Il contesto legale europeo in materia di intelligenza artificiale (IA) ha fatto significativi passi avanti nell'affrontare le problematiche legate alla discriminazione. Questo tema è di particolare rilevanza con l'introduzione del Regolamento sull'Intelligenza Artificiale (AI Act), che include disposizioni per regolamentare l'uso delle tecnologie di IA, cercando di bilanciare l'innovazione tecnologica con la protezione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla non discriminazione.
Il Regolamento AI Act, nella sua versione finale, contiene numerosi riferimenti alla discriminazione e al bias nei sistemi di IA, evidenziando la necessità di prevenire e mitigare gli effetti discriminatori di questi strumenti. Il termine "discriminazione" è ripetuto circa quaranta volte, con un focus prevalente sui sistemi ad alto rischio. Tuttavia, l'analisi di queste disposizioni evidenzia una lacuna significativa, in quanto le norme specifiche sui modelli di IA generativa, che presentano un rischio limitato ma potenzialmente sistemico, non affrontano adeguatamente il problema della generazione di contenuti discriminatori.
La regolamentazione dell'IA generativa, che include modelli capaci di generare contenuti vari come testo, audio, immagini e video, è trattata separatamente dalle normative relative alla discriminazione. Sebbene il Regolamento stabilisca obblighi di trasparenza per questi sistemi, non include misure specifiche per garantire che il contenuto generato non sia discriminatorio. Questo divario legislativo solleva interrogativi sull'efficacia della regolamentazione nel prevenire esiti discriminatori nei contenuti creati da modelli generativi, come ad esempio nei testi prodotti da large language models (LLM) o nei media creati da algoritmi.
Il concetto di "bias" nei sistemi di IA è ampiamente riconosciuto nelle normative europee, ma resta poco esplorato in relazione alla generazione di contenuti. La biasness può emergere in vari modi: attraverso i dati utilizzati per addestrare i modelli, che possono riflettere pregiudizi esistenti nella società, o attraverso i metodi algoritmici che amplificano tali pregiudizi. La regolamentazione dell'IA non ha ancora trovato un modo per intervenire in maniera efficace su questi aspetti, soprattutto in ambito generativo. Sebbene i modelli generativi possano produrre contenuti che sono oggettivamente neutri, le modalità attraverso cui vengono sviluppati e addestrati possono portare alla creazione di contenuti che rafforzano stereotipi e discriminazioni, se non adeguatamente monitorati.
Inoltre, la legislazione europea non ha ancora chiarito completamente se le classi non protette, cioè quelle che non rientrano nelle categorie tradizionali di discriminazione (come razza, sesso, religione, ecc.), possano cercare rimedio legale se subiscono discriminazione da parte di modelli generativi. La questione solleva un altro problema: se la legislazione dell'UE, incentrata principalmente sulle protezioni per gruppi vulnerabili, sia in grado di affrontare equamente le sfide legate alla discriminazione di gruppi meno riconosciuti, ma comunque suscettibili a trattamenti sfavorevoli. Un esempio di questo fenomeno potrebbe essere la discriminazione indiretta, che non si manifesta apertamente ma che ha effetti dannosi su gruppi specifici attraverso i contenuti generati.
In questo contesto, le istituzioni europee si stanno anche interrogando sul ruolo della legge della concorrenza nell'affrontare le discriminazioni causate dall'uso di IA generativa. La possibilità che i modelli di IA vengano utilizzati per manipolare comportamenti o rafforzare disuguaglianze di potere, anche attraverso strategie di marketing o pubblicità mirata, introduce un altro livello di complessità legale. Gli strumenti già esistenti per contrastare la concorrenza sleale potrebbero infatti essere applicati anche per regolare l’uso dell’IA generativa in modo da prevenire abusi che possano causare danni sociali.
L’approccio legislativo europeo ha riconosciuto l’importanza di una supervisione umana costante nel ciclo di vita dei sistemi di IA, ma la vera sfida sta nell’assicurare che tale supervisione non si limiti alla trasparenza dei processi, ma intervenga concretamente nel contenuto stesso che viene generato. Sebbene il Regolamento sull'IA solleciti trasparenza e valutazione del rischio, la sua capacità di intervenire sui contenuti discriminatori generati dai sistemi IA rimane insufficiente senza una normativa più precisa.
