La produzione di idrogeno attraverso l'elettrolisi dell’acqua è una delle metodologie più promettenti per ottenere idrogeno "verde", essenziale per la decarbonizzazione dei settori industriale e dei trasporti. Tuttavia, il processo di elettrolisi presenta delle sfide tecniche legate all’efficienza e alle perdite energetiche. Quando si esamina la produzione di idrogeno, è fondamentale considerare i vari tipi di perdite che influenzano l’efficienza complessiva del sistema. In particolare, si identificano due categorie principali di perdite: quelle resistive e quelle termiche.

Le perdite resistive si verificano all'interno della cella elettrolitica, dove parte dell'energia elettrica viene dissipata sotto forma di calore a causa della resistenza elettrica dei materiali utilizzati. Questo tipo di perdita è inevitabile, ma può essere ridotto scegliendo materiali con una bassa resistività e migliorando la progettazione della cella stessa. Le perdite termiche, invece, derivano dalla necessità di mantenere una temperatura ottimale per il funzionamento dell'elettrolizzatore, che a sua volta dipende dall’efficienza del sistema di raffreddamento.

Un altro aspetto cruciale da considerare è la legge di Faraday, che stabilisce una relazione tra la quantità di idrogeno prodotto e la quantità di energia elettrica applicata. La legge implica che per ogni coulomb di carica che passa attraverso la soluzione, una quantità definita di idrogeno viene prodotta, il che consente di calcolare l’energia necessaria per ottenere una certa quantità di idrogeno. In pratica, la legge di Faraday permette di stimare l'efficienza teorica di un processo di elettrolisi, ma nella realtà il rendimento sarà sempre inferiore a causa delle perdite energetiche.

Per calcolare l'energia richiesta per produrre idrogeno tramite elettrolisi dell'acqua, è necessario prendere in considerazione la potenza elettrica consumata dal sistema di produzione, l’efficienza dell’elettrolizzatore, e le condizioni di operazione. Ad esempio, se un impianto solare produce 100 kWh di energia, e l’efficienza dell’elettrolizzatore è del 60%, l’energia effettivamente utilizzata per produrre 1 kg di idrogeno sarà maggiore di quella teorica, che è di circa 39,4 kWh per ogni kg di idrogeno. La produzione di idrogeno, quindi, dipende anche dalla capacità di gestire in modo ottimale l'energia rinnovabile disponibile, dato che la variabilità delle fonti rinnovabili come il vento e il solare incide direttamente sulla produzione di energia.

Il concetto di termolisi dell’acqua, o scissione termica dell’acqua, è un’altra metodologia che merita attenzione. A differenza dell'elettrolisi, la termolisi sfrutta il calore per separare l’acqua nei suoi componenti, idrogeno e ossigeno. Tuttavia, la termolisi presenta il problema di richiedere temperature estremamente elevate, che risultano difficili da mantenere in modo efficiente e sostenibile. Questo tipo di processo può essere combinato con cicli termochimici per migliorare l'efficienza e ridurre la temperatura richiesta per la scissione dell'acqua.

Un approccio alternativo, che sta guadagnando attenzione, è la fotoelettrolisi. In questo processo, la luce solare viene utilizzata per generare l’energia necessaria a separare l’acqua in idrogeno e ossigeno. Le principali sfide della fotoelettrolisi sono la stabilità e l'efficienza dei materiali fotoelettrici, che devono essere progettati per resistere a lunghe esposizioni alla luce solare e alle condizioni ambientali. Il ruolo fondamentale degli elettrodi fotoelettrici è quello di assorbire la luce solare e convertirla in energia elettrica, che viene quindi utilizzata per scindere l’acqua. Sebbene promettente, la tecnologia è ancora in fase di sviluppo, ma potrebbe rappresentare una delle soluzioni più promettenti per produrre idrogeno utilizzando risorse rinnovabili.

Infine, è essenziale considerare l’integrazione di tutte queste tecnologie in un sistema ottimizzato per la produzione di idrogeno verde. La progettazione di un impianto che utilizzi energia solare o eolica per l'elettrolisi richiede un’attenta pianificazione, considerando la variabilità delle fonti rinnovabili, le perdite energetiche nei vari stadi del processo e la capacità di stoccaggio dell’idrogeno. Un impianto ben progettato deve prevedere anche la gestione delle fluttuazioni della produzione di energia, in modo da garantire una produzione continua e stabile di idrogeno, che rappresenta una delle sfide principali per la diffusione su larga scala di questa tecnologia.

Quali sono le sfide e le opportunità nei sistemi di celle a combustibile basate su elettroliti liquidi e solidi?

