Tre finestre nella scogliera—se si trattava davvero di una scogliera e non di una torre semisommersa—non rivelavano altro che una spettrale luminescenza gialla. Poi si udì la voce aspra e acuta di Lavas Laerk che impartiva ordini. Alcuni dei suoi uomini lavoravano freneticamente alle remi, ma ormai era troppo tardi, anche se la galera sembrava aver trovato un rifugio parziale dietro un muro di roccia, dove l'acqua appariva meno turbolenta. Un terribile rumore graffiante percorse tutta la chiglia. Le assi scricchiolarono e si spezzarono. Un'ultima onda sollevò la nave, e un grande colpo di grinding la fece fermare del tutto. Il suono che seguì fu solo il ruggito del mare, finché Lavas Laerk non gridò con esultanza: “Distribuite armi e vino! Preparatevi per una razzia!” Queste parole sembravano incredibili in una situazione che era ormai più che pericolosa, con la galera distrutta irreparabilmente, squarciata dalle rocce. Tuttavia, gli uomini si rianimavano, come se avessero preso parte all’entusiasmo selvaggio del loro padrone, che aveva loro dimostrato che il mondo non era più sano di lui.

Fafhrd osservò mentre altri uomini prendevano torcia dopo torcia dalla cabina di poppa, finché tutta la parte posteriore della nave non cominciò a fumare e brillare. Vedeva come afferravano le otri di vino, come soppesavano le spade e i pugnali che venivano distribuiti, confrontandoli, colpendo l'aria per familiarizzare con il loro peso e il loro movimento. Poi alcuni di loro lo afferrarono e lo spinsero verso il rack delle spade, dicendo: “Ecco, Capelli Rossi, devi avere anche tu un’arma.” Fafhrd li seguì senza resistenza, ma qualcosa gli diceva che ci sarebbe stato un impedimento nell'armare chi fino a poco tempo prima era stato loro nemico. E infatti, Lavas Laerk fermò il tenente che stava per consegnargli una spada e, fissando con crescente attenzione la mano sinistra di Fafhrd, ordinò: “Prendetelo!” Con un colpo rapido, strappò qualcosa dal dito di Fafhrd. All’improvviso, Fafhrd ricordò. Era l’anello. “Non ci sono dubbi sulla fattura,” disse Lavas Laerk, osservando Fafhrd con uno sguardo acuto, i suoi occhi azzurri che sembravano leggermente incrociati. “Quest’uomo è una spia di Simorgya, o forse un demone di Simorgya che ha preso forma di un Nordico per ingannarci. È emerso dal mare durante la tempesta, vero? Quale uomo tra voi ha visto una barca?”

Un altro steersman, cercando di affermare la propria posizione, rispose frettolosamente: “Ho visto una barca, una strana goletta con vela triangolare…” Ma Lavas Laerk lo tacque con uno sguardo. Fafhrd sentiva il pugnale premere sulla sua schiena e trattenne i muscoli tesi. “Lo uccidiamo?” La domanda proveniva da dietro l’orecchio di Fafhrd. Lavas Laerk sorrise amaramente nell’oscurità, come se stesse ascoltando un consiglio da qualche spirito invisibile della tempesta, poi scosse la testa: “Lasciamolo vivere per ora. Potrebbe mostrarci dove sono nascosti i bottini. Tenetelo sotto sorveglianza, con spade nude.” Così, tutti lasciarono la galera, arrampicandosi su corde sospese dalla prua verso rocce che venivano sommerse e scoperte dalle onde. Qualcuno rideva, qualcun altro si lanciava giù. Una torcia cadde e si spense nell’acqua salata. Ci fu molto baccano. Un uomo cominciò a cantare in una voce ubriaca, con un tono simile a un coltello arrugginito. Poi Lavas Laerk li riorganizzò e la marcia riprese, metà degli uomini con torce, alcuni ancora con le otri di vino, scivolando sulle rocce e maledicendo le pietre affilate e le cozze che li ferivano quando cadevano. Lanciavano minacce esagerate verso l’oscurità, dove scintillavano strane finestre.

