L’analisi delle strutture intelaiate, in particolare quelle soggette a deformazioni non lineari, richiede una comprensione profonda delle ipotesi cinematiche adottate e dei parametri che influenzano la rigidezza degli elementi strutturali. Le strutture possono essere suddivise in categorie crescenti di complessità, quali travi, telai piani e spaziali, e strutture reticolari (travi e telai con giunti rigidi o incernierati). Mentre per i reticoli non è necessaria un’ipotesi cinematica per descrivere il comportamento della sezione trasversale, per travi e lastre si utilizzano ipotesi classiche, come quella di Bernoulli-Euler o di Kirchhoff, che impongono limitazioni particolari sulle deformazioni, soprattutto per quanto riguarda le parti non lineari della deformazione.
Queste ipotesi, pur essendo valide in regime elastico lineare, introducono incertezza e termini di rigidezza di ordine superiore nelle formulazioni non lineari, che non trovano giustificazione fisica, specialmente nel caso di rotazioni rigide. Pertanto, nel calcolo agli elementi finiti basato sull’approccio agli spostamenti, la relazione tra deformazioni e spostamenti, così come tra forze interne e tensioni, non è sempre lineare né intuitivamente interpretabile.
La rigidezza elastica , ottenuta dall’energia di deformazione virtuale che coinvolge solo le deformazioni lineari, è ben consolidata e universalmente accettata per elementi strutturali quali tralicci, travi e lastre triangolari. Essa è stata validata attraverso test classici come il patch test, che verifica l’assenza di sollecitazioni o deformazioni in condizioni di spostamento rigido. Questa solidità concettuale non si estende però alla rigidezza geometrica , che deve essere introdotta per trattare fenomeni di instabilità e analisi post-imbibizione (buckling e analisi geometrica non lineare).
La rigidezza geometrica nasce dall’energia potenziale virtuale, in cui entrano in gioco le deformazioni non lineari e le tensioni iniziali già presenti nell’elemento. Tali tensioni rappresentano la fonte principale di instabilità. Tuttavia, l’adozione delle ipotesi cinematiche classiche causa l’insorgere di termini di rigidezza di ordine superiore, che non sono fisicamente interpretabili, soprattutto in relazione a rotazioni rigide. È dunque fondamentale che la formulazione degli elementi non lineari rispetti la cosiddetta regola del corpo rigido: un elemento soggetto a rotazione rigida, se inizialmente in equilibrio, deve mantenere inalterate le forze agenti senza produrre variazioni di sollecitazioni interne.
La regola del corpo rigido diventa quindi il criterio principale per accettare o scartare termini di rigidezza introdotti dalla modellazione non lineare. Essa garantisce la coerenza fisica e la stabilità numerica della soluzione, rappresentando il fondamento della corretta formulazione degli elementi finiti non lineari.
Tra tutte le strutture intelaiate, il traliccio rappresenta la forma più semplice e pulita dal punto di vista della modellazione, in quanto ogni elemento è costituito da membri a due forze, e non richiede ipotesi cinematiche sulle sezioni trasversali. Per questo motivo, tutti i termini di rigidezza derivati dalle deformazioni non lineari si conformano perfettamente alla regola del corpo rigido, offrendo un esempio paradigmatico di validità fisica.
La regola del corpo rigido svolge inoltre altre funzioni cruciali: permette di verificare la qualità di un nuovo elemento non lineare, di aggiornare le forze nodali durante iterazioni soggette a rotazioni rigide e di derivare la rigidezza geometrica basata sui sei gradi di libertà rigidi (tre traslazioni e tre rotazioni) in uno spazio tridimensionale. Nel caso delle lastre triangolari a tre nodi, la rigidezza geometrica può essere ottenuta assemblando le rigidezze dei lati come elementi rigidi.
L’importanza della regola del corpo rigido non si limita alle travi e ai tralicci, ma si estende alle lastre e alle gusce, rendendo possibile una formulazione coerente e fisicamente fondata dell’analisi geometrica non lineare di strutture complesse.
Oltre agli aspetti teorici, risulta imprescindibile una solida conoscenza preliminare dell’analisi lineare delle strutture e della formulazione della rigidezza elastica, poiché questa rappresenta la base su cui si costruisce la modellazione non lineare. L’iterazione incrementale, con metodi come il controllo generalizzato degli spostamenti, rappresenta l’approccio numerico più efficace per analizzare il comportamento post-instabilità, specialmente in presenza di più punti critici.
La comprensione di queste tematiche consente di evitare errori concettuali comuni nell’uso degli elementi finiti, come l’introduzione di rigidezze artificiali o fisicamente ingiustificate, e permette di sviluppare modelli più accurati, robusti e affidabili per l’ingegneria strutturale moderna.
