Il rapporto pubblicato a Lione, Francia, nel novembre 2023 da un gruppo di lavoro di 30 scienziati provenienti da 11 paesi, condotto dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), ha avuto come obiettivo una valutazione approfondita sulla cancerogenicità di sostanze come PFOA e PFOS, nonché dei loro isomeri e sali correlati. Sebbene il PFOA sia stato classificato come cancerogeno, le prove sulla cancerogenicità del PFOS rimangono limitate. Nonostante ciò, si consiglia un approccio precauzionale, in quanto i PFAS in generale potrebbero avere impatti negativi potenziali sulla salute umana.

La gestione e la bonifica dei siti contaminati da POP (inquinanti organici persistenti) e idrocarburi petroliferi restano problematiche centrali. L'Articolo 6 della Convenzione di Stoccolma stabilisce che i POP debbano essere identificati nei siti a rischio potenziale e bonificati, se possibile. Allo stesso modo, i siti contaminati da petrolio sono regolamentati come siti a rischio che richiedono una gestione attiva. Tuttavia, nonostante gli investimenti e i tentativi da parte dei professionisti, la bonifica di siti contaminati da POP e idrocarburi petroliferi a livelli accettabili continua a rappresentare una sfida. Un ampio ventaglio di tecnologie e approcci “naturali” è stato studiato e applicato per rimuovere la massa di contaminante, trasformarla, biodegradarla o legarla, ma i progressi sono stati limitati.

I gruppi di lavoro che sviluppano linee guida per la bonifica dei siti contaminati da POP e idrocarburi petroliferi hanno sottolineato l'importanza di un approccio basato sul rischio. Sebbene non siano ancora stati adottati approcci strategici ed economici per la gestione dei siti contaminati da POP, l'uso dell'analisi multi-criterio (MCA) rimane una considerazione fondamentale per il raggiungimento di obiettivi di bonifica sostenibili. Un ostacolo significativo è costituito dalla limitata disponibilità di investimenti finanziari, che ha rallentato i progressi nella ricerca a lungo termine. Per quanto riguarda gli idrocarburi petroliferi, negli ultimi anni sono emersi sforzi a lungo termine che hanno coinvolto interazioni normative, ma senza una forte collaborazione tra ricercatori, industria e regolatori, il rischio è che i siti contaminati da POP rimangano un problema da affrontare per le future generazioni.

Nel contesto globale, la situazione sta lentamente cambiando. Nel 2017, l'Assemblea delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEA-3) ha adottato una risoluzione per intensificare le misure volte alla gestione della contaminazione del suolo, e oltre 170 paesi hanno aderito. Di conseguenza, si è verificato un notevole movimento globale verso una valutazione e gestione migliorate della contaminazione, in particolare dei suoli. Un esempio significativo di questo approccio è stato l'introduzione, nell'aprile 2022, da parte della FAO, della Rete Internazionale sulla Contaminazione del Suolo (INSOP), destinata a facilitare gli sforzi cooperativi per mitigare i rischi della contaminazione del suolo e riabilitare i siti contaminati, compresi quelli da POP.

La nostra comprensione dei POP e degli idrocarburi petroliferi, dei loro percorsi di esposizione e dell'impatto che hanno sull'ambiente e sulla salute umana continua ad evolversi. Ciò rende necessario un impegno continuo nell'approfondire le conoscenze relative a questi inquinanti, promuovendo, al contempo, politiche di prevenzione e intervento efficaci. Questo volume raccoglie articoli che trattano in dettaglio i principali POP, le loro fonti, le politiche normative, i rischi e le strategie di bonifica. È presente anche un capitolo sugli idrocarburi petroliferi, data la loro prevalenza, il profilo di rischio e la longevità nell'ambiente.

Per i lettori, è fondamentale non solo comprendere i rischi immediati legati a questi contaminanti, ma anche riconoscere la necessità di un approccio globale integrato, che coinvolga tutte le parti interessate, dalle autorità regolatorie alla comunità scientifica, passando per l'industria. Il percorso verso una gestione e bonifica efficaci di questi siti è lungo e costoso, ma rappresenta un investimento cruciale per il benessere delle generazioni future.

