Nel 1720, quando la Bolla del Mare del Sud raggiunse il suo picco, molti investitori si trovavano in una posizione precaria. La compagnia del Mare del Sud, che aveva acquistato una parte considerevole del debito nazionale, nonostante l'apparente prosperità iniziale, non era in grado di mantenere le proprie promesse. Il prezzo delle azioni era gonfiato a livelli insostenibili, grazie alla speculazione alimentata dalla promessa di profitti enormi e da politiche di credito facile. Le azioni venivano acquistate con prestiti, e chi non era in grado di restituire il denaro veniva costretto a cedere le proprie azioni per cancellare il debito. Questo fenomeno portò molte persone a credere che fosse impossibile perdere denaro investendo in azioni del Mare del Sud, proprio

Quali furono le cause e le dinamiche della Grande Contrazione bancaria del 1931-1933 negli Stati Uniti?

Il sostegno al mercato azionario da parte del sindacato Morgan si mantenne attivo per due giorni di contrattazioni dopo il crollo iniziale, ma il lunedì successivo il sostegno venne a mancare. Probabilmente i banchieri, informati da fonti interne, compresero che una nuova ondata di vendite legate a richieste di margine avrebbe sopraffatto ogni tentativo di contenimento. Questo segnale, insieme all'acquisto di un milione di azioni Standard Oil da parte di John D. Rockefeller il 14 novembre 1929, rappresentò un timido tentativo di ripresa del mercato azionario. Tuttavia, il valore complessivo del mercato continuò a precipitare, con perdite del 20% in due giorni tra il 28 e il 29 ottobre, e il Dow Jones scese sotto quota 200 a metà novembre, un livello che non si vedeva dal 1927. Dopo un breve rimbalzo fino a 294 ad aprile 1930, la discesa riprese, con il Dow sotto 100 già a novembre 1931, preludio a una crisi economica di scala globale che si sarebbe protratta per un decennio.

Tra il 1931 e il 1933 si consumò una delle fasi più drammatiche della crisi americana, nota come la Grande Contrazione, durante la quale un terzo delle banche statunitensi fallì. Questo crollo culminò nella dichiarazione da parte del presidente Franklin Roosevelt di una chiusura nazionale dei depositi bancari per quattro giorni, durante la quale tutte le transazioni furono sospese, compresa la chiusura delle borse valori. Sebbene la Grande Contrazione non sia stata la causa originaria della Grande Depressione, il crollo sistematico degli istituti di credito fu uno dei fattori che ne accentuarono la gravità e la durata.

Il sistema bancario di allora era molto diverso da quello odierno: da un lato, vi erano regolamentazioni molto restrittive che limitavano la diversificazione e dimensione delle banche, che rimanevano per lo più locali e legate all'economia di zona; dall’altro, alcune regole erano assenti o deboli, come la mancanza di un’assicurazione federale sui depositi, la cui istituzione (FDIC) sarebbe avvenuta solo nel 1933. Questa assenza causava un alto rischio per i depositanti, i quali erano spinti a ritirare i propri soldi alla prima notizia di difficoltà bancarie, scatenando frequenti corse agli sportelli che si propagavano velocemente tra stati e comunità.

Durante gli anni ’20, il numero medio di fallimenti bancari era già in aumento, principalmente tra le banche rurali di piccola dimensione, con un incremento da meno di 200 a oltre 500 all’anno. La recessione iniziata nel 1929, caratterizzata da un calo della domanda per beni durevoli come automobili, determinò un circolo vizioso fatto di licenziamenti, riduzione della spesa e insolvenze creditizie, esponendo le banche a forti vulnerabilità. Le crisi bancarie regionali del 1930, pur limitate a poche aree geografiche, produssero un effetto sistemico: la perdita di fiducia nel sistema bancario spinse la popolazione a detenere una maggiore quota del denaro sotto forma di valuta contante, riducendo i depositi bancari e aggravando la scarsità di liquidità per le banche.

