Nel XVII secolo, la scarsità delle risorse naturali non era considerata una limitazione nell’analisi economica di John Locke. Al contrario, il mondo sembrava essere a disposizione, pronto per essere sfruttato. Sebbene il consumo eccessivo fosse vietato, l'uso di oggetti preziosi come moneta rappresentava una legittima forma di conservazione di valore, nel caso in cui un proprietario avesse acquisito più di quanto potesse utilizzare. Locke, per sviluppare la sua teoria del denaro, prende un esempio semplice e agricolo, ma nelle sue riflessioni successivamente introduce il denaro nel contesto dello stato naturale. Se un individuo avesse scambiato il suo raccolto di noci per un pezzo di metallo dal colore piacevole, o scambiato le sue pecore per conchiglie, o la sua lana per un ciottolo scintillante o un diamante, e avesse tenuto questi oggetti—metallo, conchiglie, pietre, diamanti—per tutta la sua vita, non avrebbe invaso i diritti di nessun altro. Quello che avrebbe superato i limiti della sua proprietà legittima non sarebbe stato l'acquisire una grande quantità di beni, ma il lasciarli deteriorare senza usarli. Così, secondo Locke, il denaro era diventato una forma di valore durevole che le persone potevano conservare senza che questo si deteriorasse, e che, con il consenso reciproco, poteva essere scambiato per i beni effettivamente utili, ma deperibili.

Questa riflessione diventa centrale quando si considera il concetto di proprietà derivante dal lavoro. Locke sosteneva che il lavoro crea la proprietà della terra (così come di altri beni), che altrimenti sarebbe priva di valore, e che un individuo potesse possederne quanto fosse in grado di lavorare e utilizzare. Ma la chiave di lettura di questa teoria stava nell'idea che l'utilizzo di tali risorse potesse essere rimandato nel tempo, vendendo i frutti del proprio lavoro per denaro, senza necessità di utilizzarli immediatamente. L'idea di Locke non conosceva limitazioni per quanto riguardava la terra, che sembrava essere illimitata, e dunque l'unico ostacolo al suo sfruttamento era il lavoro che si poteva impiegare su di essa. Di conseguenza, il suo pensiero si adattava bene alla storia dell'espansione degli Stati Uniti e alla privazione delle terre dei nativi americani, nei confronti dei quali Locke non riconosceva legittimamente il possesso della terra, poiché non la lavoravano come i colonizzatori europei avrebbero fatto.

Questa concezione si scontra con le visioni moderne, come quella della tribù Sioux Standing Rock e dei loro alleati, che nel 2017 persero una lunga protesta contro la costruzione del Dakota Access Pipeline (DAPL). I manifestanti sostenevano che il progetto avrebbe messo a rischio l'unica fonte di acqua potabile della riserva, avrebbe aumentato le emissioni di carbonio e danneggiato siti sacri. Nonostante ciò, le autorità governative continuarono a sostenere la necessità del progetto per motivi economici, promettendo la creazione di migliaia di posti di lavoro temporanei e benefici fiscali. Il contrasto tra le prospettive degli indigeni, che non vedono la natura come un bene da sfruttare, e quelle di chi cerca di trarne profitto, evidenzia una differenza profonda che risale alle teorie Lockeane, dove il valore della terra e delle risorse naturali è visto unicamente attraverso il prisma del lavoro e della produttività economica.

Nel contesto contemporaneo, la discussione si estende ad un concetto più ampio di “stewardship”, ovvero la cura responsabile dell’ambiente, che è stato adottato anche da altre figure religiose, come Papa Francesco. Tuttavia, la tensione rimane tra chi considera le risorse naturali come qualcosa da proteggere per le generazioni future e chi invece le vede come risorse economiche da sfruttare senza troppi freni, come indicato nella retorica di Scott Pruitt, ex direttore dell'EPA degli Stati Uniti. La sua visione, infatti, è che l'ambiente debba essere trattato come un giardino da coltivare, senza preoccuparsi eccessivamente degli impatti a lungo termine.

La sfida ambientale odierna, con i suoi effetti devastanti su cibo, acqua, aria, suolo e biodiversità, ha un impatto ben oltre quello che una teoria economica basata sul lavoro e sul profitto può prevedere. Gli eventi climatici estremi, i disastri naturali, l'inquinamento e la gestione delle risorse sono ormai tematiche globali che non riguardano più solo la salvaguardia del patrimonio naturale, ma anche la giustizia sociale ed economica. È fondamentale comprendere che la nostra relazione con l’ambiente non può più essere vista come una mera risorsa da sfruttare senza considerare gli effetti a lungo termine, ma come un sistema complesso che richiede una gestione olistica e una consapevolezza delle generazioni future.