Qual è l'estensione e la gravità della contaminazione da ritardanti di fiamma bromurati?

I ritardanti di fiamma bromurati (BFR) sono composti chimici ampiamente utilizzati per migliorare la sicurezza antincendio di una vasta gamma di materiali, in particolare nei settori dell'elettronica e dei tessili. Tra i più comuni BFRs, vi sono i polibromodifenili eteri (PBDE), che si trovano in diverse configurazioni chimiche e vengono commercializzati in varie forme, inclusi polveri e liquidi viscosi. Questi composti, sebbene utili per prevenire incendi, presentano un grande rischio ambientale a causa della loro persistenza e della tendenza ad accumularsi negli ecosistemi.

L'octaBDE, ad esempio, è una polvere bianca composta principalmente da BDE-209 (fino al 50%), ma contiene anche altri congeneri come BDE-153, BDE-154 e BDE-171, con percentuali che variano notevolmente tra le diverse formulazioni. Allo stesso modo, i PentaBDE, più frequentemente venduti sotto forma di liquidi viscidi, sono composti principalmente da BDE-47 e BDE-99, ma comprendono anche altre varianti come BDE-153 e BDE-154. Questi composti chimici, sebbene stabili e utili per scopi industriali, possono essere estremamente dannosi per l'ambiente, poiché non sono facilmente degradabili e tendono a persistere a lungo.

Le concentrazioni di BFR sono state rilevate in una vasta gamma di ambienti, da sedimenti e acque superficiali a suoli, aria esterna e polveri domestiche. I BFR si trovano anche in organismi viventi, tra cui pesci, invertebrati e, preoccupantemente, nell'uomo. Le fonti di contaminazione sono molteplici: le attività antropiche nelle aree urbane, i rifiuti elettronici e gli impianti industriali che producono e trattano prodotti contenenti BFRs sono tra le principali cause di immissione nell'ambiente.

Studi recenti hanno evidenziato che l'inquinamento ambientale da BFRs è in aumento, con concentrazioni particolarmente elevate rilevate in aree vicine a impianti di trattamento dei rifiuti elettronici, in particolare nei paesi in via di sviluppo, dove i rifiuti elettronici sono frequentemente riciclati senza adeguate misure di sicurezza. In alcune di queste aree, i livelli di PBDE nei campioni di polvere interna sono fino a dieci volte superiori a quelli rilevati in altre regioni, come la Germania, suggerendo che le pratiche di gestione dei rifiuti elettronici contribuiscono in modo significativo alla diffusione di questi composti nell'ambiente.

Il rischio di contaminazione non è limitato solo agli ambienti terrestri. Le concentrazioni di BFRs sono state trovate anche nelle regioni polari e nelle zone remote, come il Plateau Qinghai-Tibet, suggerendo che questi composti chimici sono in grado di trasportarsi su lunghe distanze attraverso l'atmosfera e di contaminare ecosistemi altrimenti incontaminati. La capacità dei BFRs di bioaccumularsi attraverso le catene alimentari, sia terrestri che acquatiche, aumenta la loro persistenza e il rischio di esposizione a lungo termine per tutti gli organismi viventi, inclusi gli esseri umani.

Per quanto riguarda la salute umana, i BFRs sono stati rilevati in campioni di latte materno, evidenziando la loro capacità di attraversare la barriera placentare e di accumularsi nel corpo umano. I principali percorsi di esposizione comprendono l'inalazione di polveri, il contatto diretto con materiali contaminati e l'ingestione di alimenti e acqua contaminati. Sebbene gli effetti tossici di questi composti siano ancora oggetto di studio, esiste una crescente preoccupazione riguardo agli impatti a lungo termine sulla salute, tra cui disturbi endocrini, neurotossicità e potenziali effetti cancerogeni.