Per affrontare adeguatamente la questione, sarà necessario un allineamento tra le politiche anti-discriminazione esistenti e la regolamentazione dell'IA generativa. È cruciale che i legislatori europei considerino una forma di supervisione più rigorosa sui contenuti generati da IA, con l'introduzione di obblighi non solo di trasparenza, ma anche di responsabilità diretta per i risultati prodotti. L’efficacia di tali regolazioni dipenderà anche dalla capacità di rilevare e correggere tempestivamente i pregiudizi nei modelli di IA, attraverso una continua analisi e aggiornamento dei dati utilizzati per l’addestramento degli algoritmi.
Come i Modelli Fondamentali di Intelligenza Artificiale Influiscono sulla Concorrenza nei Mercati Digitali?
Nel contesto dell'intelligenza artificiale (IA) generativa, la crescita dei modelli fondamentali (FM) sta trasformando radicalmente i mercati digitali. Questi modelli, che si basano su architetture di apprendimento automatico pre-esistenti, offrono alle aziende una nuova opportunità di sviluppo di prodotti e servizi altamente innovativi. Tuttavia, l'adozione e l'integrazione dei modelli AI sollevano anche questioni significative per la concorrenza e la regolamentazione dei mercati.
Uno degli aspetti fondamentali nell’analisi della concorrenza nei mercati digitali riguarda l'accesso ai modelli. Esistono diverse modalità con cui i terzi possono interagire con questi modelli. Una di queste è l’accesso basato su un servizio a pagamento, dove le imprese pagano per l’utilizzo di modelli AI tramite token, ovvero dati elaborati in una certa quantità per un prezzo prestabilito. In alternativa, i fornitori di FM possono consentire l'accesso ai modelli sui propri sistemi, eliminando la necessità di condividere i dati con il fornitore di FM. Entrambe queste opzioni pongono sfide in termini di controllo dei dati, protezione della proprietà intellettuale e, soprattutto, concorrenza.
Una delle modalità principali per i fornitori di modelli open-source di generare valore economico senza ricorrere alla monetizzazione diretta è attraverso l’adozione di effetti di rete indiretti. In pratica, il rilascio di modelli open-source, benché non direttamente remunerativo, ha l’obiettivo di attrarre altri sviluppatori o clienti a lavorare con questi modelli. Tale approccio può generare miglioramenti nei modelli stessi e creare una rete di adozione che favorisce la diffusione delle tecnologie, portando, nel lungo periodo, a un incremento della competitività in altre aree di business più redditizie. Questo processo non solo favorisce l'innovazione, ma crea anche barriere di entrata per nuovi attori, consolidando ulteriormente la posizione dei principali sviluppatori di modelli.
Tuttavia, l'adozione e la diffusione di modelli AI generativi possono anche avere impatti collusivi sui mercati. Quando più sistemi AI in competizione iniziano ad adattarsi e a sincronizzare le proprie pratiche aziendali sulla base dei dati raccolti attraverso il mercato, come i prezzi e le condizioni commerciali, si può giungere a una sorta di collusione implicita. In altre parole, l'allineamento delle strategie aziendali potrebbe ridurre la differenziazione competitiva, portando a una convergenza delle politiche commerciali che soffoca la concorrenza sana. Questo fenomeno può essere difficile da rilevare e da regolamentare, poiché non si basa su accordi espliciti tra i concorrenti, ma su un adattamento indiretto attraverso i dati.
Dal punto di vista economico, i mercati digitali si caratterizzano per la presenza di effetti di rete molto forti. I mercati a più lati, infatti, beneficiano enormemente dall’aumento del numero di partecipanti, creando un vantaggio competitivo per gli attori consolidati. Maggiore è il numero di utenti, maggiore è il valore della piattaforma, che attira nuovi utenti e fornitori di servizi, alimentando un ciclo di crescita che diventa autoalimentato. Questo fenomeno è esemplificato dall’integrazione dei modelli AI generativi in prodotti come quelli offerti da Microsoft, dove l’adozione di funzionalità AI aumenta il valore di altri servizi e prodotti, come ad esempio Microsoft 365, migliorando l'engagement degli utenti.