I dati mostrano che nel primo anno dopo il crollo del 1929 non si registrò un aumento della domanda di contante rispetto ai depositi, a indicare che la fiducia nelle banche locali non era stata compromessa subito dopo il crash, grazie anche ai prestiti d’emergenza della Federal Reserve. Tuttavia, nelle crisi regionali del 1930-31, la quota di valuta rispetto alla massa monetaria aumentò significativamente, segnando un diffuso sfiducia nel sistema bancario che persistette anche dopo il declino delle paniche. Questa carenza di liquidità non fu adeguatamente affrontata dalla Federal Reserve, in parte perché molte banche fallite non erano membri del sistema Fed e perché le autorità monetarie locali, come quelle di Saint Louis e Chicago, non utilizzarono appieno gli strumenti a loro disposizione per sostenere le banche non appartenenti al sistema.

Inoltre, la diffusione delle crisi bancarie fu facilitata dall’ignoranza o inesperienza dei presidenti delle riserve regionali nel g

Cosa succede quando la finanza pubblica scommette sull’andamento dei tassi d’interesse?

Nel cuore della crisi finanziaria che colpì la contea di Orange in California nel 1994 c’era una serie di decisioni d’investimento sofisticate, ma profondamente mal calibrate, guidate da Robert Citron, il tesoriere della contea. Per anni Citron aveva ottenuto rendimenti straordinari gestendo il fondo di investimento della contea, grazie a strategie aggressive che includevano l’utilizzo di titoli a tasso variabile inverso — strumenti finanziari noti come inverse floaters — e una leva finanziaria significativa tramite contratti di repo.

I titoli inverse floater sono obbligazioni il cui tasso d’interesse si muove in direzione opposta rispetto ai tassi di mercato. Mentre i titoli a tasso variabile standard aumentano il loro rendimento con l’aumento dei tassi di riferimento, quelli inversi lo riducono. La formula tipica per calcolare il tasso pagato da un inverse floater parte da un tasso fisso relativamente alto, dal quale viene sottratto il tasso di mercato semestrale. Se i tassi scendono, il rendimento aumenta; se i tassi salgono, si riduce. Citron puntò fortemente su questi strumenti perché era convinto che i tassi sarebbero rimasti stabili o sarebbero scesi ulteriormente, come era accaduto nei primi anni '90, quando la Federal Reserve aveva tagliato i tassi per stimolare la crescita.

Nel contesto di un'inflazione in discesa e una politica monetaria accomodante, questa strategia aveva portato guadagni ingenti. Citron investì quasi 600 milioni di dollari in inverse floaters, e finché la traiettoria dei tassi rimase favorevole, i ritorni furono eccezionali. Ma ciò che inizialmente appariva come una gestione finanziaria brillante era in realtà una scommessa altamente speculativa, mascherata da prudenza amministrativa.

Il 1994 segnò una svolta. La Federal Reserve, preoccupata per un possibile ritorno dell’inflazione, iniziò una serie rapida e aggressiva di aumenti dei tassi di interesse. I mercati non se lo aspettavano, e nemmeno Citron. La conseguenza diretta fu un crollo del valore degli inverse floaters, specialmente quelli a struttura complessa come gli step-up double inverse floaters, i cui pagamenti d’interesse diminuivano a un ritmo doppio rispetto all’aumento dei tassi. Gli interessi incassati dalla contea crollarono. Parallelamente, anche le operazioni di repo iniziarono a generare perdite: i tassi a breve termine superarono i rendimenti delle obbligazioni detenute, rendendo l'intero portafoglio insostenibile.

Nonostante i segnali d’allarme, Citron decise di raddoppiare la sua scommessa, reinvestendo la liquidità residua in obbligazioni a lungo termine, nella speranza che i tassi tornassero a scendere prima dell’arrivo delle imposte patrimoniali previste per dicembre. Ma la fiducia mal riposta si scontrò con la realtà del mercato. Le banche partner nei contratti di repo persero fiducia nella capacità della contea di rimborsare i prestiti e, nel novembre 1994, si rifiutarono di rinnovare i contratti, chiedendo il rimborso immediato.

Il castello crollò in pochi giorni. Il valore del fondo calò di oltre 1,5 miliardi di dollari. Il 1° dicembre, la contea annunciò ufficialmente le perdite e il 6 dicembre dichiarò bancarotta. Le banche, grazie all’esenzione legale dei repo dalle protezioni fallimentari standard, liquidarono rapidamente più di 11 miliardi di dollari in titoli, generando perdite effettive per oltre 1,3 miliardi. Gli investitori nel fondo ricevettero solo 77 centesimi per ogni dollaro investito.

