La temperatura gioca un ruolo fondamentale nell’intensificare la corrosione dei materiali, e in contesti di alte temperature, come nei processi di combustione, l’aumento di temperatura può accelerare notevolmente la velocità di corrosione sia nel gas che nei sali fusi. In particolare, nei sistemi di co-combustione che utilizzano biomassa, la corrosione tende a manifestarsi con maggiore rapidità oltre i 500°C. Un esempio significativo si osserva nel comportamento di sensori metallici ferritici e austenitici all’interno di una camera di co-combustione, dove la velocità di deterioramento aumenta drasticamente passando da 50 nm/h a 1000 nm/h al variare della temperatura da 470°C a 600°C. Tuttavia, in certe fasce di temperatura, la velocità di corrosione può inizialmente crescere con l’aumento della temperatura, per poi diminuire dopo aver raggiunto un picco, dando luogo a una curva a campana. Questo fenomeno è stato verificato in vari studi relativi alla corrosione da gas di combustione e sali fusi, ed è collegato alla stabilità ridotta o alla formazione ritardata di alcune specie chimiche quando si superano certi limiti di temperatura.
Nel caso della corrosione da gas, per esempio, la presenza simultanea di SO2/SO3 e O2 determina una predominanza di SO3 nella sulfidazione, mentre l’O2 regola il processo di ossidazione. Quando la temperatura raggiunge valori intorno ai 650°C–700°C, SO2 diventa più potente di SO3, riducendo la formazione di quest’ultimo e, di conseguenza, la sulfidazione. La modalità di corrosione passa quindi da una combinazione di ossidazione e sulfidazione a una prevalente ossidazione. In relazione alla corrosione da sali fusi, che coinvolge ossidi di zolfo, solfati alcalini e ossidi di ferro, si osserva che, a circa 500°C, iniziano a formarsi solfati complessi di alcalini, che diventano sempre più corrosivi quando fondono intorno ai 550°C. Anche in questo caso, il comportamento di corrosione segue una curva a campana, con il picco di corrosione associato alla condizione fusa dei solfati complessi che si verifica tipicamente intorno ai 650°C–680°C.
Questi fenomeni non sono unici delle combustioni a carbone, ma si applicano anche ai sistemi di co-combustione, dove la temperatura di picco è prevista tra i 650°C e i 700°C a causa della modifica della chimica dei depositi e della composizione dei gas di scarico. L'effetto della temperatura sulle reazioni di corrosione può essere particolarmente significativo quando le condizioni operative sono inadeguate o quando la progettazione dell'impianto non tiene sufficientemente conto della corrosione.
Oltre agli effetti diretti della temperatura e della composizione dei gas, un altro fattore importante da considerare è il comportamento dei materiali metallici durante il periodo di inattività dell’impianto termico. Durante la chiusura per manutenzione o ridotto carico stagionale, quando l'impianto non è in funzione, il contatto tra l'aria umida e le superfici metalliche può causare corrosione. Questo tipo di danno può avvenire anche in assenza di alte temperature, ma è accelerato dalla presenza di umidità nell’ambiente circostante.
L'erosione è un altro fenomeno che può contribuire al deterioramento dei materiali in impianti termici. Essa si verifica quando particelle di diversa natura (per esempio polveri o sabbia) entrano in contatto con le superfici metalliche, subendo forze che le spingono a colpire, sfregare o depositarsi sui metalli. Questo processo, che spesso si verifica in ambienti dove i gas passano a velocità elevate, può danneggiare i componenti attraverso attriti o impatti diretti. A volte, le particelle si accumulano sulla superficie, formando depositi che, se non gestiti correttamente, possono provocare danni a lungo termine.
Quando si parla di corrosione nei sistemi termici e di co-combustione, non si può ignorare l'effetto potenziale del CO2. Se introdotto in contesti ad alta temperatura, il CO2 può causare la carburazione dei metalli, producendo carburi che indeboliscono la struttura del materiale. A temperature superiori a 500°C, la reazione tra CO2 e metalli può portare a fenomeni di "dusting metallico", che aggrediscono ulteriormente le superfici. Sebbene la co-combustione tenda ad avere livelli inferiori di CO2 rispetto ai sistemi alimentati a carbone o gas, gli effetti di carburazione non devono essere sottovalutati. È quindi fondamentale approfondire la ricerca in questo settore per comprendere appieno l'impatto del CO2 e degli altri composti chimici sui materiali strutturali a temperature elevate.
