La tendenza umana a credere a informazioni non verificate, specialmente quelle che riguardano pericoli presunti, ha radici profonde nell'evoluzione psicologica e culturale. Sebbene oggi viviamo in un mondo intriso di dati e tecnologie avanzate, la nostra predisposizione a credere a voci e leggende metropolitane rimane, paradossalmente, un tratto distintivo della nostra natura. Questo fenomeno non è un semplice errore cognitivo o una forma di ingenuo ottimismo, ma una risposta adattiva che ha avuto una funzione cruciale nella sopravvivenza dei nostri antenati.

Nel contesto evolutivo, l’essere umano ha sviluppato meccanismi cognitivi che tendono a favorire l’assimilazione di informazioni negative e minacciose piuttosto che quelle positive o neutre. La psicologia della "negativity bias" (bias di negatività) ci insegna che le informazioni che implicano un rischio o un pericolo sono percepite come più credibili, più rilevanti e più urgenti rispetto a quelle che segnalano situazioni sicure o fortunate. Questo tipo di percezione ha avuto una funzione adattiva nelle antiche società umane, dove il fallimento nel riconoscere e reagire a un pericolo poteva risultare fatale. Il nostro cervello, quindi, è programmaticamente più incline a prestare attenzione agli aspetti potenzialmente dannosi dell’ambiente.

Questa predisposizione alla credulità di fronte a segnali di pericolo si manifesta in vari contesti, da quelli sociali a quelli politici. Gli studi dimostrano che le persone, in particolare quando sono esposte a notizie che inducono paura o ansia, tendono a credere facilmente a voci e storie non verificate, anche in assenza di prove concrete. Ad esempio, nelle zone di conflitto, le informazioni non verificate circolano rapidamente, alimentando paure collettive che talvolta si rivelano infondate. Questo fenomeno è esplorato in vari lavori di ricerca, dove si evidenzia come la paura e l'insicurezza alimentano la diffusione di notizie false o distorte.

Nel contesto politico, la credulità rispetto a notizie allarmistiche è spesso sfruttata per manipolare l'opinione pubblica. La distorsione delle informazioni, che può derivare dalla selezione emotiva dei contenuti, è uno strumento potente nelle mani di chi cerca di influenzare le decisioni collettive. In particolare, studi sulla psicologia delle ideologie politiche hanno mostrato che le persone con orientamenti conservatori sono più predisposte a credere a informazioni che amplificano i pericoli, in parte a causa della loro maggiore sensibilità alla minaccia e all'incertezza.

Al contrario, l'individuo moderno, pur vivendo in un mondo più sicuro rispetto a quello dei nostri antenati, rimane vulnerabile a questi bias cognitivi, che lo spingono a credere a informazioni che sembrano minacciose o allarmanti. Questo meccanismo psicologico, sebbene utile in contesti di sopravvivenza, oggi si traduce in una crescente diffusione di paure infondate e di comportamenti irrazionali, come dimostrano numerosi casi di panico sociale o di adozione di teorie complottiste.

Ciò che rende queste dinamiche ancora più complesse è la dimensione culturale e sociale della credulità. Le informazioni che ci pervengono, soprattutto quelle legate ai rischi, non sono solo filtrate attraverso il nostro cervello, ma anche attraverso le nostre comunità e culture. Le leggende metropolitane, ad esempio, non sono semplicemente storie inventate, ma riflettono preoccupazioni e ansie collettive. Esse emergono e si diffondono come una sorta di risposta adattativa a paure diffuse, amplificando spesso il senso di minaccia. La psicologia dei rumorologi e degli studiosi delle leggende urbane sottolinea che queste storie, pur non avendo fondamento, rispondono a una nostra necessità profonda di trovare spiegazioni per eventi traumatici o inquietanti.

