Nel 2019, Donald Trump pubblicò un tweet in cui esprimeva incredulità di fronte ai ghiacciati record di freddo nel Midwest, ironizzando sull'esistenza del riscaldamento globale. "Cosa sta succedendo con il riscaldamento globale?" scrisse, facendo riferimento a temperature record di -60 gradi Celsius. Questo tweet è solo uno degli esempi di quella che viene definita una "crisi di ignoranza" durante la sua presidenza, una negligenza totale nei confronti delle minacce globali causate dai cambiamenti climatici. Tuttavia, il caso di Trump non rappresenta solo un'ignoranza personale: si può considerarlo un sintomo di un regime emozionale più ampio che normalizza l'indifferenza e l'apatia verso le vittime del cambiamento climatico. L'apatia, come la descrive Norgaard (2011), implica una mancanza di reazione, ignoranza e azione in risposta a una minaccia riconosciuta, come quella del cambiamento climatico.
Il regime emozionale dell'apatia che caratterizza molte politiche dell'amministrazione Trump non si limita alla sua persona ma si estende a una serie di decisioni politiche che amplificano le disuguaglianze legate ai disastri naturali e ai cambiamenti climatici. L'analisi di come questa apatia venga istituzionalizzata offre uno spunto fondamentale per comprendere il legame tra politica, emozioni e disuguaglianza sociale. Le emozioni non sono semplicemente risposte individuali, ma possono diventare motori di azioni politiche collettive. Gli studiosi di scienze politiche, come Reddy (2001), hanno teorizzato che i regimi emozionali - ossia, i sistemi istituzionali che influenzano e modellano le emozioni di una collettività - siano centrali nel comprendere le dinamiche politiche. In questo caso, l'apatia diventa non solo un'emozione individuale, ma una condizione condivisa che viene promossa attraverso politiche pubbliche e decisioni governative.
La relazione tra apatia e ingiustizia climatica è visibile in diverse azioni concrete, come la decisione di Trump di ritirarsi dagli accordi di Parigi sul clima. Questo atto non solo segnò una chiusura simbolica verso la cooperazione internazionale, ma anche una negazione del rischio esistenziale che il cambiamento climatico rappresenta per milioni di persone. Le immagini di isole come Tangier, che scompaiono letteralmente a causa dell'innalzamento del livello del mare, sono spesso accompagnate dalla negazione del problema da parte dei residenti, molti dei quali sostengono ancora la politica di Trump nonostante i disastri ambientali che li minacciano direttamente.
Anche in situazioni come l'uragano Maria, che devastò Porto Rico nel 2017, l'apatia istituzionalizzata si riflette nella risposta tardiva e inadeguata del governo federale. La lenta e frammentata risposta al disastro ha esemplificato l'indifferenza istituzionale, che non solo ha peggiorato la situazione per le popolazioni vulnerabili, ma ha contribuito a cementare una visione politica che non considera la crisi climatica come una priorità.
L'approccio politico di Trump alla crisi climatica non è un caso isolato. A livello globale, l'apatia istituzionalizzata nei confronti dei cambiamenti climatici può essere vista come una forma di ingiustizia climatica che non solo danneggia l'ambiente, ma anche le persone più vulnerabili, spesso quelle che vivono in aree che sono meno preparate ad affrontare disastri naturali. La questione centrale è che l'apatia non è semplicemente il risultato di un'ignoranza diffusa, ma di un processo politico che incoraggia la non-reazione attraverso decisioni governative concrete.
Una comprensione profonda del legame tra emozioni politiche e cambiamenti climatici è cruciale per sfidare le politiche che perpetuano tale apatia. La lotta contro l'apatia istituzionalizzata richiede non solo una maggiore consapevolezza scientifica, ma anche un cambiamento nelle strutture politiche che possano spingere verso un impegno più attivo e responsabile nei confronti del futuro del pianeta. Se non si affronta questa apatia, rischiamo di lasciare a intere generazioni una crisi ambientale inesorabile, con effetti devastanti che potrebbero diventare irreversibili.
La politica climatica non può essere relegata alla sfera della tecnica scientifica, ma deve essere interpretata come un processo emotivo che coinvolge tutti i settori della società. La gestione delle emozioni politiche riguardo al cambiamento climatico è altrettanto importante quanto la gestione delle risorse naturali. Ad esempio, è fondamentale che le politiche climatiche non solo rispondano agli aspetti tecnici del problema, ma che includano anche un impegno emotivo collettivo che possa sensibilizzare le popolazioni e le istituzioni al problema, sollecitando un'azione concreta.
Come la WWE ha plasmato la carriera politica di Donald Trump: un'analisi mediatica
La realtà di Donald Trump nel contesto mediatico della WWE ha avuto inizio il 14 marzo 2004, quando Trump fu intervistato da Jesse Ventura durante WrestleMania XX. Ventura, con il suo spirito provocatorio, gli chiese se lo avrebbe supportato qualora avesse deciso di tornare in politica. Al termine dell'intervista, Ventura affermò: «Penso che ci potrebbe servire un wrestler alla Casa Bianca nel 2008». Sebbene Ventura si stesse riferendo a sé stesso, Trump sarebbe stato, in un certo senso, il wrestler alla Casa Bianca. Questo episodio segna l'inizio di un lungo legame tra la figura pubblica di Trump e il mondo della WWE, che culminerà nella sua carriera politica.