Al di là degli aspetti chimici e termici, l’interazione tra ossidi superficiali e sali corrosivi, come i cloruri e i solfati, può creare effetti sinergici che amplificano i danni ai materiali. In particolare, l’interazione tra il CO2 e i cloruri può accelerare il degrado della superficie metallica, rendendo necessaria una gestione ancora più accurata della chimica di questi impianti.
La corrosione nei sistemi di generazione di energia termica e nelle centrali a energia solare concentrata (CSP) rappresenta un ambito di studio in continua evoluzione. I meccanismi di corrosione, che spaziano dalla corrosione locale a quella causata da solfati e cloruri, devono essere continuamente monitorati per garantire l’affidabilità e la longevità delle apparecchiature.
Come si previene e controlla la corrosione nelle industrie chimiche?
La corrosione ad alta temperatura è un fenomeno complesso e particolarmente insidioso che interessa frequentemente gli impianti chimici, i forni e altre apparecchiature operative in condizioni estreme. Tra i processi più critici vi è la carburazione, ovvero la diffusione di carbonio all’interno dei metalli a temperature elevate, che porta alla formazione di carburi fragili, compromettendo la resistenza strutturale del materiale. In ambienti contenenti idrogeno solforato o biossido di zolfo, l’ossidazione non forma spesso uno strato protettivo, esponendo ulteriormente le superfici metalliche al degrado.
La corrosione in mezzi organici rappresenta un’altra sfida significativa nell’industria chimica. I metalli sono esposti a solventi organici quali acetone, benzene e alcoli, che possono diventare corrosivi soprattutto in presenza di impurità o acqua, facilitando la formazione di sostanze corrosive. Gli acidi organici, come l’acido acetico o formico, causano attacchi corrosivi intensi su acciai inox e leghe di rame, provocando sia corrosione generale sia localizzata (pitting). Questi fenomeni derivano da interazioni complesse tra le sostanze organiche e le superfici metalliche, coinvolgendo spesso reazioni chimiche ed elettrochimiche integrate. La compatibilità dei materiali con i fluidi trattati deve essere valutata con rigore, integrando ove necessario misure di protezione quali rivestimenti o inibitori per assicurare durabilità e funzionalità a lungo termine.
La selezione accurata dei materiali è quindi fondamentale per prevenire la corrosione e garantire la sicurezza e la durata delle attrezzature. Gli acciai inox sono frequentemente impiegati grazie alla loro eccellente resistenza alla corrosione in ambiente acquoso e all’ossidazione a temperature elevate. Per condizioni di elevata solfidazione, si preferiscono leghe a base di nichel. Studi di caso evidenziano come, in ambienti altamente acidi, la sostituzione di acciaio al carbonio con acciaio inox duplex riduca drasticamente i tassi di corrosione e i costi di manutenzione. Analogamente, l’uso del titanio in impianti di produzione di cloro si è rivelato strategico per contrastare la corrosione da stress indotta dal cloro stesso. Questi esempi sottolineano la necessità di una scelta mirata del materiale, che tenga conto sia delle caratteristiche corrosive dell’ambiente sia delle specifiche condizioni operative.
I rivestimenti protettivi sono indispensabili per salvaguardare le strutture dall’attacco corrosivo. Le pitture offrono una protezione generale, mentre i rivestimenti epossidici garantiscono resistenza chimica superiore in ambienti severi. I rivestimenti in poliuretano, per la loro durabilità e resistenza ai raggi UV, risultano ideali per applicazioni esterne. I rivestimenti metallici, come la galvanizzazione o l’alluminizzazione, proteggono mediante uno strato sacrificial che si ossida preferenzialmente. I rivestimenti ceramici sono adottati in condizioni estreme per la loro capacità di resistere ad alte temperature. Le tecniche di applicazione variano: pennellatura per superfici piccole o complesse, spruzzo per coperture uniformi su ampie superfici, immersione per parti ridotte o in lotti, ed elettrodeposizione per strati metallici sottili e omogenei. Il monitoraggio regolare, tramite ispezioni visive, prove ultrasoniche e misurazioni di spessore, è cruciale per rilevare danni o deterioramenti, permettendo interventi di manutenzione mirati quali ritocchi, riapplicazioni o rimozioni totali del rivestimento.
Le tecniche di protezione catodica e anodica rappresentano ulteriori strumenti efficaci contro la corrosione nell’industria chimica. La protezione catodica trasforma la superficie metallica in catodo, tramite anodi sacrificali o sistemi a corrente impressa, proteggendo così il materiale dalla corrosione. La protezione anodica, invece, mantiene la superficie metallica in uno stato anodico controllato, rallentandone la reazione di ossidazione e limitando il deterioramento. Questi metodi richiedono un’attenta progettazione e monitoraggio per garantirne l’efficacia nel tempo.