La dinamica ambientale dei BFRs è complessa. Essendo composti alogenati, i BFRs sono noti per la loro resistenza alla degradazione, ma possono comunque subire reazioni chimiche in risposta a fattori abioti, come la luce solare e le condizioni ambientali (temperatura, pH). Tuttavia, la capacità di questi composti di degradarsi in altri composti tossici, come il debromurazione, rappresenta un ulteriore rischio per l'ambiente e la salute. Recenti studi hanno rilevato la presenza di BFRs in specie animali, come serpenti e rane, con una propensione alla bioaccumulazione in diversi organi e la possibilità di trasferimento attraverso la madre agli embrioni.

In definitiva, il problema dell'inquinamento da BFRs è un fenomeno globale che richiede misure di monitoraggio, regolamentazione e prevenzione per limitare l'ingresso di questi composti nell'ambiente e ridurre l'esposizione umana. Data la loro persistenza, la loro diffusione attraverso il ciclo ambientale e la loro capacità di accumularsi nei tessuti biologici, è fondamentale comprendere appieno la portata di questa minaccia e le implicazioni a lungo termine per gli ecosistemi e la salute umana.

Qual è l'impatto ambientale dei solventi e dei cosmetici sull'ecosistema e sulla salute umana?

Nel 2015, l'Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (USEPA) ha finalizzato una normativa sulla definizione dei rifiuti solidi, promuovendo il riutilizzo e la reprocessazione di 18 solventi industriali pericolosi ad alto valore, impiegati nei settori manifatturieri chiave (Vane, 2019). Sebbene questi 18 solventi rappresentino una piccola frazione di tutti i solventi organici utilizzati, appartengono a categorie chimiche diversificate, come idrocarburi alifatici, composti clorurati, eteri, chetoni, amidi, nitrili e alcoli. La crescente domanda di oli e solventi, alimentata dalle necessità energetiche globali, ha accelerato non solo la crescita economica, ma anche sfide ambientali significative, come le fuoriuscite di petrolio che danneggiano la vita marina e gli ecosistemi (Gore et al., 2019).

Ad esempio, il disastro della fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico del 2010 ha rappresentato una minaccia grave per gli uccelli marini e gli animali acquatici, distruggendo i loro luoghi di riproduzione e provocando effetti cancerogeni e uno squilibrio ecologico (Gore et al., 2016). Questi disastri oceanici hanno portato a perdite enormi di organismi marini, destabilizzando ulteriormente l'equilibrio acquatico (Bjorndal et al., 2011; Crone & Tolstoy, 2010). Nel tentativo di ridurre l'inquinamento da solventi e abbattere i consumi energetici, negli ultimi trent'anni sono stati proposti e sviluppati solventi alternativi sostenibili. Pur essendo essenziali nei processi chimici, l'uso eccessivo di solventi tossici e non rinnovabili è insostenibile. I solventi sostenibili, derivati dalla biomassa vegetale, rappresentano un'alternativa rinnovabile per l'industria chimica, ma la loro sostenibilità dipende dall'adozione di pratiche agricole responsabili (Beringer et al., 2011; Berndes et al., 2003; Fischer et al., 2010).

Parallelamente, il settore cosmetico ha conosciuto un’espansione esponenziale negli ultimi decenni, diventando una parte imprescindibile delle routine quotidiane di cura della pelle e bellezza. I cosmetici, secondo la Direttiva 76/768/EEC del Consiglio Europeo, sono definiti come sostanze o miscele destinate a essere utilizzate per la pulizia, il miglioramento o la modifica dell'aspetto della pelle, dei capelli, delle labbra, delle unghie o dei denti. Questa definizione include una vasta gamma di prodotti, che spaziano dalle creme per la pelle, alle lozioni, ai profumi, al trucco, ai deodoranti, agli schermi solari e ai coloranti per capelli (Bocca et al., 2014). I cosmetici sono formulazioni chimiche complesse, composte da vari materiali grezzi mescolati in proporzioni specifiche. Questi prodotti possono contenere composti organici e inorganici, con sostanze sia idrofile che idrofobe.

