Nel contesto della politica americana recente, l'immagine di Falstaff, il noto personaggio shakespeariano, è stata evocata per comprendere meglio la figura di Steve Bannon. Falstaff, un nobile che non si comporta come tale, è una figura che suscita disprezzo in Enrico IV Parte 1, dove viene descritto come "quel vizioso reverendo, quella grande iniquità, quel padre ruffiano, quella vanità negli anni" (2.4.412–413). La sua figura è quella di un "misleader" (sostenitore errato) che inganna i giovani, portandoli a vivere nell'immaturità, ed è considerato un "vecchio demonio barbuti" (2.4.421–422). L’idea di Falstaff come il "corrotto" e il "falso" è ben radicata nel testo shakespeariano, ma Bannon interpreta il personaggio sotto una luce diversa.
Secondo Bannon, la sua versione di Falstaff è quella di un eroe che fa il suo dovere, consapevole che finirà male, ma che nonostante ciò si dedica alla sua missione. In questa interpretazione, Falstaff non è il fallito, ma piuttosto il mentore che educa il giovane Hal, futuro re. Bannon si rivede in questo ruolo, considerando se stesso come il consigliere che ha formato Donald Trump per il suo futuro successo. Nella sua visione, Falstaff non è solo una figura di corruzione, ma anche un modello di lealtà, anche se, alla fine, la sua fine è inevitabile.
Questa lettura di Falstaff trova un parallelo interessante in un altro scritto di John Dryden, che definisce il personaggio come "un bugiardo, un codardo, un goloso, un buffone". In effetti, la figura di Falstaff è stata spesso associata a caratteristiche negative: l’inganno, la paura, la corruzione morale. Tuttavia, se lo si guarda sotto una lente moderna, la sua abilità nel manipolare e attirare attorno a sé i giovani può anche essere vista come una metafora per il potere di influenzare le menti, anche a costo di un disastro imminente.
Nel XX secolo, la figura di Falstaff è stata reinterpretata da studiosi come Samuel Johnson, che ha avvertito che il pericolo di un personaggio simile sta nella sua capacità di piacere e corrompere al contempo. Falstaff è, come Bannon, un "leader" che esercita una forza di attrazione, ma che alla fine è dannoso per chi lo segue. Questo pericolo non è solo teorico: le sue azioni e il suo comportamento indegno sono una continua provocazione per la moralità e l’ordine. Come nel caso di Bannon, il suo compito è quello di "formare" una generazione, ma l'ignoranza che propaga porta inevitabilmente a una rottura.
In un contesto ancora più ampio, la figura di Falstaff è legata al concetto di "Riot", il personaggio della morale rinascimentale, che simboleggia il caos e l’insubordinazione, un parallelo pericoloso che si inserisce nell’analisi di Bannon. Nella "Interlude of Youth", un dramma del XVI secolo, il personaggio di Riot recluta giovani, promettendo loro una vita di sregolatezza e ribellione. Questo è il ruolo che Bannon ha potuto interpretare nel periodo della sua influenza sulla destra americana: quella di alimentare il malcontento e la rivolta, senza fornire una vera guida morale o politica.
Tuttavia, la sua parabola non può che concludersi come quella di Falstaff: rifiutato dal giovane re, il vecchio consigliere è esiliato, messo da parte quando l'immaturità lascia il posto alla maturità. Nel momento in cui Bannon si identifica con Falstaff, si espone alla stessa sorte che attende ogni "mentore" che si oppone al progresso e alla crescita. Il suo rifiuto da parte dei "giovani" che aveva contribuito a formare, i cosiddetti "gamer alt-right", non è solo un'inevitabile rottura, ma una lezione sul pericolo di restare ancorati a un passato che il futuro ha ormai superato.
In definitiva, l'interpretazione di Falstaff come allegoria di Bannon mette in luce la transitorietà e la pericolosità del potere basato sull'inganno e sul caos. Come Hal in Enrico IV, anche la società americana è destinata a "bannire" coloro che, pur avendo avuto un ruolo formativo, rappresentano una minaccia per il suo futuro.
