L'invecchiamento è un fenomeno naturale che interessa tutti gli organismi, ma la sua progressione può essere influenzata da fattori genetici, ormonali, ambientali e comportamentali. Sebbene non si possa evitare completamente il processo di invecchiamento, è fondamentale comprendere le sue differenti sfaccettature e come questi processi possano essere modulati per migliorare la qualità della vita e mantenere una longevità sana. Due concetti principali emergono quando si parla di invecchiamento: l'invecchiamento fisiologico e quello patologico, entrambi con impatti significativi sulla salute, ma con differenze sostanziali.

L'invecchiamento fisiologico si riferisce ai cambiamenti naturali che avvengono con l'età, in assenza di malattie gravi o alterazioni patologiche. Questo tipo di invecchiamento implica una riduzione graduale della capacità funzionale di organi e tessuti, ma senza raggiungere la soglia di gravità che possa compromettere seriamente la qualità della vita. Un esempio evidente di invecchiamento fisiologico è la diminuzione della massa ossea che si verifica con l'avanzare dell'età, ma che non necessariamente porta a fratture o gravi problemi di mobilità. La perdita di massa ossea è parte di un processo fisiologico che, sebbene riduca la resistenza dell'osso, non arriva a provocare danni debilitanti come l'osteoporosi, che invece è considerata una forma di invecchiamento patologico.

L'invecchiamento patologico, al contrario, è caratterizzato dalla progressione di malattie e disfunzioni che accelerano il deterioramento del corpo. In questo caso, la perdita di massa ossea, per esempio, potrebbe essere così marcata che l'osso diventa fragile e soggetto a fratture anche per traumi lievi, come nel caso dell'osteoporosi. Questo tipo di invecchiamento è spesso associato a fattori di rischio genetici, ambientali e ormonali. L’esempio più lampante di invecchiamento patologico è la fragilità, che si manifesta come un indebolimento generale del corpo e della sua capacità di rispondere allo stress fisico e psicologico. La fragilità si sviluppa quando c’è una riduzione della riserva funzionale degli organi, che non sono più in grado di mantenere i normali livelli di performance, aumentando la vulnerabilità a malattie e disabilità.

L'importanza di distinguere tra invecchiamento fisiologico e patologico sta nell'approccio preventivo. Se l'invecchiamento fisiologico non richiede interventi medici significativi, l'invecchiamento patologico, invece, necessita di una gestione proattiva. La comprensione di questi processi è essenziale per sviluppare interventi efficaci che possano rallentare l'invecchiamento patologico e migliorare la qualità della vita durante la vecchiaia. Un aspetto cruciale di questa prevenzione riguarda il mantenimento di una buona salute fisica e mentale, attraverso attività fisiche regolari, una nutrizione adeguata, e una gestione delle malattie croniche, come l'ipertensione, che se non trattate possono esacerbare il processo di invecchiamento patologico.

Un altro concetto fondamentale legato all’invecchiamento è la fragilità, che non riguarda solo la condizione fisica, ma anche quella psicologica e sociale. La fragilità è uno stato di vulnerabilità dovuto al declino delle riserve fisiologiche e funzionali del corpo, ed è un indicatore importante di invecchiamento patologico. In molti casi, la fragilità non è il risultato di una malattia in sé, ma di un accumulo di fattori che compromettono la capacità del corpo di adattarsi a stress esterni, come infezioni, malnutrizione o traumi. Sebbene la fragilità possa manifestarsi in modo evidente, il processo di declino spesso inizia in maniera subdola e può essere facilmente trascurato. L’individuazione precoce della fragilità è quindi cruciale, poiché consente di intervenire tempestivamente con strategie mirate a migliorare la qualità della vita e prevenire la perdita di autonomia.

Un altro concetto legato alla salute in età avanzata è l’aspettativa di vita sana. Con il progressivo aumento dell'aspettativa di vita, si è posto un accento maggiore sulla necessità di non concentrarsi solo sull'estensione della vita, ma anche sulla qualità della vita stessa. L'aspettativa di vita sana, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, si riferisce al periodo di vita in cui una persona può vivere senza gravi limitazioni nelle attività quotidiane, mantenendo un buon stato di salute. In Giappone, ad esempio, la speranza di vita sana si è notevolmente estesa, con gli anziani che possono vivere più a lungo senza dipendere da cure mediche costanti. Tuttavia, c'è ancora una significativa differenza tra l'aspettativa di vita totale e quella sana, con molti anziani che trascorrono gli ultimi anni della loro vita in uno stato di disabilità o fragilità.

Rafforzare la salute e la longevità invecchiando non significa solo vivere più a lungo, ma farlo mantenendo la propria indipendenza e la capacità di godere della vita. Per raggiungere questo obiettivo, è importante comprendere le implicazioni delle malattie legate all'età e agire preventivamente. Le ricerche scientifiche stanno facendo progressi nel comprendere meglio i meccanismi biologici e molecolari dell'invecchiamento, con l’obiettivo di identificare interventi terapeutici e strategie che possano promuovere un invecchiamento più sano. Questi studi stanno puntando a modificare non solo la durata della vita, ma anche la qualità del vivere durante gli anni più avanzati.

