Donald Trump è emerso come figura populista grazie al suo linguaggio nativista arrabbiato, agli appelli anti-establishment e a un discorso spesso carico di tensioni razziali. Sebbene simile ad altri populisti contemporanei, la sua ascesa al potere si è realizzata attraverso un meccanismo particolare: il sistema del Collegio Elettorale. Nel 2016, infatti, Trump non ha vinto il voto popolare, superato nettamente da Hillary Clinton, ma ha ottenuto la presidenza grazie a un sistema che ha ribaltato la volontà della maggioranza quattro volte dal 1860, sempre a favore di candidati repubblicani. Questo sistema nacque originariamente con lo scopo di evitare “cabale” e influenze straniere nel processo di scelta del presidente, e non come un mezzo per limitare la democrazia popolare; tuttavia, la sua interpretazione moderna vede il Collegio Elettorale come uno strumento creato da un’élite che temeva il potere delle masse, preferendo che il presidente fosse scelto da loro stessi e non direttamente dal popolo.
La mancata vittoria al voto popolare di Trump sottolinea una verità cruciale: il suo movimento populista non è realmente sostenuto dalla maggioranza degli elettori americani. Egli ha però saputo intercettare un segmento rilevante della popolazione insoddisfatta del pluralismo e dell’ideale democratico di uguaglianza universale. È paradossale che molti suoi sostenitori siano tra i più oppressi dal sistema socio-economico dominante, ma sostengano comunque Trump, un fenomeno che Karl Marx avrebbe definito come “falsa coscienza”, ovvero un’incapacità di riconoscere i propri veri interessi. Questi sostenitori percepiscono in Trump un portavoce che condivide la loro visione dell’America, sebbene le sue azioni e retoriche spesso diffondano menzogne, falsità e attacchi alla stampa. I critici lo accusano inoltre di sessismo, razzismo e xenofobia, accuse che lui e i suoi seguaci respingono con forza.
L’attacco verbale che Trump ha sferrato nel 2019 contro quattro congressiste democratiche di colore, note come “The Squad,” ha suscitato una forte reazione pubblica. Definirle “progressiste” e invitare ironicamente a “tornare nei loro paesi” è stato percepito da molti come un episodio di razzismo e sessismo. Queste donne, vincitrici in modo netto nei loro distretti, rappresentano una parte significativa dell’opposizione interna al partito democratico, e le critiche di Trump sembravano mirare a dividere quel partito. Tuttavia, la maggioranza degli americani ha condannato questi attacchi, evidenziando come il comportamento di Trump non rifletta la società nel suo complesso, ma un segmento polarizzato e radicalizzato. Lo slogan “Make America Great Again,” usato da Trump senza mai definire esattamente quale passato glorioso intendeva recuperare, è stato associato da molti al tentativo di riaffermare un’America dominata da un’élite bianca, riproponendo una retorica di esclusione.
L’episodio delle invettive e dei cori razzisti al comizio in North Carolina, in cui Trump si è limitato a non condannare un grido di “Send her back!” rivolto a una delle congressiste, è emblematica del clima di divisione e intolleranza alimentato dal suo discorso politico. “The Squad” ha risposto con fermezza, ribadendo il loro impegno a rappresentare le persone emarginate e oppresse, dimostrando che il populismo negli Stati Uniti si manifesta anche in altre forme, non necessariamente legate a Trump o alla sua visione.
È essenziale comprendere che la politica di Trump, pur radicata in un sistema democratico, ha messo in luce tensioni profonde e difficoltà strutturali di quella democrazia. La strumentalizzazione del razzismo e della paura nei confronti dell’“altro” è stata una chiave della sua strategia, ma ciò non deve far dimenticare che esiste una larga parte della società americana che si oppone a queste dinamiche e che combatte per un modello di convivenza più inclusivo e pluralista. La democrazia americana è così attraversata da contraddizioni: da una parte, il sistema istituzionale può sovvertire la volontà popolare, dall’altra, movimenti diversi si contendono il significato stesso di “popolarità” e “rappresentanza”. Il caso Trump rivela quindi non solo la fragilità degli equilibri democratici, ma anche la complessità e la varietà dei populismi che convivono e si confrontano nel paese.
