Nei miei anni di viaggi, mi sono spesso trovato a riflettere sulle differenze culturali tra i luoghi che ho visitato, ma anche sulle similitudini che legano i popoli. La mia esperienza negli Stati Uniti, in particolare in Arizona e New Mexico, è un esempio lampante di come l'organizzazione e la preparazione siano essenziali, ma anche come piccoli errori possano cambiare il corso di una giornata.

Era il periodo in cui lavoravo al KPNO, e ogni mattina partivo presto per tornare solo quando il caldo della giornata era ormai sopito. Durante i fine settimana noleggiavamo auto per esplorare i dintorni, e una volta addirittura per un’intera settimana. Questa ultima occasione si è verificata quando dovevo partecipare a una conferenza presso il nuovissimo radiotelescopio Very Large Array a Socorro, New Mexico. Mi era stato consigliato di arrivare il giorno precedente, in modo da sistemarmi prima dell'ora di chiusura, fissata alle 17. Avevamo percorso la strada con calma, arrivando a Socorro alle 16:45, ma un errore di calcolo legato al fuso orario ci costò più di quanto avremmo immaginato. L’Arizona segue il fuso orario del Pacifico, mentre il New Mexico è su quello delle Montagne, quindi, quando guardai l’orologio, l’ora era già passata: erano le 17:45, troppo tardi. Il sito era deserto e la ricerca delle chiavi per le camere sembrava un’impresa ardua. Fortunatamente, un osservatore nella torre di controllo riuscì a trovare il custode, che ci permise finalmente di sistemarci.

L’alloggio era composto da due stanze simili a quelle di un motel. Avremmo preferito dormire tutti insieme in un’unica stanza, ma Geeta e Girija, le nostre figlie, insisterono per dormire separate, ognuna in una camera. Nonostante la stanza fosse ben equipaggiata e avessimo un telefono funzionante, le ragazze si sentivano eccitate all’idea di dormire da sole. Ovviamente, le indicazioni sulla sicurezza erano chiare: non aprire la porta a nessuno tranne che a noi. Durante il ritorno, ci fermammo a visitare il Meteor Crater e il Petrified Wood National Park, per poi proseguire verso Phoenix, dove cenammo con una delle figlie del nostro vicino, il professor Naranan del TIFR. Quando arrivammo a Tucson, era ormai passata la mezzanotte.

Il viaggio da Tucson a Los Angeles doveva essere il culmine della nostra avventura, con una visita all’IAU Symposium all’Università della California. Decidemmo di prendere il treno notturno da Tucson per arrivare a Los Angeles e trascorrere l’intera giornata a Disneyland. Geoffrey Burbidge, un collega, si mise a ridere quando gli raccontai l’idea, avvertendomi che contare sul treno era una scelta poco realistica, dato che negli Stati Uniti le persone preferiscono l’automobile o l’aereo. Nonostante i suoi avvertimenti, prenotammo comunque i biglietti per il treno, ma ben presto scoprimmo che il nostro treno era in ritardo di cinque ore, e successivamente sei. Preoccupati di perdere tempo, decidemmo di cancellare il viaggio in treno, scegliendo invece di volare, con un volo che ci avrebbe portato direttamente a Los Angeles al mattino.

La difficoltà nel prenotare i mezzi di trasporto non si limitò ai treni. Durante i miei soggiorni negli Stati Uniti, mi accorsi che le compagnie di noleggio auto avevano cominciato a richiedere carte di credito al posto dei classici depositi in contante, il che rendeva più complicato trovare una compagnia che ancora accettasse il pagamento in denaro. Tuttavia, riuscivo comunque a noleggiare un’auto quando necessario, anche se la ricerca della compagnia giusta stava diventando una sfida.

Nel 1984, tornai negli Stati Uniti con la mia famiglia, estesa ormai con l’arrivo di Leelavati, o Leelu. Durante il mio soggiorno da solo, trovai un alloggio presso una gentile signora, Mildred Mathews, figlia dell’astronomo Harlo Shapley. L’esperienza di vivere con Mildred, una professionista nell’editing di manoscritti, mi portò ad apprezzare anche altri aspetti del soggiorno: come la solitudine e il silenzio, che a volte danno modo di concentrarsi meglio su ciò che si sta facendo.