La scienza psicologica ha da tempo sottolineato che i meccanismi di trasmissione delle informazioni non sono neutri, ma sono spesso influenzati da fattori emotivi e cognitivi. La paura e l'ansia sono potenti moltiplicatori di credulità, soprattutto quando le informazioni riguardano pericoli immediati o sconosciuti. In un mondo digitale, dove le informazioni possono viaggiare più velocemente e su una scala globale, la nostra capacità di discernere il vero dal falso è messa a dura prova. La cosiddetta "fake news" non è solo una questione di manipolazione intenzionale, ma anche di una predisposizione umana a credere che ciò che è allarmante possa essere vero.

In sintesi, comprendere la psicologia della credulità è essenziale per interpretare le dinamiche moderne di disinformazione. La nostra capacità di credere a informazioni errate o parziali non è solo una debolezza individuale, ma un riflesso delle nostre stesse tendenze evolutive. Essere consapevoli di questi bias cognitivi è il primo passo per difenderci da informazioni distorte e, di conseguenza, per migliorare il nostro approccio alla gestione del rischio e della comunicazione sociale.

Come le operazioni psicologiche cinesi influenzano la guerra dell'informazione e la manipolazione dell'opinione pubblica

La guerra dell'informazione è un aspetto cruciale della strategia bellica moderna, dove le informazioni, vere o false che siano, giocano un ruolo fondamentale nella manipolazione delle opinioni e nella gestione delle percezioni. In particolare, la Cina, attraverso il concetto di "Guerra del Popolo" e l'approccio delle "Tre Guerre" (san zhong zhanfa), ha sviluppato un modello strategico che coinvolge attivamente i cittadini nella sua battaglia per influenzare non solo gli avversari esterni, ma anche l'opinione pubblica interna e internazionale. La guerra dell'informazione cinese è caratterizzata dall'uso di mezzi non convenzionali, come le operazioni psicologiche, la manipolazione dei media e la guerra legale.

Nel contesto del conflitto nello Stretto di Taiwan, la Cina ha adottato strategie di operazioni psicologiche mirate a destabilizzare la psicologia della popolazione taiwanese, confondere l'opinione pubblica e compromettere la fiducia nelle istituzioni. In questa guerra dell'informazione, i confini tra operazioni militari e civili sono spesso sfumati, poiché i cittadini vengono mobilitati come parte attiva nella diffusione di notizie false o nella creazione di narrazioni favorevoli agli interessi statali. La separazione tra guerra e pace, così come tra operazioni militari e civili, diventa sempre meno definita.

Il concetto di "Guerra del Popolo" suggerisce che la mobilitazione delle masse non sia solo un elemento di supporto alle forze armate tradizionali, ma un obiettivo strategico in sé. Questo approccio, basato sulla mobilitazione di forze civili che operano in modo complementare alle forze militari, si inserisce nel contesto delle "Tre Guerre", che comprendono operazioni psicologiche, manipolazione dell'opinione pubblica e guerra legale. Ogni elemento di questa strategia è progettato per influenzare in modo subdolo le decisioni e le percezioni, con l’obiettivo di minare la stabilità degli avversari e di promuovere i propri interessi politici e militari.

Taiwan, consapevole della minaccia rappresentata da queste operazioni di disinformazione, ha sviluppato misure preventive per proteggere i propri cittadini da manipolazioni esterne. In particolare, il paese ha intrapreso iniziative educative per insegnare ai propri cittadini, a partire dai bambini, come riconoscere e contrastare le notizie false. Questa educazione contro la disinformazione è stata promossa sotto la forma di un programma di "Educazione alla Difesa Totale", volto a sensibilizzare e equipaggiare la popolazione per difendere il paese non solo sul piano fisico, ma anche sul piano psicologico.

Tuttavia, nonostante gli sforzi di Taiwan, la crescente interconnessione e l'uso delle piattaforme sociali globali complicano la difesa contro queste operazioni di disinformazione. La Cina ha una capacità unica di mobilitare una vasta forza lavoro statale e una popolazione civile disposta a contribuire alle sue operazioni non militari. Questa capacità di mobilitare milioni di cittadini rende la guerra dell'informazione in Cina significativamente diversa da quella condotta in altre regioni del mondo, dove l'uso di "bot" e altre tecnologie automatizzate è più comune.

