La pancreatite cronica (CP) è una condizione in cui il pancreas, l'organo responsabile della produzione di enzimi digestivi e ormoni come l'insulina, subisce un danno irreversibile. La patologia si sviluppa lentamente nel tempo e può portare a disfunzioni significative, tra cui insufficienza esocrina (impossibilità di digerire correttamente il cibo) e insufficienza endocrina (diabete). La diagnosi di pancreatite cronica può essere complessa, poiché i sintomi variano e la condizione spesso progredisce senza segni evidenti fino a stadi avanzati.

La pancreatite cronica è comunemente associata a dolore addominale che può diventare cronico o ricorrente. Questo dolore, spesso descritto come un fastidio costante nell'area epigastrica che si irradia verso la schiena, si intensifica circa 15-30 minuti dopo i pasti e può essere alleviato assumendo una posizione seduta o inclinata in avanti. La nausea e il vomito sono altre manifestazioni comuni, ma i modelli del dolore possono variare, includendo episodi di dolore acuto che si alternano a periodi di dolore cronico lieve. La perdita di peso è un altro sintomo frequente, spesso causato dalla malassorbimento dovuto all'insufficienza esocrina del pancreas.

Le cause della perdita di peso nei pazienti con pancreatite cronica includono l'insufficienza esocrina pancreatica, che compromette l'assorbimento dei nutrienti (proteine, carboidrati e grassi), il diabete mellito non controllato, e la ridotta assunzione calorica dovuta alla paura di esacerbare il dolore addominale (sitofobia). Inoltre, la sensazione precoce di sazietà può essere causata da un vuotamento gastrico ritardato o da un'ostruzione dell'uscita gastrica, con conseguente blocco duodenale.

In merito alla diagnosi, le misurazioni dei livelli sierici di amilasi e lipasi non sono particolarmente utili per la diagnosi di pancreatite cronica, poiché la fibrosi pancreatica riduce la produzione di questi enzimi. I livelli di amilasi e lipasi possono essere elevati, normali o ridotti, anche in presenza di sintomi clinici evidenti di dolore. Non esistono test di laboratorio sensibili o specifici per la diagnosi di pancreatite cronica, sebbene bassi livelli di tripsinogeno o elastasi fecale possano suggerire una fase avanzata della malattia.

Un altro importante segno di pancreatite cronica è l'ostruzione delle vie biliari, che si verifica quando la fibrosi o un tumore del pancreas comprime la porzione intrapancreatica del dotto biliare. Questo può portare a un aumento dei livelli di bilirubina e fosfatasi alcalina nel sangue, che sono indicatori di ostruzione biliare.

Le cause della pancreatite cronica sono molteplici. Una delle più comuni è l'abuso cronico di alcol, che danneggia gradualmente il pancreas, ma la malattia può anche derivare da altre condizioni, come la pancreatite autoimmune, la pancreatite tropicale o nutrizionale, e l'ostruzione dei dotti pancreatici, che possono essere sia maligne che benigne. L'infiammazione cronica dovuta a malattie come la colite ulcerosa e la malattia di Crohn è frequentemente associata a pancreatite cronica, così come la mutazione del gene SPINK1 in alcune regioni tropicali, come in India, dove la pancreatite tropicale è più comune.

L'autoimmunità gioca un ruolo in alcune forme di pancreatite cronica, con un'associazione a livelli elevati di immunoglobulina G4 (IgG4) e l'infiltrazione di linfociti e plasmacellule nel pancreas. Questi casi possono rispondere positivamente alla terapia steroidea, ma le recidive sono frequenti.

Un altro fattore da considerare nella diagnosi di pancreatite cronica è l'aspetto delle immagini. In genere, l'ingrossamento del pancreas si presenta in modo diffuso, piuttosto che con una massa definita, come in altre malattie pancreatiche. Nei pazienti con pancreatite autoimmune, le caratteristiche focali sono visibili in circa l'85% dei casi, mentre nei casi di pancreatite tropicale, il dilatamento del dotto pancreatico con calcoli intraduttali è tipico, accompagnato da malnutrizione severa.

Inoltre, va tenuto in considerazione che la pancreatite cronica può svilupparsi come risultato di ostruzione del dotto pancreatico, che può essere causata sia da tumori maligni che da condizioni benigne, ma non è chiaro se il trattamento dell'ostruzione del dotto migliori la storia naturale della malattia. La gestione di un'ostruzione del dotto pancreatico, per esempio attraverso drenaggio, è discussa in relazione al trattamento del dolore.