Questo meccanismo di “tipping” verso il monopolio è facilitato da economie di scala e di scopo. Le economie di scala, dove i costi fissi sono distribuiti su un numero sempre maggiore di utenti, permettono alle grandi aziende di abbattere i costi marginali e di espandere rapidamente la propria base di utenti senza un aumento proporzionale dei costi. Questo consente loro di abbassare i prezzi e rendere difficile l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato, creando barriere naturali alla concorrenza. Inoltre, le economie di scopo consentono alle aziende di sfruttare i dati provenienti da diversi mercati per migliorare i propri prodotti e diversificare le proprie offerte, espandendo la propria presenza su più settori e rafforzando ulteriormente la propria posizione dominante.
Nel contesto di questi sviluppi, è fondamentale che i regolatori e gli attori di mercato comprendano le implicazioni a lungo termine dell’adozione diffusa dei modelli AI generativi. Sebbene questi strumenti possano indubbiamente stimolare l'innovazione e la crescita economica, è necessario monitorare attentamente gli effetti collusivi e le dinamiche di concentrazione del potere che potrebbero emergere. La sfida sarà quella di bilanciare l’incoraggiamento all’innovazione con la protezione di una concorrenza sana e dinamica che consenta a nuovi entranti di competere in un mercato che tende ad essere sempre più dominato da pochi, grandi operatori.
Gli LLM e la Pratica Legale: Riflessioni sull'Autorizzazione, la Qualità dei Dati e la Normativa Europea
L'uso dei modelli linguistici di grande dimensione (LLM) nel settore legale solleva numerosi interrogativi circa la loro idoneità e le implicazioni etiche. Sebbene la loro applicazione possa sembrare una soluzione efficace e innovativa per migliorare l'accesso alla giustizia, ci sono rischi che vanno considerati con attenzione. Una delle principali preoccupazioni è se l'impiego di LLM possa essere considerato una "pratica non autorizzata della legge" (UPL, dall'inglese Unauthorized Practice of Law), un aspetto che può pregiudicare la protezione dei consumatori e di altri clienti. Le normative esistenti, in particolare quelle degli Stati Uniti e della Germania, non sembrano sufficienti per proteggere adeguatamente i clienti da errori e “allucinazioni” generate dagli LLM. Questi strumenti, che producono risposte plausibili ma non necessariamente veritiere, pongono sfide particolarmente complesse in termini di affidabilità e qualità dei dati.
Sulla base di tali considerazioni, è suggerito che i legislatori considerino nuove modalità di approvazione, come sistemi di certificazione e procedure di audit che garantiscano la qualità del software legale e, soprattutto, dei dati di addestramento su cui questi modelli si fondano. Questo approccio potrebbe ridurre i rischi legati alla diffusione di informazioni errate e garantire che gli utenti non siano esposti a conseguenze dannose derivanti dall'uso di LLM in contesti legali.
Un'altra problematica di rilievo riguarda la condotta professionale degli avvocati nell'utilizzo di LLM. Attualmente, non è chiaro quale livello di competenza e attenzione sia richiesto nell'impiego di tali strumenti, né come tutelare la riservatezza della relazione avvocato-cliente. Inoltre, resta aperto il dibattito su quanto sia necessario informare i clienti riguardo all'uso di LLM nei loro casi legali. Queste lacune nelle normative professionali rendono urgente una riflessione collettiva per definire degli standard comuni e linee guida etiche per l'integrazione di LLM nella pratica legale.
Il settore legale, grazie al crescente interesse per la tecnologia giuridica, sta cominciando a riconoscere la necessità di un approccio normativo uniforme. È in corso un ampio consenso tra gli studi legali, le associazioni professionali e i regolatori sul fatto che l'introduzione degli LLM deve avvenire in modo responsabile, con una chiara definizione degli standard e delle misure di sicurezza. La creazione di un quadro normativo che comprenda sia la qualità dei dati sia le pratiche di utilizzo degli LLM aiuterà a costruire un ambiente di fiducia sia per i professionisti legali che per i clienti.