La contea citò in giudizio varie banche d’investimento, tra cui Merrill Lynch, accusandole di aver venduto prodotti eccessivamente complessi e rischiosi. Le banche accettarono accordi extragiudiziali, pagando complessivamente oltre 1,2 miliardi di dollari. Tuttavia, la responsabilità principale rimase quella di Citron, che fu condannato per sei reati gravi, tra cui appropriazione indebita di fondi pubblici e falsificazione di documenti.

Il fallimento di Orange County costituì

Perché la Bolla delle Dotcom è Esplosa: Analisi del Ciclo Finanziario e degli Errori di Valutazione

La bolla delle dotcom rappresenta uno degli episodi più significativi e complessi nella storia delle crisi finanziarie moderne. La sua esplosione, che ha avuto luogo tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000, è stata il risultato di una serie di fattori interconnessi, tra cui una valutazione errata delle nuove aziende tecnologiche, l'esuberanza irrazionale degli investitori e la mancanza di modelli di business solidi. In questo contesto, i grandi investitori e gli analisti finanziari hanno avuto un ruolo cruciale nel sostenere la crescita di queste imprese, nonostante l'assenza di fondamentali economici solidi.

Molte di queste aziende avevano uno scarso o nullo ritorno economico, ma gli investitori, mossi dalla convinzione che la "nuova economia" sarebbe stata in grado di cambiare per sempre il panorama economico, hanno continuato ad acquistare azioni a prezzi elevati. Le banche d'investimento, in particolare, hanno beneficiato enormemente da questa corsa al rialzo, percependo commissioni significative dalle offerte pubbliche iniziali (IPO) e successivamente dalle offerte di azioni e obbligazioni, che sono state utilizzate per finanziare ulteriori operazioni. Nonostante le ipotesi di mercato basate su aspettative poco realistiche, il valore delle dotcom continuava a crescere.

Il fenomeno è stato alimentato anche dall'euforia dei media e dalla crescente fama degli analisti di borsa, che divennero vere e proprie celebrità. Sebbene il loro compito fosse quello di fornire analisi indipendenti, in realtà molti analisti finanziari hanno contribuito in modo diretto a gonfiare ulteriormente la bolla. Gli analisti non solo fornivano raccomandazioni positive sui titoli delle dotcom, ma erano anche compensati per attrarre nuovi investitori, creando così un circolo vizioso che spingeva il mercato a investire in aziende senza un piano di business sostenibile.

L'entusiasmo per la "nuova economia" ha spinto molte persone a credere che il mercato delle dotcom fosse immune dalle leggi tradizionali della finanza. A metà degli anni '90, le previsioni di crescita economica sono diventate straordinarie. Gli Stati Uniti avevano visto una crescita del prodotto interno lordo (PIL) superiore al 3%, con punte superiori al 5% in alcuni trimestri, fenomeno che non si verificava da decenni. Questo spingeva tutti a credere che le aziende delle dotcom avessero potenziale illimitato, anche se molte di esse non erano profittevoli o non avevano modelli di business comprovati.

Le IPO, che inizialmente avevano attirato molti investitori, si rivelarono solo l'inizio di un circolo vizioso che richiedeva ulteriori iniezioni di capitale per mantenere in vita queste aziende. Queste iniezioni non solo evitavano il fallimento immediato delle imprese, ma contribuivano a mantenere viva l'illusione di una crescita sostenibile e proficua. Tuttavia, entro la fine del 2000, molti investitori iniziarono a percepire che il mercato stava sovrastimando il valore delle dotcom. Le aziende erano state lanciate in borsa troppo presto, senza che fossero ancora stati verificati i modelli di reddito, e la concorrenza nel settore era diventata insostenibile. La fiducia iniziò a vacillare.

Nel marzo del 2000, l'indice Nasdaq, che era cresciuto fino a superare i 5000 punti, iniziò una discesa vertiginosa. Un anno dopo, il valore era sceso sotto i 2000 punti, segnando una perdita del 60% dal suo picco massimo. Sebbene il crollo del mercato azionario non causi generalmente recessioni immediate, la crisi delle dotcom contribuì a una recessione che toccò il suo punto più basso nel 2001. Questo crollo, però, non riguarda solo il mercato azionario: l'intero ecosistema economico che si e

Quali sono le radici della crisi finanziaria globale e come le informazioni limitate hanno alimentato il collasso delle istituzioni?