L'approccio terapeutico alla pancreatite cronica dipende dalla causa sottostante e dalla gravità della malattia. Il trattamento farmacologico può includere steroidi per le forme autoimmuni, enzimi pancreatici per l'insufficienza esocrina e insulina per la gestione del diabete. La dieta è un aspetto cruciale, con particolare attenzione all'integrazione di nutrienti per prevenire le carenze, che sono comuni a causa del malassorbimento.

Importante è anche la gestione delle complicanze. Tra queste, la pancreatite cronica può portare a diabete pancreatogeno (diabete di tipo 3c), che è causato da una combinazione di insufficiente produzione di insulina, resistenza all'insulina e ridotta funzione degli incretini. Sebbene i pazienti con diabete da pancreatite cronica abbiano la stessa incidenza di retinopatia e neuropatia di altri tipi di diabete, la chetoacidosi diabetica e la nefropatia sono meno comuni.

In sintesi, la pancreatite cronica è una condizione complessa e multiforme che richiede una diagnosi accurata e una gestione personalizzata. L'approccio deve tenere conto non solo dei sintomi clinici, ma anche della storia familiare, dei fattori genetici e delle complicanze associate, come il diabete e la perdita di peso.

Quali sono le terapie emergenti per le recidive di Clostridioides difficile e le caratteristiche della colite microscopica?

Bezlotoxumab è un anticorpo monoclonale completamente umanizzato che si lega specificamente alla tossina B di Clostridioides difficile, neutralizzandola e limitando così il danno colico. Approvato dalla Food and Drug Administration (FDA), viene somministrato in una singola dose endovenosa di 10 mg/kg in un’infusione di 60 minuti. Data la sua elevata costo, è riservato a pazienti con un rischio aumentato di recidiva. Il farmaco si utilizza come complemento alla terapia antibiotica, avendo dimostrato una riduzione delle recidive di CDI (Clostridioides difficile infection) fino al 10% rispetto al placebo, con un’efficacia maggiore nei pazienti con più fattori di rischio per recidive. Tuttavia, è importante notare che l’uso di bezlotoxumab è associato a un rischio incrementato di insufficienza cardiaca, soprattutto in pazienti con preesistenti patologie cardiache.

Sul fronte delle terapie in sviluppo, si indaga la possibilità che una risposta immunitaria alterata contribuisca alla recidiva della malattia. Da qui la ricerca di un vaccino specifico contro C. difficile e di nuovi agenti terapeutici, inclusi antibiotici innovativi e formulazioni orali contenenti spore per il trattamento delle recidive. Tra gli antibiotici, il teicoplanina, ampiamente utilizzata in Europa, ha mostrato efficacia soprattutto negli anziani; il ridinilazolo è attualmente in fase di sperimentazione clinica e promette di agire contro C. difficile senza alterare significativamente il microbioma intestinale. Inoltre, sono in valutazione diversi agenti per la sostituzione del microbiota intestinale basati su spore: tra questi, SER-109 (somministrato oralmente) e RBX2660 (somministrato per via rettale) hanno già ottenuto l’approvazione FDA.

La colite microscopica (MC) è una patologia infiammatoria cronica del colon che si manifesta con diarrea acquosa non sanguinolenta e mucosa colica dall’aspetto macroscopicamente normale, mentre l’anomalia si evidenzia all’esame istologico bioptico. Si presenta tipicamente nella mezza età, con una prevalenza maggiore nel sesso femminile, e si distingue in due forme: colite collagenosa (CC) e colite linfocitaria (LC). Entrambe condividono sintomi simili ma differiscono per le caratteristiche istologiche.

I sintomi clinici principali includono diarrea cronica non sanguinolenta (95% dei casi), perdita di peso (91%), dolore addominale (40%), urgenza defecatoria (29%) e diarrea notturna (22%), con possibile severità significativa. Dal punto di vista clinico, CC e LC sono indistinguibili, e la diagnosi definitiva si basa su biopsia colica, poiché i sintomi si sovrappongono spesso a quelli della sindrome dell’intestino irritabile (IBS). È stato osservato che fino a un terzo dei pazienti con MC confermata istologicamente aveva una diagnosi pregressa di IBS, e circa metà di quelli con MC soddisfa anche i criteri per IBS.