Per quanto riguarda i cosmetici colorati, i pigmenti minerali sono comunemente utilizzati, ma possono introdurre contaminanti di metalli pesanti come rame, nichel, cobalto, piombo, cromo e cadmio (Arshad et al., 2020). Questi metalli possono essere assorbiti attraverso la pelle o ingeriti, provocando irritazioni cutanee e potenziali effetti sistemici. L'uso deliberato di metalli pesanti, come il piombo e il mercurio, da parte di produttori disonesti, mira a migliorare l'efficacia del prodotto, ma aggrava il rischio per la salute dei consumatori (Perez et al., 2017; Raza-Naqvi et al., 2022). L’aumento nell’uso dei cosmetici ha coinciso con l’aumento dei disturbi endocrini, tra cui tumori al seno, alla prostata e ai testicoli, diabete, obesità e problemi riproduttivi (Srinivasulu et al., 2022).

Il rischio di esposizione ai metalli è aumentato a causa della loro presenza nell'ambiente, derivante sia da fonti naturali, come rocce e suolo, sia da inquinamento antropico (Bocca et al., 2014). Nonostante ciò, le aziende cosmetiche non sono obbligate a dichiarare le impurità nei loro prodotti, lasciando i consumatori all'oscuro dei potenziali rischi. È fondamentale, quindi, promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica sui rischi per la salute derivanti dall'uso prolungato di cosmetici contenenti metalli pesanti. Le agenzie di regolamentazione devono applicare standard più severi per ridurre i contenuti di metalli pesanti nei cosmetici, e le ricerche future dovrebbero concentrarsi sull'individuazione delle fonti di contaminazione e sullo sviluppo di nuove normative per proteggere la salute pubblica e l'ambiente (Abed et al., 2024).

Anche i saponi e i detergenti, seppur meno discussi rispetto ai cosmetici, sono componenti fondamentali nell’igiene quotidiana e nella pulizia di superfici, come pelle, tessuti e materiali solidi. I saponi, derivati da oli e grassi naturali attraverso il processo di saponificazione, sono stati utilizzati per secoli non solo nella vita quotidiana ma anche nelle cerimonie religiose, come strumenti fondamentali per mantenere l’igiene e prevenire la diffusione di malattie (Kirsner & Froelich, 1998). La loro natura alcalina, tuttavia, può provocare irritazioni cutanee e la formazione di sali insolubili in acqua dura o salata, spingendo così lo sviluppo di alternative, come i detergenti sintetici. Questi ultimi, principalmente sintetizzati a partire da composti chimici artificiali, offrono vantaggi in termini di performance e compatibilità con varie condizioni di acqua. I detergenti sono classificati in quattro gruppi in base alle loro proprietà idrofile e di tensioattività: anionici, cationici, anfoteri e non ionici. Ogni tipo di detergente è formulato per specifiche applicazioni, livelli di irritabilità e tossicità (Kirsner & Froelich, 1998).

Oltre a questi, la pandemia di COVID-19 ha provocato un aumento significativo nel consumo di saponi e detergenti, generando un impatto ambientale attraverso il maggiore scarico di acque reflue, che può danneggiare gli ecosistemi acquatici. Il rilascio diretto di acque reflue non trattate nei corpi idrici può compromettere la qualità dell’acqua, riducendo l’ossigenazione e disturbando gli ecosistemi marini (Chen et al., 2021). Per ridurre l'impatto ambientale di saponi e detergenti, si dovrebbe incentivare lo sviluppo di alternative biodegradabili e a base di ingredienti vegetali, promuovendo l’utilizzo di materiali riciclabili e transizioni verso prodotti non tossici e sostenibili dal punto di vista ambientale (Chirani et al., 2021).

In conclusione, la gestione responsabile dei solventi, dei cosmetici e dei prodotti per l'igiene quotidiana è cruciale per ridurre gli impatti negativi sull'ambiente e sulla salute umana. La ricerca deve continuare a progredire verso soluzioni più sicure e sostenibili, ma anche i consumatori devono essere più consapevoli dei rischi associati all’uso di questi prodotti. In questo contesto, è essenziale che le normative e le pratiche industriali evolvano in modo da garantire la protezione della salute pubblica e dell’ambiente, rendendo la sostenibilità una priorità assoluta.

Quali sono le caratteristiche e le implicazioni ambientali dei solventi clorurati organici?