Oltre alle tecnologie e ai materiali, è fondamentale comprendere che la corrosione è un fenomeno dinamico, influenzato da molteplici fattori ambientali, chimici e meccanici. Le condizioni operative possono variare nel tempo, modificando la natura e l’intensità dei processi corrosivi. Pertanto, la gestione della corrosione deve essere un processo continuo che integra la valutazione iniziale, il monitoraggio costante e la manutenzione preventiva. L’innovazione tecnologica nella formulazione di leghe resistenti, nello sviluppo di rivestimenti avanzati e nei sistemi di protezione elettrochimica continua a migliorare le possibilità di controllo della corrosione, ma la conoscenza approfondita delle interazioni tra materiali e ambiente rimane alla base di ogni strategia di successo.
Quali ambienti favoriscono la corrosione e come impattano materiali e infrastrutture?
La corrosione, pur essendo un processo naturale, rappresenta una minaccia costante e silenziosa per infrastrutture, componenti industriali e sistemi ingegneristici. La sua manifestazione è strettamente legata all'ambiente in cui si trovano i materiali, dove anche le più lievi variazioni fisico-chimiche possono generare condizioni corrosive in grado di compromettere l’integrità strutturale dei metalli.
Gli ambienti atmosferici, soprattutto quelli con elevata umidità, accelerano le reazioni ossidative nei metalli, in particolare nel ferro. L’umidità agisce da elettrolita, facilitando la migrazione di ioni e la formazione di strati ossidi instabili. In presenza di inquinanti atmosferici come l’anidride solforosa e gli ossidi di azoto, la corrosività dell’aria urbana e industriale aumenta drasticamente, conducendo alla formazione di piogge acide che intensificano la degradazione delle superfici esposte.
L'acqua, in tutte le sue forme — dolce, distillata, salata e marina — agisce come un mezzo corrosivo, ma è in particolare l’ambiente marino, ricco di ioni cloruro, a causare i danni più aggressivi. Questi ioni penetrano nelle microfessure dei materiali metallici, rompendo gli strati protettivi e promuovendo la corrosione per vaiolatura. La vicinanza a zone costiere impone dunque l’adozione di strategie protettive avanzate, specialmente nei materiali ferrosi.
Le atmosfere urbane, industriali e marine presentano ciascuna un profilo corrosivo distinto. I contesti industriali, per esempio, combinano alta umidità, temperatura e presenza di gas reattivi, rendendo le superfici metalliche vulnerabili a fenomeni complessi di degrado chimico. Gas come il cloro e il vapore surriscaldato reagiscono con i metalli ad alte temperature, innescando ossidazioni rapide e persistenti.
Un caso particolarmente rilevante è l'ambiente contenente ammoniaca, dove i materiali come il rame e le sue leghe possono subire fratture da corrosione sotto sforzo. Similmente, l’idrogeno solforato — frequente in contesti industriali quali l’estrazione petrolifera e la raffinazione — induce la frattura da tensocorrosione solfidica, soprattutto negli acciai. In questi scenari, la presenza di batteri solfato-riduttori intensifica la corrosione microbica, accelerando la formazione di solfuri di ferro e indebolendo le strutture metalliche dall'interno.
La fragilizzazione da idrogeno rappresenta un ulteriore meccanismo di degrado, dove atomi di idrogeno diffondono all'interno della matrice metallica, riducendone drasticamente la duttilità e provocando cricche sotto carico. Questo fenomeno si manifesta soprattutto in acciai ad alta resistenza e in leghe esposte a processi elettrochimici come la placcatura. Per prevenire tali danni è fondamentale limitare l’esposizione all’idrogeno e impiegare materiali resistenti o trattamenti termici specifici.
Anche i gas combusti, contenenti monossido di carbonio e idrocarburi, generano depositi corrosivi su superfici metalliche e infrastrutture come tubazioni e impianti. In ambienti ricchi di anidride solforosa e ossidi di azoto, l’azione sinergica tra condensa acida e metalli esposti aggrava l’erosione superficiale, accelerando il ciclo di sostituzione dei componenti. Le atmosfere alcaline, sebbene meno aggressive di quelle acide, possono tuttavia degradare metalli come l’alluminio e lo zinco, portando alla perdita di protezione anodica e al conseguente deterioramento.
