I composti chimici, grazie alla loro struttura molecolare e alle proprietà ottiche, stanno emergendo come candidate promettenti nella progettazione di materiali per dispositivi di emissione di luce bianca (WLE). Diversi studi e scoperte scientifiche hanno portato alla creazione di molecole con spettacolari emissioni a luce bianca, ottenute attraverso meccanismi complessi e sofisticati. Tra questi, l'emissione proveniente da forme normali e tautomeri nelle molecole di tipo III, che si caratterizzano per il picco di emissione a 530 nm in un mezzo cicloesano, rappresenta una delle prime applicazioni. I composti di tipo III, in particolare, manifestano una doppia emissione, la quale deriva sia dalla forma normale che dalla banda tautomerica, suggerendo l'esistenza di un equilibrio nello stato eccitato delle molecole stesse. Questo fenomeno, come evidenziato nel diagramma CIE 1931, risulta in un'emissione combinata di luce bianca che mostra coordinate cromatiche 0.30, 0.27.

Un altro esempio significativo è il lavoro innovativo di Lan et al., che ha introdotto una strategia di ossidazione interna C–H/C–H catalizzata da metalli di transizione, ottenendo molecole emissive di luce bianca indotte da ESIPT (Excited-State Intramolecular Proton Transfer). In particolare, i composti 5e e 5f mostrano emissioni brillanti, con spettroscopie caratterizzate da valori CIE che vanno da (0.32, 0.38) in toluene a (0.29, 0.34) in film di polistirene. Questo approccio non solo ha segnato un avanzamento nel campo dei materiali emissivi, ma ha anche dimostrato il potenziale delle molecole per applicazioni nella creazione di dispositivi luminosi a lunga durata.

Le molecole organiche che emettono luce bianca, tuttavia, non si limitano a mostrare semplici fenomeni di fluorescenza. L'emissione da questi sistemi è spesso il risultato di un processo complesso che coinvolge il trasferimento di carica intramolecolare (ICT). Quando questi composti sono eccitati, possono avviare un trasferimento di carica dal donatore (D) all'accettore (A), un meccanismo che genera emissione ICT. La caratteristica principale delle emissioni ICT è la loro ampiezza spettrale, che può essere fortemente influenzata da fattori ambientali come la polarità e la viscosità del solvente. Ad esempio, il composto 1, derivante dall'incorporazione di un ponte dimetilsilile tra il carbazolo estirile e il pirene, ha mostrato emissioni che variavano a seconda dell'ambiente di solvente. In un solvente polare come l'acetonitrile, l'emissione era caratterizzata da due bande di trasferimento di carica che producevano una emissione bianca quasi pura con coordinate CIE di (0.33, 0.36).

In aggiunta, la sintesi di un derivato BODIPY, BDP-1, ha dimostrato come una struttura di tipo D-A-D' possa favorire l'emissione di luce bianca grazie a una combinazione di trasferimento di energia (ET) e di carica (CT). Questo approccio ha consentito la realizzazione di una emissione di luce bianca utilizzando un singolo componente, con coordinate cromatiche CIE di (0.33, 0.32). Studi approfonditi hanno rivelato come l’interazione tra questi processi all'interno della molecola e il suo ambiente circostante sia cruciale per ottenere emissioni luminose con una gamma cromatica vicina al bianco puro.

Va osservato che, oltre alle modalità di sintesi e alle proprietà fisico-chimiche, un altro aspetto fondamentale riguarda la stabilità di queste emissioni. Infatti, la capacità di un materiale di emettere luce bianca dipende non solo dalla sua struttura molecolare ma anche dalla sua stabilità chimica e dalle condizioni ambientali. La manipolazione della temperatura, della pressione e dell’ambiente di solvatazione gioca un ruolo cruciale nel determinare le prestazioni ottiche e la durata dell’emissione. Inoltre, la possibilità di integrare queste molecole in dispositivi pratici come LED e display è un campo di ricerca che sta progressivamente evolvendo, spinto dalla domanda di fonti luminose più efficienti e durevoli.

La progettazione di composti organici in grado di emettere luce bianca sta diventando un campo sempre più cruciale in ambito tecnologico. L'interazione tra diversi meccanismi di emissione, quali ESIPT, ICT e l’emissione combinata di diverse bande spettrali, offre un’ampia gamma di possibilità. Questi progressi non solo ampliano le possibilità di applicazione dei materiali emissivi, ma pongono anche le basi per lo sviluppo di dispositivi a luce bianca più efficienti e stabili.

