Possiamo concepire la rappresentazione fisicamente come una propagazione di vincoli: la trasmissione strutturale di forme attraverso interazioni dinamiche. In questo contesto, la definizione di informazione di Peirce come comunicazione di forma e la concezione batesoniana secondo cui l’informazione è una differenza che produce una differenza, si riformulano in termini puramente fisici. Tuttavia, la propagazione dei vincoli, pur essendo il fondamento materiale della rappresentazione, non la esaurisce. Infatti, questa non determina il significato in modo definitivo. Le problematiche della falsa rappresentazione e dell’indeterminatezza del contenuto dimostrano che il significato è intrinsecamente normativo: una correlazione naturale non può essere falsa, ma una rappresentazione sì.
Le correlazioni naturali si manifestano ovunque nel mondo fisico e possono essere intese come regole proiettive fra due tipi di eventi, realizzate attraverso il trasferimento di vincoli in sistemi dinamici. Questo trasferimento costituisce il fondamento dinamico dell’intenzionalità. Tuttavia, la rappresentazione non si riduce a un mero trasferimento di vincoli, perché implica la possibilità di errore, di falsità, di deviazione da un referente stabile e distalizzato.
In ambito filosofico naturalista, il ricorso più comune per spiegare la normatività della rappresentazione è la teoria teleosemantica. Qui, il significato viene concepito come funzione selezionata: se un tratto è stato selezionato per un certo effetto, quell’effetto diventa la sua funzione. Il detector di metalli ha la funzione di rilevare metallo, anche se può occasionalmente non riuscirci; allo stesso modo, il cuore ha la funzione di pompare sangue, nonostante possa malfunzionare. La rappresentazione, dunque, assume un valore funzionale simile: è qualcosa che è “supposta” rappresentare, ma che può anche fallire nel farlo. Un segno ha funzione rappresentativa nella misura in cui è stato selezionato o stabilizzato per trasmettere una forma informativa.
Tuttavia, non tutti gli effetti di un oggetto ne costituiscono la funzione. Un detector di metalli genera anche un campo elettromagnetico o può danneggiare insetti, ma queste conseguenze non sono la sua funzione. È la finalità originaria del dispositivo a determinarne la funzione propriamente detta. Così anche per i segnali: la danza delle api non rappresenta semplicemente l’attività della singola ape, ma codifica precisamente la localizzazione della fonte di nettare. La funzione della danza non è espressione energetica, bensì rappresentazione spaziale di un oggetto distante. Il segnale, dunque, si ancora alla propagazione del vincolo che esso veicola, ma questa propagazione assume valore rappresentativo solo quando è dotata di una funzione teleologica stabilizzata.
La teoria teleosemantica ha il pregio di proporre una spiegazione naturalistica della normatività della rappresentazione, evitando riferimenti a finalità intrinseche. Tuttavia, essa si fonda su una concezione storicistica della funzione: ciò che conta è l’effetto per cui un tratto è stato selezionato nel passato. Questo crea una tensione tra la dimensione storica della selezione e quella attuale della funzione rappresentativa. Il contenuto di una rappresentazione non può essere determinato esclusivamente in base a effetti passati: la rappresentazione opera nel presente, si attualizza nella situazione contingente, e ciò apre la questione dell’interpretazione.
La semiotica peirceana offre un’alternativa. In questo quadro, è l’interpretazione a rendere una correlazione una vera rappresentazione. Tuttavia, l’interpretazione stessa si configura come un processo teleologico, che necessita a sua volta di una spiegazione naturalistica. Il modello dell’autogenesi proposto da Deacon risponde a questa esigenza, fornendo un sistema interpretativo primario basato sull’emergere spontaneo di cicli organizzativi auto-sostenuti. L’interpretazione non è quindi un atto arbitrario, ma una funzione emergente da un sistema organizzato che risponde a vincoli e contingenze.