Il terreno stesso può divenire un agente corrosivo: fattori come l’umidità, l’acidità, la presenza di sali e l’attività microbica trasformano il suolo in un ambiente elettrochimico complesso, capace di corrodere strutture interrate, serbatoi e tubature. L’infiltrazione di correnti vaganti e l’eterogeneità dei potenziali redox nel terreno intensificano il rischio di corrosione galvanica, imponendo l’uso di protezione catodica e rivestimenti specializzati.
L’impatto globale della corrosione è stato documentato sin dagli anni '60, quando divenne evidente che il suo effetto andava oltre la semplice degradazione materiale. Negli Stati Uniti, uno studio fondamentale del 2002 condotto dalla Federal Highway Administration ha quantificato il costo diretto della corrosione industriale in 276 miliardi di dollari annui, pari al 3,1% del PIL. A questi vanno aggiunti i costi indiretti: interruzioni della produzione, danni ambientali, incidenti e perdite economiche sistemiche. In molte nazioni industrializzate e in via di sviluppo — dal Regno Unito alla Cina, dall’India alla Germania — studi analoghi hanno confermato che la corrosione può erodere tra l’1% e il 5% del PIL nazionale ogni anno.
Tale impatto ha condotto allo sviluppo di strategie avanzate di gestione della corrosione, basate su un’analisi ambientale preventiva e sull’adozione di materiali innovativi, trattamenti superficiali, barriere protettive e sistemi di monitoraggio continuo. La comprensione fine delle dinamiche corrosive, unite a tecniche di mitigazione adattive, rappresenta oggi un elemento cardine nella progettazione ingegneristica moderna.
L’importanza di integrare la scienza dei materiali con la chimica ambientale e le tecnologie di prevenzione non risiede soltanto nella riduzione dei costi economici, ma anche nella salvaguardia dell’incolumità umana, nella protezione ambientale e nella sostenibilità dei sistemi industriali. La corrosione non è soltanto un problema tecnico, ma una questione sistemica che richiede consapevolezza, ricerca interdisciplinare e pianificazione a lungo termine.
Come si può prevenire la corrosione nei componenti automobilistici in condizioni ambientali critiche?
La corrosione localizzata rappresenta una delle minacce più insidiose alla durabilità dei veicoli, spesso nascosta alla vista fino al manifestarsi di danni strutturali rilevanti. Tra le forme più comuni in ambito automobilistico vi sono la corrosione da fessura e quella intergranulare, entrambe strettamente legate alla microstruttura dei materiali e all’ambiente operativo.
La corrosione da fessura si sviluppa in spazi ristretti dove gli elettroliti possono accumularsi e ristagnare, come nelle giunzioni non perfettamente sigillate o nei punti in cui il drenaggio è insufficiente. L’assenza di ricircolo dell’ossigeno in queste microcavità induce un ambiente acido e riducente che accelera l’attacco corrosivo. Questo tipo di corrosione, silenziosa ma aggressiva, può compromettere gravemente l’integrità del metallo senza segnali visibili all’esterno. Per contenerne l’insorgenza, è fondamentale progettare con attenzione ogni dettaglio, adottando materiali appropriati e forme che riducano al minimo la formazione di interstizi. L’impiego di guarnizioni impermeabili, la garanzia di un corretto drenaggio e la prevenzione dell’accumulo di detriti sono strategie essenziali. L’applicazione di sigillanti e rivestimenti protettivi svolge un ruolo decisivo nel limitare l’accesso delle sostanze aggressive a queste zone vulnerabili. Una manutenzione regolare, accompagnata da ispezioni accurate, è imprescindibile per intercettare precocemente eventuali fenomeni corrosivi prima che si traducano in guasti critici.
La corrosione intergranulare, invece, si manifesta lungo i bordi dei grani cristallini del metallo, dove la disomogeneità chimica rende il materiale più suscettibile all’attacco. Questo fenomeno è particolarmente rilevante negli acciai inossidabili, quando trattamenti termici inadeguati o saldature eseguite in modo scorretto portano alla precipitazione di carburi che impoveriscono localmente il contenuto di cromo, compromettendo la formazione dello strato passivante. Il risultato è una fragilità strutturale che può condurre alla formazione di cricche e, in ultima istanza, alla rottura di componenti vitali. Per evitarla, è essenziale selezionare materiali stabilizzati con elementi come titanio o niobio e controllare con precisione i cicli termici, limitando le esposizioni prolungate a temperature critiche. L’utilizzo di trattamenti termici post-saldatura contribuisce a ridurre sensibilmente il rischio di corrosione intergranulare.