L'approccio dell'Unione Europea, con l'adozione dell'Artificial Intelligence Act (AI Act) nel 2024, segna un passo fondamentale nella regolamentazione dell'uso dell'intelligenza artificiale nel settore della giustizia. Questo atto classifica come "ad alto rischio" l'uso di sistemi di IA in ambito giudiziario, poiché le implicazioni per la democrazia, lo stato di diritto e la protezione dei diritti fondamentali sono considerevoli. L'introduzione di questa normativa riflette la necessità di affrontare i rischi associati ai pregiudizi, agli errori e all'opacità che tali sistemi potrebbero generare. La regolamentazione, quindi, non solo si concentra sulla protezione dei diritti dei cittadini, ma anche sulla tutela dell'integrità dei processi legali e delle decisioni giuridiche.
Mentre l'intelligenza artificiale promette di aumentare l'accessibilità alla giustizia, specialmente in un contesto di carenze di risorse e ritardi nei tribunali, l'introduzione di tecnologie come gli LLM potrebbe amplificare il problema delle lunghe attese. Il rischio è che, pur migliorando l'accesso alla consulenza legale, si aumentino le richieste di supporto che, in un sistema già sovraccarico, potrebbero allungare ulteriormente i tempi di attesa per la risoluzione dei casi.
In definitiva, sebbene gli LLM possano svolgere un ruolo importante nell'aiutare i cittadini a comprendere e articolare i propri diritti legali, è essenziale che le tecnologie emergenti vengano implementate con cautela e responsabilità. La definizione di standard, la certificazione della qualità dei dati di addestramento e l'adozione di misure regolatorie efficaci sono passaggi cruciali per garantire che l'introduzione di tali tecnologie non comprometta la qualità della giustizia né i diritti degli individui.
Quali sono le implicazioni legali ed etiche dell'uso dell'intelligenza artificiale generativa nell'amministrazione pubblica?
L'uso dell'intelligenza artificiale generativa da parte delle amministrazioni pubbliche solleva una serie di sfide legali, etiche e politiche che necessitano di un'attenta regolamentazione. Nel contesto dell'Unione Europea, il quadro normativo per l'uso dell'intelligenza artificiale (IA) è delineato in una serie di atti legislativi che stabiliscono le linee guida per il suo impiego, in particolare nel settore pubblico. Tra questi, il Regolamento (UE) 2018/858, l'Intelligence Act e le Direttive 2014/90/UE evidenziano come le amministrazioni debbano agire non solo come utilizzatori, ma anche come fornitori responsabili di sistemi AI.
In particolare, quando un'amministrazione sviluppa un modello di IA generativa destinato a compiti che non rientrano nelle categorie ad alto rischio, essa si configura come "fornitrice" e deve rispettare una serie di obblighi di trasparenza e comunicazione. Un esempio di tale obbligo è la necessità di garantire che i risultati prodotti dal sistema di IA siano chiaramente identificabili come generati o manipolati artificialmente, a meno che il sistema non svolga una funzione assistiva per l'editing standard, senza alterare sostanzialmente i dati in input (Art. 50 [2] AIA). Inoltre, le amministrazioni sono tenute a informare in modo chiaro i cittadini che interagiscono con un sistema di IA generativa, in modo che possano essere consapevoli della loro interazione con una macchina, salvo situazioni in cui l'interazione sia ovvia (Art. 50 [1] e [3] AIA).
Oltre alla trasparenza nei confronti degli utenti, le amministrazioni devono fornire un resoconto pubblico dettagliato riguardo ai set di dati utilizzati per addestrare il modello AI, come previsto dall'Art. 53 [1] AIA. Questo resoconto deve includere una descrizione delle principali raccolte di dati che hanno alimentato il sistema. Nel caso in cui si tratti di un sistema IA su misura o di un'interfaccia generativa integrata nei propri sistemi IA, è essenziale che l'amministrazione acceda a una documentazione tecnica completa riguardante i dataset, a meno che il modello IA non sia sotto licenza di accesso gratuito e aperto (Art. 53 [2] AIA).
Quando le amministrazioni si trovano a essere semplici "distributori" di un sistema di IA generativa, esse sono tenute a comunicare chiaramente che il contenuto è stato generato o modificato artificialmente (Art. 50 [4] AIA). Tuttavia, tale obbligo non sussiste se l'uso del sistema è autorizzato dalla legge per la prosecuzione di procedimenti penali, o se un essere umano rivede i contenuti generati, assumendo un ruolo di controllo editoriale.