La cittadinanza e il concetto di "buon cittadino" nelle società moderne

Il progresso storico degli Stati Uniti ha visto, dopo il successo iniziale delle leggi sui diritti civili negli anni '60, un ritorno a conflitti più radicati e difficili da risolvere nei rapporti razziali, caratterizzati da violente esplosioni, come l’uccisione di giovani neri disarmati da parte della polizia. Tali eventi si inseriscono in un contesto in cui si è intensificata la criminalizzazione degli uomini neri, alimentata da un pregiudizio stereotipato che ha avuto il suo inizio, come sostiene Vesla Weaver, con quella che definisce “frontlash” negli anni '80, ossia una reazione conservatrice all’uguaglianza formale non bianca. L’uso politico dell’immagine del crimine nero ha portato all’introduzione di leggi più severe, specialmente per i crimini legati alla droga, aumentando la presenza della popolazione nera nel sistema penale degli Stati Uniti.

La guerra civile americana, che può essere vista come una battaglia per la schiavitù e definita da un conflitto razziale, non è mai veramente finita. Sebbene oggi le manifestazioni e i discorsi pubblici siano mantenuti non violenti, e una vittoria politica possa mantenere la pace, la verità è che nessun partecipante può prevedere completamente cosa accadrà, e i progetti di liberazione sono intrinsecamente difficili da portare a termine. L’unica certezza che abbiamo, dal punto di vista filosofico, è che possiamo creare una visione informata degli eventi attuali, ma non possediamo né il controllo su questi eventi né su come essi influenzeranno gli sviluppi futuri.

In questo processo storico, però, abbiamo il dovere di ricambiare in tutti i modi le innumerevoli beneficenze che riceviamo vivendo nelle nostre comunità, che fanno parte di un tutto più ampio, a cui milioni di persone contribuiscono amministrativamente, materialmente e culturalmente. Siamo, come dice Aristotele, animali politici. Anche se la nostra eccellenza non risiede nell’attività politica, siamo obbligati a parteciparvi. Abbiamo il dovere di essere buoni cittadini.

La cittadinanza, infatti, ha due facce: come il governo riconosce e tratta i cittadini e cosa fanno i cittadini stessi. Ci sono due tipi di cittadini: quelli riconosciuti come tali dal governo e dalla comunità, e quelli che dovrebbero essere riconosciuti ma non lo sono ancora, come i giovani immigrati protetti dal DACA negli Stati Uniti, o le donne prima del suffragio universale. In una visione ampia, la cittadinanza non dipende solo dal diritto di voto, sebbene tale diritto rappresenti un onore ufficiale importante. A volte, essere cittadini significa semplicemente risiedere in una comunità e contribuire ad essa, attraverso il lavoro, la cultura o la partecipazione sociale. Non è necessario avere la possibilità di votare per essere considerati cittadini, anche se tale possibilità è senza dubbio l’onore principale riconosciuto a chi possiede la cittadinanza. I criminali, pur non avendo diritto di voto, sono ancora cittadini. La cittadinanza va quindi oltre il semplice riconoscimento legale: include anche l’idea di partecipazione attiva e di impegno nella vita pubblica.

Inoltre, la cittadinanza può essere intesa come una forma di "stato" o "status", come Judith Shklar ha brillantemente argomentato, includendo non solo la possibilità di votare e di guadagnare, ma anche il riconoscimento civile che accompagna queste possibilità. La partecipazione politica, secondo Shklar, è essenziale: un buon cittadino non si limita a votare, ma partecipa attivamente alla politica, si oppone a leggi ingiuste, ascolta gli argomenti contrari e valuta le loro meriti, assumendo la posizione di chi sa che il bene comune è al di sopra delle preferenze individuali.

Una buona cittadinanza implica un impegno di ascolto, che oggi, in un sistema politico bipartitico estremamente polarizzato, è cruciale. L’ascolto non riguarda il tollerare l’odio irrazionale, ma comprendere le ragioni dietro il dissenso. Ad esempio, molti elettori bianchi che continuano a supportare Trump lo fanno per sentirsi rispettati da una classe politica che percepiscono come distante e disinteressata alle loro esigenze. Questo senso di disprezzo subito da una parte della popolazione deve essere riconosciuto e affrontato, non semplicemente ignorato.

Anche se il buon cittadino può essere fortemente impegnato in una parte politica, deve comunque fare le proprie scelte politiche con l’obiettivo di contribuire al bene comune, senza lasciarsi sopraffare dal desiderio di vittoria politica. L’impegno civico implica una partecipazione costante e consapevole sia a livello sociale che politico. Non sempre è possibile distinguere chiaramente tra l’impegno a favore del contratto sociale e quello a favore del compatto sociale, ma in ogni caso, il cittadino è chiamato a lavorare per un obiettivo più grande del proprio interesse individuale.

In definitiva, una buona cittadinanza non si limita al semplice esercizio dei diritti formali, ma implica una partecipazione attiva, una continua riflessione sulle scelte politiche, e un impegno costante a favore di una società che sia giusta e inclusiva per tutti. La cittadinanza, dunque, è una responsabilità che va oltre i diritti formali e che include l’attività continua di miglioramento della comunità e del sistema politico nel suo complesso.