Come i Politici di Shakespeare Rappresentano la Resistenza Contro il Potere: Paralleli tra il Cesare di Shakespeare e Trump
La figura del tiranno, attraverso la lente del pensiero politico occidentale, è sempre stata un concetto che sfida l'autorità, sia nei contesti monarcici che nelle forme democratiche emergenti. Se pensiamo alle definizioni classiche di tirannide, come quella di James Madison nei Federalist Papers, comprendiamo come la concentrazione di poteri nelle mani di un singolo, sia esso un monarca, un gruppo ristretto, o una figura eletta, rappresenti un pericolo per la libertà. “L'accumulo di tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, nelle stesse mani, sia di uno, di pochi o di molti, sia ereditario, auto-nominato o elettivo, può essere giustamente definito come la tirannia", scriveva Madison. Applicato al caso di Donald Trump, questo definirebbe il suo comportamento più come una manifestazione di tirannide morale che di tirannide giuridica.
Tuttavia, non bisogna fermarsi alla definizione teorica; l'approccio di Trump alla politica, infatti, fa emergere una figura che agisce come un tiranno pur non essendo legalmente tale. Questo ci richiama alla figura di Cesare in "Giulio Cesare" di Shakespeare, un uomo il cui potere non si basa su leggi o politiche ben definite, ma sulla sua personalità dominante. Cesare, come Trump, si distingue per la sua figura enigmatica, forte più nelle apparenze che nelle sue azioni concrete. Shakespeare dipinge Cesare come un uomo che, sebbene abbia un’influenza straordinaria, non è né un genio politico né un vero leader, ma una figura simbolica, che muove la politica con il suo carisma e la sua aura quasi divina.
La rappresentazione politica nel "Giulio Cesare" di Shakespeare, però, offre anche uno spunto critico sulle dinamiche interne della resistenza. I cospiratori, tra cui Bruto e Cassio, si presentano come politici che operano dietro le quinte, facendo ampio uso della manipolazione e dell'inganno, pur mantenendo una facciata di lealtà. L’elemento interessante qui è la contraddizione tra il loro dichiarato amore per la repubblica e le azioni che mettono in atto, spesso caratterizzate da un’assenza di coesione e di obiettivi chiari. Questo riflette in qualche modo la frammentazione che vediamo oggi nelle resistenze politiche, dove gruppi che si oppongono a figure di potere come Trump non riescono sempre a superare le divergenze interne e a formare una coalizione solida e strategica.
Nella produzione del Public Theater di New York, il cesarismo è stato rappresentato in modo volutamente provocatorio, con Cesare che indossava il completo presidenziale e il contesto scenico che rifletteva la sala del Senato degli Stati Uniti. Questo contesto ha reso ancor più palpabile la connessione tra la politica antica e quella moderna, dando visibilità ai paralleli tra la figura di Cesare e le dinamiche politiche degli Stati Uniti contemporanei. La scelta di rappresentare i cospiratori come un gruppo di giovani uomini e donne afroamericani e di successo ha suscitato un'ulteriore riflessione sulle alleanze politiche in tempi di polarizzazione.
Anche l'opposizione dei tribuni Flavio e Murello, che rappresentano la voce popolare contro Cesare, offre una riflessione interessante. Se da un lato essi si oppongono al crescente potere di Cesare, dall'altro la loro stessa arroganza e disprezzo nei confronti del popolo li rende vulnerabili. Nella messa in scena di Eustis, questi personaggi sono giovani attivisti di colore, ma pur nel loro attivismo radicale, non sono in grado di comprendere pienamente le esigenze e le motivazioni della classe operaia che vorrebbero rappresentare. Questo solleva la questione della distanza che spesso separa le classi politiche dalla base popolare, una distanza che può portare a errori fatali nelle scelte politiche, come dimostra il tragico corso degli eventi nella commedia.