Negli ultimi decenni, i solventi clorurati organici hanno assunto un ruolo cruciale nella contaminazione ambientale, dovuto principalmente al loro utilizzo diffuso in ambito industriale e commerciale. Questi composti, impiegati come agenti detergenti, sgrassanti, solventi e mezzi di processo, presentano caratteristiche chimiche che ne favoriscono la dispersione nell’ambiente: la volatilità e la solubilità. Tra i più noti solventi clorurati vi sono il tricloroetilene, il diclorometano e il tetracloruro di carbonio, sostanze che pur svolgendo funzioni industriali essenziali, si rivelano altamente tossiche e persistenti negli ecosistemi.

La natura persistente di questi solventi comporta una contaminazione duratura del suolo e delle acque sotterranee, fenomeno aggravato dagli incidenti di rilascio e da emissioni non controllate. La loro presenza nell’ambiente non si limita alla contaminazione locale: alcuni composti clorurati sono implicati nella deplezione dello strato di ozono, rendendo necessario un impegno internazionale per il loro controllo e la loro regolamentazione. L’esposizione a tali solventi comporta gravi rischi per la salute umana, inclusi danni neurologici, epatici e un aumento del rischio oncologico, particolarmente per i lavoratori e le popolazioni che vivono nelle vicinanze di siti contaminati.

Per contenere tali rischi, sono stati adottati importanti strumenti normativi a livello globale. Il Protocollo di Montreal ha individuato come sostanze da eliminare progressivamente diversi solventi clorurati organici con potenziale di danno all’ozono, come il diclorometano e il tetracloruro di carbonio. Parallelamente, la Convenzione di Stoccolma ha posto l’accento sulla riduzione degli inquinanti organici persistenti, includendo alcuni solventi clorurati tra le sostanze da limitare. Inoltre, le Convenzioni di Basilea e Rotterdam regolamentano questi composti come rifiuti pericolosi e sostanze chimiche soggette a restrizioni, imponendo un controllo più rigoroso sulla loro gestione e movimentazione.

A livello nazionale, molte nazioni hanno sviluppato normative stringenti. Negli Stati Uniti, il Superfund Act ha favorito interventi di bonifica e restrizione nell’uso dei solventi clorurati. L’Unione Europea, attraverso il regolamento REACH, limita la produzione e l’uso di queste sostanze, mentre il Canada applica standard severi secondo la Canadian Environmental Protection Act. Queste iniziative politiche e regolamentari sono state fondamentali per ridurre l’impatto ambientale e sanitario dei solventi clorurati, favorendo la sostituzione con alternative meno nocive e promuovendo la tutela degli ecosistemi e della salute pubblica.

Oltre alle normative, è essenziale comprendere la complessità delle dinamiche ambientali legate ai solventi clorurati: la loro distribuzione nel suolo e nelle acque è influenzata da molteplici fattori fisico-chimici, come la capacità di adsorbimento nel terreno, la degradazione biologica e chimica, e i processi di volatilizzazione. La contaminazione può quindi manifestarsi in forme diverse, spesso difficili da rilevare e da bonificare efficacemente, richiedendo tecniche avanzate di monitoraggio sia invasive che non invasive, come le analisi geofisiche e i campionamenti in pozzi di monitoraggio. La complessità delle bonifiche è amplificata dalla necessità di ripristinare gli ambienti contaminati senza arrecare ulteriori danni, e di farlo in tempi ragionevoli e con costi sostenibili.

Infine, è importante considerare che la gestione dei solventi clorurati non si esaurisce con le normative e le tecnologie di bonifica. La prevenzione attraverso la sostituzione e la riduzione all’origine del loro uso, unitamente alla sensibilizzazione degli operatori e della società civile, rappresenta un pilastro fondamentale per affrontare il problema in modo duraturo. Il controllo internazionale, la collaborazione tra stati e il trasferimento tecnologico sono altrettanto cruciali per affrontare efficacemente un fenomeno che oltrepassa i confini nazionali, legato a catene di approvvigionamento globali e flussi di sostanze chimiche che richiedono una governance integrata e multilivello.