La struttura narrativa di una storia gioca un ruolo fondamentale nel determinare il suo successo e la sua capacità di emozionare il pubblico. Kurt Vonnegut, noto scrittore e pensatore, ha sviluppato un'analisi intrigante delle forme narrative, che ha applicato a numerosi racconti e generi culturali. Secondo Vonnegut, la maggior parte delle storie segue uno degli otto schemi archetipici principali, che si riflettono in un grafico della fortuna del protagonista durante il corso della trama. Il più noto di questi è il cosiddetto "uomo nel buco", una storia in cui il protagonista inizia con una situazione di fortuna leggermente sopra la media, ma subito dopo affronta una calamità che fa precipitare la sua situazione. Tuttavia, grazie al suo ingegno e coraggio, riesce a risollevarsi e alla fine si ritrova in una condizione leggermente migliore rispetto all'inizio.

Questo schema semplice e visivamente chiaro, una sorta di U allungata con una discesa e successiva risalita, è il cuore di molte delle storie più popolari e ben riuscite. Eppure, nonostante la sua apparente semplicità, l'analisi di Vonnegut è supportata da studi scientifici recenti che confermano la sua validità. Un'indagine condotta presso l'Università di Cornell ha esaminato l'andamento emotivo dei film di Hollywood, mostrando che l'arco emotivo "dell'uomo nel buco" è quello che riscuote il maggiore successo al botteghino, indipendentemente dal genere o dal budget di produzione.

Oltre a questo schema, Vonnegut identifica altre sette forme archetipiche, ognuna delle quali trova riscontro in storie e miti che appartengono a diverse tradizioni culturali. Ad esempio, "boy meets girl" è lo schema che descrive l'incontro tra un protagonista e una persona che desidera ardentemente, ma che perde e poi riconquista. È il modello che sta alla base di molte commedie romantiche. Un altro esempio è la "Cenerentola", dove la storia inizia in modo sfavorevole ma, dopo una serie di difficoltà, finisce con un miglioramento decisivo, con il tipico lieto fine.

In questo contesto, si trova anche lo schema "From bad to worse", in cui la storia si sviluppa in un crescendo di sfortuna, come nel celebre racconto "La metamorfosi" di Kafka. Vi è poi "Which way is up?", dove gli eventi non sono chiaramente buoni né cattivi, e la trama si sviluppa in modo ambiguo, come accade in molte opere esistenzialiste come l'"Amleto" di Shakespeare.

Un'altra interessante riflessione riguarda i paralleli tra le storie più popolari e i miti fondanti delle religioni e delle ideologie. Ad esempio, lo schema narrativo del "Nuovo Testamento" rispecchia in modo sorprendente quello di "Cenerentola", con la sua discesa e successiva ascesa verso un lieto fine. Questo tipo di struttura è emblematico anche di alcuni degli ideali che stanno alla base del "sogno americano", dove un eroe, partendo da una situazione di svantaggio, raggiunge il successo.

Nel corso della storia della narrativa, molti altri studiosi e autori hanno cercato di sistematizzare i diversi tipi di trama. Georges Polti, nel XIX secolo, ha identificato trentasei situazioni archetipiche, mentre Ronald B. Tobias ha ridotto a venti le trame fondamentali. Blake Snyder, per esempio, ha proposto dieci trame base, e più recentemente, alcuni ricercatori dell'Università del Vermont hanno esaminato oltre mille opere di narrativa per mappare le emozioni e gli archi narrativi ricorrenti, identificando ulteriori schemi come "Rags to riches" (da povero a ricco), "Icarus" (un'ascesa seguita da una caduta) e "Oedipus" (un alternarsi di ascesa e caduta).

Questi schemi, purtroppo, rischiano di sembrare riduttivi, soprattutto se ridotti a linee rette o U che vanno verso l'alto o verso il basso. Tuttavia, come evidenziato da Vonnegut, ciò che conta non è tanto la forma di questi schemi, ma ciò che ci insegnano riguardo alla natura delle storie stesse e alla struttura emotiva che le sostiene. La comprensione di queste strutture aiuta a rivelare profondi legami tra diversi racconti, che a loro volta possono riflettere importanti temi culturali, morali e sociali.