Infine, il concetto di interpretazione operativa estende questa analisi al livello unicellulare, mostrando come anche i sistemi biologici più semplici possano realizzare processi interpretativi rudimentali. In tali casi, l’interpretazione si configura come una risposta regolata a vincoli ambientali, che acquisisce un valore normativo proprio perché integrata in una struttura funzionale auto-organizzata.
Per comprendere pienamente il significato, non basta quindi individuare i vincoli fisici o le regole funzionali. È necessario cogliere il carattere normativo della rappresentazione, che emerge dall’interazione fra funzione selezionata, interpretazione attiva e contesto operativo. La rappresentazione è sempre un atto orientato, mai neutro, perché nasce da una struttura capace di errare, di riferirsi, di distinguere tra corretto e scorretto, tra il vicino e il lontano, tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere.
Come Comprendere la Semiotica Peirceana: Una Nuova Prospettiva sull'Interpretazione e il Significato
Un segno, o rappresentamen, è un primo elemento che si trova in una relazione triadica genuina con un secondo, chiamato oggetto, tale che è in grado di determinare un terzo, chiamato interpretante, che assumerà la stessa relazione triadica con il suo oggetto, così come il segno lo fa con lo stesso oggetto. La relazione triadica è genuina, ossia i suoi tre membri sono legati tra loro in un modo che non consiste in una semplice combinazione di relazioni di tipo diadico. La semiotica di Peirce, quindi, non è solo una riflessione sui segni, ma è una riflessione su come questi segni funzionano e come determinano il significato attraverso le loro interrelazioni.
La definizione di segno proposta da Liszka (1996, 53) sintetizza quattro condizioni che delineano la semiotica peirceana: (1) la condizione rappresentativa, che afferma che tutti i segni sono diretti verso oggetti, o almeno pretendono di esserlo; (2) la condizione presentativa, che richiede che il segno rappresenti o si correli con l'oggetto in qualche rispetto o capacità (la sua base); (3) la condizione interpretativa, secondo cui il segno deve determinare, potenzialmente o effettivamente, un interpretante, inteso come un segno che traduce o sviluppa i segni originali; (4) la condizione triadica, che sostiene che la relazione tra segno, oggetto e interpretante deve essere triadica, formando un’interrelazione irreducibile dove ciascun componente deriva il suo significato dagli altri.
Un aspetto fondamentale che distingue la semiotica peirceana dalla teleosemantica – un approccio esterno al significato – è la natura interna della semiotica peirceana. In quest’ottica, l’interpretazione gioca un ruolo centrale nel processo di creazione del significato. Deacon (2021) riassume questo concetto come il dogma centrale della semiotica: qualsiasi proprietà di un mezzo fisico può fungere da vettore di segno di qualsiasi tipo (icona, indice o simbolo) riferendosi a qualsiasi oggetto di riferimento per qualsiasi funzione o scopo, poiché queste proprietà sono generate e dipendono interamente dalla forma del particolare processo interpretativo nel quale sono incorporate. In altre parole, ciò che rende qualcosa un segno non sono le sue proprietà intrinseche, ma come queste proprietà vengono incorporate in un processo interpretativo, poiché è proprio l’essere interpretato ciò che conta.
Il concetto di informazione nella semiotica va oltre la semplice trasmissione di dati. Recentemente, con lo sviluppo della biosemiotica, la semiotica ha acquisito una comprensione completamente nuova dell'informazione, specialmente in riferimento ai fenomeni biologici. La biosemiotica postula che il significato sia una caratteristica essenziale dei sistemi biologici. Per comprendere la vita, dobbiamo spiegare i processi di creazione del significato all'interno dei sistemi biologici, processi che sono forme di trasmissione di informazione, le quali possono essere comprese come semiosi, ovvero il processo di segno. Peirce, infatti, scrive: "Un segno può essere definito come un mezzo per la comunicazione di una forma. [...] Come mezzo, il segno è essenzialmente in una relazione triadica con il suo oggetto che lo determina e con il suo interpretante che esso determina. [...] Ciò che è comunicato dall'oggetto attraverso il segno all'interpretante è una forma; cioè, non è qualcosa di esistente, ma è una potenza, è il fatto che qualcosa accadrebbe sotto certe condizioni" (EP2, 544, 22).