Acciaio e ferro restano materiali cardine dell’industria automobilistica per via della loro resistenza meccanica e versatilità, ma la loro vulnerabilità alla corrosione è ben nota, in particolare in ambienti umidi e ricchi di ossigeno. Il processo elettrochimico alla base della formazione della ruggine comporta la generazione di ossidi di ferro che si sfaldano, esponendo il metallo sottostante a ulteriore attacco. La presenza di agenti esterni come sali stradali, tipici delle regioni costiere o delle aree soggette a gelo, accelera ulteriormente la degradazione. Per far fronte a ciò, l’industria impiega rivestimenti protettivi come primer e vernici che agiscono da barriera contro umidità e ossigeno. La zincatura, mediante la deposizione di uno strato di zinco, offre una protezione sacrificale: lo zinco si corrode al posto dell’acciaio. L’addizione di elementi leganti come cromo, nichel e molibdeno migliora ulteriormente la resistenza alla corrosione, con l’acciaio inossidabile che, grazie a un contenuto minimo di cromo del 10,5%, sviluppa uno strato passivo autoprotettivo.
La protezione catodica, utilizzata in alcuni contesti specifici, rende le strutture in acciaio il catodo di una cella elettrochimica, riducendo così il tasso di corrosione. L’efficacia di questi metodi dipende tuttavia da una manutenzione costante e da ispezioni regolari che permettano di individuare i primi segni di degrado.
Le analisi mediante spettroscopia XPS hanno identificato FeOOH, Fe₂O₃ e FePO₄ come principali prodotti di corrosione. In particolare, il FeOOH è instabile e tende a trasformarsi in Fe₂O₃. La corrosione in ambiente acquoso in presenza di ossigeno è essenzialmente elettrochimica, con l’ossigeno che gioca un ruolo cruciale sia nei meccanismi abiotici che in quelli biotici. Alcuni microrganismi fotosintetici, come la Chlorella vulgaris, producono ossigeno all’interfaccia acciaio/biofilm, intensificando la depolarizzazione catodica. Inoltre, la presenza di fosfati favorisce la formazione di composti come il fosfato ferrico, che svolge un ruolo chiave nella corrosione a vaiolatura. In particolare, i danni iniziali al film di fosfato indotti da C. vulgaris risultano determinanti per l’avvio della corrosione localizzata. Elevate concentrazioni di ossigeno disciolto stimolano la formazione di FeOOH e Fe₂O₃, promuovendo ulteriormente la corrosione in fessura e la formazione di piccoli siti anodici sotto lo strato di ossido, che facilitano l’ossidazione continua del ferro e lo sviluppo di cavità corrosive.
Parallelamente, l’alluminio e le sue leghe sono sempre più utilizzati per via della loro leggerezza e dell’elevato rapporto resistenza/peso, caratteristiche fondamentali per migliorare l’efficienza energetica e le prestazioni complessive del veicolo. Sebbene l’alluminio sviluppi naturalmente un sottile strato di ossido aderente che lo protegge dalla corrosione generalizzata, questo strato può essere danneggiato, esponendo il metallo a fenomeni localizzati come la corrosione a vaiolatura o da fessura, soprattutto in ambienti ricchi di cloro. Per potenziare la protezione, l’industria ricorre all’anodizzazione, che aumenta lo spessore dello strato ossidico naturale. L’aggiunta di elementi come magnesio, silicio e zinco conferisce maggiore robustezza alle leghe di alluminio. Rivestimenti organici e trattamenti inorganici – ad esempio quelli a base di cromati o fosfati – offrono una protezione addizionale impedendo il contatto diretto tra l’ambiente aggressivo e la superficie metallica. Fondamentale resta, anche in questo caso, la progettazione mirata a evitare fessure e ristagni che potrebbero compromettere l’efficacia delle protezioni superficiali.
Oltre alle tecniche di protezione e alle scelte progettuali, è cruciale comprendere il ruolo dell’ambiente microbiologico nella corrosione. L'interazione tra biofilm, metallo e ossigeno modifica profondamente le dinamiche elettrochimiche, aggravando le condizioni locali. Inoltre, la sinergia tra danni meccanici, variazioni termiche e stress da corrosione può accelerare l’innesco di fenomeni critici anche in materiali apparentemente stabili. Solo una visione integrata, che unisca progettazione, selezione dei materiali, trattamento delle superfici e monitora

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