L'impiego di sistemi di IA generativa nell'amministrazione pubblica potrebbe anche avere implicazioni significative, influenzando le decisioni relative ai diritti dei lavoratori o l'accesso ai servizi pubblici essenziali. Se l'intelligenza artificiale è utilizzata per prendere decisioni che riguardano l'accesso a benefici o servizi, o per assistere nell'amministrazione della giustizia, come nel caso di un'autorità pubblica che interpreta i fatti e la legge, tali situazioni sono classificate come ad alto rischio, come delineato nell'Allegato III dell'AI Act. In questi casi, le obbligazioni di conformità sono più complesse. Tuttavia, esistono due approcci principali per affrontare tali situazioni. Il primo si applica quando un agente umano è coinvolto nel processo decisionale o editoriale, in tal caso si può ritenere che l'IA non giochi un ruolo determinante e non ci siano obblighi specifici derivanti dal dominio ad alto rischio. Il secondo approccio presuppone che l'IA abbia un impatto significativo sul processo decisionale e che il controllo umano non sia sufficiente a garantire un ruolo decisivo, in questo caso, l'amministrazione dovrà adempiere a una serie di obblighi come la gestione dei rischi e la protezione dei diritti fondamentali, la gestione dei dati, la prevenzione dei bias e l'aggiornamento continuo della documentazione tecnica.
La Commissione Europea ha adottato un approccio sperimentale per favorire l'innovazione nell'ambito dell'IA, attraverso gli "spazi regolatori" (regulatory sandboxes), che offrono un contesto controllato per testare le soluzioni AI e monitorare i rischi emergenti (Art. 57 AIA). Questo approccio sperimentale si inserisce in una strategia a due fasi: una fase esplorativa, in cui vengono testate soluzioni AI nei servizi pubblici, seguita da una fase di industrializzazione quando i risultati sono positivi. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha adottato una strategia simile, realizzando diversi progetti sperimentali con il supporto dell'industria e avviando un "Innovation Lab" per testare tecnologie AI in un ambiente controllato. Questi esperimenti aiutano a comprendere meglio i benefici e i rischi dell'uso dell'IA in contesti amministrativi reali.
Dal punto di vista giuridico, le iniziative per l'adozione dell'IA nell'amministrazione pubblica in Europa sono orientate a garantire la protezione dei diritti individuali e a promuovere l'innovazione, ma allo stesso tempo cercano di prevenire possibili abusi o impatti negativi sul pubblico. La trasparenza, la responsabilità e la salvaguardia dei diritti fondamentali sono principi cardine di queste politiche. Le amministrazioni devono non solo garantire che l'IA operi in modo equo e sicuro, ma anche rispettare gli obblighi di protezione dei dati personali, come stabilito dal GDPR, evitando che l'IA interferisca con la privacy dei cittadini.
Infine, è importante notare che sebbene l'Europa e gli Stati Uniti condividano una visione preventiva riguardo all'adozione dell'IA, ci sono differenze significative nelle modalità con cui le due giurisdizioni regolano questi strumenti. Mentre l'Europa si basa su leggi specifiche, come il Regolamento sull'Intelligenza Artificiale (AI Act), gli Stati Uniti seguono un approccio più frammentato, con oltre 150 misure delegate dalle agenzie federali e un ampio ricorso al quadro di implementazione NIST. Le differenze tra i due modelli si riflettono anche nelle politiche di sperimentazione: l'Europa privilegia gli spazi regolatori per testare in modo controllato le nuove tecnologie, mentre gli Stati Uniti adottano un approccio che enfatizza la sperimentazione diretta all'interno delle agenzie federali.
Le Pratiche Commerciali Manipolative e la Legge: La Protezione del Consumatore nell'Era Digitale
Il concetto di manipolazione commerciale, in particolare nell'ambito digitale, ha suscitato preoccupazioni crescenti sulla tutela dei consumatori contro pratiche ingannevoli o coercitive. La manipolazione personalizzata, nota come "Consumer Manipulation" (CM), sfida il paradigma tradizionale della statistica e dell'analisi delle medie, risolvendo il problema non più su una base collettiva, ma individuale. Le aziende che operano sulla base di profili personalizzati piuttosto che su dati statistici generali, mirano direttamente a singoli individui, e questo rende l'approccio della "persona media" inefficace. Quando una pratica commerciale ingannevole riguarda un individuo, è la sua esperienza unica che deve essere presa in considerazione, piuttosto che un giudizio basato su un consumatore medio. La protezione dei consumatori, quindi, richiede un esame più dettagliato e mirato, non più determinato da criteri statistici generali.
