Il 2018 ha visto il passaggio del SESTA (Stop Enabling Sex Trafficking Act), una legislazione che ha avuto un impatto significativo sui lavoratori e le lavoratrici del sesso, in particolare quelli che dipendevano dagli annunci online per guadagnarsi da vivere. Questi annunci, che permettevano di filtrare i clienti, sono stati vietati, costringendo molti a tornare per strada, con tutte le problematiche economiche e di sicurezza che questo comporta. La giustificazione del SESTA era quella di contrastare il traffico sessuale, in particolare quello minorile, ma non veniva fatta alcuna distinzione tra il traffico sessuale forzato e il lavoro sessuale volontario degli adulti. Questo approccio ha messo in evidenza come la sofferenza e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali siano facilmente ignorati dalla classe politica statunitense. La legislazione ha suscitato una risposta quasi unanime, con solo due senatori che si sono opposti al FOSTA, la versione precedente della legge.
In parallelo, la visibilità delle persone transgender, pur in aumento, resta fragile e parziale. Se figure come Caitlyn Jenner e Chaz Bono sono diventate celebrità riconosciute, per molti membri della comunità transgender la realtà quotidiana è segnata da discriminazioni, povertà e violenza. Un rapporto del National Center for Transgender Equality e della National Gay and Lesbian Task Force del 2011 ha evidenziato la drammaticità della situazione: il 41% delle persone transgender ha tentato il suicidio, oltre il 60% è stato vittima di aggressioni fisiche e sessuali, e il 15% ha abbandonato la scuola primaria e secondaria a causa di molestie. Questi dati, purtroppo, non rappresentano un'eccezione, ma una realtà quotidiana per una grande parte della comunità transgender.
Le recenti vittorie politiche, come l'elezione di Danica Roem alla Camera dei delegati della Virginia nel 2017, sono segni di cambiamento, ma non devono farci dimenticare che il successo di alcuni individui non riflette necessariamente il benessere di tutta la comunità. Non è un caso che la maggior parte delle persone transgender, in particolare quelle non bianche o con background economici più difficili, non benefici ancora delle stesse opportunità di visibilità e accesso al potere delle loro controparti più celebri. La resistenza politica alle politiche inclusive e il ritorno di normative discriminatorie, come quella che vieta l'ingresso nelle forze armate per le persone transgender, sono un chiaro esempio di come il progresso per alcune categorie sociali sia ostacolato da una cultura politica che preferisce non affrontare i problemi strutturali di disuguaglianza.
In effetti, molte delle vittorie politiche delle persone transgender possono essere viste come parte di una resistenza al predominio del Partito Repubblicano e alla linea politica dell'amministrazione Trump. Tuttavia, il cambiamento significativo richiede più di semplici battaglie legislative. Un movimento progressista duraturo deve includere tre componenti: un pensiero teorico che analizza e critica la struttura sociale, l'attivismo che mobilita le persone, e una vasta base di soggetti che rappresentano concretamente le lotte di questi gruppi. Questi componenti raramente si allineano completamente e, quando lo fanno, è solo dopo che una certa consapevolezza collettiva è stata raggiunta.
La lotta per i diritti delle persone transgender e dei lavoratori del sesso non si svolge in un vuoto, ma è influenzata dalla cultura e dalle istituzioni politiche che spesso non riconoscono l'importanza di questi gruppi ai fini del benessere collettivo. Il punto critico di questa lotta, come in altre esperienze storiche di resistenza, non sta solo nelle vittorie individuali, ma nel miglioramento delle condizioni materiali di vita per la maggioranza. La disparità tra le esperienze vissute dalle persone più visibili e quelle più emarginate all'interno di questi gruppi non è un'anomalia, ma una riflessione delle strutture sociali più ampie che perpetuano le disuguaglianze.
È fondamentale riconoscere che, anche in contesti legislativi e sociali apparentemente progressisti, la lotta per l'eguaglianza è ancora un lungo cammino. L'adozione di politiche inclusive richiede non solo la modificazione delle leggi, ma anche un cambiamento culturale che ripensi le fondamenta stesse del contratto sociale. Questo processo non è rapido e richiede un continuo impegno educativo, di sensibilizzazione e di azione collettiva per colmare il divario tra i diritti acquisiti da alcuni e le difficoltà quotidiane affrontate dalla maggior parte.