Gli esami di laboratorio e le indagini radiologiche risultano generalmente non diagnostici per MC, pertanto la colonoscopia con biopsia rimane l’approccio imprescindibile. Durante la colonoscopia la mucosa appare tipicamente normale, sebbene possano esserci alterazioni sottili. Gli esami infiammatori come la PCR, la velocità di eritrosedimentazione e la calprotectina fecale possono essere elevati, ma non specifici. La frequenza di MC varia da 2.2 a 14 casi ogni 100.000 abitanti, con una distribuzione globale che sembra mostrare una maggiore incidenza nei paesi nordici. L’età media di diagnosi è intorno ai 65 anni e il sesso femminile è più colpito.

La malattia può interessare in modo diffuso o discontinua diverse porzioni del colon, con la biopsia del colon trasverso che spesso offre il maggior rendimento diagnostico. Tra i fattori associati alla patogenesi si segnalano l’uso di farmaci come i FANS (non steroidei antinfiammatori), associati soprattutto alla colite collagenosa, e la sertralina, più frequentemente correlata alla colite linfocitaria. Altri farmaci implicati includono aspirina, acarbose, clozapina, inibitori di pompa protonica, ranitidina, e ticlopidina, sebbene la correlazione sia complessa a causa del loro effetto collaterale di diarrea cronica. Il fumo, inoltre, è stato associato a un esordio anticipato e a un aumento del rischio di MC.

Numerose patologie autoimmuni e condizioni sistemiche come tiroiditi, celiachia, diabete, artrite reumatoide, asma e allergie sono frequentemente associate alla colite microscopica. Nei pazienti con celiachia che continuano a presentare diarrea nonostante la dieta priva di glutine, è raccomandata una valutazione per MC.

La storia naturale della malattia non è ben definita: può manifestarsi in modo insidioso o acuto e in molti casi i sintomi regrediscono spontaneamente entro 3 anni, ma circa il 30% dei pazienti presenta diarrea persistente a 10 anni dalla diagnosi. Non è associata a un aumento del rischio di malignità.

Il trattamento iniziale prevede modifiche dietetiche (evitare caffeina, alcol e latticini), sospensione dei farmaci sospetti e l’uso di antidiarroici come la loperamide o la colestiramina. La terapia con budesonide orale (9 mg al giorno per 6-8 settimane) si è dimostrata efficace nell’81% dei casi di CC, anche se la sospensione del farmaco porta spesso a recidive che richiedono trattamenti ripetuti e graduali riduzioni di dosaggio. Budesonide è efficace anche nella LC. Altri farmaci come bismuto subsalicilato, sulfasalazina e mesalazina hanno mostrato benefici in pochi studi, mentre i probiotici non hanno dimostrato efficacia superiore al placebo. In casi più severi può essere necessario l’uso di immunosoppressori quali metotrexato, 6-mercaptopurina o azatioprina, e sono in corso ulteriori ricerche in questo ambito.

È fondamentale comprendere che la diagnosi di colite microscopica richiede un alto indice di sospetto clinico e la biopsia colica, poiché la presentazione sintomatica si sovrappone con altre patologie intestinali e non vi sono marcatori di laboratorio specifici. La gestione richiede un approccio multidisciplinare, soprattutto nei pazienti con comorbidità autoimmuni o che assumono farmaci potenzialmente implicati. La ricerca continua a sviluppare nuovi trattamenti mirati, che potrebbero migliorare la qualità di vita e ridurre le recidive, offrendo speranza a una popolazione spesso sottodiagnosticata e sottotrattata.

Qual è l'impatto del microbioma intestinale sui fattori di rischio cardiovascolare e sul cancro?

L'analisi del microbioma intestinale attraverso la ricerca sul DNA, come l'analisi del 16S rRNA, ha mostrato interessanti correlazioni con vari fattori di rischio cardiovascolare. In uno studio a lungo termine, una dieta a base di piante (PBD) ha portato a una maggiore diversità alfa del microbioma, associata a valori più bassi di trigliceridi sierici, insulina a digiuno e proteina C-reattiva (CRP). La diminuzione dell'abbondanza di Peptostreptococcus nel microbioma intestinale dei soggetti che seguivano una dieta PBD ha mostrato una correlazione positiva con una riduzione della CRP e un aumento dei livelli di colesterolo HDL (colesterolo "buono"). Questi cambiamenti nel microbioma sembrano essere strettamente legati ai benefici cardiovascolari osservati, in quanto la dieta PBD agisce direttamente sul microbioma, modificandone la composizione e il metabolismo.