Durante questo viaggio, ci avventurammo di nuovo a Disneyland, ma con un risultato inaspettato. Geeta e Girija si divertivano sulle montagne russe e altre giostre, mentre Leelu, appena tre anni, iniziò a piangere ogni volta che un giro li portava in un ambiente buio. Mi venne in mente la reazione simile di Geeta durante la sua prima visita a Disneyland, quando aveva appena 18 mesi. Questa esperienza mi fece riflettere su quanto sia importante conoscere le necessità dei bambini e le loro percezioni in momenti di grande novità e stimolazione.

Fino al 1981, tutti i miei viaggi si erano concentrati sull'Occidente. Tuttavia, una volta mi venne l’opportunità di partecipare a una riunione regionale dell’IAU a Bandung, in Indonesia. Questo viaggio mi portò a scoprire una parte del mondo che conoscevo poco, ma che mi impressionò profondamente. Tra le varie tappe, mi fermai anche a Singapore, dove fui testimone di un miracolo di sviluppo urbano e sociale. In pochi decenni, Singapore si era trasformata da una città povera in un modello di efficienza e disciplina civica, dove anche i piccoli dettagli, come la pulizia delle strade e il rispetto delle regole, contribuiscono al successo collettivo. In India, si sogna spesso di emulare questo modello, ma la strada è ancora lunga.

In questi anni di viaggi, non solo ho avuto la possibilità di visitare luoghi affascinanti, ma ho anche imparato molto sui comportamenti umani e sulle diverse visioni del mondo. Dalle meraviglie naturali e scientifiche degli Stati Uniti alle innovazioni tecnologiche e sociali di Singapore, ogni esperienza mi ha fornito una nuova lente attraverso cui osservare la vita.

Come si diventa un Fellow di un College di Cambridge: una riflessione sulla carriera e la vita accademica

Il mio primo incontro con la comunità accademica di Cambridge fu segno di una nuova tappa nella mia carriera. Il contesto era altamente prestigioso, e l'occasione, che si è rivelata determinante, fu un incontro con il Provost di King's College, Noel Annan, che mi invitò a diventare Fellow del Collegio. L'invito veniva accompagnato dalla promessa di una cerimonia solenne che si sarebbe svolta nella cappella del College, un luogo di straordinaria bellezza e significato storico.

Quella che sembrava essere una semplice cerimonia di ammissione si è rivelata molto più di un semplice rito formale. Era il momento che sanciva il mio ingresso in una comunità intellettuale di straordinario valore. Come membro di una delle istituzioni più rinomate di Cambridge, avevo l'onore di essere accolto ufficialmente nel Collegio, un onore che, per un giovane accademico, segna un passo fondamentale nella carriera. La cerimonia stessa, che prevedeva il giuramento solenne, si è svolta in un'atmosfera di grande rispetto e, in qualche modo, di intima riflessione. La mia ammissione non avvenne nel nome della Trinità cristiana, ma nel nome di "Dio", un piccolo ma significativo segno del rispetto per le differenze religiose che contraddistinguono il Collegio.

L'emozione di quel momento fu amplificata dal fatto che ero circondato da storici e scienziati di fama internazionale. Mi ritrovai a sedere al tavolo principale della cena con figure che avevo solo letto nei libri, come lo scrittore E.M. Forster, il cui lavoro era sempre stato per me fonte di ispirazione. La conversazione con lui, che si concentrava su temi lontani dalla vita accademica, come i miei legami con la mia città natale, Kolhapur, in India, ha reso quel momento ancora più speciale. Ciò che sembrava un incontro casuale, si è trasformato in un legame inaspettato, basato su esperienze condivise e interessi comuni.