Il contrasto tra la retorica dei cospiratori, divisi nelle loro scelte e mosse politiche, è palpabile. Ogni volta che Cassio propone una strategia, Bruto la rifiuta, convinto di avere la soluzione migliore, ma finendo per compiere errori fatali, come la decisione di portare la battaglia a Filippi. La mancanza di unità tra i cospiratori e la loro incapacità di prendere decisioni razionali diventa un elemento centrale della tragedia. In questa dissonanza tra azione e pensiero, Shakespeare sembra suggerire che la vera forza politica risiede nell'abilità di un gruppo di mantenere la coesione e la lucidità in tempi di crisi.
I cospiratori di Shakespeare, e in particolare Cassio, incarnano un malessere profondo: l'invidia verso Cesare non nasce da differenze ideologiche, ma dalla sua capacità di accumulare onore e acclamazione, qualità che Cassio desiderava per sé. La sua figura, sebbene disgustata da Cesare, non è motivata dalla giustizia o da un ideale più alto, ma da un desiderio di riconoscimento e di rivalsa. Questo stesso atteggiamento è presente nei repubblicani che si sono opposti a Trump nelle primarie, non perché lui rappresentasse una minaccia alla libertà, ma per l'onore e il potere che lui ha saputo accumulare.
Questa riflessione ci porta a una conclusione inquietante: la politica non è solo una questione di idee e principi, ma di dinamiche umane complesse, dove l'ambizione, l'invidia e la vanità giocano ruoli centrali. La lotta per il potere, nelle sue varie forme, è sempre più un gioco di personalità, piuttosto che una vera battaglia ideologica. Se i politici non riescono a superare le proprie divisioni interne e a concentrarsi sull'obiettivo comune, rischiano di essere consumati dalle stesse forze che cercano di contrastare.
Perché Bannon ha scelto le tragedie romane di Shakespeare? Un'analisi della sua visione politica e culturale
Steve Bannon, figura centrale nella politica americana contemporanea, ha spesso espresso il suo profondo interesse per la storia romana e per la cultura che l'ha forgiata. Questo interesse ha una forte connessione con la sua interpretazione di Shakespeare, in particolare con le tragedie romane come Titus Andronicus e Coriolanus. Queste opere, caratterizzate da forti temi politici e morali, sembrano parlare direttamente alla sua visione del mondo. Ma cosa trovava Bannon in queste tragedie romane e come le applicava alla sua comprensione della politica moderna?
La scelta di Bannon di concentrarsi su Titus Andronicus e Coriolanus è emblematica del suo approccio alla storia. Entrambe le opere trattano temi di guerra, potere e le tensioni tra il popolo e l'élite, elementi che risuonano con le sue convinzioni politiche. Queste tragedie, come suggerisce l’analisi di Bannon, sono diverse dalle più conosciute opere di Shakespeare, come Amleto, Othello, Re Lear o Macbeth, che si concentrano su questioni più personali e psicologiche. Le tragedie romane, al contrario, affrontano questioni di virtù, sacrificio e la lotta per il potere, che, a suo parere, rispecchiano meglio le sfide del mondo moderno, in particolare quelle degli Stati Uniti.
Bannon vedeva nella storia romana, soprattutto attraverso il filtro di Edward Gibbon e della sua celebre opera Storia della decadenza e della rovina dell'Impero Romano, un parallelismo con l'America contemporanea. Secondo Bannon, la Roma antica era un esempio di virtù romana, intesa come un legame tra l'individuo e lo Stato, in cui il cittadino serviva la causa collettiva. Tuttavia, l'espansione dell'Impero, il suo contatto con le culture barbariche e l'assunzione di mercenari come soldati furono, secondo Gibbon, tra le cause principali della sua caduta. Bannon ha applicato questa lettura della storia romana alla politica americana, vedendo l'influenza di forze esterne e l'erosione della cultura nazionale come analoghe a quanto accadde a Roma. La visione di Bannon era chiaramente influenzata da un'idea di virtù virile, che considerava essenziale per mantenere l'integrità e la forza di una nazione.
