La legge sul copyright, da sempre sotto pressione, si trova ad affrontare una nuova sfida con l'emergere dell'intelligenza artificiale generativa. La tradizionale tensione tra la protezione dei diritti d'autore e l'innovazione tecnologica non è un concetto nuovo, ma l'adozione di tecnologie come la fotografia, il fonografo, i videoregistratori e la condivisione di file peer-to-peer ha messo a dura prova l'efficacia della legge sul copyright. Le corti e i legislatori hanno cercato di bilanciare le richieste dei detentori dei diritti d'autore con la necessità di promuovere nuovi sviluppi tecnologici. Tuttavia, l'emergere dell'intelligenza artificiale generativa rappresenta una rottura tecnologica di livello superiore, mettendo in discussione la validità dei principi della legge sul copyright che hanno resistito ai cambiamenti tecnologici precedenti.
La legislazione sul copyright in Giappone e Cina sta cercando di rispondere a due domande fondamentali sollevate dall’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale generativa: (1) l’uso e il perfezionamento dei dati di addestramento violano la legge sul copyright? E (2) chi possiede i diritti d’autore su un contenuto prodotto con l’aiuto dell'IA?
Nel contesto giapponese, il paese è noto per non essere un pioniere nell’introduzione di concetti legali completamente nuovi, ma per adottare "trapianti legali" — ovvero, l’introduzione di norme giuridiche straniere adattate al contesto socio-culturale e giuridico locale. Nel caso specifico della legge sul copyright, il Giappone si è distinto per l'introduzione di limitazioni specifiche per il "text and data mining" (TDM), nel 2009 e 2012, ponendo una base normativa che oggi è considerata la prima eccezione codificata al mondo per tale pratica. Questa eccezione permette l'uso di opere protette dal diritto d'autore per scopi tecnici legati all'analisi dei dati, al fine di promuovere l’innovazione nel campo dell'intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie digitali.
Il quadro giuridico per il TDM in Giappone si è evoluto, con l’introduzione di nuove disposizioni più flessibili, come quelle del 2018, che esentano dal reato di violazione del copyright l’utilizzo di opere per scopi non finalizzati al "godimento" o "consumo" diretto, come nel caso dell’analisi dei dati o dello sviluppo di tecnologie. La disposizione di cui all'articolo 30-4 della Legge sul Copyright giapponese è particolarmente rilevante, in quanto prevede che sia possibile utilizzare un’opera protetta quando l'uso non mira al "godimento" diretto del contenuto, ma a scopi tecnici, come il miglioramento di tecnologie di registrazione o l'analisi dei dati. In questo contesto, l’utilizzo di opere per il "data mining" è esentato dalla responsabilità per violazione del diritto d'autore, purché non danneggi in modo irragionevole gli interessi del titolare del diritto d'autore.
Il Giappone si è quindi impegnato a bilanciare le necessità di protezione dei diritti degli autori con la necessità di favorire l’innovazione tecnologica, attraverso un approccio che offre certezza per gli sviluppatori di tecnologie, ma che al contempo garantisce la protezione contro abusi. L’introduzione di norme specifiche come l’esenzione per scopi di "data analysis" e per l'elaborazione di dati attraverso l’uso di software è un passo verso una maggiore flessibilità del sistema giuridico.
Per comprendere appieno le implicazioni legali di questi sviluppi, è importante notare che la legge sul copyright, sebbene evoluta, deve affrontare nuove sfide in un mondo sempre più digitalizzato e alimentato dall’intelligenza artificiale. In particolare, l’interrogativo sul possesso dei diritti d’autore in relazione ai contenuti generati dall'IA resta un tema cruciale, in quanto la proprietà intellettuale potrebbe non appartenere più a un singolo creatore umano, ma piuttosto a un sistema automatizzato.