Il concetto di "Guerra Non Limitata" che guida la strategia cinese espande i confini della guerra tradizionale, integrando vari domini - politico, economico, diplomatico, culturale e mediatico - in un'unica operazione strategica. La guerra dell'informazione non si limita al conflitto diretto, ma cerca di creare un ambiente in cui il nemico non solo si arrenda militarmente, ma venga anche "sottomesso" psicologicamente. Le operazioni psicologiche e la manipolazione dei media si combinano per creare un’immagine favorevole agli interessi statali e per minare il morale e la coesione interna dei paesi avversari.

L'aspetto psicologico di queste operazioni è di fondamentale importanza. Interrompere il processo decisionale degli avversari, instillare sentimenti di insicurezza e promuovere sentimenti anti-bellici sono tra le tattiche principali. La manipolazione dell'opinione pubblica attraverso i media è utilizzata per influenzare la percezione globale e per esercitare pressione politica. Inoltre, la guerra legale, attraverso l’uso di trattati internazionali, sanzioni e altre forme di coercizione diplomatica, è un altro strumento per destabilizzare gli avversari e rafforzare la posizione della Cina nel contesto internazionale.

La "Guerra delle Tre Guerre" e la "Guerra del Popolo" rappresentano un modello operativo che potrebbe diventare sempre più comune in tutto il mondo. Altri stati potrebbero prendere esempio dalle esperienze di Taiwan e dalla risposta della Cina a queste minacce per prepararsi meglio a difendere la propria popolazione e la propria sicurezza nazionale. L'integrazione di cittadini e risorse civili nella difesa contro operazioni di disinformazione, attraverso l'educazione e la sensibilizzazione, è una misura che può avere un impatto significativo nella lotta contro la manipolazione delle informazioni. Le società democratiche, in particolare, devono fare i conti con la crescente complessità di questo tipo di guerra, dove la guerra tradizionale lascia spazio a nuove forme di conflitto che sfidano la separazione tra tempo di guerra e tempo di pace.

Come Taiwan sta affrontando le operazioni di disinformazione: il ruolo dei cittadini

Le operazioni di disinformazione (IO) rappresentano una minaccia sempre più rilevante per la sicurezza nazionale e la coesione sociale. Taiwan, consapevole della crescente incidenza delle campagne di disinformazione, ha adottato misure innovative per contrastare questo fenomeno, coinvolgendo direttamente i cittadini. L’implementazione di soluzioni digitali, come quelle promosse dal movimento G0V, e l’integrazione di piattaforme di partecipazione civica come vTaiwan e pol.is, dimostrano un approccio che mira a non solo contrastare la disinformazione, ma a rafforzare la partecipazione democratica e la trasparenza nel processo decisionale.

G0V, un’iniziativa non governativa di Taiwan, ha sviluppato una serie di strumenti per facilitare il riconoscimento delle notizie false, come il browser extension News Helper, che aiuta gli utenti a identificare le notizie verificate e a segnalare quelle false tramite il crowdsourcing. Questi strumenti, combinati con un bot su LINE, rendono accessibile a tutti i cittadini la possibilità di contribuire attivamente alla verifica delle informazioni. Inoltre, Taiwan ha introdotto iniziative educative per promuovere la alfabetizzazione mediatica nelle scuole, rafforzando il potenziale dei cittadini di fronte alla disinformazione.

Tuttavia, sebbene queste soluzioni siano un passo importante, non sono esenti da limiti. Le piattaforme come pol.is, che mirano a coinvolgere i cittadini nelle discussioni politiche attraverso sondaggi e deliberazioni pubbliche, possono essere vulnerabili a tentativi di manipolazione, come l’astroturfing, che cerca di influenzare artificialmente le opinioni e le decisioni politiche. Per combattere questo rischio, è essenziale che i sistemi vengano monitorati e protetti, garantendo l'affidabilità delle informazioni raccolte.