Dopo aver camminato per un po’, il rumore delle onde si affievolì, quando la luce delle torce rivelò un portale nella grande muraglia di roccia nera, che potrebbe essere stato un castello o una caverna. Il portale era quadrato e alto quanto un remo. Tre gradini, ricoperti di sabbia bagnata, conducevano ad esso. Faticosamente, riuscivano a scorgere delle incisioni sui pilastri e sulla trave sovrastante, parzialmente coperte da una melma viscida e altre incrustazioni, ma indubbiamente di stile Simorgyan. La ciurma, che si era avvicinata in silenzio, formava ora un piccolo gruppo compatto. Poi Lavas Laerk chiamò con disprezzo: “Dove sono le vostre guardie, Simorgya? Dove sono i vostri combattenti?” E si avvicinò rapidamente ai gradini di pietra. Dopo un momento di incertezza, l’uomo vicino a lui scivolò indietro, e gli altri seguirono. Fafhrd si fermò involontariamente sull’uscio, paralizzato dalla consapevolezza della fonte della flebile luce gialla che aveva notato nelle finestre in alto. Ora la luce era ovunque: soffitto, pareti e pavimento viscido emanavano una luminescenza tremolante. Anche le incisioni scintillavano. Un misto di paura e repulsione lo assalì. Ma gli altri lo spinsero avanti, trasportandolo nel buio, ignari della verità che lui stava cercando di afferrare.

Si addentrarono in un corridoio umido, coperto di fango. Alcuni tenevano le armi pronte per ogni possibile attacco, ma presto le abbassarono, continuando a bere e cantare allegramente. La scena si faceva sempre più surreale: immagini di mostri marini e figure antropomorfe che sembravano prendere vita. Ogni passo era accompagnato dal rumore dell’acqua che scivolava via, da pesci ancora vivi che venivano calpestati, e da strane creature che si muovevano furtivamente. Fafhrd sentiva un peso schiacciarlo mentre avanzava, ma la sua mente era avvolta e sopraffatta dal mistero del mondo sommerso. Era impossibile non rendersi conto che si trovava nel cuore di un luogo sepolto, un posto che non avrebbe dovuto mai essere trovato, eppure gli altri continuavano a marciare, ignari di ciò che li attendeva.

Cos'è la Realtà? Viaggio tra Mondi Paralleli e Memorie Perdute

Un incontro, un volto familiare che non riesce a suscitare alcun ricordo, eppure, forse, una vita condivisa. Il dialogo che si svolge tra i due protagonisti non è solo un momento di scoperta, ma una riflessione sull'esistenza stessa e sulle infinite possibilità che il tempo e lo spazio potrebbero offrire. Si sfiorano verità scomode, si naviga tra le pieghe della percezione e si scopre quanto sia sottile il confine tra la realtà che viviamo e quella che sogniamo.

Quando il protagonista entra nell'appartamento della donna, nulla sembra cambiato, eppure ogni cosa è diversa. L'ambiente che lui ricordava in un'altra realtà, con i suoi dischi e i suoi libri, ora appare spoglio, come se qualcosa si fosse perduto nel passaggio tra mondi. Non è più la stessa Elizabeth, eppure è lei. La familiarità dei gesti, del corpo che si muove con una grazia che lui riconosce, è come un eco distante della persona che aveva amato in un'altra vita. Ma la donna che si trova davanti a lui non è quella che lui ricorda. È una nuova versione, una variabile di ciò che avrebbe potuto essere, una “Elizabeth” che non appartiene a questa realtà ma che sembra ugualmente parte del suo destino.

Il protagonista si trova a dover spiegare qualcosa che sfida la logica: una connessione che va oltre il semplice incontro casuale, una relazione che non può essere ridotta a una semplice spiegazione razionale. Egli è stato innumerevoli volte tra mondi paralleli, eppure il suo cuore è rimasto ancorato a una figura, a una persona che potrebbe non essere più quella che conosceva. Ma, allo stesso tempo, quel volto, quel corpo, rappresentano la sua continuità, la sua ricerca di una familiarità che lo trascina senza sosta attraverso le dimensioni.