Le celle a combustibile (FC) che operano con catalizzatori a base di platino sono una delle tecnologie più promettenti nel campo della produzione di energia pulita. Tra queste, le celle a combustibile a acido fosforico (PAFC) sono particolarmente rilevanti per applicazioni di generazione di energia stazionaria, come i sistemi combinati di produzione di calore e potenza (CHP). Il loro funzionamento si basa sull'elettrolita acido fosforico liquido, che consente una buona conducibilità ionica e riduce le perdite di polarizzazione, migliorando così l'efficienza del sistema FC. Un altro vantaggio delle PAFC è la tolleranza a impurezze come il monossido di carbonio (CO), che può danneggiare altre tipologie di celle a combustibile a bassa temperatura, come le PEMFC (celle a combustibile a membrana polimerica). Le PAFC, infatti, operano a temperature moderate (150°C–200°C), il che contribuisce alla loro stabilità operativa.

Nonostante i benefici, le PAFC presentano alcune limitazioni significative, come una bassa densità di potenza, che ne limita l'impiego in applicazioni di trasporto. L'affidabilità del sistema, che è essenziale per applicazioni stazionarie, può essere compromessa dal degrado dei componenti del sistema a causa della corrosività dell'acido fosforico. Inoltre, il costo iniziale e i costi operativi elevati sono aggravati dal fatto che le PAFC dipendono principalmente da catalizzatori a base di platino, materiale prezioso e soggetto a degrado durante l'uso prolungato. Un altro aspetto problematico è il tempo di avvio relativamente lungo delle PAFC, a causa della temperatura operativa moderata, e la necessità di un sistema di raffreddamento efficace per garantire l'efficienza operativa.

Per affrontare questi problemi, i ricercatori stanno sviluppando nuove soluzioni. Tra queste, l'uso di materiali resistenti agli acidi, l'ottimizzazione della porosità degli elettrodi e lo sviluppo di catalizzatori alternativi non a base di metalli preziosi. Inoltre, l'introduzione di sistemi avanzati di gestione termica e di pre-riscaldamento sta contribuendo a ridurre i tempi di avvio delle PAFC, migliorando la loro competitività economica. Tecniche per la ritenzione dell'acido, come il ricircolo dell'elettrolita e i rivestimenti idrofili, sono altre soluzioni che potrebbero migliorare la durata e la stabilità a lungo termine dei sistemi PAFC.

Analogamente, le celle a combustibile a carbonato fuso (MCFC) presentano un altro approccio interessante alla generazione di energia, operando a temperature molto più alte (600°C–700°C). Questo permette l'utilizzo diretto di idrocarburi come il gas naturale e il biogas, senza necessità di sistemi esterni per la riforma dell’idrogeno. Tuttavia, l'alta temperatura comporta sfide significative, come la necessità di materiali resistenti al calore e alla corrosione, oltre a un sistema complesso di gestione termica. Le MCFC presentano anche problemi legati alla distribuzione e all'evaporazione dell'elettrolita di carbonato fuso, che può influenzare negativamente la stabilità a lungo termine del sistema. Inoltre, il ricircolo del CO₂ è essenziale per il funzionamento continuo delle MCFC, ma comporta costi e complessità progettuali aggiuntivi.

Le ricerche sulle MCFC si concentrano su materiali più resistenti alle alte temperature, come leghe di nichel avanzate e rivestimenti ceramici, oltre a soluzioni per ottimizzare la gestione del CO₂ e per migliorare l’efficienza operativa e la durata del sistema. Anche in questo caso, la ricerca si sta orientando verso catalizzatori non a base di platino, per ridurre i costi e aumentare la competitività economica. Le MCFC, tuttavia, rimangono principalmente adatte per applicazioni stazionarie su larga scala, dove la necessità di calore e potenza elettrica è elevata.

Infine, le celle a combustibile a ossido solido (SOFC) operano con un elettrolita ceramico solido che conduce ioni di ossigeno ad alte temperature (600°C–1000°C). Queste celle, che utilizzano materiali come la zirconia stabilizzata con ittrio (YSZ) o ceria drogata con gadolinio (GDC), sono particolarmente adatte per generazione di energia stazionaria. Tuttavia, anche le SOFC presentano sfide significative legate alla resistenza termica, alla durata dei materiali e alla gestione termica. Nonostante ciò, sono una tecnologia promettente, specialmente per applicazioni che richiedono alte temperature e una buona efficienza operativa.

L'uso di materiali avanzati e tecniche innovative, come le matrici porose per il mantenimento dell'elettrolita e i rivestimenti ceramici, potrebbe migliorare ulteriormente la durata e l'affidabilità di queste celle. Le ricerche in corso sulle SOFC includono anche l'ottimizzazione dei meccanismi di gestione termica per ridurre i tempi di avvio e migliorare l'efficienza complessiva, permettendo potenzialmente alle SOFC di essere utilizzate in un numero più ampio di applicazioni.