È importante considerare che, oltre alla correttezza delle formulazioni matematiche, la verifica attraverso criteri fisici quali la regola del corpo rigido funge da filtro per l’affidabilità del modello. Questo approccio rappresenta un equilibrio tra la complessità della realtà strutturale e la necessità di soluzioni computazionali gestibili e interpretabili.
Quali sono le caratteristiche e i limiti dei metodi incrementali-iterativi nelle analisi non lineari?
Nell’ambito dell’analisi incrementale-iterativa dei sistemi strutturali non lineari, il comportamento numerico vicino ai punti critici come i punti limite o di snap-back rappresenta una sfida fondamentale. È quindi preferibile parlare di “vicinanze” o “intorni” di tali punti critici piuttosto che dei punti stessi, poiché la soluzione si avvicina asintoticamente a queste condizioni senza mai definirle in modo assoluto. L’analisi si concentra sull’andamento dei parametri di carico e spostamento, che devono restare limitati affinché la soluzione sia numericamente stabile.
Un elemento cruciale è rappresentato dalla matrice di rigidezza generalizzata , la cui determinante, e non quella della matrice di rigidezza originale , determina la stabilità e la limitatezza dei parametri di carico e degli incrementi di spostamento durante il processo incrementale-iterativo. Questo fatto ha un’importanza centrale nel valutare i diversi metodi esistenti.
Il metodo di Newton–Raphson originale, pur mantenendo il parametro di carico costante durante le iterazioni, mostra dei limiti evidenti nei pressi dei punti limite, dove la determinante della matrice tende a zero. Di conseguenza, anche la determinante di si annulla, causando l’unboundedness (divergenza) degli incrementi di spostamento e quindi l’instabilità numerica. Per questo motivo il metodo non è raccomandato in presenza di punti critici.
Il metodo di controllo degli spostamenti, basato sulla scelta di un componente di spostamento come parametro di controllo, si comporta diversamente. Nei pressi dei punti limite, le matrici e rimangono nonsingulari se è nonsingular, garantendo così parametri di carico e spostamento di ampiezza finita. Ciò conferma la capacità del metodo di gestire i punti limite. Tuttavia, in prossimità di fenomeni di snap-back, dove lo spostamento di controllo smette di aumentare o diminuire, la determinante di tende a zero, pur mantenendo non singolare. Questo può causare instabilità numeriche, ponendo un limite anche a questo approccio.
Il metodo dell’arco di lunghezza, soprattutto nella variante con piano normale fisso in uno spazio di dimensione , garantisce che la determinante di resti diversa da zero nei pressi dei punti critici, preservando quindi la stabilità numerica in teoria. Tuttavia, a causa della differenza di unità di misura tra quantità coinvolte, il parametro di carico può assumere valori troppo grandi o addirittura segni errati, causando iterazioni divergenti specialmente vicino ai punti di snap-back con gradiente acuto.
Infine, il metodo di controllo del lavoro, dove il parametro di controllo è l’incremento di lavoro applicato, può incorrere in problemi numerici qualora i gradi di libertà associati ai carichi mostrino comportamenti di snap-back. In queste condizioni, il parametro di carico può diventare illimitato, portando al fallimento del metodo.
Alla luce di questi limiti, il metodo generalizzato di controllo degli spostamenti (GDC) è stato proposto per migliorare la stabilità numerica, la capacità di adattamento agli incrementi di carico e la direzione di carico auto-adattativa. La stabilità di questo metodo dipende dalla corretta selezione dei parametri di vincolo , e , che governano l’andamento degli incrementi di carico e spostamento. Si dimostra così che la stabilità numerica non deriva solo dall’algoritmo iterativo in sé, ma dalla struttura matematica delle equazioni vincolate che guidano il processo.
È importante comprendere che la presenza di punti critici quali punti limite e di snap-back non è un mero dettaglio matematico, ma riflette fenomeni fisici reali che richiedono metodi numerici capaci di adattarsi dinamicamente alla variazione di rigidezza e ai cambiamenti di direzione del percorso di carico. La non linearità strutturale non può essere affrontata efficacemente con metodi che assumono parametri costanti o che non modulano la direzione e l’ampiezza degli incrementi in risposta alle condizioni locali del sistema.
Inoltre, la distinzione tra la matrice di rigidezza originale e quella generalizzata è fondamentale per analizzare e prevedere il comportamento del sistema numerico. La matrice generalizzata incorpora infatti i vincoli imposti e le condizioni specifiche del metodo incrementale, influenzando direttamente la convergenza e la stabilità della soluzione.
La complessità del problema richiede pertanto una visione integrata, in cui la scelta del metodo, la parametrizzazione dei vincoli e la comprensione delle caratteristiche fisiche e matematiche dei punti critici convergono per garantire una soluzione numerica affidabile e coerente con la realtà strutturale analizzata.
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