Qual è il valore economico e sociale dell’istruzione superiore?
I dati statistici del 2017 dimostrano con chiarezza che il livello di istruzione ha un impatto diretto e significativo sui guadagni settimanali medi. Secondo il Bureau of Labor Statistics, chi possiede un dottorato o una laurea professionale guadagna in media più del triplo di chi non ha neanche un diploma di scuola superiore. Anche i possessori di una laurea triennale ottengono guadagni superiori alla mediana generale di 907 dollari a settimana, confermando l’importanza economica di un alto livello di istruzione. Parallelamente, il tasso di disoccupazione diminuisce all’aumentare del grado di istruzione: chi ha un dottorato o una laurea professionale sperimenta un tasso di disoccupazione dell’1,5%, molto inferiore alla media nazionale del 3,6%. Questi dati rivelano non solo un vantaggio personale in termini di guadagni e stabilità lavorativa, ma anche un beneficio per la società nel suo complesso.
L’incremento del reddito associato a un livello di istruzione più elevato si traduce in una maggiore libertà economica, che va ben oltre la semplice soddisfazione dei bisogni primari. Questa maggiore disponibilità di risorse consente agli individui di accedere a beni di lusso, come automobili nuove, vacanze o l’installazione di una piscina, alimentando così i consumi e stimolando l’economia capitalista. Al contrario, un alto tasso di disoccupazione riduce il potere d’acquisto e aumenta la spesa pubblica per i sussidi di disoccupazione, contribuendo a un rallentamento economico generale.
Tuttavia, non tutti i diplomi universitari garantiscono gli stessi ritorni economici. Le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) dominano la classifica dei salari iniziali più alti. Tra le lauree con i guadagni mediani iniziali più elevati figurano l’ingegneria petrolifera, nucleare e chimica, tutte ben oltre i 65.000 dollari annui. Questi dati sottolineano come la scelta del campo di studio influisca notevolmente sulle prospettive salariali, mentre le discipline umanistiche e sociali si collocano spesso in posizioni più basse nella scala retributiva.
Nel contesto contemporaneo, la promozione dell’educazione STEM è diventata una strategia federale negli Stati Uniti, mirata a garantire a tutti un accesso continuo a un’istruzione di qualità in questi settori fondamentali. Tale approccio è percepito come essenziale per preparare la forza lavoro alle sfide tecnologiche e scientifiche del futuro, rafforzando la competitività economica nazionale.
Oltre agli aspetti pratici e economici, l’istruzione superiore ha un valore ideale e culturale insostituibile: essa mira a sviluppare la conoscenza intellettuale e le capacità di pensiero critico. L’intelletto si distingue dal semplice sentire o desiderare qualcosa; è la capacità di comprendere razionalmente concetti astratti, teorie e interpretazioni complesse. L’università favorisce questo tipo di conoscenza approfondita, coltivando menti capaci di affrontare problemi con disciplina e rigore.
Il pensiero critico, in particolare, assume un’importanza cruciale nell’era dell’informazione, caratterizzata dalla diffusione massiccia di notizie false e disinformazione, spesso veicolate da fonti interessate e da un pubblico poco incline a verificare i fatti. Poiché il pensiero critico non è una dote innata per la maggior parte delle persone, è compito dell’istruzione superiore insegnare come analizzare, valutare e verificare le informazioni, sviluppando una capacità intellettuale superiore e indispensabile per una società democratica e informata.
