verticali, le derivate prime e le rotazioni angolari, mentre al giunto intermedio (giunto B) si applicano condizioni di equilibrio statico e di continuità cinematica, esprimendo la trasmissione coerente di forze e rotazioni tra i membri.

Le soluzioni generali di tali equazioni assumono la forma di combinazioni lineari di funzioni trigonometriche e polinomiali, con coefficienti che sono determinati dall’applicazione delle condizioni al contorno. Per esempio, per il membro 1 si ricavano espressioni semplificate degli spostamenti verticali v1v_1 e delle rotazioni θx1\theta_{x1} in funzione di costanti d'integrazione, che a loro volta sono legate alla geometria e ai vincoli della struttura.

Il momento quasitangenziale di primo tipo (QT-1), applicato come carico esterno al giunto terminale (giunto C), induce non solo una rotazione ma anche una deformazione trasversale nel secondo membro, con il momento torsionale che interagisce con la flessione del sistema. Questo porta a un sistema di equazioni omogenee, da cui si deduce un’equazione caratteristica trascendente, che governa la comparsa del carico critico d’instabilità M0,crM_{0,cr}.

Nei casi speciali, tale equazione si riduce a forme note. Per esempio, se il membro 2 ha lunghezza nulla (caso β = 0), si ottiene un'espressione semplificata dove il carico critico dipende unicamente dall’angolo d’inclinazione α e dai parametri geometrici della sezione, come evidenziato da:

2ϕcotϕ=(λϕ)sin2α2\phi \cot \phi = (\lambda - \phi) \sin 2\alpha

Il carico critico in questa configurazione particolare coincide, per α = 0°, con la soluzione classica otte