In seguito alla cerimonia, la vita accademica a Cambridge divenne per me un percorso di continua scoperta. Mi venne offerto un alloggio temporaneo nell’edificio della Gibbs Building, uno degli spazi più emblematici del Collegio, dove avrei dovuto restare fino a quando non fosse stato trovato un appartamento più permanente. Il collegamento tra la vita quotidiana del Fellow e la storicità dell'edificio in cui risiedevamo era evidente in ogni dettaglio. Le stanze, i corridoi, persino l’atmosfera che si respirava, portavano con sé il peso della tradizione e dell’eccellenza accademica.

Quando finalmente mi venne offerto un appartamento nell’ala A del Collegio, divenni consapevole della singolarità del mio status. La vita quotidiana di un Fellow, pur nella sua solennità, presentava anche aspetti curiosi. Ad esempio, il bagno, condiviso con il Fellow che abitava nell'appartamento accanto, E.M. Forster, aveva una geografia inusuale: due ingressi separati, ognuno per i rispettivi inquilini, e una porta esterna che dava sull'esterno. Ogni dettaglio di quella vita mi ricordava che ogni aspetto della mia esistenza a Cambridge era contrassegnato dalla tradizione e dal rispetto per la privacy e l’individualità degli accademici.

Oltre alla meraviglia di vivere e lavorare in un luogo così prestigioso, ciò che rendeva davvero unica la mia esperienza fu la consapevolezza di far parte di una tradizione che non solo incoraggiava l'eccellenza, ma che allo stesso tempo sfidava le convenzioni. L'incontro con figure intellettuali di un calibro così elevato mi ha dato un'opportunità senza pari di crescere, non solo come accademico, ma come individuo. La convivenza con grandi menti, la partecipazione a pranzi e cene con altri Fellows, mi ha insegnato che la vera ricerca non è solo quella che si svolge nei laboratori o nelle biblioteche, ma anche quella che nasce dal confronto quotidiano, dalla discussione intellettuale e dalla costruzione di legami che trascendono le discipline.

Un aspetto che non dovrebbe essere sottovalutato è il peso che l'appartenenza a una comunità accademica di alto livello comporta. Non è solo un riconoscimento del proprio lavoro, ma un impegno continuo verso la ricerca, l'innovazione e la condivisione del sapere. Cambridge, come altri centri accademici di prestigio, non è solo un luogo dove si riceve un titolo, ma un ambiente in cui si è costantemente stimolati a migliorarsi e a spingere i confini del pensiero.

L'importanza di far parte di una tradizione così storica non va vista solo come una sorta di legittimazione del proprio status, ma anche come un'opportunità di crescita personale e professionale. Ogni Fellow, pur mantenendo la propria individualità, è parte di un mosaico che rappresenta il progresso intellettuale e l'evoluzione della società. La competenza, l'umiltà e l’impegno sono le qualità che un Fellow deve coltivare, non solo per se stesso, ma anche per contribuire alla collettività accademica.

La Distinzione che Supera le Aspettative: Un Percorso tra Sfide e Successi

Durante gli anni scolastici, poche esperienze riescono a segnare profondamente come quelle che si vivono durante la preparazione per un esame cruciale. L'anno finale della scuola superiore è sempre un momento di grande aspettativa, un trampolino di lancio verso il futuro. Per molti di noi, l’esame di ammissione all’università rappresentava un obiettivo fondamentale. Come in ogni scuola, anche la nostra scuola, pur non essendo un istituto di grande fama, nutriva le sue speranze su alcuni studenti in particolare, con l’idea che uno di noi avrebbe potuto emergere e portare onore alla scuola.

Nel mio caso, fu il preside stesso a stimolare per la prima volta una seria ambizione. Durante un esame a metà anno, il preside aveva valutato il mio compito di hindi e mi aveva assegnato 65 punti su 100, commentando che, a quel ritmo, avrei probabilmente mancato la distinzione (75%) nell'esame finale. Sebbene questa osservazione potesse sembrare una critica negativa, era in realtà un invito a migliorare, una sfida per dare il massimo. Per la prima volta, in quel momento, l’idea di raggiungere una distinzione in hindi sembrò realizzabile. Fino ad allora, infatti, si pensava che fosse quasi impossibile ottenere un voto di distinzione in una materia come l’hindi, un’idea radicata tra gli studenti. Era infatti un po’ un'ironica consuetudine quella di dire che l’esaminatore di hindi "poteva già prendersi i 25 punti iniziali", lasciando così poco spazio per speranze di risultati eccellenti.