Tuttavia, gli effetti a breve termine di una dieta PBD non sembrano avere un impatto significativo sui fattori di rischio cardiovascolare, suggerendo che i benefici siano probabilmente associati a modifiche più durature del microbioma. Questo studio evidenzia come il microbioma possa influenzare i fattori di rischio cardiovascolare in modo diretto, ma anche come la dieta, e in particolare la composizione microbica, possiedano un ruolo chiave nell'affrontare le malattie cardiovascolari.

Un altro aspetto emergente della ricerca sul microbioma riguarda il suo impatto sul cancro. Il ruolo di Helicobacter pylori nello sviluppo del cancro gastrico è uno degli esempi più noti di come un singolo organismo possa alterare l'insorgenza di tumori gastrointestinali. Recentemente, il microbioma intestinale è stato associato a una maggiore suscettibilità al cancro del colon-retto (CRC). In particolare, si è osservata una maggiore abbondanza di specie come Fusobacterium nucleatum, Bacteroides fragilis, Escherichia coli, Enterococcus, Campylobacter, Peptostreptococcus, Shigella, Klebsiella e Akkermansia nei pazienti con CRC, a fronte di una ridotta presenza di Ruminococcus, Bifidobacterium, Eubacteria e Lachnospira rispetto agli individui sani.

In particolare, F. nucleatum è normalmente presente nella cavità orale, ma è stato frequentemente rilevato nei tumori e nelle feci dei pazienti con CRC. Questa specie batterica stimola una risposta infiammatoria Th17 nel tessuto, aumentando la probabilità di trasformazione neoplastica, secondo studi su modelli animali. Anche B. fragilis enterotossico mostra una propensione a indurre infiammazione e facilitare la trasformazione tumorale, soprattutto in combinazione con E. coli. L’influenza di E. coli nel CRC è ben documentata, ma un sottogruppo di E. coli che esprime la poliketide sintasi (pks), un gene responsabile della sintesi della colibactina (una genotossina coinvolta nei danni al DNA e nelle anomalie del ciclo cellulare), sembra essere particolarmente legato alla suscettibilità tumorale e all'instabilità cromosomica nelle cellule umane.

Al di là dei singoli agenti patogeni, numerosi studi hanno anche sottolineato il ruolo dei metaboliti batterici nel determinare la suscettibilità al CRC e la risposta alle terapie oncologiche. Ad esempio, Bifidobacterium ha mostrato di potenziare le risposte immunitarie anticancro, attivando le cellule dendritiche e stimolando il priming delle cellule T effettore CD8+, facilitando poi l'invasione nel microambiente tumorale. Gli anticorpi monoclonali anti-PD-1 hanno migliorato gli esiti in un modello murino di melanoma grazie agli effetti inibitori del metabolita dell'Bifidobacterium, l'ippurato. Risultati simili sono stati osservati anche con altri probiotici, come Lactobacillus rhamnosus GG.

Tuttavia, l'uso di probiotici o trapianti di feci per trattamenti oncologici è ancora in fase di sperimentazione, con risultati variabili. Va notato che l'uso di antibiotici ha mostrato effetti negativi sui risultati del trattamento oncologico in numerosi studi. Questo mette in evidenza come l'equilibrio del microbioma, influenzato da dieta, probiotici, antibiotici e altri fattori esterni, possa avere un impatto diretto sulla risposta ai trattamenti contro il cancro.

L'analisi del metaboloma umano rappresenta un passo fondamentale nell'analisi delle interazioni tra l'ospite umano e il microbioma. La metabolomica offre una visione complessa e completa degli output metabolici generati dal microbioma e dall'ospite, superando la difficoltà di interpretare i cambiamenti nella diversità microbica senza un contesto metabolico. I metaboliti batterici, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA), svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento della salute intestinale e nell’influenza sulla risposta infiammatoria. In condizioni ambientali non ottimali, un microbioma perfettamente sano può metabolizzare sostanze come zuccheri semplici o tossine chimiche, il cui output metabolico può mettere sotto stress l'ospite, inducendo malattie. D’altro canto, un microbioma disbiotico che riceve una dieta sana potrebbe non produrre gli stessi metaboliti tossici, evitando danni all'ospite.

La comprensione approfondita del metaboloma, combinata con analisi accurate dei biomolecole prodotte nel microbioma, promette di offrire uno strumento potente per quantificare come interventi farmacologici, biologici o dietetici possano alterare l'output metabolico del microbioma e influenzare il processo patologico sottostante. Questo approccio potrebbe portare a una medicina più personalizzata, con la possibilità di prevedere la risposta del microbioma a trattamenti e di migliorare le strategie terapeutiche per una varietà di malattie, dal cancro alle malattie cardiovascolari.