Con l’aumento delle capacità dell’IA generativa, le leggi sul copyright dovranno essere ulteriormente modificate per tenere conto di nuove dinamiche di creazione e distribuzione dei contenuti, cercando di mantenere un equilibrio tra la protezione dei diritti degli autori e la promozione dell'innovazione tecnologica.
Le sfide normative sono complesse, ma è chiaro che le legislazioni nazionali, come quelle giapponese, stanno cercando di rispondere a un mondo che cambia velocemente. L’approccio giapponese, basato su modifiche mirate e flessibili, potrebbe fungere da esempio per altre giurisdizioni, come quella cinese, che stanno affrontando problematiche simili relative all'intelligenza artificiale e ai diritti d’autore.
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Come le Agenzie Federali degli Stati Uniti e l'Unione Europea Gestiscono l'Implementazione dell'Intelligenza Artificiale Generativa nella Pubblica Amministrazione
L'introduzione dell'Intelligenza Artificiale (IA) generativa nei settori pubblici rappresenta una trasformazione profonda e complessa, che coinvolge non solo l’adozione di nuove tecnologie, ma anche l’evoluzione dei quadri normativi, economici ed etici che li accompagnano. I documenti normativi emessi da Stati Uniti e Unione Europea forniscono un quadro dettagliato per l'implementazione e la regolamentazione di queste tecnologie, che non riguardano solo l'innovazione tecnica, ma anche la gestione politica, economica ed etica degli strumenti.
Gli Stati Uniti, attraverso ordini esecutivi e finanziamenti come il Technology Modernization Fund, incentivano le agenzie federali a integrare l'IA generativa nelle proprie operazioni, favorendo l'acquisto di soluzioni sviluppate dal settore privato, principalmente da aziende americane. L'approccio statunitense si concentra sulla creazione di un'infrastruttura che permetta alle agenzie di adattarsi rapidamente alle soluzioni tecnologiche disponibili sul mercato, assicurando nel contempo una governance tecnologica che favorisca l'industria nazionale. L’enfasi viene posta sull’utilizzo di modelli di linguaggio di grande dimensione (LLM), strumenti di generazione e debug del codice, interfacce chat e generatori di immagini basati su prompt, tutti orientati a supportare missioni specifiche e migliorare l'efficienza amministrativa.
L'Unione Europea, pur adottando una posizione più cauta rispetto agli Stati Uniti, non rimane immune all'adozione di soluzioni di IA generativa. Sebbene le linee guida europee favoriscano modelli di accesso aperto e cerchino di mitigare i rischi legati all'uso di strumenti online facilmente accessibili, emerge una certa ambiguità nelle politiche di governance. L'adozione dell'IA è condizionata dalla necessità di rispettare valori fondamentali, come la protezione dei diritti civili, la sicurezza dei dati e la garanzia che le tecnologie non minaccino i principi della democrazia, inclusa la trasparenza e l’equità.
Queste preoccupazioni etiche sono espresse chiaramente sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea, dove il ruolo dell'IA generativa viene visto come complementare a quello dei dipendenti pubblici. L’IA non dovrebbe mai sostituire il lavoro umano, ma piuttosto migliorarne l'efficienza e la qualità, permettendo una gestione amministrativa più equa e accessibile. A livello europeo, l'uso dell'IA nelle giustizia e nell’amministrazione deve essere finalizzato a favorire la trasparenza, l'accesso e la qualità delle decisioni giudiziarie, migliorando l'inclusione per le persone con disabilità attraverso l’utilizzo di chatbot, assistenti virtuali e avatar digitali.
Tuttavia, l’adozione di IA generativa solleva numerosi dilemmi legali e etici. Entrambi gli ordini esecutivi degli Stati Uniti e le direttive europee pongono un forte accento sulla necessità di evitare discriminazioni e favorire la parità. Per esempio, l'ordine esecutivo della Pennsylvania stabilisce che gli strumenti di IA generativa devono essere progettati in modo da produrre informazioni accurate e verificabili, rispettando i diritti di privacy degli utenti e operando in modo trasparente e responsabile. Inoltre, la sicurezza, la protezione dei dati e l'adattabilità delle politiche devono essere garantite per evitare che l’IA rappresenti un rischio per i cittadini o per la stabilità delle istituzioni.