Il concetto di mondi paralleli viene qui esplorato come una molteplicità infinita di possibilità, dove ogni scelta, ogni evento, dà vita a una nuova realtà. Le parole del protagonista suonano come una rivelazione: esistono mondi in cui lui e Elizabeth sono sposati, mondi in cui non si sono mai incontrati, mondi in cui lei è morta, e altri in cui la loro storia ha preso pieghe completamente diverse. Ogni mondo è una ramificazione di una possibilità, un'esistenza che non è mai definitiva, ma sempre in continua evoluzione. Il protagonista, dunque, non sta semplicemente cercando una persona, ma un’esperienza, un legame che, pur variando in ogni realtà, rimane alla base del suo essere.

Ciò che emerge è una ricerca incessante, non di un luogo o di una persona in particolare, ma di un’esperienza che può manifestarsi in innumerevoli forme. La sua esigenza non è quella di tornare indietro, di riscoprire ciò che ha già vissuto, ma di esplorare l'ignoto, di cercare sempre un qualcosa di nuovo, un’ulteriore possibilità da vivere. Il protagonista, infatti, non è mai “costretto” a viaggiare tra i mondi, lo fa perché non può fare a meno di cercare, come un Faust moderno, in perenne ricerca di quella “verità” che potrebbe farlo fermare, ma che una volta raggiunta lo costringerebbe a perdere qualcosa di più profondo.

Questo incessante movimento tra mondi non è solo una fuga dalla realtà che conosce, ma una necessità intrinseca, un modo di essere che va oltre l'intelletto, che non può essere compreso con la ragione. La sua vita non è più dettata dalla logica della ricerca di una verità definitiva, ma dalla semplice ricerca di ciò che il mondo ha da offrire, in tutte le sue forme. Il suo viaggio non ha uno scopo finale, se non quello di essere continuamente aperto all'esperienza, senza mai accontentarsi di una sola versione della realtà.

Il dialogo tra il protagonista e Elizabeth si sviluppa sotto il segno di una continua sfida tra razionalità e emozione. Mentre lei osserva con scetticismo la sua versione degli eventi, lui si difende, sostenendo che non sta cercando un fine, ma un processo continuo, una scoperta che non può fermarsi, perché fermarsi equivarrebbe a smettere di vivere. La sua libertà, dunque, non è data dal non avere legami, ma dalla possibilità di scegliere ogni volta un nuovo cammino, una nuova vita, un’altra possibilità.

Questa riflessione sulla libertà e sul desiderio è centrale: il protagonista non è un uomo “spinto” da una necessità psicologica o da un trauma, ma da un impulso a vivere tutte le potenzialità che la vita può offrire. È la condizione dell’esistenza, il desiderio di abbracciare l’infinito senza accontentarsi di un unico mondo, che lo guida. Ma la domanda rimane: cosa sta cercando veramente? Cos'è quella “cosa” che si nasconde dietro il suo continuo movimento, quella ricerca che non si ferma mai? Forse, la risposta sta proprio nella ricerca stessa, in quella tensione continua che permette di sentirsi vivi.

A chi legge, potrebbe apparire che questo viaggio senza fine, questo perpetuo movimento tra mondi, rappresenti una forma di libertà assoluta. Ma è importante considerare che questa libertà ha un prezzo: il rischio di non accontentarsi mai, di non fermarsi mai. In un mondo dove ogni possibilità è a portata di mano, può essere difficile apprezzare ciò che abbiamo, perché l’infinito delle opzioni rende ogni scelta meno definitiva, più effimera. La domanda fondamentale per il lettore è quindi: cosa succede quando l’infinito è a disposizione, ma l’unico vero legame che cerchiamo è un volto, un sorriso che sembra sempre sfuggirci?