Uno degli schemi più rilevanti nella narrativa politica è quello definito da Christopher Booker come "Overcoming the monster". In queste storie, una comunità è minacciata da una forza maligna o un mostro, e un eroe (di solito riluttante e impreparato) deve affrontare la bestia, superare le sue paure e sfide e infine sconfiggerla. Questo tipo di trama è spesso utilizzato per definire l'identità della comunità o della nazione, ed è per questo che è così pertinente per la narrativa politica. Le storie di "Rags to riches", invece, raccontano la crescita di un individuo che parte da una condizione di svantaggio e, grazie alla propria forza e determinazione, riesce a ottenere il successo, rappresentando un modello ideale di progresso.

Un altro aspetto fondamentale di queste storie è come esse siano spesso simboli di crescita e trasformazione. La lotta, la sconfitta e la rinascita sono temi universali che parlano all'anima umana, e ciò che si impara durante il viaggio del protagonista è altrettanto importante della risoluzione finale. In molti casi, il vero obiettivo della storia non è tanto raggiungere il successo materiale o la vittoria finale, ma il cambiamento interiore che avviene durante il cammino.

Come le storie politiche semplificano la realtà e cosa ci insegnano

Le storie politiche populiste sono strutturate attorno alla paura, un tema che traccia il futuro come un luogo di problematiche inevitabili: i posti di lavoro che perderemo, la minaccia che gli immigrati rappresentano per il nostro futuro. Questo tipo di narrazione si fonda principalmente sulla paura della migrazione, più che su qualsiasi evidenza concreta dei suoi effetti reali. Tuttavia, questa paura ha il vantaggio di creare una trama meno ambigua rispetto alla complessità economica e culturale che effettivamente caratterizza i flussi migratori globali. La realtà delle migrazioni è molto più intricata di quanto le storie semplicistiche riescano a raccontare.

Un esempio simile emerge nel contesto politico britannico, dove l'atteggiamento verso l'Europa e l'Unione Europea è spesso pervaso da narrazioni semplificate. Secondo lo scrittore Fintan O’Toole, le opinioni dominanti sulla relazione del Regno Unito con il continente si fondano su pochi schemi narrativi di base. Uno dei più persistenti, soprattutto tra le mentalità conservatrici, è l'idea che la Gran Bretagna sia passata dallo status di orgoglioso proprietario di un impero a quello di colonia occupata, un "stato vassallo" come recita la metafora popolare. Questa visione si basa su una dicotomia semplice: o sei il padrone, o sei il vassallo, il colonizzatore o il colonizzato. Nonostante la Seconda Guerra Mondiale sia stata vinta dalla Gran Bretagna e dai suoi alleati, persiste la convinzione che quelle stesse battaglie siano ancora in corso, e che l'Unione Europea sia una forma di dominio tedesco. Così, la Brexit diventa una lotta tra una piccola nazione coraggiosa e le ambizioni imperialiste di vicini continentali senza scrupoli. Questa visione distorta del mondo è fondamentalmente una fantasia distopica che, per la mente reazionaria inglese, è indistinguibile dalla realtà. Invece di un confronto equilibrato sulle vere problematiche politiche tra il Regno Unito e l'Europa, il dibattito si riduce a una narrazione semplicistica di nazionalismo e ostilità nazionale.

Questa semplificazione estrema non solo distorce la verità, ma altera anche la concezione di ciò che la verità potrebbe e dovrebbe essere. Un esempio lampante di questa tendenza è la controversia suscitata dalla risposta del cancelliere ombra del Regno Unito, John McDonnell, alla domanda su Winston Churchill. Alla richiesta di esprimere in una sola parola se Churchill dovesse essere considerato un eroe o un villain, McDonnell, dopo aver menzionato gli scioperi di Tonypandy in Galles del Sud, rispose con "villain". Questo giudizio ridotto all'essenziale della figura politica e militare di Churchill, il cui lungo percorso politico ha attraversato settant'anni e crisi cruciali del XX secolo, è stato amplificato dai media come se fosse una valutazione definitiva e incontestabile. In questo caso, la narrazione in gioco riguarda tanto l’identità di McDonnell – politico di sinistra, impegnato nelle proteste – quanto quella di Churchill, ma la riduzione di una vita complessa a una semplice opposizione tra bene e male è tipica di come le storie semplificate possano invadere il dibattito politico, distogliendo l'attenzione dal necessario confronto razionale.