È fondamentale comprendere che l’istruzione non è solo uno strumento per aumentare il reddito o ridurre la disoccupazione, ma un processo che forma individui capaci di pensare autonomamente e di contribuire in modo significativo alla società. L’impatto positivo di un livello educativo elevato si riflette anche nella stabilità sociale, nella qualità del dibattito pubblico e nella capacità collettiva di affrontare problemi complessi. Una società con un maggior numero di persone istruite e critiche è più resiliente, innovativa e capace di crescere in modo sostenibile.
Quali sono le radici e le implicazioni del pensiero irrazionale riguardo alla forma della Terra e all’età del nostro pianeta?
L'assenza di senso scientifico e di razionalità può manifestarsi in credenze profondamente irrazionali, come l’idea che la Terra sia piatta o che umani e dinosauri abbiano convissuto soltanto da poche migliaia di anni. Queste posizioni, prive di fondamento empirico, non solo contrastano con le evidenze raccolte dalla scienza moderna, ma rappresentano anche un ostacolo significativo al progresso del pensiero critico.
L’ipotesi della Terra piatta, ad esempio, si scontra immediatamente con semplici osservazioni e dati facilmente verificabili. Se la Terra fosse davvero piatta, come mai nessuno ha mai trovato il bordo? Ciò implicherebbe l’esistenza di una massa terrestre infinita, ancora inesplorata, o di un limite insormontabile. Le immagini satellitari, le fotografie scattate dalla Luna e le missioni spaziali dimostrano inequivocabilmente la rotondità del nostro pianeta. Eppure, esiste un gruppo – la Flat Earth Society – che continua a promuovere questa teoria, nonostante la mancanza di prove tangibili e l’evidente contraddizione logica. Il loro discorso si fonda più su una sorta di dogmatismo ideologico che su una reale ricerca della verità scientifica, opponendosi a quella che definiscono “l’oppressione del pensiero” e la presunta “menzogna globulare”.
Un altro esempio emblematico di irrazionalità è rappresentato dalla convinzione che la Terra abbia meno di 10.000 anni, derivante da una lettura letterale di testi sacri come la Bibbia e il Corano. Questa visione, nota come creazionismo della Terra giovane, è stata sostenuta da figure pubbliche come l’ex governatrice dell’Alaska Sarah Palin e vari esponenti politici, nonostante le prove geologiche, fisiche e paleontologiche che datano il nostro pianeta a circa 4,5 miliardi di anni. In questa visione, gli umani e i dinosauri avrebbero convissuto, ignorando del tutto le evidenze fossili e radiometriche. Tale posizione si basa spesso su argomentazioni pseudoscientifiche, che vengono smentite da rigorose analisi scientifiche, e rappresenta una sfida importante alla diffusione di una cultura scientifica condivisa.
È importante notare che queste credenze irrazionali non sono solo un problema accademico o scientifico, ma hanno implicazioni sociali e culturali profonde. Esse testimoniano una diffusa sfiducia verso la scienza e le istituzioni, alimentano la diffusione di informazioni false e minano la capacità delle società di affrontare problemi reali con strumenti razionali. La difesa delle idee infondate può diventare una forma di resistenza al cambiamento e all’educazione scientifica.
Oltre alle evidenze dirette, è essenziale comprendere come il contesto culturale, religioso e sociale influenzi la percezione della realtà e la disponibilità ad accettare dati scientifici. Il dialogo con chi aderisce a queste convinzioni richiede quindi non solo la presentazione di fatti, ma anche un approccio empatico che tenga conto delle motivazioni psicologiche e identitarie. Senza questo, l’incontro tra scienza e pseudoscienza rischia di diventare solo un conflitto sterile.
La conoscenza scientifica si basa su metodo, osservazione e verifica; riconoscere la sua importanza e imparare a distinguere tra fatti e credenze è fondamentale per la formazione di cittadini consapevoli. Solo attraverso la diffusione di una cultura critica e razionale è possibile contrastare efficacemente la diffusione di miti e false credenze che ostacolano il progresso umano.
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