La Solitudine e il Viaggio dell'Anima: Un'Esplorazione Interiore

Cameron cammina verso di lei, quella figura alta, con i capelli dorati sciolti che scorrono come una cascata. Tra la folla del mercato, si fa strada con difficoltà, ma i suoi occhi si fermano su una figura maschile al fianco della donna, che potrebbe essere Elizabeth. Un uomo della stessa altezza e corporatura di Cameron, vestito con una lunga veste nera, il volto parzialmente coperto da una sciarpa. Il suo sguardo è cupo e pieno di rabbia, mentre una cicatrice enorme, con segni di sutura incrociati, percorre la sua guancia sinistra. L’uomo sussurra qualcosa alla donna, che si volta per rivelare il suo volto. Sì, è proprio Elizabeth, ma anche lei porta una cicatrice, che percorre la parte destra del suo viso. Cameron è scioccato. In quel momento, l’uomo cicatrizzato urla e punta verso di lui, e un assassino armato di scimitarra si fa avanti, urlando in una lingua sconosciuta, forse araba. La scena è rapida e terribile, come una fotografia, e Cameron ha appena il tempo di scrutare il viso del suo attaccante prima che la lama si abbatta su di lui.

Ma non è la fine, non ancora. Cameron è catapultato in un altro luogo, un posto senza tempo, dove la Terra stessa sembra svanire, lasciando spazio a un’infinita distesa di spazio. Il verde intenso che lo circonda emana una luce brillante, come un messaggio dall'universo. Qui, nel silenzio cosmico, Cameron fluttua, libero dalle leggi della gravità e del tempo, mentre la sua mente vaga tra immagini che prende dalla materia luminosa che lo circonda. Crea forme, volti, paesaggi di pura fantasia. Questo è il massimo della libertà, ma anche la solitudine. La pace diventa noia, la serenità si trasforma in inquietudine. Così, dopo aver esplorato i limiti di questo luogo, si sente pronto a partire ancora una volta. Il viaggio deve continuare, il suo scopo non è l’arrivo, ma il cammino stesso.

E così, come in un sogno, si materializza in un piccolo villaggio agricolo, dove i contadini si disperdono terrorizzati alla sua apparizione, per poi avvicinarsi lentamente, curiosi e timorosi. Una donna gli porge un bambino, e Cameron, con un sorriso, lo solleva, rassicurando i presenti. L’atmosfera cambia rapidamente: paura si trasforma in amore, venerazione in adorazione. I contadini lo considerano un dio. Lo trattano come tale, gli offrono cibo, danze e preghiere. Una visione faustiana prende piede nella mente di Cameron: l'idea di fermarsi, di diventare il re di questa gente semplice, di guidarli verso la civilizzazione, di insegnare loro agricoltura avanzata e modernità. Ma sa che non può rimanere. Il viaggio è ciò che conta, non la meta. Il rischio di cadere nell’inganno di una felicità artificiale, nel piacere di essere adorato, è troppo grande. La tentazione di fermarsi è forte, ma la consapevolezza che fermarsi equivarrebbe a morire spiritualmente lo spinge a proseguire.

E così, Cameron si ritrova di nuovo nel suo mondo, a casa, con la sua macchina verde nel garage e quella di Elizabeth parcheggiata davanti. Ma anche questa apparizione familiare, che inizialmente sembra un ritorno alla normalità, non lo soddisfa. Il viaggio è stato troppo intenso, troppo vasto, per poter trovare pace in un semplice ritorno. Tuttavia, ogni passo che ha compiuto, ogni luogo che ha visitato, ogni incontro che ha avuto, è stato parte di una scelta interiore. Le sue esperienze lo hanno trasformato, lo hanno forgiato. La sua casa, che sembrava un punto di arrivo, è ora solo un’altra fermata nel suo cammino infinito.

Cameron ha imparato che l’unica cosa che conta è la ricerca stessa. Non importa dove si arrivi, ma come si viaggia. Non c’è una meta definitiva. Il vero viaggio non è esteriore, ma interiore. Ogni passo, ogni luogo, ogni incontro è una parte della ricerca di se stessi. E proprio quando sembra che abbia trovato la pace, il suo spirito si spinge ancora oltre, pronto per la prossima avventura.

Il lettore deve comprendere che il viaggio di Cameron non è solo un cammino fisico attraverso mondi lontani. È un viaggio interiore, una continua esplorazione della propria esistenza, dei propri limiti e desideri. Ogni incontro, ogni luogo, ogni esperienza è un’opportunità per crescere e comprendere meglio se stessi. La vera domanda, alla fine, è questa: cosa cerchiamo davvero nel nostro viaggio? Cosa speriamo di trovare, e cosa siamo disposti a lasciare andare per continuare a crescere?