La sfida principale per le amministrazioni è quella di bilanciare l'innovazione con il rispetto dei principi fondamentali della governance pubblica. L’adozione di tecnologie come l’IA generativa non può avvenire senza un attento monitoraggio delle sue implicazioni sui diritti civili e sulla giustizia sociale. La regolamentazione deve tenere conto delle potenziali distorsioni nei processi decisionali e dei rischi legati alla privacy, alla sicurezza dei dati e alla discriminazione. Questo implica una continua supervisione, valutazione e audit dei sistemi di IA implementati, con l’obiettivo di garantire che i benefici per la società siano maggiori dei rischi.
Infine, è essenziale che le politiche di IA siano comprese come un campo in continua evoluzione, dove la ricerca, l'aggiornamento delle normative e il dialogo tra governi, esperti e cittadini devono essere processi permanenti. L'approccio europeo, pur conservando una certa cautela nell'adozione di soluzioni open source o esterne, riconosce l'ineluttabilità di un certo grado di outsourcing, data la complessità e le risorse necessarie per implementare efficacemente modelli di IA generativa su larga scala.
L'intelligenza artificiale, la libertà di espressione e la responsabilità legale: Un'analisi delle sfide contemporanee
Nel contesto dell’intelligenza artificiale (AI), la questione della libertà di espressione assume una nuova dimensione, che mette in discussione i limiti delle normative tradizionali. Un aspetto fondamentale in questa discussione è che, sebbene l’intelligenza artificiale generi contenuti che possono essere visti come una forma di "espressione", i modelli di AI non sono, in senso legale, in grado di essere considerati "parlanti" nel modo in cui lo sono gli esseri umani. Mackenzie Austin e Max Levy, ad esempio, sostengono che per essere protetta dalla Costituzione, un forma di espressione deve essere espressa con una certa consapevolezza del suo significato. Tuttavia, questa consapevolezza è difficile da applicare ai sistemi AI odierni, che generano risultati in modo spesso imprevisto e imprevedibile. La difficoltà di attribuire una "voce" agli algoritmi risiede proprio nel fatto che, per quanto siano programmati per produrre risultati plausibili, la natura esatta di tale output sfugge persino ai suoi creatori.
Nel caso di algoritmi come quelli utilizzati da Google per la ricerca, le implicazioni legali diventano ancora più complesse. L’esempio del sistema di ricerca di Google, che ha erroneamente suggerito ai suoi utenti di "mangiare sassi" per la salute, evidenzia come l’intelligenza artificiale, pur essendo uno strumento creato da esseri umani, possa produrre contenuti che sfuggono al controllo umano. Questo solleva interrogativi legali su chi dovrebbe essere ritenuto responsabile per danni o informazioni fuorvianti generate dall’AI: il creatore del modello, l’utente che interagisce con esso, o l’azienda che lo distribuisce.
In una visione più ampia, la questione si intreccia con il dibattito sulla protezione dei diritti costituzionali. Alcuni sostengono che i diritti di libertà di espressione dovrebbero estendersi agli sviluppatori o agli utilizzatori dei modelli AI, poiché sono loro a influenzare, seppur indirettamente, i risultati generati. Tuttavia, come osservato da Eugene Volokh e Mark Lemley, ci sono diversi gradi di controllo che un individuo può esercitare su un modello AI, e se tale controllo è minimo, è improbabile che gli sviluppatori godano della stessa protezione costituzionale di chi esercita una forma diretta di espressione. La linea tra espressione umana e quella generata artificialmente diventa quindi sempre più sfocata.
