L'utilizzo delle sottoquery nelle istruzioni SQL complesse è una tecnica fondamentale per estrarre informazioni precise e selettive da grandi volumi di dati. Tuttavia, una questione cruciale riguarda il numero di valori che una sottoquery restituisce. In determinati contesti, specialmente quando viene utilizzato un operatore di confronto come “=”, è essenziale che la sottoquery restituisca un unico valore. Se questo non accade, l’interrogazione principale può generare un errore oppure produrre risultati imprevisti.

Supponiamo di voler selezionare tutti i clienti appartenenti a una determinata azienda, ad esempio Baker Electronic Sales. Se la colonna Company nella tabella CUSTOMER è definita con un vincolo di unicità (UNIQUE), allora siamo certi che la sottoquery restituirà al massimo un solo valore. Ma spesso, nella pratica, tale vincolo non esiste, e la garanzia dell’unicità è affidata a supposizioni esterne allo schema. In questi casi, se la sottoquery restituisce più righe, la query principale fallisce. Se non viene restituita alcuna riga, il confronto si risolve in uno stato di valore sconosciuto (UNKNOWN), e quindi nessuna riga viene restituita dall’interrogazione.

Una soluzione efficace per garantire che una sottoquery restituisca sempre un singolo valore è l’utilizzo delle funzioni di aggregazione, come MAX(), MIN(), AVG(). Queste funzioni riassumono l’insieme dei dati in un unico valore scalare. Ad esempio, per identificare il prodotto con il prezzo più alto all’interno della tabella PRODUCT, si può usare:

sql
SELECT ProductID, ProductName, ListPrice
FROM PRODUCT WHERE ListPrice = ( SELECT MAX(ListPrice) FROM PRODUCT );

Qui la sottoquery calcola il prezzo massimo tra tutti i prodotti e l’interrogazione principale seleziona i prodotti che corrispondono a tale valore. Anche se ci fossero più prodotti con lo stesso prezzo massimo, la sottoquery rimane valida perché restituisce un singolo valore aggregato.

Lo stesso principio può essere applicato a condizioni con altri operatori di confronto. Se si desidera, per esempio, ottenere i prodotti con un prezzo inferiore alla media, è sufficiente scrivere:

sql
SELECT ProductID, ProductName, ListPrice
FROM PRODUCTS

Cos’è l’ipotesi nulla e come si decide di rigettarla?

L’ipotesi nulla, indicata con la notazione statistica H0, rappresenta l’idea che i dati osservati non mostrino nulla di insolito, che cioè siano compatibili con uno stato di equilibrio o di “normalità”. Ad esempio, nel lancio di una moneta, l’ipotesi nulla afferma che la moneta sia equa e che la suddivisione tra teste e croci segua una distribuzione bilanciata, circa 50-50. L’ipotesi alternativa, H1, sostiene invece che la moneta possa essere truccata, quindi che la distribuzione delle teste e croci non sia equa, ma sbilanciata. La statistica inferenziale è il campo che si occupa di prendere decisioni riguardo al rigetto o meno dell’ipotesi nulla sulla base dei dati campionari.

Se, per esempio, si lancia una moneta 100 volte e si ottengono 90 teste e 10 croci, tale risultato è così distante dal valore atteso sotto H0 che si decide di rigettare l’ipotesi nulla, ossia si conclude che la moneta potrebbe non essere equa. Viceversa, se il risultato è intorno a 50 teste e 50 croci, non si dispone di motivi sufficienti per rigettare H0. È importante notare che i statistici non parlano mai di “accettare” H0, ma solo di rigettare o non rigettare l’ipotesi nulla: ciò deriva dalla logica del test statistico, che considera l’ipotesi nulla come punto di partenza da confutare.

La questione di quanto “vicino” a 50-50 debba essere la divisione per non rigettare H0 è cruciale e si basa sulle regole di decisione che definiscono il livello di significatività, ovvero la probabilità di commettere errori. Per esempio, è immediato rigettare H0 con un risultato di 90-10, ma cosa succede con 85-15 o 80-20? La risposta dipende dal contesto e dalle soglie scelte in anticipo, definite tramite criteri statistici che bilanciano il rischio di errori di tipo I e tipo II.

Gli errori di tipo I e tipo II sono intrinseci a ogni decisione statistica. Un errore di tipo I si verifica quando si rigetta H0 pur essendo vera, ossia si conclude falsamente che c’è un effetto o una differenza quando in realtà non c’è. Nell’esempio della moneta, significa rigettare l’ipotesi che la moneta sia equa quando invece lo è davvero. L’errore di tipo II, invece, accade quando non si rigetta H0 pur essendo falsa, cioè si manca di rilevare una reale differenza o effetto presente nei dati. Questo errore rappresenta una perdita più insidiosa, perché si può non scoprire un fenomeno rilevante.