L'Unione Europea ha riconosciuto la necessità di proteggere gli utenti non solo con il GDPR, ma anche con la legislazione relativa ai consumatori, cercando di contrastare le pratiche commerciali manipolative. Alcuni aspetti della Personalizzazione Mirata (PT) e delle manipolazioni commerciali possono essere considerati rilevanti sotto la Direttiva sulle Pratiche Commerciali Ingiuste (UCPD), con limiti ben definiti. In tale contesto, i consumatori all'interno degli Stati membri che hanno recepito la direttiva possono trovare rimedi locali contro le pratiche manipolative che operano con coercizione, inganno o sfruttamento di circostanze individuali. Tuttavia, i non-consumatori e alcune applicazioni di CM, come quelle nel caso delle sigarette elettroniche, restano fuori dall'ambito di applicazione dell'UCPD.
In parallelo, la legislazione sui servizi digitali (Digital Services Act - DSA), entrata in vigore nel novembre 2022 e applicata a partire dal febbraio 2024, cerca di affrontare queste problematiche nell'ambito delle piattaforme digitali. Il DSA, pur essendo focalizzato su social network e piattaforme online che facilitano contratti a distanza, mira a garantire un ambiente online sicuro, prevedibile e affidabile. La legge considera espressamente le "dark patterns" – pratiche ingannevoli e manipolative che alterano la capacità dei consumatori di prendere decisioni libere e informate. La sezione 25 del DSA stabilisce che i fornitori di piattaforme online non devono progettare o organizzare le loro interfacce in modo tale da ingannare o manipolare gli utenti.
Tuttavia, ci sono delle limitazioni importanti da considerare: il DSA non impedisce interazioni dirette con gli utenti, né la pubblicità conforme alla legge dell'UE può essere considerata una "dark pattern". Le pratiche di marketing tradizionali che non manipolano i consumatori attraverso tecniche ingannevoli non rientrano sotto questa normativa. Inoltre, l'applicazione di questa legge è limitata alle piattaforme di grandi dimensioni e ai motori di ricerca "molto grandi", come Google o Meta, lasciando spazi vuoti nella protezione contro la manipolazione nelle piattaforme più piccole.
Il DSA inoltre non considera pratiche di manipolazione più complesse, come quelle che operano sulle emozioni o sulla psicologia individuale, che fanno parte della seconda generazione di "dark patterns". Questi approcci si basano sulla personalizzazione avanzata e sulle tecniche psicologiche che riescono a influenzare profondamente il comportamento degli utenti, spesso senza che questi se ne rendano conto. L'articolo 25 del DSA fornisce alcuni esempi di queste pratiche (come il “nagging” o la difficoltà nel disiscriversi), ma non affronta adeguatamente la manipolazione che agisce a livello inconscio o su base psicologica profonda.
Il Digital Markets Act (DMA), entrato in vigore per regolare i "gatekeeper" digitali, ha un obiettivo simile, ovvero garantire la giusta concorrenza nel mercato digitale, stabilendo regole armonizzate per tutte le imprese in presenza di "gatekeepers", ossia piattaforme con un impatto significativo sul mercato interno. Sebbene il DMA miri a prevenire comportamenti sleali nel mercato, le sue disposizioni non coprono adeguatamente le pratiche di manipolazione, che spesso si nascondono dietro tecnologie avanzate di profilazione e targeting. Il DMA si concentra sul rafforzamento della concorrenza, ma la protezione dei consumatori contro le manipolazioni personali rimane parzialmente trascurata.
L'importanza di una legislazione che comprenda la manipolazione personalizzata e non si limiti a una visione statistica è cruciale per evitare che le normative attuali siano inefficaci. La protezione del consumatore non può più dipendere da una visione astratta o collettiva; essa deve essere orientata all'individuo, alle sue specifiche caratteristiche e vulnerabilità. Inoltre, la trasparenza da sola, come indicato nel DSA, non è sufficiente per prevenire la manipolazione. È necessario sviluppare strumenti legislativi più efficaci che possano fermare le pratiche più invasive e difficili da identificare, come quelle che sfruttano le emozioni e la psicologia del consumatore.
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