Il confine tra realtà e finzione si fece sempre più sfumato nei successivi anni. Nel dicembre del 2006, Trump e la conduttrice Rosie O'Donnell furono protagonisti di un acceso scontro mediatico. O'Donnell accusò Trump di non essere un "self-made man", ma un "venditore di olio di serpente", denigrando la sua vita privata e le sue relazioni. Trump rispose con toni altrettanto forti, definendo la O'Donnell una "vera perdente" e promettendo di fare causa per diffamazione. In un breve lasso di tempo, la loro faida divenne parte integrante dello spettacolo della WWE.
Il 8 gennaio 2007, durante un episodio di WWE Raw, attori che impersonavano Trump e O'Donnell salirono sul ring, con un'interpretazione parodistica dei due protagonisti. Questo scontro mediatico non si limitò a un semplice conflitto tra due celebrità: la faida tra Trump e O'Donnell si inserì all'interno di un contesto più ampio di cross-promozione con la trasmissione "The Apprentice", dove Trump era il protagonista. In quel periodo, infatti, si assistette al debutto della sesta stagione del reality, coincidente con l'incontro immaginario tra i due su WWE Raw, creando una sinergia mediatica tra wrestling e televisione.
Questa continua interazione tra la realtà e la fiction sarebbe culminata con uno degli eventi più spettacolari della WWE, il "Battle of the Billionaires Match" di WrestleMania XXIII del 1° aprile 2007. Trump, protagonista di uno degli incontri più seguiti della storia della WWE, affrontò Vince McMahon in una sfida a colpi di wrestler, in cui il perdente si sarebbe dovuto rasare la testa di fronte a più di 80.000 spettatori. Il match vide Trump affiancato dal lottatore Bobby Lashley, che avrebbe sconfitto Umaga, rappresentante di McMahon, portando Trump a realizzare la sua "vittoria" con la rasatura del capo del suo avversario. Questo incontro, caratterizzato da un'energia tipica del wrestling, divenne un'occasione per Trump di esibire la propria immagine di "uomo del popolo", portando avanti la narrazione che sarebbe poi diventata centrale nel suo discorso politico.
Nel giugno del 2009, Trump annunciò di aver acquistato WWE Raw, una mossa che si sarebbe rivelata una mera fiction. La WWE, ormai un business consolidato, sembrava aver trovato in Trump una figura ideale per la promozione e la costruzione di un personaggio pubblico che fosse al contempo spettacolare e discutibile. Tuttavia, a causa di difficoltà economiche legate alla sua attività di intrattenimento e a causa della bancarotta delle sue aziende nel 2009, Trump rivendette la proprietà della trasmissione a Vince McMahon.
Questa interazione tra Trump e la WWE non fu solo una questione di spettacolo, ma un'importante mossa strategica per mantenere alta l'attenzione sul suo brand personale. La WWE ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare l'immagine pubblica di Trump, creandone un personaggio che affascinava il pubblico, ma allo stesso tempo consolidava la sua posizione tra i più ricchi e potenti uomini d'affari del paese. L'effetto della WWE si è rivelato cruciale anche nella sua carriera politica. Trump, infatti, sembrava aver imparato l'arte della comunicazione mediatica direttamente dal mondo del wrestling. La sua campagna presidenziale del 2016 si distinse per una retorica che sapeva alimentare il disincanto della "classe operaia" americana, simile a quella che aveva costruito nel contesto della WWE, dove rappresentava il personaggio miliardario che si poneva contro il sistema. La sua abilità nel manipolare i media e nel creare una figura eroica popolare tra i suoi sostenitori fu anche una lezione appresa dall'industria dell'intrattenimento.
In questo scenario, la WWE e Trump hanno sfruttato il potere delle narrative costruite ad arte. Come il wrestling, la politica di Trump si è basata su un discorso che mescolava realtà e finzione, intrattenendo ma al contempo manipolando l'immaginario collettivo. La sua maestria nel creare contenuti che attrassero media e spettatori divenne un aspetto centrale della sua campagna, che avrebbe goduto di una visibilità straordinaria grazie alla copertura mediatica gratuita. Questo fenomeno, come ha sottolineato la giornalista Francia (2018), fu uno dei fattori che contribuirono al suo successo nelle elezioni del 2016, dove Trump conquistò la Casa Bianca con un carico di visibilità che nessun altro candidato era riuscito a ottenere.
La sua storia nel wrestling, come nel mondo della politica, è un perfetto esempio di come la costruzione di un'immagine pubblica possa non solo influenzare la percezione di un individuo, ma anche determinare il suo successo mediatico. È importante ricordare che, dietro ogni strategia di comunicazione, c'è sempre un gioco di potere e narrazione che mira a sedurre e conquistare il pubblico. Trump lo ha fatto con il wrestling, con i media, e, infine, con la politica, segnando una nuova era in cui il confine tra spettacolo e realtà è più sfumato che mai.
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