Il coinvolgimento attivo dei cittadini è essenziale per rafforzare la difesa contro le operazioni di disinformazione. Taiwan, attraverso il suo Ministero della Difesa, ha istituito una divisione speciale per sensibilizzare la popolazione sui pericoli delle operazioni di informazione e per equipaggiare i cittadini con le risorse necessarie per combattere la disinformazione. Oltre a debunkare le notizie false, i cittadini possono contribuire nella diffusione di messaggi corretti e nella creazione di una rete di resistenza contro le false narrazioni. Tuttavia, è fondamentale che tale partecipazione resti nel perimetro dell'etica e della legalità, evitando pratiche scorrette come la manipolazione dei forum online o la creazione di contenuti falsi sui social media.

Anche la comunicazione governativa gioca un ruolo cruciale in questa battaglia. La capacità del governo di fornire risposte tempestive e coordinate alle operazioni di disinformazione è determinante per mantenere la fiducia della popolazione. In questo contesto, Taiwan si trova a dover superare gli ostacoli burocratici per assicurare che le informazioni corrette vengano diffuse prima che le narrazioni errate possano guadagnare terreno.

Oltre alla battaglia contro la disinformazione proveniente da stati come la Cina, anche altri paesi sono divenuti protagonisti di operazioni simili. Paesi come l'Australia, ad esempio, stanno affrontando sfide legate alla disinformazione e all’influenza straniera nella politica interna. Le minacce non sono limitate a Russia e Cina, ma si estendono a numerosi stati che equipaggiano propri eserciti informatici. La lotta contro la disinformazione è quindi un problema globale che richiede soluzioni congiunte e strategie mirate.

L’approccio di Taiwan rappresenta un modello interessante per altri stati che desiderano coinvolgere i propri cittadini nella protezione dell'integrità dell'informazione. Tuttavia, è fondamentale che la società civile venga educata a un consumo critico delle informazioni, che le piattaforme siano adeguatamente protette da attacchi informatici e che le politiche pubbliche siano coerenti e tempestive. In questo contesto, il futuro della lotta contro la disinformazione dipende dalla creazione di un ecosistema digitale robusto e partecipativo che metta i cittadini al centro della risposta alle minacce informative.

Come hanno risposto la Francia e la Germania alla disinformazione russa durante le elezioni?

Le elezioni presidenziali francesi del 2017 e quelle parlamentari tedesche dello stesso anno offrono esempi significativi di come i paesi europei abbiano reagito agli sforzi di disinformazione russa. Nonostante il contesto geopolitico teso, entrambe le nazioni hanno preso misure preventive, ma con approcci e risultati diversi.

In Francia, la resistenza alle operazioni di disinformazione russe è stata in gran parte lodata. I preparativi delle autorità francesi, a partire dal dicembre 2016, avevano messo in guardia contro possibili attacchi cibernetici e la diffusione di notizie false. L'Agence Nationale de la Sécurité des Systèmes d'Information (ANSSI) aveva monitorato attentamente la situazione, avvisando dell’alta probabilità di interferenze. Di fronte a questo rischio, Emmanuel Macron ha scelto di assumere un team di esperti informatici per proteggere la sua campagna. La Francia ha inoltre collaborato attivamente con le principali piattaforme tecnologiche, come Facebook e Google, per fermare la diffusione di contenuti falsi, con il progetto CrossCheck che si è rivelato utile per contrastare la disinformazione.

Al contrario, in Germania non si sono registrati attacchi di grande portata, sebbene il rischio fosse alto. Il servizio di sicurezza interno tedesco, il Bundesamt für Verfassungsschutz (BFV), aveva anticipato attacchi di phishing e aveva previsto ulteriori minacce in futuro. Tuttavia, la Germania ha scelto un approccio più istituzionale per affrontare la minaccia cibernetica, creando nel 2011 strutture per migliorare la risposta alle minacce informatiche. Sebbene l’attenzione alla sicurezza sia stata elevata, in Germania l’approccio alla disinformazione non ha visto lo stesso livello di mobilitazione e collaborazione tra pubblico e privato che si è visto in Francia.