L’utilizzo delle tecnologie di moderazione automatica dei contenuti è un altro campo in cui si pone la questione della protezione dei diritti di espressione. Piattaforme come Meta, che usano algoritmi AI per determinare quale contenuto debba essere rimosso in base a criteri di "odio" o violazione delle linee guida, stanno affrontando nuove sfide legali. Giudici come Barrett e Alito, nelle loro opinioni nella causa NetChoice, si chiedono se l’uso di AI per moderare i contenuti equivalga ad una decisione espressiva da parte degli umani che hanno progettato il sistema. Se un algoritmo prende una decisione senza una chiara supervisione o comprensione umana, la sua azione è ancora "espressiva"? E se sì, dovrebbe essere protetta dai diritti costituzionali?
Queste problematiche si intrecciano con il dibattito legale sulla responsabilità delle aziende che sviluppano o distribuiscono AI. Il diritto alla libertà di espressione potrebbe essere esteso alle azioni di queste aziende solo in presenza di un controllo significativo sul risultato generato, ma la natura imprevedibile dei modelli di AI potrebbe far pendere la bilancia verso una visione in cui gli sviluppatori non sono protetti dalla stessa tutela costituzionale riservata a chi esprime direttamente un punto di vista.
Nel contesto delle normative statunitensi, queste questioni si riflettono anche in un cambiamento nelle politiche delle agenzie governative, come la Federal Trade Commission (FTC) o la Consumer Finance Protection Bureau, che stanno cercando di implementare regolamenti per arginare gli usi dannosi dell’AI. Tuttavia, l’efficacia di tali interventi potrebbe essere messa in discussione da mutamenti nella giurisprudenza della Corte Suprema. Ad esempio, il caso Meta vs FTC evidenzia come le aziende possano opporsi alle regolazioni, sollevando questioni costituzionali legate alla portata dell’autorità delle agenzie.
Questo scenario di incertezza e continua evoluzione legislativa mostra che, sebbene l’AI possa produrre contenuti che sembrano esprimere un pensiero, la sua natura automatica e imprevedibile impedisce di considerarla come un’entità capace di esercitare un vero e proprio diritto alla libertà di espressione. Piuttosto, la discussione dovrebbe concentrarsi su come i risultati generati dalle AI vengono usati dai loro creatori, utenti e piattaforme, e fino a che punto questi ultimi possano essere ritenuti responsabili per i contenuti che producono. La sfida sarà trovare un equilibrio tra l’innovazione tecnologica e la protezione dei diritti individuali.
Come le Normative sull'Intelligenza Artificiale Si Adattano alle Differenze Globali: Il Caso del Regolamento e della Cooperazione Internazionale
Nel panorama globale dell'intelligenza artificiale (IA), le differenze nei modelli normativi applicati da diversi paesi sono ampie e complesse. L’Unione Europea ha intrapreso un percorso di regolamentazione robusto e dettagliato con l'adozione del Regolamento sull'Intelligenza Artificiale (AI Act), un approccio che cerca di garantire la sicurezza, l'affidabilità e l'etica nello sviluppo e nell’uso dell'IA. Al contrario, paesi come il Giappone, il Regno Unito e gli Stati Uniti adottano approcci meno stringenti, concentrandosi maggiormente su regolazioni settoriali o linee guida volontarie, piuttosto che su leggi vincolanti.
Negli Stati Uniti, l'amministrazione Biden ha sviluppato una strategia di regolamentazione decentralizzata per l’IA, con agenzie specializzate che sovrintendono a normative settoriali. Tra le iniziative significative, troviamo l'Ordine Esecutivo sull'IA Sicura, Sicura e Affidabile, che sollecita le agenzie a redigere regolamenti specifici per settore, e il framework di gestione dei rischi (RMF) sviluppato dal National Institute of Standards and Technology (NIST). Tuttavia, nel gennaio del 2025, l’amministrazione Trump ha revocato l’Ordine Esecutivo di Biden, dichiarando che l'obiettivo era promuovere lo sviluppo dell’IA, ridurre gli ostacoli normativi e consolidare la leadership globale dell'America in questo campo.