L'immigrazione, l'assimilazione e l'espulsione negli Stati Uniti: una riflessione storica e contemporanea
Nel corso del XX secolo, il rapporto tra gli ebrei e la società americana è stato segnato da un’ambigua dicotomia. Sebbene molti ebrei americani oggi si identifichino come bianchi, a partire dall'inizio del secolo scorso, gli ebrei, specialmente quelli provenienti dall'Europa orientale, sono stati oggetto di violenti pregiudizi. Il successo economico e il radicalismo politico di alcuni ebrei avevano suscitato reazioni antisemite da parte di ampi settori della società americana, che spesso li accusavano di essere avari, clannistici e fisicamente inferiori. Nonostante queste difficoltà, gli ebrei americani si schierarono con coloro che rimanevano in Europa orientale durante la Prima Guerra Mondiale, che erano vittime di carestie, espulsioni e pogrom. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nonostante il persistere dell’antisemitismo, gli ebrei americani continuarono a prosperare, e negli anni '70 le espressioni di razzismo esplicito contro di loro divennero meno diffuse.
Con il passare del tempo, la società americana si è evoluta, ma il destino degli immigrati più recenti – come quelli provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa (MENA) o dall'America Latina – ha posto nuove sfide di assimilazione. La domanda che si pone è se questi gruppi di immigrati seguiranno lo stesso percorso di assimilazione che aveva visto gli irlandesi, gli italiani, i tedeschi e gli ebrei integrarsi nella società americana. Molti sociologi, come Richard Alba e Victor Nee, sono ottimisti riguardo alla possibilità che questi gruppi possano assimilarsi gradualmente nel tempo, proprio come le ondate di immigrati che li hanno preceduti. Tuttavia, l’esperienza post-11 settembre ha complicato la questione. Gli immigrati provenienti dai paesi musulmani e quelli provenienti dall'America Latina, in particolare dal Messico, sono stati vittime di sospetti generalizzati e di politiche restrittive che ne hanno ostacolato l’integrazione. Le paure legate al terrorismo e la crescente influenza del nazionalismo cristiano bianco hanno creato una nuova barriera per questi gruppi.
In parallelo, i mezzi di comunicazione elettronica e i viaggi aerei hanno reso più facile per gli immigrati mantenere forti legami con i propri paesi di origine, il che ha contribuito a rafforzare le loro identità culturali. Questa connessione costante con le terre d’origine ha ridotto l'incentivo per l’assimilazione, unendo ulteriormente i nuovi immigrati alla loro cultura originaria. In un contesto di violenze contro le minoranze, crimini d'odio e una crescente sfiducia da parte del governo e della popolazione, l'integrazione è diventata una questione sempre più complessa.
Tuttavia, l’assimilazione non deve essere vista solo come una questione culturale. Essa è intrinsecamente legata al riconoscimento dei diritti di identità e appartenenza. In una società democratica e pluralista, l’assimilazione culturale non dovrebbe essere imposta dalla maggioranza o dai gruppi dominanti. Al contrario, dovrebbe emergere come un processo naturale in cui la cultura e le tradizioni di ciascun gruppo vengono preservate, senza la necessità di rinunciare alla propria identità.
Un altro aspetto che ha acquisito centralità nei discorsi sull'immigrazione negli ultimi decenni è quello dell'espulsione e della deportazione. L’espulsione, che spesso viene confusa con la deportazione, si riferisce alla rimozione fisica di un individuo o di un gruppo dal territorio di uno stato. Dopo gli attentati dell’11 settembre, il dibattito sull’immigrazione si è concentrato maggiormente sulla deportazione, con enormi aumenti nel numero di persone espulse durante le amministrazioni di Bush, Obama e Trump. Questo fenomeno ha visto due milioni di persone deportate durante l’amministrazione Bush e 2,5 milioni sotto Obama, con un picco che ha coinvolto la retorica anti-immigrante di Trump. La retorica di Trump, definita spesso come divisiva e xenofoba, ha alimentato una forte tensione sociale, in particolare riguardo agli immigrati provenienti dal Messico e dai paesi musulmani. Il suo discorso è stato permeato da stereotipi e pregiudizi che ritraevano gli immigrati come minacce alla sicurezza nazionale e alla cultura americana.
La deportazione, però, non è solo una questione di sicurezza nazionale, ma riguarda la sicurezza umana: chi ha il diritto di rimanere negli Stati Uniti? Chi è considerato "degno" di essere parte della nazione? Questi interrogativi vanno ben oltre la sicurezza fisica e si riferiscono a questioni esistenziali, come il diritto di una persona di vivere nel paese in modo permanente, con i diritti e le libertà che ne derivano.
La deportazione di massa dei messicani negli Stati Uniti ha radici storiche che risalgono agli anni '20 e '30 del secolo scorso, quando gli Stati Uniti giustificarono queste azioni con argomenti legati alla scarsità di lavoro e al razzismo. Questi espulsioni arbitrarie, che spesso coinvolgevano anche cittadini statunitensi di origine messicana, sono state accompagnate da una retorica razzista che dipingeva gli immigrati come una minaccia per l’economia e per la stabilità sociale. La storia dell'espulsione e della deportazione in America, quindi, non è solo una questione di leggi e politiche, ma è anche un riflesso delle tensioni sociali, razziali e culturali che continuano a plasmare il paese.