Nel periodo precedente alla crisi finanziaria globale, le istituzioni bancarie hanno adottato modelli di business complessi che si basavano su prestiti a rischio elevato, noti come prestiti subprime, per alimentare la creazione di titoli garantiti da mutui (MBS) e obbligazioni strutturate (CDO). Questi strumenti finanziari venivano venduti agli investitori come se fossero sicuri, grazie alla loro valutazione da parte delle agenzie di rating, che assegnavano spesso il massimo punteggio di credito, il triple-A. Tuttavia, l'affidabilità di tali strumenti si rivelò un'illusione, alimentata da una mancanza di trasparenza e da un'informazione incompleta. La situazione peggiorò quando l'andamento del mercato immobiliare cominciò a deteriorarsi.

Le banche come New Century, che originariamente avevano preso prestiti a breve termine, li rivendevano a broker di mutui che emettevano prestiti subprime. Successivamente, questi mutui venivano venduti a pool di mutui, che a loro volta generavano CDO subprime. Ma la situazione prese una piega drammatica nel 2007, quando i prestiti in default iniziarono a crescere a ritmi allarmanti. New Century non riuscì più a ottenere nuovi finanziamenti dalle banche, portando alla sua rovina, il che segnò la prima grande corsa agli sportelli di un'istituzione finanziaria legata alla crisi.

Sebbene il fallimento di New Century non implicasse che tutti i prestiti subprime fossero problematici, l'aumento dei tassi di insolvenza attirò l'attenzione delle agenzie di rating, come Moody's, che iniziò a rivedere il rating di numerosi titoli garantiti da mutui subprime. A maggio del 2007, Moody's mise sotto revisione 62 obbligazioni provenienti da 21 differenti operazioni di cartolarizzazione subprime, segnando l'inizio di una grave crisi di fiducia nel mercato. Questo evento fu cruciale perché le agenzie di rating cambiano le valutazioni solo in presenza di prove convincenti, e quindi il fatto che Moody's avesse messo così tanti titoli sotto revisione indicava chiaramente l'entità del problema.

La situazione si complicò ulteriormente per gli investitori che cercavano di capire quali titoli fossero effettivamente vulnerabili, poiché le informazioni sui singoli mutui o MBS erano difficili da ottenere, e a volte inesistenti. La difficoltà nell'accedere a informazioni dettagliate creò un vuoto informativo devastante, e gli investitori si trovarono in una situazione di grande incertezza. In assenza di dati chiari, l'unica opzione per molti investitori sofisticati fu quella di allontanarsi rapidamente da qualsiasi asset legato ai mutui subprime. Questo portò a una crescente fuga dai titoli e a un accelerato deterioramento della situazione, come descritto nel libro "The Big Short" di Michael Lewis, che racconta la storia di come alcuni investitori abbiano sfruttato la crisi per scommettere contro il mercato.

Il crollo della fiducia non si limitò solo agli MBS tradizionali. La crisi si estese anche ai veicoli di investimento strutturati (SIV), creati da grandi banche per finanziare le loro operazioni di cartolarizzazione. Questi SIV emettevano debito a breve termine, noto come commercial paper, per finanziare l'acquisto di MBS subprime. Questi strumenti erano progettati per sfruttare la differenza tra i tassi di interesse bassi sui prestiti a breve termine e i tassi più elevati sugli asset sottostanti, come i mutui subprime. Ma quando la crisi divenne evidente, gli investitori iniziarono a rifiutare di rinnovare il debito a breve termine, il che portò a una corsa al salvataggio per evitare che gli SIV fallissero.

In ottobre 2007, Moody's e altre agenzie di rating finalmente abbassarono il rating di una vasta gamma di titoli legati ai mutui subprime, scatenando una serie di "default tecnici" che segnarono l'inizio di un periodo di panico. Le perdite potenziali erano enormi, ma il problema maggiore per gli investitori fu che nessuno sapeva esattamente quanto fossero profonde le perdite reali delle istituzioni finanziarie coinvolte. La situazione peggiorò rapidamente e Bear Stearns, una delle principali banche d'investimento, divenne la prima vittima di questo crollo, dovendo affrontare gravi difficoltà a causa delle sue esposizioni ai mutui subpri