Detto ciò, questa osservazione del preside si rivelò come una molla, un elemento che mi spronò a dedicarmi con impegno a quella materia, anche a costo di sacrificare altre aree di studio. In quel periodo, un mese prima degli esami, il nostro gruppo di studenti della X fu congedato dagli allievi della IX e dai professori, in una cerimonia che rimase indelebile nei miei ricordi. Nonostante il clima di festa, la mente era già focalizzata sull’esame che sarebbe stato determinante per il nostro futuro.

Durante la preparazione, tuttavia, un imprevisto colpì il mio fisico. Un dolore allo stomaco, che inizialmente sembrava innocuo, divenne cronico e fastidioso. Nonostante le indagini mediche, nessun test riuscì a individuare la causa del disturbo. Fu un medico esperto in omeopatia, il dottor DasGupta, a suggerirmi un rimedio a base di isubgol, una pianta la cui preparazione mi liberò finalmente dai dolori. Questo piccolo incidente, sebbene mi avesse creato difficoltà nel concentrarmi, non compromesse la preparazione che avevo fatto durante l’anno.

Quando finalmente arrivò il giorno dei risultati, fu il mio zio statistico, Vasantmama, a darmi la notizia che avevo vinto l’esame di ammissione, piazzandomi al primo posto. Inizialmente non ci credetti, pensando che fosse uno scherzo, ma la realtà si fece chiara quando il funzionario dell'ufficio esami confermò che avevo ottenuto la distinzione in matematica, sanscrito e hindi. La notizia più sorprendente e gratificante fu proprio quella relativa all’hindi. Un’esultanza di gioia mi pervase, ma subito dopo venne un pensiero che smorzò un po’ il mio entusiasmo: "Perché non ho ottenuto la distinzione in scienze?". Il risultato finale rivelò che, sebbene avessi avuto ottimi voti in fisica e chimica, la parte pratica della chimica aveva fatto abbassare la media, facendomi perdere la distinzione in quella materia per soli tre punti.

L’esito dell’esame aveva portato a una contraddizione, e inizialmente non capivo bene come fosse possibile che mi fosse sfuggito un traguardo così vicino. Il mio stesso padre, che non era a casa al momento della pubblicazione dei risultati, mi trovò solo qualche giorno dopo, e fu lui a consolarmi. "Non importa", mi disse, "avrai altre occasioni per eccellere nelle scienze". Quella frase mi tranquillizzò, ma non risolse il mistero del perché avessi ricevuto quel punteggio così basso in chimica.

Fu solo molti anni dopo, durante una visita alla mia vecchia scuola, che il preside mi rivelò la verità. Secondo lui, vi era stata una cospirazione per farmi fallire nella parte pratica dell’esame, con l’intento di impedire che io conquistassi la prima posizione assoluta. L'esaminatore, probabilmente convinto che la soglia di passaggio fosse al 33%, mi aveva dato un punteggio troppo basso per farmi fallire. Ma grazie alla soglia di passaggio fissata al 30%, ero riuscito a superare la prova e a mantenere il primo posto.

Questo episodio mi insegnò che, a volte, le difficoltà non sono solo interne, ma anche esterne. Le forze che cerchiamo di sfidare possono essere più forti di noi, ma un semplice margine di differenza, come quello di un punto, può decidere tra il successo e il fallimento. A distanza di tempo, questo episodio mi ha mostrato l’importanza di perseverare, di non lasciarsi abbattere dalle circostanze avverse e di comprendere che la vita è fatta anche di questi imprevisti. Le sfide non si superano solo con la preparazione, ma anche con la capacità di adattarsi e di sfruttare ogni opportunità, anche quando sembrano esserci ostacoli più grandi di noi.