Meccanismo di Emissione di Luce Bianca nelle Molecole Organiche

Nel contesto della ricerca sui materiali organici emittenti di luce bianca (WLE), sono stati compiuti sforzi significativi per comprendere il meccanismo alla base di questa emissione. Un esempio interessante di tale ricerca è il lavoro di Anand et al., che hanno sintetizzato due molecole organiche coniugate D–π–A: una derivata dal fluorene-ethylene dioxythiophene (FL-E) e l'altra dal fenotiazina-idrochinone (PT-Hq). Questi composti hanno mostrato la formazione di microstrutture unidimensionali nello stato solido. Quando combinati con il colorante rodamina B (Rh-B) e illuminati con luce a 411 nm, questi composti hanno prodotto una luce bianca nella fase di soluzione, con coordinate CIE di (0.32, 0.33). Questo fenomeno si è esteso anche al film di polimetilmetacrilato (PMMA) e al gel di gelatina, indicando un'emissione di luce bianca coerente attraverso vari supporti. Il meccanismo di emissione che ha prodotto questa luce bianca è stato attribuito al trasferimento di energia di risonanza di Förster combinato con un'emissione simultanea. Questo scoperta sottolinea il potenziale di questi composti in applicazioni legate alla produzione di luce emittente unica.

Un altro esempio di avanzamento in questo campo è il materiale luminescente PYTG, sintetizzato a partire da un ione triaminoguanidinio simmetrico C3. Questo materiale ha dimostrato notevoli proprietà come emettitore di luce bianca pura, con un'emissione blu dai suoi monomeri e un'emissione arancione dagli eccimeri. Le emissioni di PYTG sono state osservate variando la concentrazione in una soluzione di diclorometano, con spettroscopie che hanno rivelato una emissione monomerica nell'intervallo verde-blu e un'emissione da eccimeri nell'intervallo giallo-arancione. La possibilità di modulare entrambe le emissioni suggerisce che PYTG possa essere utilizzato per produrre luce bianca in solventi appropriati e a concentrazioni specifiche, rendendo questo materiale promettente per applicazioni in dispositivi a emissione di luce.

Un fenomeno interessante che influisce sull'emissione di luce bianca è l'halocromismo, che descrive come il colore di una sostanza cambi in risposta a variazioni del pH. Materiali con siti acidi o basici presentano caratteristiche di emissione particolarmente sensibili al pH. Regolando il pH di una soluzione, è possibile modulare finemente il profilo di emissione, passando tra le forme neutre, protonate (cationiche) e deprotonate (anioniche). Questo permette ai fluorofori di esibire un'intera gamma di colori luminescenti, rendendoli estremamente utili per applicazioni che richiedono la generazione di luce bianca. Ad esempio, i cromofori a base di stilbene, sviluppati da Panahi et al., mostrano fluorescenza gialla e verde nello stato neutro. Tuttavia, quando protonati, esibiscono un notevole spostamento verso la fluorescenza blu, mostrando un effetto ipsochromico. A un pH di circa 3, questi cromofori emettono luce bianca a causa dell'esistenza simultanea delle forme neutre e protonate, coprendo l'intero spettro visibile da 400 a 700 nm.

Un altro approccio promettente per ottenere emissione di luce bianca si basa sulla coesistenza di emissione da singolette e triplette, fenomeno che si osserva in materiali che combinano fluorescenza e fosforescenza. La fosforescenza a temperatura ambiente (RTP) ha suscitato particolare interesse per le sue applicazioni in optoelettronica e biologia. Nonostante le difficoltà nel produrre materiali organici RTP efficienti, varie strategie, come la cristallizzazione, le interazioni di legame idrogeno e halogeno, l'aggregazione H e l'uso di strutture metallo-organiche, sono state proposte per migliorare l'efficienza di emissione. La presenza simultanea di fluorescenza e fosforescenza permette la produzione di una luce bianca che copre una vasta gamma dello spettro visibile, rendendo questi materiali adatti per diverse applicazioni.

In sintesi, la ricerca sull'emissione di luce bianca da molecole organiche continua a rivelare nuovi meccanismi e materiali promettenti. Dalla sintesi di nuove strutture molecolari coniugate e la scoperta di fenomeni come l'halocromismo, fino alla coesistenza di emissioni da singolette e triplette, queste scoperte offrono un ampio potenziale per applicazioni in dispositivi di illuminazione e display. L'adattabilità e la modularità di questi materiali, nonché la possibilità di regolare le loro proprietà di emissione, sono elementi chiave per il futuro dello sviluppo di tecnologie di luce bianca.

Tecniche di Fabbricazione dei Dispositivi a Emissione Luminosa a Fosforo (WLEM): Approcci Innovativi e Sostenibili

Le tecniche di fabbricazione dei dispositivi a emissione luminosa a fosforo (WLEMs) sono in continua evoluzione, alimentate dalla necessità di migliorare l'efficienza e la versatilità di queste tecnologie. Diversi approcci, che spaziano dalla stampa a schermo alla deposizione di strati conformi, sono stati sviluppati per ottimizzare le prestazioni dei dispositivi. Ogni metodo ha i suoi vantaggi e limiti, ma tutti mirano a ottenere una combinazione di alte prestazioni ottiche, durata e basso impatto ambientale.