Infine, è fondamentale che l'analisi della storia dell'immigrazione, dell'assimilazione e dell'espulsione negli Stati Uniti venga contestualizzata in un quadro globale. I cambiamenti nei flussi migratori, i conflitti geopolitici e l'emergere di nuove forme di nazionalismo hanno un impatto diretto sulle politiche migratorie e sulle percezioni pubbliche degli immigrati. La domanda di un "cittadino ideale" è sempre più legata a questioni di etnia, religione e cultura, mentre il concetto di cittadinanza si fa sempre più fluido e contestato. La società americana deve confrontarsi con la realtà di un mondo globalizzato in cui le frontiere sono sempre più porose e le identità culturali sono in costante evoluzione.
Qual è il vero ruolo della politica di massa nelle democrazie contemporanee?
Nel contesto delle democrazie moderne, il ruolo delle manifestazioni di massa e delle espressioni collettive di resistenza è fondamentale per comprendere come la politica si articola e come le forze politiche si confrontano. Le azioni collettive, pur non sempre delineando obiettivi specifici, svolgono una funzione espressiva cruciale che permette ai cittadini di farsi vedere e sentire, rinvigorendo la vita democratica e costringendo i politici ad affrontare temi che altrimenti potrebbero essere ignorati. Questo fenomeno si è manifestato in modo chiaro in numerosi eventi recenti, come la Women's March del 2017, che ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo, o nelle reazioni immediate contro le politiche di immigrazione di Donald Trump, che hanno visto la mobilitazione di avvocati e manifestanti a difesa dei diritti umani.
Le manifestazioni di massa, sebbene spesso criticate per la mancanza di obiettivi ben definiti, hanno un impatto visibile sulla politica. Non solo sollevano questioni vitali per la società, ma influenzano anche le decisioni politiche in modo tangibile. Un esempio evidente di questo è l'effetto che le manifestazioni contro le politiche dell'amministrazione Trump hanno avuto sulle dinamiche politiche interne, come nel caso della revoca delle misure proposte contro l'indagine di Mueller, dopo un'ondata di resistenza popolare.
Tuttavia, la relazione tra la politica di massa e l'esito elettorale rimane un campo complesso da esplorare. Non è semplice tracciare un nesso diretto tra una protesta e il comportamento elettorale dei cittadini, ma è altrettanto difficile ignorare l'influenza che eventi di questa portata possono avere, soprattutto sui segmenti della popolazione precedentemente indecisi o politicamente passivi. Le manifestazioni di massa servono anche come indicatore per i politici in cerca di consensi, obbligandoli ad adattarsi a una realtà che non possono ignorare, poiché i temi sollevati dalla folla sono difficili da eludere, anche per le figure politiche più potenti.
Allo stesso modo, la tecnologia digitale ha avuto un impatto notevole sulla politica, accelerando la velocità con cui le notizie si diffondono e facilitando la spontaneità delle azioni politiche. Le piattaforme digitali permettono la nascita di movimenti in tempo reale, con la possibilità di organizzare manifestazioni e iniziative in pochi minuti. Questo ha modificato il modo in cui i politici e le istituzioni devono interagire con il pubblico, obbligandoli a prendere in considerazione le richieste della gente in tempi molto rapidi.
Tuttavia, la nozione di "comunità" che emerge in questo contesto è spesso ambiguo e impreciso. Molti movimenti sociali utilizzano il termine "comunità" per rafforzare la loro causa o la loro identità, ma una comunità vera e propria non può essere solo un concetto astratto. È necessario che esista una coesione materiale ed epistemica, e che questa comunità possieda una base geografica e culturale condivisa, capace di sostenere nel tempo le sue istanze politiche. Solo se una comunità ha una storia continuativa e una resistenza consolidata può essere considerata tale in senso politico.
Le lotte politiche, come quelle contro i movimenti populisti o le forze di estrema destra, non possono prescindere dall'esistenza di comunità già formate che sostengono valori liberatori. Queste comunità, che si manifestano in gruppi di studenti, attivisti, professionisti e altri, sono quelle che forniscono una resistenza concreta contro le tendenze autoritarie e reazionarie. Ad esempio, la resistenza all'alt-right negli Stati Uniti o in Europa nasce proprio da queste realtà radicate, che hanno il potere di fermare l'avanzata di ideologie oppressiva prima che queste possano consolidarsi.
In definitiva, mentre la politica di massa e l'uso delle tecnologie digitali stanno trasformando il panorama politico globale, è fondamentale comprendere che la politica stessa non è mai un evento isolato. La forza di una comunità risiede nella sua capacità di resistere e di adattarsi, di rimanere coesa di fronte alle minacce esterne e di contribuire, attraverso forme di partecipazione attiva e informata, a modellare le decisioni politiche del presente.
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