Un punto cruciale che emerge da questi esempi è che un contrasto efficace alla disinformazione non può essere improvvisato all’ultimo minuto. Mentre la Francia ha fatto importanti passi per arginare le operazioni russe prima delle elezioni, la Germania si è concentrata maggiormente sulla protezione delle infrastrutture cibernetiche piuttosto che su una risposta strategica alla disinformazione. È stato evidente che l’adozione tardiva di misure per contrastare la diffusione di fake news, come il decreto tedesco sulle multe per i contenuti di odio online, non ha potuto impedire l’effetto a lungo termine della disinformazione.

Un altro aspetto fondamentale emerso è che senza una risposta coordinata e istituzionalizzata, qualsiasi iniziativa contro la disinformazione risulta inefficace. Né la Francia né la Germania hanno creato unità permanenti in grado di contrastare la disinformazione a lungo termine. Al contrario, paesi come la Repubblica Ceca e la Finlandia, consapevoli della crescente minaccia, stanno costruendo strutture istituzionali per affrontarla in modo organico e coordinato.

L’amministrazione Macron ha però dimostrato un cambiamento significativo nella sua posizione verso la disinformazione russa, adottando un linguaggio più diretto e mettendo in atto politiche volte a contrastarla. Questo shift è avvenuto solo dopo che il candidato aveva subito attacchi diretti. Il silenzio iniziale di Macron sulla minaccia russa evidenzia come la consapevolezza di un problema diventi urgente solo quando si è già stati colpiti. La mancanza di un piano preventivo in molti paesi europei, inclusa la Francia, ha messo in evidenza la vulnerabilità del sistema democratico di fronte a queste minacce.

Infine, è fondamentale riconoscere che la Russia ha imparato dai propri errori e ha perfezionato le sue operazioni. La Francia e la Germania, come altre nazioni europee, devono trarre insegnamento dalle esperienze recenti e prepararsi a lungo termine per affrontare queste minacce. La difesa della democrazia e delle istituzioni democratiche in Europa dipende dalla capacità di rispondere in modo coordinato e continuo alle minacce di disinformazione e alle operazioni di influenza straniere.

La lezione principale che emerge da queste esperienze è che la preparazione, la cooperazione e una risposta tempestiva sono essenziali per proteggere il processo elettorale e preservare la fiducia pubblica nelle istituzioni democratiche. Questo significa non solo adottare misure di difesa in risposta agli attacchi, ma anche stabilire politiche a lungo termine per rafforzare la resilienza contro le operazioni di disinformazione.

Come la Germania Sta Cercando di Combattere la Disinformazione Online: Iniziative e Leggi

La crescente diffusione di notizie false e disinformazione sui social media ha spinto molti paesi, tra cui la Germania, ad attivarsi per cercare di arginare il fenomeno. In particolare, numerosi progetti e iniziative sono stati avviati per monitorare e smentire le storie false che, soprattutto in contesti politici e sociali sensibili, rischiano di influenzare l’opinione pubblica in modo distorto. In questo contesto, iniziative come Hoaxmap, Correctiv.org e le leggi nazionali, come la “Legge sulla Conformità delle Reti” (Netzwerkdurchsetzungsgesetz), sono emerse come risposte al diffondersi di fake news.

Hoaxmap, ad esempio, è un progetto che raccoglie e mappa storie false relative a crimini, come furti, violenza sessuale o abusi legati al welfare sociale. Le storie più comuni riguardano i rifugiati e il loro presunto accesso a servizi gratuiti, come iPhone regalati nei centri di accoglienza o supermercati che chiudono a causa dei furti. Hoaxmap non si limita a smascherare queste false affermazioni, ma offre anche un database consultabile per giornalisti, educatori e tutti coloro che si trovano di fronte a questi contenuti sui social media o in altre forme offline. Questo tipo di iniziativa, che si basa sul crowdsourcing, consente a chiunque incontri notizie false di segnalarle, creando così una rete di controinformazione che aiuta a combattere la diffusione di contenuti fuorvianti.