È possibile prevenire il cancro con farmaci? Il caso dell’aspirina e della chemoprevenzione personalizzata

La prevenzione farmacologica del cancro, nota come chemoprevenzione, rappresenta un paradigma che si colloca all’incrocio tra la medicina predittiva e quella personalizzata. Definita per la prima volta da Michael Sporn nel 1976 come “l’inibizione della crescita tumorale attraverso l’uso di composti chimici”, essa si configura oggi come una strategia cruciale in un’epoca in cui l’approccio medico si sposta progressivamente dal trattamento della malattia alla sua anticipazione.

Le strategie di prevenzione oncologica si dividono tradizionalmente in due filoni principali: la strategia di popolazione e la strategia ad alto rischio. La prima assume che un rischio basso ma distribuito su larga scala giustifichi interventi preventivi su tutta la popolazione, mentre la seconda si concentra su individui con rischio elevato, spesso determinato da predisposizioni genetiche, lesioni precancerose o una storia familiare specifica. Tuttavia, l’emergere della medicina genomica e la crescente possibilità di stratificare il rischio a livello individuale stanno ridefinendo questi confini, introducendo una nuova urgenza: quella di rendere rapidamente applicabili e accessibili i farmaci chemopreventivi su base personalizzata.

Nonostante il potenziale, i farmaci attualmente approvati per la chemoprevenzione sono pochi. Tamoxifene e raloxifene, entrambi per la prevenzione del tumore alla mammella, costituiscono esempi rari. In Giappone, fino ad oggi nessun farmaco è stato approvato e coperto dal sistema assicurativo nazionale a questo scopo, ostacolando lo sviluppo commerciale e scoraggiando l’investimento da parte dell’industria farmaceutica. A ciò si aggiunge una carenza di fondi e di ricercatori dedicati, rendendo difficile il passaggio dalla ricerca di base alla sperimentazione clinica e, infine, alla pratica clinica quotidiana.

Per superare questa impasse, è stata avviata in Giappone una strategia mirata con l’obiettivo ambizioso di introdurre il primo farmaco per la prevenzione del cancro riconosciuto a livello assicurativo. Il candidato scelto è un farmaco antico, l’acido acetilsalicilico, comunemente noto come aspirina. Conosciuto per le sue proprietà antinfiammatorie, antipiretiche e antiaggreganti, l’aspirina è sotto osservazione da decenni per i suoi possibili effetti protettivi contro i tumori solidi, in particolare il cancro del colon-retto.

Studi epidemiologici iniziali, rafforzati da metanalisi e pubblicazioni scientifiche (tra cui quelle del gruppo di Rothwell a partire dal 2010), hanno mostrato che l’assunzione regolare di aspirina può ridurre non solo l’incidenza ma anche la mortalità associata a diversi tumori solidi. In Asia, questa ipotesi è stata testata attraverso lo studio clinico J-CAPP (Japan Colon Aspirin Polyp Prevention Study), che ha coinvolto 311 soggetti di età compresa tra i 40 e i 70 anni, tutti con polipi intestinali già rimossi endoscopicamente. Il trattamento con aspirina ha dimostrato un significativo effetto inibitorio sulla formazione di nuovi polipi, con un odds ratio di 0,60 (IC 95%: 0,36–0,98), inferiore anche al rischio riportato in studi occidentali analoghi.

Sulla base di questi risultati, l’attenzione si è poi spostata su patologie ad alto rischio genetico, come la poliposi adenomatosa familiare (FAP), una condizione ereditaria caratterizzata da una quasi certezza di sviluppare cancro colorettale nel corso della vita. Nel trial clinico J-FAPP Study IV, a pazienti FAP che avevano già subito la rimozione dei polipi maggiori di 5 mm tramite colonscopia intensiva, è stata somministrata aspirina a basso dosaggio. L’obiettivo è evitare o ritardare l’intervento chirurgico profilattico – la colectomia totale – che, seppur efficace, compromette in modo significativo la qualità della vita ed espone al rischio di tumori desmoidi post-operatori.

L’utilizzo dell’aspirina in questo contesto, grazie alla sua lunga storia di impiego clinico e alla conoscenza dettagliata dei suoi effetti collaterali, offre un raro equilibrio tra efficacia e sicurezza. Sebbene il farmaco possa apparire poco attraente per le nuove generazioni di ricercatori, proprio la sua semplicità e accessibilità ne fanno un candidato ideale per la diffusione rapida come trattamento preventivo in contesti ad alto rischio.

Accanto alla prevenzione farmacologica, si stanno parallelamente esplorando altre vie di intervento sul processo d’invecchiamento e sulle patologie correlate all’età, come l’Alzheimer e l’osteoartrite, attraverso approcci senolitici e l’utilizzo di composti naturali (fisetina, resveratrolo) o regolazioni comportamentali (digiuno intermittente). Tuttavia, a differenza di questi interventi ancora sperimentali, l’aspirina si colloca già in un’area di transizione tra il laboratorio e la clinica, rappresentando una concreta opportunità di realizzare la medicina predittiva e personalizzata attraverso farmaci esistenti.

È fondamentale che il lettore comprenda che la chemoprevenzione non è una panacea universale, ma una strategia precisa, calibrata su categorie specifiche di rischio e supportata da una crescente mole di evidenze scientifiche. Essa non sostituisce lo screening, né le stra