Queste storie semplificate, come spiega Chimamanda Ngozi Adichie, sono pericolose proprio perché riducono situazioni complesse a stereotipi. La sua riflessione sulla "storia unica" ci avverte di come una narrazione dominante possa deformare la percezione che abbiamo di una cultura o di una realtà sociale, come nel caso dell'Africa, che viene frequentemente dipinta come un continente in cui prevalgono la povertà e la miseria. Una simile riduzione semplificata distorce la comprensione di milioni di persone e dei loro molteplici contesti culturali. Le storie uniche sono strumenti di potere che modellano la nostra visione del mondo, creando confini netti tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, senza lasciare spazio alla complessità.

David Brooks, adattando il concetto di "storia unica", suggerisce che la mancanza di sfumature nel discorso pubblico rende difficile affrontare le sfide politiche in modo costruttivo. Ogni politica, afferma, ha effetti positivi e negativi, e può risolvere alcuni problemi mentre ne complica altri. Non esiste una soluzione universale per le complessità della vita sociale, e riconoscere questa realtà è fondamentale per condurre conversazioni politiche produttive. La sfida principale è scegliere leader capaci di tenere in mente più storie contemporaneamente, di abbracciare la contraddizione e la complessità, evitando coloro che non sono in grado di farlo. Sebbene questo consiglio sia sensato, la politica non è solo fatta di razionalità: è anche persuasionale. Quando si fa campagna elettorale, la semplificazione della narrazione diventa uno strumento potente per persuadere l'elettorato. Le storie archetipiche, come quelle che vedono l'Unione Europea come un mostro da abbattere, sono efficaci proprio perché rispondono a strutture narrative già familiari, che permettono di incasellare gli eventi in un sistema di valori prestabilito.

In questo tipo di narrazione, non si sta semplicemente etichettando qualcosa come "male", ma si sta indicando che quel qualcosa sta compiendo azioni malvagie, minacciando il benessere della società. Ogni politico che costruisce il proprio discorso attorno a una storia di lotta contro un nemico comune sfrutta questa logica per mobilitare l'elettorato, distorcendo spesso la realtà in favore di una visione più drammatica e facile da comprendere. Così, la politica si trasforma in uno spettacolo drammatico, dove i leader interpretano il ruolo di protagonisti in una storia di conflitto che, in definitiva, è pensata per emozionare e persuadere, piuttosto che per spiegare le reali dinamiche in gioco.

Come la narrazione politica diventa un'arma: la logica della cospirazione e l'arte del racconto

Nel panorama dei social media, enormi gruppi online si radunano per cercare di predire le narrazioni di certi programmi televisivi, analizzando dettagli minori e curiosi delle trame che poi vengono sottoposti a intense speculazioni. Questo fenomeno ha portato alla nascita delle "epileptic trees", ovvero teorie del complotto esagerate che si basano sulla logica della "pistola di Cechov". Un esempio specifico di questa ipotesi si ritrova nella prima stagione della serie televisiva Lost, dove un curioso e inspiegabile fenomeno riguardava degli alberi che si scuotevano in modo apparentemente senza motivo. Una teoria plausibile, ma improbabile, era che gli alberi soffrissero di attacchi epilettici. In sintesi, quando l'impossibile viene eliminato, ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità. Questo è il cuore della narrativa: tutto è connesso, per citare E. M. Forster. Ogni elemento della trama, anche il più insignificante, si collega inevitabilmente a un altro, creando un percorso che sembra rigorosamente lineare. Una rottura di questa catena causale è vista come una lacuna nel racconto, un errore di costruzione narrativa.