Questa comprensione dell'informazione riprende il suo significato etimologico – l’azione di portare la forma nel materiale – e spiega la relazione unidirezionale tra oggetto, segno e interpretante, dove l'oggetto determina il segno, che a sua volta determina l'interpretante, e non viceversa. Le domande centrali nella teoria dell'informazione diventano quindi: Cos'è la forma? Dove esiste la forma in natura? E come la forma acquisisce il suo significato nella semiotica? Queste domande sono particolarmente cruciali per comprendere l'informazione biologica.
Hoffmeyer ed Emmeche (1991), combinando la semiotica con la cibernetica di secondo ordine, spiegano come l'informazione biologica emerga dalla capacità unica degli organismi viventi di rispondere a differenze selezionate nel loro ambiente per mantenere se stessi. L'informazione viene prodotta in questo processo e, per comprenderla, dobbiamo afferrare questa capacità distintiva. "Affinché un sistema sia vivente, deve creare se stesso, cioè deve contenere le distinzioni necessarie per la propria identificazione come sistema" (Hoffmeyer e Emmeche, 1991, 126). Questo carattere autoreferenziale è essenziale per la vita. Al suo nucleo, si trova la dualità del codice: la capacità di un sistema di rappresentare se stesso in due codici diversi, uno digitale e uno analogico, e di trasformare uno nell’altro. Nella trasformazione del codice analogico in digitale, il significato è prodotto, e una forma fisica acquista significato e rilevanza per l'organismo. Al contrario, quando il digitale viene trasformato di nuovo nell’analogico, l’intenzione dell’organismo ha un effetto reale e fisico sul mondo. La semiosi, realizzata attraverso la dualità del codice, colma il divario tra il vivente e il non vivente.
La domanda successiva è: Come può una forma riferirsi a un’altra? Invece di vedere la relazione referenziale di "riferimento" come monotipo, Peirce classifica tre tipi di segni in base alle loro relazioni referenziali: icona, indice e simbolo. Un’icona si correla al suo oggetto attraverso la somiglianza o la somiglianza; un indice si correla al suo oggetto tramite contiguità, che sia causale o spaziale-temporale; e un simbolo si correla al suo oggetto attraverso una relazione convenzionale e abituale. Inoltre, questi tre tipi di segni sono gerarchicamente nidificati: un simbolo si fonda su un indice, che a sua volta si fonda su un’icona (Deacon 1997). Questa classificazione potrebbe offrire una prospettiva radicalmente nuova su problemi classici della filosofia del linguaggio, come il problema del senso e del riferimento, il problema della misrappresentazione/finzione e il problema del simbolo di fondazione.
Nonostante la sofisticata teoria della semiotica peirceana sull’intenzionalità, molti filosofi la trascurano, e ci sono ragioni forti per questo. Primo, l'appello all'interpretazione per spiegare la normatività dell'intenzionalità sembra rimandare la vera domanda senza rispondere completamente. Secondo, come argomenta Babieri (2007; 2019), l'appello all'interpretazione potrebbe non essere allineato con il naturalismo. Mentre la semiotica peirceana fornisce una spiegazione descrittiva della semiosi, i meccanismi dietro il come la semiosi sia possibile restano inspiegati. Chiaramente, la semiosi è intrinsecamente teleologica nel quadro peirceano, e abbiamo bisogno di una spiegazione meccanicistica dello scopo intrinseco dei sistemi interpretativi, se tale scopo esiste. In terzo luogo, poiché l'interpretazione è soggettiva a livello individuale, è difficile spiegare la convenzionalità, l'intersoggettività o anche l'oggettività del significato. Infine, il modello triadico dei segni rimane in parte oscuro, rendendo difficile applicarlo per risolvere i problemi sollevati dalle teorie naturalistiche del significato, come il problema della classe di riferimento e il problema della forza.
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