La diversità nei modelli di regolamentazione, che vanno dalle normative "rigide" come quelle dell’UE a quelle più "morbide" adottate da altre nazioni, crea un panorama complesso che le aziende devono navigare. In questo contesto, la Cooperazione sul Codice di Condotta (HCoC), già proposta come principio unificante, potrebbe servire come punto di riferimento per armonizzare e integrare queste differenti normative. L'adozione di questo codice, sia in ambito nazionale che internazionale, potrebbe ridurre la frammentazione normativa e promuovere l’interoperabilità tra i diversi sistemi legali.
L’adozione di standard comuni è particolarmente rilevante in un contesto globale dove le implicazioni legali, economiche e sociali dell’IA sono in rapida espansione. Paesi come il Canada sono già sulla strada per allineare la propria legislazione all’iniziativa internazionale sull’IA, come evidenziato dalla legge AIDA, che potrebbe integrare principi di responsabilità e trasparenza nell’uso dell'IA. La possibilità che il Canada adotti un approccio più rigoroso simile a quello dell’UE potrebbe servire da modello per altri paesi, stabilendo linee guida vincolanti che migliorano la cooperazione internazionale.
Anche la Commissione Europea, attraverso il Regolamento sull'IA, sta facendo passi significativi nel concretizzare le normative, inclusi i codici di condotta pratici. Questi codici, che si sviluppano in modo complementare alle leggi europee, potrebbero essere ispirati e arricchiti da iniziative come l’HCoC. Questo approccio consentirebbe di integrare norme internazionali e promuovere una regolamentazione omogenea tra i paesi membri.
Il Giappone, pur preferendo un approccio di neutralità tecnologica, ha comunque riconosciuto l'importanza di linee guida volontarie per mitigare i rischi emergenti. La continua evoluzione della politica giapponese in materia di IA mostra la volontà del paese di mantenere un equilibrio tra innovazione e sicurezza, e l’HCoC potrebbe giocare un ruolo importante nel guidare le scelte politiche, specie poiché i principi di questo codice sono già presenti nelle linee guida giapponesi per le imprese.
Nel Regno Unito, l'approccio all’IA si caratterizza per un’analisi tecnica e una riflessione continua sulla regolamentazione della vita utile dei sistemi avanzati. L'intenzione del governo britannico di promuovere una regolamentazione pro-innovazione potrebbe beneficiare di un'integrazione con il Codice di Condotta, specialmente alla luce della "Dichiarazione di Bletchley" e di altre iniziative internazionali. La collaborazione tra il pubblico e il privato, che sta definendo i contorni di questa regolamentazione, si sta rivelando una via efficace per rispondere alle sfide di sicurezza e responsabilità.
La creazione di una normativa omogenea che comprenda le diverse sfaccettature della governance dell'IA non è semplice. Ogni nazione, pur mirando a proteggere i suoi cittadini e promuovere l'innovazione, adotta un approccio differente basato sulle proprie priorità politiche, economiche e sociali. Tuttavia, l’adozione di principi comuni come quelli espressi nell’HCoC potrebbe favorire una convergenza delle normative internazionali, riducendo le difficoltà per le aziende che operano a livello globale.
L'integrazione di questi principi normativi a livello globale non è solo una questione di coerenza giuridica, ma anche di sviluppo sostenibile. Le tecnologie emergenti, se non regolamentate correttamente, potrebbero comportare rischi significativi, tra cui la disuguaglianza economica, la perdita di posti di lavoro e la creazione di nuove forme di discriminazione. L’adozione di linee guida etiche condivise potrebbe ridurre questi rischi e creare un ambiente favorevole all'innovazione sicura e inclusiva. L’interoperabilità tra normative diverse è quindi essenziale, affinché l’IA possa essere sviluppata e utilizzata in modo equo, sicuro e responsabile in tutto il mondo.
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