In generale, il progresso delle celle a combustibile dipende fortemente dal miglioramento della durabilità e della gestione termica, nonché dalla riduzione dei costi legati ai materiali e alla produzione. Sebbene queste tecnologie abbiano un grande potenziale per la produzione di energia pulita, è fondamentale comprendere che le sfide legate alla temperatura, alla corrosione e alla gestione dell'elettrolita sono aspetti cruciali per il loro sviluppo e per la loro applicabilità in diversi contesti. Ogni tipologia di cella a combustibile ha vantaggi specifici, ma la loro efficienza e la loro applicabilità sono fortemente influenzate da questi fattori tecnici.

Come si progetta e si garantisce la sicurezza nelle stazioni di rifornimento di idrogeno?

La progettazione di una stazione di rifornimento di idrogeno si basa su una rigorosa suddivisione in zone di sicurezza, delineate in base al livello di pericolo associato ai potenziali punti di rilascio di idrogeno. Il sistema di coordinate cartesiane, con assi X e Y, consente di rappresentare le dimensioni spaziali della stazione e di identificare le diverse aree di rischio. Queste aree, generalmente rettangolari, sono classificate in Zone 0, 1 e 2, con un livello di pericolo decrescente, fino alle aree non pericolose. Zone 0 rappresenta l’area con il massimo rischio, tipicamente localizzata in prossimità del serbatoio di stoccaggio dell’idrogeno, mentre le aree meno rischiose sono disposte strategicamente attorno agli altri componenti della stazione, come i dispenser e la sala di controllo.

La distribuzione delle concentrazioni di idrogeno è spesso rappresentata attraverso gradienti di colore, che seguono una funzione gaussiana semplificata per indicare visivamente la dispersione del gas. Le concentrazioni più elevate si trovano nella zona più critica, in prossimità del serbatoio, e decrescono man mano che ci si allontana da questa fonte. Tale rappresentazione è puramente schematica e non rispecchia dati reali; la definizione precisa delle zone di sicurezza richiede un’analisi dettagliata con metodi di fluidodinamica computazionale (CFD), conformità alle normative vigenti e attenzione alle specificità del sito e del progetto.

Dispositivi di sicurezza come valvole di sicurezza per il rilascio della pressione sono essenziali per evitare il sovrappressione nei serbatoi e nelle tubazioni di idrogeno. Queste valvole sono tarate per aprirsi appena sopra la pressione operativa normale, permettendo di gestire piccole variazioni di pressione senza danneggiare l’impianto.

Il monitoraggio delle perdite rappresenta un altro aspetto cruciale della sicurezza. Sistemi di rilevazione delle fughe, come l’XRS 9012, utilizzano sensori specifici per individuare rapidamente e con precisione la presenza di idrogeno, sia in superficie che in condizioni difficili come terreni molli o sottoterra. Questi sistemi impiegano miscele traccianti a basso impatto ambientale e una gamma di accessori per massimizzare la versatilità e l’efficacia dell’individuazione delle perdite, riducendo il rischio di incidenti e la dispersione incontrollata di gas.

Sistemi di arresto di emergenza sono integrati per spegnere automaticamente le apparecchiature in caso di necessità, minimizzando così i rischi per il personale e le infrastrutture. Le valvole specializzate, come le MV Butterfly, C-Rex™ e O-Rex™, sono progettate per funzionare in condizioni estreme, incluse temperature criogeniche e alte pressioni, garantendo un controllo sicuro e affidabile anche durante le situazioni di emergenza.

Per quanto riguarda la prevenzione degli incendi, vengono adottati sistemi di rilevamento sofisticati capaci di individuare fuoco, fumo, radiazioni ultraviolette e infrarosse o la presenza stessa di idrogeno nell’aria. Sistemi di spegnimento con acqua o schiuma sono posizionati per contenere rapidamente eventuali focolai, proteggendo sia le persone che le strutture. La combinazione di rilevatori termici, di fumo, di fiamma e di gas consente una copertura completa e tempestiva, fondamentale in un ambiente dove l’idrogeno può creare condizioni di elevato rischio.

Un’ulteriore complessità deriva dalla natura intrinseca dell’idrogeno, la cui piccola dimensione molecolare può causare danni ai materiali impiegati, con fenomeni come corrosione, fragilizzazione e fessurazione. La scelta dei materiali deve quindi essere accuratamente valutata, tenendo conto di specifiche tecniche e normative. La letteratura tecnica e gli standard di settore forniscono indicazioni dettagliate sui materiali più idonei per lo stoccaggio, il trasporto e l’impiego dell’idrogeno, per garantire la durabilità e la sicurezza degli impianti.

È fondamentale comprendere che la sicurezza nelle stazioni di rifornimento di idrogeno non si limita alla progettazione statica delle zone e all’installazione di dispositivi: essa richiede una gestione dinamica e integrata, che include il monitoraggio continuo, la manutenzione preventiva e la formazione del personale. Solo una visione complessiva e sistematica permette di ridurre al minimo i rischi associati a questa tecnologia, garantendo allo stesso tempo l’efficienza operativa e la protezione dell’ambiente.