Inoltre, nel 2017, è stato lanciato un altro importante progetto di fact-checking: Echtjetzt, ideato dal team di Correctiv.org. Questo progetto si dedica a verificare storie virali sui social media e le affermazioni fatte da politici, ed è stato uno degli unici in Germania a collaborare ufficialmente con Facebook per combattere la disinformazione. Inizialmente, il sistema di verifica di Facebook richiedeva che due organizzazioni indipendenti confermassero le notizie false, ma il processo è stato modificato nel tempo. Ora, le storie smentite appaiono come articoli correlati sotto i post, con avvisi che aiutano gli utenti a riconoscere le informazioni errate.

Tuttavia, la lotta contro la disinformazione online non è priva di difficoltà. La collaborazione con Facebook, purtroppo, non ha sempre prodotto risultati misurabili e significativi. Molti degli studi condotti suggeriscono che, sebbene alcune storie false siano riuscite a diffondersi, l’impatto su eventi politici come le elezioni generali del 2017 non è stato tanto devastante quanto si temeva. In particolare, disinformazione mirata sui rifugiati e le politiche migratorie è stata frequentemente utilizzata per polarizzare il dibattito pubblico, spesso alimentata da gruppi di estrema destra. Questo ha portato a una distorsione dei temi principali del dibattito pubblico, allontanando l’attenzione da altre problematiche importanti.

Nel panorama legislativo, la Germania ha introdotto nel 2017 il Netzwerkdurchsetzungsgesetz, una legge che obbliga le piattaforme di social media con più di due milioni di utenti tedeschi a rimuovere contenuti chiaramente illegali entro 24 ore, e a sanzionare le infrazioni più gravi entro sette giorni. Questa legge ha suscitato molte critiche, in particolare per quanto riguarda il rischio di “over-blocking”, cioè la rimozione eccessiva di contenuti che, pur essendo controversi, non sono illegali. Nonostante le critiche, la legge è stata vista come un passo importante nella lotta contro la diffusione di notizie false, sebbene la sua efficacia rimanga un punto di discussione.

Accanto alla legge, sono nate anche altre iniziative come Faktenfinder della ARD e #ZDFcheck17 di ZDF, che si concentrano principalmente sulla verifica delle dichiarazioni politiche. Tuttavia, questi progetti, sebbene utili, hanno risorse limitate e non sono in grado di monitorare tutta la disinformazione che circola online, dato l'enorme volume di contenuti da analizzare. È diventato evidente che, senza un finanziamento stabile e l’utilizzo di strumenti adeguati, queste iniziative potrebbero non essere sufficienti per fermare l'espansione delle fake news.

Un altro aspetto critico della disinformazione online è la sua relazione con l'asilo e l'immigrazione, temi molto discussi in Germania. Le fake news sui rifugiati, le politiche migratorie e le loro presunte "agevolazioni" hanno alimentato le paure e i pregiudizi in ampie fasce della popolazione. Questi racconti, spesso associati a storie di violenza o di truffa sociale, sono strumenti potenti nelle mani di gruppi politici estremisti, che li utilizzano per fomentare il risentimento contro le politiche di accoglienza e integrazione.

Le iniziative di fact-checking, sebbene abbiano ottenuto alcuni successi, devono affrontare la sfida di operare in un ambiente sempre più polarizzato e frammentato, dove le fake news spesso vengono diffuse in maniera virale attraverso gruppi chiusi e piattaforme di messaggistica privata. La difficoltà principale, quindi, non risiede solo nel correggere le notizie false, ma nel raggiungere gli utenti che sono più suscettibili alla disinformazione e che tendono a evitare le fonti di informazione verificate.

Infine, è importante sottolineare che la lotta contro la disinformazione non riguarda solo le autorità e le piattaforme social. La responsabilità di combattere la disinformazione è anche dei singoli cittadini, che devono imparare a riconoscere le fonti attendibili e a non condividere senza riflettere notizie che non hanno verificato. L’educazione ai media e la consapevolezza critica sono strumenti indispensabili per ridurre l’impatto delle fake news e contribuire a un dibattito pubblico più informato e meno influenzato dalla manipolazione.