Il rischio di errori dipende dalla quantità e qualità dei dati raccolti: più dati si hanno, più si riduce l’incertezza. Tuttavia, ottenere dati sull’intera “popolazione” di eventi è spesso impossibile, quindi la statistica si fonda sull’analisi di campioni che offrono solo una rappresentazione parziale. Per questo motivo, il giudizio finale resta sempre una decisione basata su probabilità, mai una certezza assoluta.

Un esempio famoso di errore di tipo II è la celebre audizione negativa dei Beatles nel 1962, quando i responsabili della casa discografica rifiutarono un gruppo destinato a diventare leggendario. In quel caso, il giudizio errato impedì di riconoscere un talento reale, un errore dovuto al mancato rigetto dell’ipotesi nulla, cioè alla valutazione che non ci fosse nulla di straordinario.

Nel lavoro pratico con i dati, strumenti come R e RStudio consentono di applicare questi concetti e di implementare test statistici, gestendo oggetti e pacchetti che aiutano a svolgere analisi complesse. La familiarità con l’ambiente di lavoro e la comprensione delle procedure di test sono fondamentali per interpretare correttamente i risultati.

È essenziale comprendere che il rigetto o non rigetto di H0 non è un verdetto finale ma una valutazione soggetta a incertezza. Le decisioni statistiche devono sempre essere contestualizzate con attenzione e accompagnate da un’analisi critica che consideri la possibilità di errori e la necessità di ulteriori dati o studi. La consapevolezza della natura probabilistica dell’inferenza statistica è la chiave per utilizzare i risultati in modo responsabile e informato.

Quali librerie Python sono essenziali per la scienza dei dati e come si integrano?

Python si è affermato come linguaggio di riferimento nella scienza dei dati grazie alla sua versatilità, semplicità e all'ecosistema di librerie sviluppate per analisi, modellazione e visualizzazione dei dati. Tra le librerie fondamentali, Scikit-learn rappresenta il cuore dell'apprendimento automatico in Python, offrendo strumenti per classificazione, regressione, clustering, riduzione della dimensionalità, selezione del modello e pre-processing. Pur essendo costruita su NumPy e SciPy, Scikit-learn si distingue per la facilità con cui consente di applicare tecniche di data mining e analisi avanzate, rendendola indispensabile per chi sviluppa modelli predittivi.

Per quanto riguarda il deep learning, Keras emerge come un'interfaccia di programmazione (API) che semplifica la creazione e l'addestramento di reti neurali profonde. La sua architettura modulare, che si basa su blocchi costruibili e configurabili, facilita sia la sperimentazione che l'estensione con nuovi layer, funzioni di perdita o modelli personalizzati. La combinazione con TensorFlow, che funge da piattaforma sottostante, garantisce prestazioni elevate grazie al supporto per il parallelismo su CPU e GPU, integrandosi in modo naturale con Python e riducendo significativamente le barriere tecniche nell'implementazione di soluzioni di deep learning.

La visualizzazione dei dati, elemento cruciale per interpretare e comunicare risultati, è affidata a Matplotlib. Questa libreria offre un'interfaccia simile a MATLAB per creare grafici bidimensionali che permettono di rappresentare visivamente i pattern presenti nei dati, favorendo una comprensione più immediata anche a chi non appartiene al mondo della scienza dei dati. Senza strumenti come Matplotlib, sarebbe difficile produrre output visivi efficaci e accessibili.

Inoltre, NetworkX rappresenta una risorsa preziosa per l'analisi delle relazioni complesse in sistemi a rete, come le mappe stradali GPS o le reti sociali. La flessibilità di NetworkX, che permette di utilizzare nodi di qualsiasi tipo e archi contenenti dati arbitrari, estende le possibilità analitiche ben oltre ciò che sarebbe praticabile con codice custom, risparmiando tempo e offrendo potenti funzionalità per studiare e visualizzare strutture di rete.

Alla base di tutto ciò, la comprensione delle caratteristiche di Python come linguaggio orientato agli oggetti è fondamentale. In Python, ogni entità, dai numeri alle funzioni, è considerata un oggetto, e questa uniformità semplifica la manipolazione e l'estensione del codice. Conoscere i tipi di dati fondamentali (numeri, stringhe, liste, tuple, set, dizionari) e la loro gestione è imprescindibile prima di affrontare librerie più complesse come NumPy o Pandas.

Non meno importante è la consapevolezza che funzioni e classi sono strumenti per creare codice modulare, riutilizzabile e facilmente manutenibile. Le funzioni elaborano input e generano output in base al loro scopo specifico, mentre le classi fungono da prototipi per generare nuovi oggetti, permettendo così di strutturare programmi complessi in modo ordinato ed efficiente.