Nel contesto della narrativa politica, la stessa logica di causalità si applica. Il racconto si costruisce su legami inevitabili tra gli eventi, come se ogni causa avesse una sua ragione intrinseca e necessaria. Come osserva Roland Barthes, "la narrazione non è mai composta da nient'altro che funzioni", e anche il dettaglio che sembra insignificante diventa fondamentale per la comprensione complessiva, una presenza che, alla fine, finisce con il conferire significato. La causalità è ciò che crea una trama, non semplicemente ciò che descrive gli eventi che si susseguono. La stessa logica si applica alla politica, dove ogni evento è visto come parte di un disegno coerente che, attraverso la narrazione, riesce a giustificare ogni azione, ogni scelta, ogni cambiamento.

La vita reale, però, non opera con la stessa precisione meccanica. Sebbene la nostra mente tenda a vedere il mondo come una serie di cause ed effetti, la realtà è molto più complessa e sfuggente. Questo non impedisce però alla mente umana di cercare un ordine in ciò che percepisce, di cercare cause anche quando queste non sono evidenti o addirittura inesistenti. La nostra predisposizione a vedere il mondo in termini di causalità non è solo un elemento cognitivo, ma anche una costruzione culturale che permea anche le nostre credenze politiche. Le teorie della cospirazione, infatti, derivano spesso dalla tendenza a ricercare un nesso causale semplice e lineare anche in contesti dove questo nesso non esiste.

Le teorie del complotto sono il risultato di una visione distorta della realtà che cerca spiegazioni assolute e finalistiche. Spesso, i teorici della cospirazione sono ossessionati tanto dalla storia raccontata quanto dal modo in cui questa storia viene narrata. La narrativa che propongono è generalmente semplice e lineare: un complotto segreto, orchestrato da una rete di potenti che agiscono con intenti malevoli. Un governo o un'elite manipolano il mondo dietro le quinte, ingannando il pubblico attraverso illusioni elaborate. Questo tipo di narrazione si contrappone apertamente alla versione ufficiale dei fatti, accusando i media mainstream di essere complici nel mantenimento della menzogna collettiva. Per i cospirazionisti, la narrazione alternativa diventa essenziale quanto la storia stessa, in quanto rivela la verità nascosta.

Questo approccio ha avuto un'influenza crescente nella politica moderna, dove la retorica delle teorie del complotto si è mescolata con i movimenti populisti. Figure politiche come Donald Trump, con il suo sostegno alla "Birther movement" e le sue paranoie sul "deep state", incarnano perfettamente questo tipo di narrazione. L'antagonismo verso l'establishment e la presunta corruzione delle istituzioni governative sono i temi principali di queste teorie, che si presentano come una lotta tra il bene (il popolo, i cittadini) e il male (il governo o i suoi agenti). La logica del complotto è strettamente legata alla necessità di vedere il mondo come un luogo dove il bene trionfa contro il male, dove la verità è nascosta ma può essere portata alla luce da chi ha il coraggio di sfidare il sistema.

Le teorie della cospirazione, quindi, si inseriscono perfettamente in un archetipo narrativo che ricalca il "superamento del mostro". In questo racconto, un eroe (il cittadino o il ricercatore della verità) combatte contro una forza malevola (il "mostro", che in questo caso è rappresentato dal governo o dalle forze di potere) che, sebbene immensamente più potente, ha un punto debole. Grazie a una piccola inconsistenza nei fatti o alla scoperta di un errore nel racconto ufficiale, l'eroe riesce a prevalere, smascherando il complotto e portando alla luce la verità.

Le teorie del complotto, come tutte le narrazioni, sono il tentativo di spiegare eventi complessi e di dare senso a un mondo che appare confuso e difficile da comprendere. Se per la narrativa politica il fine è quello di mantenere la coerenza causale in ogni elemento della trama, la realtà stessa è troppo complessa per essere confinata dentro le rigide regole di causalità proprie delle storie finzionali. La realtà non sempre risponde alla nostra necessità di spiegazioni, e il tentativo di forzare ogni evento in uno schema causale può portare alla creazione di miti e leggende che, pur sembrando verosimili, sono il risultato di una mente che cerca disperatamente ordine in un mondo che spesso non lo offre.