Le opere di Shakespeare diventano quindi per Bannon non solo un racconto drammatico, ma un'allegoria della lotta politica. Shakespeare, attraverso la figura del senato romano e delle sue lotte interne, rifletteva le problematiche politiche della sua epoca. Il parallelo con gli Stati Uniti di oggi, secondo Bannon, era evidente: l'elite che manipola il sistema politico e la perdita della connessione tra il popolo e la governance. Questo spiega la sua fascinazione per le tragedie romane, dove il conflitto tra i desideri individuali e le necessità collettive è centrale, ma soprattutto dove il fallimento del potere costituito porta alla tragedia.
Tuttavia, la visione di Bannon si distacca da quella più tradizionale della politica romane, proponendo un'interpretazione moderna e, talvolta, controversa. Le sue versioni adattate di Titus Andronicus e Coriolanus riflettono un'interpretazione razziale e culturale molto marcata, che nel caso di Coriolanus suggerisce una visione problematica della violenza tra gruppi etnici, mentre in Titus Andronicus la narrazione ruota attorno alla distruzione della "razza nobile" e alla purificazione culturale attraverso il potere. Questi temi risuonano con le sue politiche di immigrazione restrittiva e l'idea di una nazione che deve "proteggere" la sua identità culturale da influenze esterne.
Il personaggio di Titus, nella tragedia di Shakespeare, è il classico eroe tragico: un uomo nobile che commette un errore fatale, trascinando sé stesso e la sua famiglia nella rovina. La sua ricerca di vendetta lo porta a compiere atti estremi, che lo rendono simile al suo nemico. Questa dinamica di giustizia fai-da-te, che sospende la legge civile, è un tema ricorrente nelle tragedie vendicative, ma nelle versioni moderne di Bannon diventa simbolo di un intervento violento per restaurare un ordine perduto, un ordine che non è più sostenuto dalla legge o dalle istituzioni.
In particolare, la tragedia di Titus Andronicus, con il suo sangue e violenza quasi insostenibili, si presta ad una lettura moderna che enfatizza l'idea di una società in cui il conflitto tra diversi gruppi culturali e sociali non può essere risolto pacificamente, ma solo attraverso la distruzione reciproca. Questo è un tema ricorrente nelle opere di Bannon, dove il conflitto sociale viene esacerbato da una visione del mondo polarizzata e dallo smarrimento dei valori tradizionali.
Al di là dell’adattamento artistico e letterario, è importante considerare come Bannon usi la storia e la cultura per sostenere una visione del mondo che difende l'isolazionismo e un'identità culturale nazionale forte. La sua lettura della storia romana non è solo una riflessione sulle cause di un crollo imperiale, ma un invito a proteggere l'identità nazionale da quelle che lui percepisce come forze esterne destabilizzanti. Bannon, quindi, non si limita ad utilizzare Shakespeare e la storia romana come strumenti per raccontare tragedie lontane nel tempo, ma li impiega per criticare la condizione contemporanea e costruire una narrazione che giustifichi il ritorno ad un passato idealizzato.
Questo approccio implica una visione del mondo in cui la storia, pur se utilizzata come strumento di riflessione, viene anche distorta per adattarsi alle esigenze politiche del presente. La lezione che Bannon trae dalle tragedie romane di Shakespeare e dalla storia di Roma antica è che le società che perdono la loro virtù fondamentale, che cedono al cosmopolitismo e alla corruzione interna, sono destinate a crollare sotto il peso delle loro stesse contraddizioni. In questo contesto, il messaggio di Bannon diventa chiaro: la civiltà deve preservare la propria purezza culturale e politica, o rischia di soccombere come fece l’Impero Romano.
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