Oltre alla padronanza tecnica, è essenziale considerare che l’adozione di queste librerie non è fine a sé stessa. L’uso efficace di Python nella scienza dei dati implica una comprensione profonda delle problematiche di dominio, una chiara definizione degli obiettivi analitici e una costante attenzione alla qualità e interpretabilità dei dati. Inoltre, la sinergia tra librerie permette di costruire pipeline robuste, dalla preparazione dei dati alla modellazione, fino alla presentazione visiva e alla comunicazione dei risultati, rendendo possibile affrontare complessità crescenti con efficienza e chiarezza.

Quali strumenti e competenze sono essenziali per il successo nella data science?

Nell’ambito della data science, la scelta dei formati di file e degli strumenti di analisi rappresenta un punto cruciale per garantire l’efficacia del processo analitico. Tra i formati più universalmente accettati vi sono i file CSV, largamente supportati da applicazioni desktop e web, così come dai linguaggi di programmazione come Python e R. Questi ultimi, rappresentano la colonna portante per la creazione di script personalizzati, con estensioni quali .py o .ipynb per Python e .r per R, strumenti fondamentali per la manipolazione, l’analisi e la visualizzazione dei dati. Accanto a essi, applicazioni più tradizionali come Excel mantengono un ruolo importante per analisi rapide e di dimensioni contenute, mentre per visualizzazioni web interattive, la libreria JavaScript D3.js permette di manipolare documenti web (.html, .svg, .css) in modo dinamico e personalizzato.

L’applicazione della matematica nella data science è imprescindibile. Questa disciplina si basa su metodi deterministici per descrivere quantitativamente il mondo, mentre la statistica, derivata dalla matematica, utilizza un approccio probabilistico e inferenziale. L’utilizzo di modelli matematici permette di costruire modelli decisionali, generare approssimazioni e fare previsioni, contribuendo alla comprensione profonda e significativa dei dati. Il ruolo della matematica è centrale anche nella validazione delle ipotesi, nella simulazione di scenari e nelle previsioni statistiche, competenze spesso rare ma fondamentali per chi aspira a eccellere nel campo.

Il coding, sebbene possa apparire come un ostacolo, è parte integrante e imprescindibile della pratica della data science. Linguaggi come Python e R sono strumenti indispensabili per manipolare, analizzare e visualizzare dati, mentre SQL è fondamentale per l’interrogazione di database. Per chi si occupa di visualizzazioni web personalizzate, D3.js rappresenta uno strumento chiave. L’apprendimento del coding non richiede necessariamente complessità eccessive: un approccio semplice può bastare per raggiungere un livello elevato di competenza. Questa accessibilità rende il coding non più un problema insormontabile ma una skill praticabile e progressivamente migliorabile.

Un elemento distintivo fondamentale della data science rispetto alla statistica tradizionale è l’importanza della competenza specifica nel dominio di applicazione. Mentre gli statistici spesso necessitano di confrontarsi con esperti del settore per interpretare i risultati, i data scientist devono possedere una profonda conoscenza del campo in cui operano, combinando competenze tecniche e settoriali per generare insight rilevanti e contestualizzati. Questa interdisciplinarità si manifesta chiaramente in diversi ambiti: dalla sanità, dove gli informatici clinici utilizzano dati per sviluppare piani di cura personalizzati e prevedere problemi futuri, al marketing, dove l’analisi dei dati aiuta a prevenire la perdita di clienti e ottimizzare le strategie. Anche nel giornalismo, i data journalist estraggono dati in massa per scoprire e riportare notizie aggiornate, mentre i manager della data science e i product manager utilizzano queste competenze per guidare progetti complessi, migliorare processi decisionali e garantire la redditività delle iniziative basate sui dati.

La definizione di una strategia efficace per la data science non può limitarsi a scegliere i soli strumenti di analisi come Python o R. La strategia deve essere un piano tecnico complessivo che integra ogni elemento necessario per il successo dei progetti, con un’attenzione particolare al contesto e all’uso appropriato degli strumenti. Affidarsi esclusivamente al codice per monetizzare i dati può rappresentare una visione limitata e riduttiva. È essenziale considerare l’interazione tra competenze tecniche, conoscenza del dominio e strumenti appropriati per massimizzare il valore derivato dai dati.

Importante è anche comprendere che la data science non è un ambito isolato, ma una disciplina che si interseca con numerose altre competenze e contesti applicativi. Il successo deriva non solo dall’uso di tecniche avanzate, ma anche dalla capacità di integrare conoscenze settoriali e di comunicare efficacemente i risultati a interlocutori di diversa estrazione. Questa sinergia tra abilità tecniche, matematiche e competenza specifica rappresenta la vera forza della data science moderna.