Il design “phosphor-on-top” ha mostrato una maggiore efficienza complessiva rispetto ai pacchetti convenzionali. Questo approccio si avvale della stampa a schermo, una tecnica ben consolidata che sfrutta un’impostazione Schmidt, come illustrato in studi precedenti. La stampa a schermo impiega inchiostri specializzati, composti da una miscela di polveri e leganti organici, che vengono applicati al substrato attraverso sezioni esposte di schermi stampati, utilizzando una spatola. Successivamente, il film depositato viene essiccato e, nel caso di paste cermet per substrati di vetro, viene sottoposto a cottura per facilitare la sinterizzazione e garantire una forte adesione del film al substrato. Per la stampa del fosforo, un inchiostro polimerico viene preparato combinando polvere di fosforo ed epossidica. Sono state create diverse paste con diverse concentrazioni di polvere, che vanno dall’8 al 30% in volume, per studiare l’impatto della dispersione del fosforo sulla luminescenza. Sono stati depositati vari spessori di film, da 10 a 80 µm, una volta essiccati, per determinare lo spessore ideale in relazione alle proprietà luminose.

Il processo di stampa è influenzato principalmente dalla distanza tra lo schermo e il substrato (detta "snap-off") e dallo spessore dell’emulsione sullo schermo, come mostrato in vari studi. Ciò implica che la gestione precisa di questi parametri è cruciale per ottenere uno strato di fosforo uniforme e con le giuste proprietà luminose.

Un altro approccio promettente è la tecnica di rivestimento conformale del fosforo, che ha preso piede grazie alla possibilità di elaborare immagini in tempo reale attraverso un sistema di litografia mascherata senza maschera (IP-ML). Questo sistema consente di identificare i singoli chip e generare immagini maschera corrispondenti su un modulatore spaziale di luce. Un aspetto fondamentale di questo approccio è la gestione precisa della variazione posizionale o rotazionale dei LED posizionati sulla pellicola durante il processo di assemblaggio robotizzato. In questo processo, i chip LED sono disposti su un nastro blu con spaziatura sufficiente per consentire il rivestimento dei lati. Il nastro è fissato con un assemblaggio in plastica, e sono utilizzati distanziatori e un substrato di vetro per stabilire lo spessore desiderato per il rivestimento superiore, garantendo al contempo una superficie livellata. Precedentemente, il substrato di vetro è stato rivestito con una pellicola di polidimetilsilossano (PDMS) per evitare che il rivestimento aderisca al substrato. Una volta che l’array è stato posizionato dal sistema IP-ML, i singoli LED vengono trattati sistematicamente. L’immagine del LED viene acquisita tramite una fotocamera a vista dal basso, mentre la luce ultravioletta (UV), riflessa dall’immagine del pattern su un dispositivo a micro specchio digitale (DMD), illumina la parte inferiore del chip, permettendo il rivestimento conformale. Per i chip impermeabili alla luce UV, l’array viene invertito per illuminare la parte superiore del chip, consentendo così l’aggiustamento della concentrazione del fosforo per catturare l’immagine del chip con le particelle di fosforo.

Ogni parte di questo processo viene automatizzata, utilizzando una piattaforma motorizzata per ogni chip nell’array. Alla fine del processo, le porzioni non indurite della miscela vengono delicatamente rimosse tramite lavaggio con acetone, seguite dall’essiccazione dei LED.

Questi metodi di fabbricazione non solo spingono l’evoluzione dei dispositivi a emissione luminosa, ma offrono anche soluzioni pratiche e scalabili per l’industria. La combinazione di diverse tecniche, tra cui soluzioni basate su tecniche di deposito a vapore, elettrodeposizione, nanostrutturazione e integrazione ibrida, ha ampliato le possibilità di sintesi dei materiali, con un impatto diretto sull’evoluzione delle tecnologie di illuminazione e display. L’efficienza, la funzionalità e la versatilità di questi dispositivi continueranno a migliorare, grazie alla continua innovazione in questo campo.

Un aspetto fondamentale da comprendere è che il progresso in questo settore non riguarda solo l’ottimizzazione delle singole tecniche di fabbricazione, ma anche la loro integrazione in processi produttivi complessi, che richiedono un controllo rigoroso di vari parametri. Ogni tecnica ha la sua applicabilità in base al tipo di dispositivo, e la sfida sta nel trovare il giusto equilibrio tra costi, efficienza e scalabilità. Per esempio, la tecnica di rivestimento conformale, pur offrendo un controllo preciso della distribuzione del fosforo, può risultare più complessa e costosa rispetto alla stampa a schermo, ma offre vantaggi significativi in termini di prestazioni ottiche. La continua sperimentazione e il perfezionamento di queste tecniche sono fondamentali per rispondere alle esigenze crescenti di dispositivi sempre più sofisticati.